Science Fiction Project
Urania - Racconti d'appendice
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GUERRE STELLARI - Delio Zinoni

Il "progetto" Guerre Stellari riunisce tre dei temi fondamentali della SF: navi spaziali, armi atomiche e raggi della morte...

Noi viviamo in un'età fantascientifica.
Di noi e della nostra epoca hanno parlato innumerevoli storie: la fine degli anni '80 distava più di mezzo secolo in quei giorni pieni di meraviglia e di speranza che videro la nascita delle prime riviste di fantascienza, e quante cose potevano accadere!
Tre temi, che hanno contribuito in misura preponderante a plasmare l'immaginario fantascientifico hanno avuto, o stanno avendo, una verifica nella realtà: le armi atomiche, i viaggi spaziali, la cibernetica.
Con la bomba atomica la SF ha vissuto uno dei suoi maggiori momenti "profetici". Cleve Cartmill, un mediocre scrittore di cui nessuno oggi si ricorderebbe, si è guadagnato un posto sicuro in tutte le storie della fantascienza grazie alle indagini svolte su di lui dal controspionaggio militare a causa di un racconto pubblicato su Astounding nel marzo del 1944, "Deadline", in cui si descrivevano con singolare precisione i procedimenti costruttivi della bomba atomica che sarebbe esplosa di lì a pochi mesi.
In questo caso, la verifica della previsione fu, ed è, gratificante per l'orgoglio di lettori e scrittori del genere. Ma è altrettanto celebre il caso opposto: nel 1957, subito dopo il lancio del primo Sputnik, le riviste di fantascienza americane, che avevano toccato il record storico nel 1953 con una quarantina di testate, precipitarono a sei. Vari fattori possono essere invocati per spiegare questo evento: la delusione patriottica per essere stati battuti nella corsa allo spazio del nemico comunista, la sensazione che una volta diventata realtà la fantascienza avesse perso il suo fascino. Ma forse, lo Sputnik fu solo il catalizzatore di un sentimento diffuso: che un'intera epoca fosse giunta alla fine. L'epoca in cui la fiducia nel mito americano si mescolava con quella nel mito della scienza.
La catastrofe nucleare e le sue conseguenze non sono state ancora, fortunatamente, "verificate" nella realtà. Dell'esplorazione spaziale, e di come la sua realizzazione concreta si stia rivelando molto diversa da quella immaginata dalla maggior parte degli scrittori di fantascienza, ci siamo occupati in un precedente articolo (Urania n. 1100).
Molto più complesso è il discorso sulla cibernetica. I robot umanoidi, inquietanti e spesso minacciosi, talvolta benevoli, e magari fin troppo benevoli, che popolano tante storie, paiono ancora alquanto lontani dal venire alla luce, ma soprattutto (con buona pace di Asimov), sembrano anche alquanto datati, nel senso che lo sviluppo tecnologico pare invece orientato alla costruzione di macchine con funzioni più limitate e specialistiche.
Un aspetto della cibernetica che quasi nessuno aveva previsto o sviluppato nella SF, è quello dell'informatica: la prospettiva di un "villaggio globale" elettronico, reso possibile dai microprocessori, dai satelliti di comunicazione e dal personal computer. È una prospettiva che solo recentemente, e dopo che si sono moltiplicati i segnali di una sua concretizzazione, si è fatta strada nella fantascienza.
Anche nel campo della cibernetica, come in quello dei voli spaziali, notiamo una considerevole anticipazione dei tempi: gli scrittori di 60 o 30 anni fa ci immaginavano molto più "fantascientifici" di quanto siamo in realtà. In uno dei classici del genere robotico, "Servo-città" di Walter Miller, apparso in Italia nella famosa antologia einaudiana "Le meraviglie del possibile" (l'originale è del 1952, ed è stato recentemente ristampato da Urania), prevede per il 1987, oltre a una guerra atomica, l'esistenza di città interamente computerizzate, dotate di un esercito di robot-poliziotti (ma con valvole, e altoparlanti regolarmente gracchianti). In questo racconto vediamo all'opera un fraintendimento tipico della fantascienza: quello per cui la semplice esistenza di una tecnologia (nulla nella servocittà di Miller e particolarmente avveniristico, e oggi è tutto realizzabile, se preso singolarmente) sia condizione sufficiente ad una sua applicazione pratica su vasta scala. In realtà, le difficoltà nascono proprio dalla integrazione di sistemi complessi e dai costi economici della loro realizzazione.
Ma è con le "guerre stellari" che l'interazione (o confusione) fra fantascienza e realtà tocca il suo apice. Mai nessuna impresa scientifico-militare era stata così "fantascientifica", e i giornalisti che hanno immediatamente battezzato 1'SDI con il nome del film di Lucas hanno fiutato proprio questo. In essa si fondono, o meglio si fondevano i tre temi di cui abbiamo parlato sopra: veicoli spaziali, ordigni atomici e "raggi della morte", una rete altamente complessa e sofisticata di computer. Per una volta, la realtà pareva dovesse superare la fantasia. C'è un episodio significativo, raccontato di recente dal "New York Times Magazine". Il 22 dicembre del 1983, nove mesi dopo che Reagan aveva annunciato al mondo il suo programma per rendere obsolete le armi atomiche, Teller, il padre della