Science Fiction Project
The Lost Treasures
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URANIA - CRONACHE DELL'INSPIEGABILE - Richard DeWitt Miller

I - Poteri paranormali / II - Esperimenti dimenticati / III - Misteri in cielo / IV - I continenti scomparsi / V - Animali parlanti e pensanti / VI - Il tempo questo sconosciuto / VII - Le navi maledette / VIII - Abitazioni abitate / IX - Il mago houdini / X - La valle delle ombre

Capitolo I - Poteri paranormali

Questo articolo è dedicato a uomini e donne che sembrano aver posseduto qualità paranormali. Alcuni hanno mantenuto le loro straordinarie capacità per quasi tutta la vita, altri ne furono dotati soltanto per brevi periodi, altri ancora godettero di questi poteri solo saltuariamente.
Tratteremo qui di capacità diversissime da quella che permette di trovare l'acqua nascosta, a quella che consente, a chi la possiede, di rimanere a galla indefinitamente. È possibile che questi misteriosi poteri non siano altro che singoli sfoghi di insospettate capacità umane. Molti lo sostengono. Ma una simile ipotesi tende più a confondere che a illuminare.
Quasi tutti coloro di cui parleremo, sono state persone di rilievo. Non semplici fenomeni dunque, ma fenomeni famosi. Quante altre persone non altrettanto famose abbiano posseduto gli identici poteri, non è possibile stabilirlo.
Ho esitato prima di includere la storia di D. D. Home, che a suo tempo è stato il punto focale dei dibattiti su materialismo, spiritualismo e religione ortodossa. Personalmente Home non prese quasi parte alle discussioni preferendo che fossero gli altri a giudicare il significato dei suoi poteri. Home fu uomo di grande cultura, conosciuto, e riconosciuto in tutte le corti d'Europa. Tutto ciò che fece, ebbe sempre la massima risonanza. Egli rimane una figura interessante, e si potrebbe definirlo addirittura un mago. Ne parlerò, quindi, poiché rientra nelle materie trattate, ma dopo aver riportato esempi meno complessi.

Qualsiasi fosse il segreto dell'«uomo che non poteva annegare», lui lo portò con sé nella tomba. Morì serenamente il 2 agosto 1931 a Jacksonville, in Florida. Sarebbe stata una tragica ironia se fosse morto nell'acqua, ma non fu così.
Il necrologio, pubblicato nel «New York Herald Tribune» del 13 agosto 1931, ne riassumeva la storia. Eccone un estratto.
«Angelo Faticoni, detto "sughero umano" per le sue capacità di rimanere a galla sull'acqua per quindici ore consecutive, con dieci chili di piombo legati ai fianchi, è morto... Aveva settantadue anni. Faticoni poteva dormire sull'acqua, rannicchiarsi e assumere qualsiasi posizione gli venisse richiesta. Una volta fu legato in un sacco e gettato in acqua. Ai piedi gli avevano legato una palla di cannone da dieci chili. Dopo qualche istante la testa ricomparve alla superficie, e lui rimase immobile in quella posizione per otto ore...». Qualche anno fa venne invitato ad Harvard per dare una dimostrazione agli studenti di quella facoltà. In quell'occasione fu attentamente esaminato da numerose autorità mediche, ma nessuno di loro riuscì a trovare conferma alla teoria che Faticoni potesse galleggiare per tanto tempo grazie a una particolare conformazione degli organi interni... Parecchie volte Angelo Faticoni promise di rivelare un giorno il suo segreto, ma non lo fece mai...

Alle sei di un pomeriggio d'estate del 1759, Emanuel Swedenborg, scienziato e filosofo di fama mondiale, disse a un amico di Göteborg, che, era andato a trovare, che un grande incendio stava divampando in quel momento a Stoccolma. Disse inoltre che, tra le altre, era in preda alle fiamme la casa di certi loro conoscenti.
Alle otto di quella stessa sera Swedenborg dichiarò che il fuoco era stato fermato tre case prima della sua.
Tra Göteborg e Stoccolma ci sono trecento chilometri. In quel periodo, a metà diciottesimo secolo, non c'erano mezzi adatti per far giungere a Swedenborg la notizia con tanta rapidità. Eppure l'incendio si svolse, anche nei più piccoli particolari, esattamente come lui lo aveva descritto.
Simili dimostrazioni di un potere che sembra soprannaturale sono molto comuni nella vita di Emanuel Swedenborg.
John Wesley, iniziatore del Metodismo, ricevette un giorno questa breve lettera di Swedenborg che porta la data del febbraio 1772.
«Signore, sono stato informato dalla voce dello spirito che avete ardente desiderio di conferire con me. Se mi vorrete visitare io sarò felice di ricevervi. Vostro umile servitore...»
Wesley lesse la lettera in presenza dei suoi fedeli, e uno di questi, il reverendo Samuel Smith, riferì che Wesley confessò sinceramente di aver avuto desiderio di vedere Swedenborg e di parlare con lui, ma disse anche di non aver mai confidato questo suo desiderio a nessuno.
Wesley rispose alla lettera dicendo che si sarebbe certamente recato a trovarlo, ma che, dati i numerosi impegni presi in precedenza, l'incontro non avrebbe potuto aver luogo prima di sei mesi.
Swedenborg rispose a sua volta facendo osservare a Wesley che la data era inaccettabile. Swedenborg, morì di paralisi, ma in pieno possesso di tutte le facoltà mentali, il 29 marzo 1772.

Verso la fine del 1917, quando le speranze della Germania di Guglielmo II erano ormai distrutte, il servizio di spionaggio tedesco fece una strana cosa. Incaricò dell'interrogatorio degli ufficiali nemici prigionieri un certo dottor Franz J. Polgar, il quale possedeva la indiscussa capacità di leggere nella mente delle persone.
Franz Polgar era un ufficiale ungherese, che in seguito allo scoppio di una bomba era stato ricoverato in un ospedale, privo di sensi. Ripresosi dallo shock, aveva scoperto di poter leggere con estrema facilità i pensieri di chi gli stava attorno. All'ospedale disse costantemente ai dottori e alle infermiere ciò che stavano pensando... dimostrando certe volte pochissimo tatto. Sulla sua insolita facoltà venne inoltrato regolare rapporto al servizio di spionaggio tedesco.
Ma i tedeschi non riuscirono mai a usufruire delle straordinarie capacità di Polgar. Una delle ragioni fu la crescente avversità dell'ungherese verso la macchina militare del Kaiser.
Dopo la guerra, Franz Polgar si trasferì in America.
L'1 maggio 1936, di fronte agli psicologi dell'Università di New York, il dottor Polgar, che era stato pupillo di Sigmund Freud, obbedì a comandi mentali. Senza che fosse stata pronunciata una sola parola, tolse il camice a un medico e lo fece infilare a una ragazza. Era esattamente ciò che gli osservatori avevano convenuto di fargli fare.
Gli scienziati diedero una spiegazione semplicissima: l'ordine bisbigliato da uno dei presenti e facoltà auditive sorprendenti di Polgar.
Un secondo esperimento venne tenuto in una piccola stanza, alla presenza di soli scienziati. Uno degli psicologi si concentrò su una serie di azioni, senza dire una parola. Senza muovere la bocca.
Il dottor Polgar venne fatto entrare, e immediatamente si avvicinò al microscopio, poi si spostò verso un tavolo vicino per prendere una cartelletta ed estrarre un foglio di carta. Lo psicologo rimase per tutto il tempo in silenzio. E il dottor Polgar ripeté per cinque volte le identiche azioni.
- Non riesco a separarmi da questa cartelletta - disse alla fine. Lo psicologo ammise che il dottor Polgar aveva fatto esattamente le azioni stabilite, e che lui aveva volutamente continuato a pensare la stessa cosa nel tentativo di confondere le idee all'esaminando.
Gli psicologi tentarono altre prove. E Polgar le superò sempre brillantemente. Riferì con precisione sbalorditiva tutti i dettagli di un finto delitto che gli esaminatori avevano concertato per sottoporglielo. Uno degli scienziati si era semplicemente limitato a pensare al crimine immaginario.
Il 2 maggio, il «New York World-Telegram» pubblicava un articolo firmato dal dottor Polgar, e intitolato: «Gli scettici si rassegnano ad accettare la trasmissione del pensiero».