bomba all'idrogeno americana e eminenza grigia delle "guerre stellari", scriveva al consigliere scientifico del presidente: "Stiamo entrando nella fase ingegneristica dei laser a raggi X". Questo laser, in grado di distruggere dallo spazio o da terra qualsiasi missile, aveva ricevuto anche un nome molto suggestivo, e non a caso anche molto "mitico": Excalibur. Qualche mese dopo, a chi gli chiedeva quanto tempo fosse necessario per realizzare questo "raggio della morte", Teller rispondeva: "Tre anni". Come spiegare una simile, incredibile cantonata da parte di un esperto come Teller? Una pressione per ottenere fondi da un Congresso notoriamente restio? Sindrome da "scienziato pazzo"? Un po' di questo e forse altro ancora, ma per parte nostra non possiamo sfuggire all'impressione che in effetti il vecchio santone stesse semplicemente facendo un uso fantascientifico della scienza.
Sono passati sette anni dal discorso di Reagan, tre dalla data ipotizzata da Teller per la messa a punto del laser a raggi X, e di risultati pratici se ne sono visti pochini, per non dire nessuno. In una testimonianza resa alla sottocommissione del senato americano per gli stanziamenti militari, il generale Monahan, nuovo capo del progetto SDI, ha affermato nel maggio del 1989 che ancora per tre o quattro anni le "guerre stellari" rimarranno allo stato di ricerca pura, e quando verranno installati dei sistemi orbitali, si tratterà semplicemente di missili dotati di modesti sensori radar o a infrarossi. Un po' misero come scudo globale, ma vai la pena di ricordare che, secondo un sondaggio condotto due anni fa, il 90 per cento degli scienziati americani riteneva comunque vulnerabile il sistema di difesa spaziale.
La verità è che fin dall'inizio l'SDI è stato, anche e in gran parte, un sogno, un'utopia (oltre che uno strumento politico ed economico di pressione sull'Unione Sovietica). Probabilmente, la maggior parte dei lettori di fantascienza non si dispiacerà che il sogno sia agonizzante, e preferisce gli accordi sul disarmo allo scudo spaziale. E tuttavia, da un punto di vista strettamente fantascientifico, la vicenda è un po' triste; ma anche molto istruttiva.
Com'è potuta maturare nelle menti dei dirigenti americani l'idea di questa Maginot del 2000, di questo Titanic affondato ancor prima di partire? Probabilmente non basterebbe un libro per rispondere a questa domanda, e quasi certamente le risposte sarebbero molte: dalla psicologia di un presidente che parlava di "impero del male", alle faraoniche commesse che le industrie americane (con qualche briciola per quelle europee) speravano di ottenere.
Per parte nostra, vorremmo proporre un'altra tessera da aggiungere al mosaico delle possibili risposte: le "guerre stellari" sono un prodotto dell'immaginario fantascientifico americano. Con l'SDI per la prima volta la realtà non è stata una verifica della fantascienza; è la fantascienza che ha provato a diventare realtà, che ha influito su di essa.
Dopo sessant'anni, la SF in America non è più soltanto una letteratura, o un'evasione, o un gioco intellettuale. È diventata un fatto di cultura; un abito mentale, una delle componenti che contribuiscono a plasmare la visione del mondo propria di un popolo. Potremmo dire che è diventata un mito. E come tale ha soppiantato in gran parte o meglio ha assorbito, quello della frontiera. Fateci caso: il boom della fantascienza cinematografica, culminato con Guerre Stellari (intese come film), è coinciso con il declino del western tradizionale (e poco dopo, anche di quello cosiddetto "crepuscolare"). Il punto di svolta, in questo come in tanti altri campi, è stato la guerra del Vietnam: l'arruolamento di John Wayne fra i Berretti Verdi, e la cavalleria volante (come vennero battezzati i corpi elitrasportati) non erano bastati per vincere la guerra. Ci voleva qualcosa di più. Quella del Vietnam è stata per l'America l'ultima guerra immaginata come un western. Dopo un decennio di ripiegamento e di sensi di colpa, Reagan, il "grande comunicatore", il presidente forse più di ogni altro sensibile agli umori collettivi e più di ogni altro abile nello sfruttamento dei media, è arrivato a dare un nuovo mito, proiettato nel futuro invece che nel passato: missili, raggi laser e super-computer. Poiché non è vero, come talvolta si sostiene, che la SF sia un semplice travestimento del western. I marziani sono anche indiani, ma non solo; il disintegratore è anche la Colt, ma non solo. Ciò che ha di peculiare la fantascienza (o meglio: l'immagine collettiva della fantascienza) è il culto della macchina, la convinzione che attraverso la tecnologia e la scienza si possano risolvere tutti i problemi. O crearli, che è lo stesso principio con segno rovesciato.
Le "guerre stellari" nascevano esattamente da questo nocciolo profondo: l'idea che la liberazione dal terrore atomico, questo sogno comune a tutta l'umanità, potesse essere raggiunta attraverso strumenti di ordine esclusivamente tecnologico, e non politico. Questo spiega il singolare impasto di utopia e scienza, sogno e potenza militare, speranza e terrore, che ha caratterizzato il progetto SDI, ma che è in primo luogo proprio di tutta la fantascienza.

FINE