I rabdomanti sono numerosissimi. Ho scelto Kelly, quale rappresentanza di questa categoria, per le drammatiche circostanze in cui diede prova delle sue qualità.
Nell'autunno del 1917 le forze inglesi del generale Allenby stavano impegnando le truppe turche davanti a Gerusalemme. Le difficoltà che Allenby doveva superare erano diverse. Tra l'altro doveva fronteggiare la mancanza d'acqua. In quel disperato momento qualcuno pensò al soldato australiano Stephen Kelly, che tutti consideravano un rabdomante eccezionale. Gli venne chiesto se si sentiva in grado di risolvere quel particolare problema.
- Sì - rispose Kelly. - Posso trovare l'acqua. Sono un rabdomante. Kelly osservò il deserto bruciato dal sole che si stendeva attorno all'avamposto di Abu Ghalyan, guardò i due pozzi che i tecnici inglesi avevano scavato nel tentativo di trovare, l'acqua, poi cominciò il suo lavoro.
- Scavate qui - disse alla fine.
Abbondante acqua venne trovata a cinque metri di profondità, e con quella nuova provvista la colonna inglese poté riprendere la marcia attraverso il deserto della Palestina, battere i turchi, e occupare Gerusalemme.
Il mondo ricorda che il generale Allenby è smontato da cavallo per entrare a piedi in Gerusalemme, ma ha dimenticato completamente il rabdomante Kelly. Eppure, senza il suo aiuto, Allenby forse non avrebbe mai raggiunto la città santa.

Luther Burbank, genio orticultore del nostro tempo, nutriva un vero culto della normalità. Tuttavia lasciò scritto:
«Ho ereditato da mia madre la facoltà d'inviare e ricevere comunicazioni telepatiche. Lo stesso è per una delle mie sorelle. In una prova effettuata alla presenza dei rappresentanti dell'Università della California sono stato in grado di ricevere, sette volte su dieci, messaggi telepatici a lei inviati... Mia madre visse gli ultimi anni della sua vita in precaria salute. In questi anni provò spesso il desiderio di vedere mia sorella. In quelle occasioni io non scrissi mai, né volli telegrafare o telefonare. Mi limitai sempre a inviare messaggi telepatici. E ogni volta mia sorella arrivava da Santa Rosa, in California, con il primo treno».
Quando Burbank morì, nel 1926, si dissero molte parole su di lui, ma nessuno menzionò il piccolo esperimento fatto all'Università della California, né ricordò che si serviva della telepatia con la stessa facilità con cui noi usiamo il telefono.

Thomas A. Edison era uno scettico accanito. Ma una volta nella sua vita il grande inventore fu costretto ad ammettere di aver assistito a una dimostrazione inspiegabile. Riportò il fatto nell'«Annale delle Scienze psichiche» del 1915.
Per provare le facoltà di chiaroveggenza del famoso indovino Bert Reese, Edison studiò il seguente esperimento.
Reese venne fatto sedere in una stanza, ed Edison si andò a rinchiudere in una stanza lontana. Poi prese un foglio di carta e scrisse: «C'è qualcosa di meglio dell'idrossido di nichel per la batteria elettrica alcalina?»
Quando Edison rientrò nella stanza in cui aveva lasciato Reese. questi gli disse:
«No, per la batteria elettrica alcalina non c'è niente di meglio dell'idrossido di nichel».
Edison la considerò una coincidenza, dato che in quel caso la frode sembrava impossibile, e non riuscì mai a dare altra spiegazione al fatto.

Nel 1934, Anna Manaro, ammalata d'asma, dormiva profondamente nel suo letto all'ospedale di Pirano, in Italia. Tre eminenti professori, Fabio Vitali, G. C. Trabacchi, e Sante de Sanctis la stavano osservando. Improvvisamente una luce azzurra, una ondeggiante fiamma irreale, si accese sul petto della donna. Poi la luce si affievolì, si riaccese, si affievolì ancora. I tre scienziati si chinarono: la luce non proiettava ombre.
Per tre giorni i professori studiarono il caso. La donna, il letto e la stanza vennero esaminati con la massima attenzione.
La strana luce che illuminava il petto della signora Manaro venne alla fine notata anche dagli infermieri, e i medici che avevano riso nel sentir raccontare il fatto, furono costretti a ricredersi quando furono portati di fronte all'ammalata.
Anche in condizioni di controllo che rendevano impossibile qualsiasi frode, la luce fu vista da diversi testimoni occasionali. Tuttavia i numerosi tentativi fatti per fotografarla si rivelarono fallimenti completi. Questo accadde nel 1934, e i tre professori nominati più sopra pubblicarono un completo rapporto con il titolo «Sul fenomeno di Pirano».

È difficile, se non impossibile, trovare qualcuno che possa reggere il confronto con Daniel Douglas Home. Questo è particolarmente sorprendente se si considera il fatto che non una sola volta è stato «scoperto».
Home nacque in Scozia, a Edimburgo, nel 1833, e prima di morire, ad Auteuil in Francia, il 21 giugno 1886, riuscì a sbalordire due continenti. La principessa Metternich disse una volta che Home aveva trasformato le Tuileries in un «regolare sabba di streghe».
Recentemente la fantastica storia della vita di Home è stata riportata all'attenzione del pubblico con la pubblicazione del best seller «Heyday of a Wizard» di Jean Burton, uscito nel 1944. Era una eccellente biografia.
Trascurando le implicazioni spiritualistiche delle prodezze di Home, lui resta famoso per tre tipi di «miracoli»: l'abilità di toccare e maneggiare impunemente il fuoco, la levitazione (l'impiegabile capacità di sollevarsi nell'aria), e la capacità di imprimere un movimento a oggetti pesanti.
Quello che segue è un esempio tipico del suo primo potere.
Nel 1867, all'età di trentaquattro anni, Home incontrò il giovane lord Adare, corrispondente inglese di guerra per il «Daily Telegraph». Insieme ad altri testimoni, lord Adare vide Home attizzare le fiamme di un camino servendosi semplicemente della mano, e poi, «dopo essersi inginocchiato, collocare la faccia sui carboni ardenti e scuotere la testa, come se si stesse risciacquando nell'acqua». La sua faccia venne in seguito esaminata: non portava il minimo segno di bruciature.
Quella stessa sera Home raccolse un carbone ardente e lo strinse nella mano per alcuni minuti. Il carbone rimase tanto incandescente che nessuno dei presenti riuscì poi ad avvicinarvi la mano a meno di quindici centimetri.
Tra gli amici e i sostenitori di Home ci furono Napoleone III, l'imperatrice Eugenia, il conte Alexis Tolstoy, Elisabeth Barret Browning, e Thackeray. Pochi furono i personaggi importanti di quell'epoca che non ebbero occasione d'incontrarsi con lui.
Thomas Adolphus Trollope, fratello dello scrittore Anthony Trollope, consultò una volta il più famoso «mago» di quel tempo, Bartolomeo Bosco. Questi rise all'idea che nelle dimostrazioni di Home ci fossero dei trucchi.
A New York, il dottor Robert Hare, docente di chimica all'Università della Pennsylvania, cercò di discutere i suoi esperimenti con Home, all'American Association, ma ne ebbe un netto rifiuto.
I «miracoli» di Home non vennero mai portati su un palcoscenico. Normalmente lui si esibiva nelle case degli amici, sempre persone molto in vista. E non accettò mai compensi per le sue dimostrazioni.
Infinite volte si alzò nell'aria rimanendovi a ondeggiare, perfettamente a suo agio. Una volta salì nell'aria in verticale per tracciare un segno di gesso sul soffitto della stanza.
Si dice che in una certa occasione uscì da una finestra a circa venti metri da terra, per rientrare nella stanza dalla finestra accanto. Il fatto venne descritto dettagliatamente in articoli diversi da tre testimoni oculari.
Grossi mobili, trasportabili soltanto con lo sforzo di diversi uomini, venivano spostati dalla forza invisibile di Home, anche se lui si trovava a parecchi metri di distanza.
Troppe sono le dimostrazioni date da Home per poterle enumerare. Sui suoi fenomenali poteri, Home stesso disse: «Ignoro quale particolare legge abbia sviluppato in me queste qualità incomprensibili, come lo ignorano tutti coloro che le hanno controllate e studiate».
Nel 1870 venne richiesta una formale indagine su Daniel Douglas Home. L'uomo scelto per effettuare gli esami fu William Crookes, in seguito insignito del titolo di baronetto, un brillante fisico e chimico di trentotto anni. Crookes (che fu l'inventore della valvola che porta il suo nome) viene classificato come uno dei più grandi scienziati inglesi.
Per esaminare Home, Crookes usò una infinità di apparecchi, alcuni disegnati appositamente da lui, per quello scopo preciso. Il risultato delle sue indagini venne pubblicato sul «Quarterly Journal of Science» dell'1 luglio 1871.
Lo scienziato dichiarò che Home, in condizioni di assoluto controllo, era rimasto sospeso nell'aria sostenuto da una forza sconosciuta, che aveva stretto nella mano carboni ardenti senza subire la minima scottatura, e che aveva spostato con la sua sola presenza alcuni oggetti di peso consistente.
A causa di questo rapporto Crookes portò fino alla tomba la fama di essere passato per stupido, ed essersi lasciato ingannare, almeno una volta. Tuttavia non cambiò mai opinione. Vent'anni dopo, scriveva: «Non c'è niente da ritrattare o cambiare. Negli apparecchi usati per gli esami non c'erano difetti, come non ci sono errori nelle conclusioni che ho dovuto trarre».

Di fronte a centocinquanta fisici, riuniti appositamente per esaminarlo, il 2 maggio 1936, Pat Marquis, un dodicenne di Los Angeles, riuscì a «vedere» senza servirsi della vista.
Bendato da tre specialisti, il dottor A. G. Hovde, Henry S. Nesburn, e Lloyd Burrows, il ragazzo imitò i gesti fatti dai dottori, prese un libro da uno scaffale e lo aprì alla pagina richiesta, lesse alcune iniziali incise sulla cassa di un orologio e le lettere scritte su una lavagna.
In una seconda prova, al ragazzo furono fatti inforcare un paio di occhiali neri ricoperti di nastro adesivo. Altri pezzi di nastro vennero usati per fissare gli occhiali al volto. Sul tutto, attorno alla testa, vennero fatti passare tre strati di garza, e, come ultima precauzione, gli occhiali furono ricoperti con una spessa benda. Il ragazzo superò ogni prova richiesta. L'esperimento venne reso pubblico in un lungo articolo comparso sul «Los Angeles Times» il 3 maggio 1936.

La storia di Mollie Fancher, per quanto ormai quasi dimenticata, non ha certo perso il suo mistero. Tra le persone in possesso di strani poteri, lei è certamente una delle più importanti.
Nel 1866 la signorina Fancher cadde in un inspiegabile stato di trance. Il medico curante, dottor Samuel Fleet Speir, dichiarò che per anni il corpo della donna rimase freddo come quello di un cadavere, che la Fancher aveva praticamente cessato di respirare, e che le pulsazioni erano quasi inesistenti. Durante i nove anni passati in quello stato, la donna ingerì meno cibo di quanto sarebbe stato necessario in ventiquattro ore a una donna normale.
I più noti specialisti non furono in grado di spiegare lo strano stato di sospensione tra la vita e la morte, ma quando la donna riprese completa conoscenza, si trovarono di fronte a un caso ancora più inspiegabile. La donna sembrava essere dotata di poteri soprannaturali. Poteva distinguere i colori nella completa oscurità, poteva descrivere vestiti e attività di persone lontane centinaia di chilometri, ed era in grado di leggere un libro chiuso o una lettera nascosta sotto le lenzuola del letto.
Un giorno il dottor Speir le recapitò una lettera sigillata, giunta da pochi minuti. Mentre il medico la teneva ancora in mano, la signorina Fancher ne lesse tutto il contenuto, parola per parola.
Non c'erano oscuri giochi di prestigio nel caso della signorina Fancher. Gli scienziati che la esaminavano erano liberi di sottoporla a qualsiasi prova da loro escogitata. Tra coloro che confermarono i poteri soprannaturali della donna troviamo il famoso neurologo dottor Robert Ormiston, il dottor Willard Parker, e il dottor Parkhurst, grande astronomo di quel tempo.
Il 3 febbraio 1913, dopo aver trascorso oltre cinquantanni a letto, e aver violato metà delle leggi della scienza, Molly Fancher invitò il presidente Wilson alla festa del suo compleanno. Il presidente rifiutò. Otto giorni dopo, la donna moriva.

Capitolo II - Esperimenti dimenticati

Certi esperimenti sembrano essere nati sotto una cattiva stella. Quando furono annunciati parvero tutti della più grande importanza, e poi nessuno ne sentì più parlare. Non ottennero mai l'approvazione o la smentita definitiva, ufficiale. Certi non vennero neppure portati a termine. Esperimenti destinati, in una parola, a non raggiungere mai il porto.
Sono infiniti i motivi per cui certi esperimenti caddero nel dimenticatoio. Ad esempio, i risultati ottenuti potevano essere in assoluto contrasto con le teorie di quel tempo, o gli sperimentatori potevano aver pestato i piedi a qualcuno più potente di loro, o aver finito i soldi a disposizione, eccetera.
Qui abbiamo usato la definizione «esperimenti» nel senso più vasto possibile, comprendendo nello stesso termine le «ricerche» e le «indagini». Così abbiamo avuto la possibilità di includere diversi casi che, pur non trattando di veri e propri esperimenti, trovano miglior dimora qui che non in un qualsiasi altro capitolo.
Per ovvie ragioni presenteremo soltanto alcuni di questi casi, ma gli «esperimenti dimenticati» sono legioni.

Per molti anni Jules Romains, famoso scrittore e filosofo francese, condusse esperimenti allo scopo di provare la bizzarra teoria che «l'essere umano può vedere attraverso la sua pelle». Avendo osservato diversi casi di vista supernormale, Romains giunse alla conclusione che, pur essendosi gli occhi resi indipendenti dai tessuti della pelle, le cellule epidermiche hanno conservato la capacità latente di trasmettere impressioni visive.
Romains riteneva che il menisco di Ranvier, microscopico organo nervoso della pelle, fosse un occhio potenziale. Inoltre affermava che, dietro suo addestramento, soggetti ciechi avevano imparato a distinguere la luce e il buio con gli «occhi» delle guance, delle dita, e del naso, sostenendo che alcuni soggetti erano addirittura in grado di leggere fogli stampati e distinguere i colori.
Gli esperimenti di Romains erano tesi a spiegare i casi dei così detti «occhi a raggi X» di certe persone che avevano guidato macchine pur avendo una benda sugli occhi, e a convalidare le dicerie degli indigeni delle isole Samoa, secondo i quali un cieco può vedere attraverso la pelle.
La notte di Natale del 1922, Romains diede una dimostrazione sorprendente. 1 soggetti erano stati bendati da un oculista tutti nella stessa maniera: strisce di cerotto sugli occhi, poi due pezzi rettangolari di seta nera, e alla fine un panno nero attorno alla testa.
Ai soggetti così bendati, vennero sottoposte copie fotografiche di lettere e numeri, e pezzi di carta colorati ricoperti con un vetro. Collocando i diversi oggetti vicino alla fronte, o alla punta delle dita, i soggetti furono in grado di distinguere i colori dei vari campioni, leggere numeri e lettere, e descrivere sommariamente ciò che era raffigurato su alcune semplici fotografie.
Tra le persone che testimoniarono sulla validità dell'esperimento di Romains figura Anatole France.

Nel 1927, dopo aver effettuato svariate prove, il signor Jagadis Chunder Bose, orticultore di fama mondiale, concluse che le piante sono dotate di un sistema nervoso simile a quello animale. Riferendo sui risultati dei suoi esperimenti, Bose dichiarò di aver percepito, con speciali strumenti, la reazione delle piante al dolore, e di aver registrato il battito dei loro cuori.
Provò anche a iniettare veleno nelle piante, e scoprì che reagivano alla stessa maniera degli animali. L'etere e il cloroformio le rendevano insensibili a uno stimolo elettrico. Da morti, i comuni piselli da giardino liberavano elettricità.
Un riassunto degli esperimenti di Sir Bose venne pubblicato nel «Literary Digest» del 27 settembre 1927. Le sue scoperte, se provate, potrebbero risultare di immensa importanza per l'agricoltura.

Alle sei di un pomeriggio del marzo 1933, un terremoto sconvolse la California del sud, causando centinaia di vittime. Il centro maggiormente colpito fu la città di Compton. I sismografi stabilirono che l'epicentro della scossa tellurica si trovava a una cinquantina di chilometri di distanza, sotto la città di Newport. Ma Newport non subì alcun danno.
Le pietre tombali cadute non furono d'accordo con quello che avevano indicato i sismografi. Esse indicarono l'epicentro del terremoto direttamente sotto la zona distrutta, cosa che sembrava assai più logica.
Era l'occasione aspettata dal dottor Thomas Clements, dell'Università della California.
Il dottor Clements aveva condotto esperimenti e studi sul modo in cui si rovesciavano certe particolari pietre, e aveva concluso che l'epicentro di un terremoto poteva venir stabilito con maggior esattezza seguendo la direzione di caduta delle pietre che affidandosi agli strumenti.
Rammentò che i suoi esperimenti potevano essere controllati a ogni terremoto osservando la direzione in cui cadevano le pietre sepolcrali. Il dottor Clements controllò personalmente la sua teoria nei terremoti di Helena, del Sud California, e di Santa Barbara. E confrontò gli esperimenti con quelli analoghi del geologo giapponese Omori.
Se le conclusioni del dottor Clements ottenessero una conferma definitiva, una nuova importante luce verrebbe fatta sul fenomeno dei terremoti. L'ultima indagine nota sulla caduta delle pietre sepolcrali venne fatta nel 1936.

«Alcuni miei collaboratori insistono che le piante possono emettere una strana radiazione» disse l'orticultore moscovita dottor Alexander Gurwitsch. «Perché non fare un esperimento?»
All'Istituto Istologico dell'Università di Stato Sovietica, Gurwitsch scelse una cipolla simmetrica e la rinchiuse in un tubo metallico, simile a un piccolo cannone, e tenne l'estremità della cipolla sporgente dalla bocca anteriore.
Poi scelse una seconda cipolla, e la ricoprì completamente di metallo, lasciando soltanto una piccola apertura. Collocò questa seconda cipolla con l'apertura in corrispondenza della parte esposta della prima, le lasciò così per tre ore, e quando esaminò al microscopio le due cipolle, scoprì che le cellule nella parte esposta si erano sviluppate con incredibile rapidità.
Nel luglio del 1934 l'Harper Magazine, in un articolo dal titolo «Radiazione e vita», osannò il lavoro di Gurwitsch, e affermò che il sovietico continuava i suoi studi sul problema.

Poco prima della prima guerra mondiale, gli scienziati decisero di provare o smentire una volta per tutte la supposta mitica abilità di certi «indovini» capaci di trovare l'acqua servendosi di rami a forcella.
Gli studi vennero affidati a una eminente personalità, il professor W. F. Barrett, in quel momento docente di risica sperimentale al «Royal College of Science» d'Irlanda. Le sue indagini durarono parecchi mesi, e tutti i più noti «indovini» vennero sottoposti alla prova.
A conclusione dei lavori, il professor Barrett fece la seguente dichiarazione: «Alcuni soggetti si sono rivelati subito assolutamente incapaci di compiere le vantate ricerche con la bacchetta. Tuttavia il mio attento e critico esame ha potuto accertare che certi indovini possiedono la genuina facilità, o facoltà, di scoprire l'acqua che scorre sotto terra. Questa facoltà non ha basi scientifiche. Personalmente credo che la spiegazione sia nel possesso, di certi individui, di una facoltà affine alla chiaroveggenza».
Le sue conclusioni furono sbalorditive e sconcertanti, ma gli scienziati ne tengono vagamente conto. E i rabdomanti continuano a cercare l'acqua con l'aiuto delle loro bacchette.

«La prossima volta che sentirò un dolore al braccio voglio segnare l'ora esatta. Forse mi sarà possibile dimostrare qualcosa!»
Così disse Frederick George Lee, donatore di sangue del Middlesex Hospital di Londra, il quale era convinto di sentire il dolore nell'esatto istante in cui moriva una persona alla quale lui aveva dato il suo sangue.
Il signor Lee fece come aveva deciso: quando sentì di nuovo il dolore, annotò il momento esatto, poi fece ricerche presso l'ospedale. In quel momento esatto era morta l'ultima persona alla quale Lee aveva dato il suo sangue.
In tre anni Lee diede il suo sangue ventiquattro volte. Sette pazienti morirono, e sette volte Lee sentì «...un forte dolore al braccio nell'istante in cui il paziente moriva. E si sentiva depresso, svogliato, in preda alla nausea...»
Fatto notevole, perché in nessun caso Lee ebbe modo di osservare il paziente durante la trasfusione, né mai venne a sapere delle condizioni del malato fino al momento degli acuti dolori al braccio.
Questi sono i fatti di uno dei «più curiosi esperimenti di telepatia» riportati dal Time del 7 settembre 1925.

Nel 1920, il dottor W. J. Kilner pubblicò il libro Atmosfera Umana, in cui descriveva gli esperimenti che lo avevano portato alla scoperta dell'involucro di radiazioni attorno al corpo umano. Chiamò queste radiazioni «aura umana».
Le ricerche erano cominciate nel 1908, quando il dottor Kilner lavorava al St. Thomas Hospital di Londra.
Mentre eseguiva certi esperimenti, gli capitò di usare un vetrino leggermente cosparso di colorante. Osservando un essere umano nudo attraverso il vetro, scoprì l'esistenza di una netta nuvola di radiazioni che avvolgeva il corpo umano con uno spessore di venti centimetri. Le radiazioni a volte erano di diversi colori. Al momento della morte questa «aura» spariva.
Il dottor Kilner osservò inoltre che quando una parte del corpo era seriamente malata, l'aura mostrava sensibili variazioni. Utilizzando la sua scoperta, riuscì a fare diverse diagnosi rigorosamente esatte.
Poco dopo aver dato notizia della sua scoperta, diversi scienziati, e tra questi il dottor C. Martin, e il dottor Barker Smith, convalidarono quanto lui aveva affermato. Havelock Ellis confermò che usando lo schermo del dottor Kilner si poteva facilmente vedere l'aura.
Il dottor Kilner pensò di aver dato un valido contributo alla scienza delle diagnosi. Forse lo aveva anche fatto. Forse i suoi esperimenti diverranno la base di una nuova medicina. O forse, non era altro che uno sciocco deluso che si divertiva a giocare con vetrini colorati. Chi può saperlo?

Lazarus III diede i primi segni di vita un venerdì, esattamente il 13 aprile 1934. Il 19 maggio il cane resuscitato era in grado di camminare e mangiare regolarmente. Il 4 giugno l'uomo che lo aveva riportato in vita venne pregato di lasciare il laboratorio dell'Università di California.
Il dottor Robert Cornish aveva ucciso Lazarus III, uno dei cani da esperimento del laboratorio, asfissiandolo con nitrogeno. Quattro minuti dopo la morte, il cane era stato riportato in vita con una tecnica già usata con parziale successo su altri cani. I cervelli di questi animali non erano riusciti a recuperare appieno le loro facoltà, e le bestie erano morte una seconda volta.
Il metodo per resuscitare combinava la respirazione artificiale per mezzo di speciali apparecchi, e una iniezione studiata dal dottor Cornish. L'iniezione conteneva sangue di un altro cane, heparin, una soluzione fisiologica di sale, epinephrin, e gomma arabica.
Certo gli esperimenti del dottor Cornish furono i più promettenti in questo campo, nonostante che fossero soltanto all'inizio.
Circolò poi la voce che Lazarus III era vissuto per tre mesi, e che aveva apparentemente ripreso tutte le sue capacità.
Forse un giorno verrà rivolto un ringraziamento a Lazarus III. E forse verranno citati anche Lazarus I e II.

Capitolo III - Misteri in cielo

Se la vita esiste soltanto su questa terra, e nel suo trastullarsi con i suoi giocattoli atomici l'uomo finisse col distruggere la vita del suo pianeta, allora cancellerebbe «tutta» la vita, lasciando in eredità agli dei un universo morto.
Ma molti sperano nell'esistenza di una vita sugli altri mondi. Alcuni hanno tentato di dimostrare l'esistenza di questa vita, di solito con ipotesi, occasionalmente con fatti.
Bisogna ammettere che sono state fatte certe osservazioni astronomiche sorprendenti. E certi dati fanno supporre che nel vuoto nero dello spazio esistono altre isole su cui la vita ha trovato un terreno adatto al suo sviluppo. Strane favole su mondi sconosciuti sono state raccontate, e dimenticate, fin dai tempi dei Caldei... e anche prima.
Il ragionamento moderno sull'esistenza di una vita oltre a quella terrestre verte su tre punti:
a) le primitive sostanze viventi, o resti fossili, sono «cadute» sulla Terra. Vedremo brevemente gli argomenti che furono impugnati pro e contro questa teoria;
b) certe osservazioni dei pianeti, e anche della Luna, indicano la presenza di una vita. Ci sono prove che in certi casi si tratta di una vita intelligente, e che ha fatto tentativi per mettersi in comunicazione con la Terra;
c) gli esseri intelligenti degli altri mondi hanno il modo di raggiungere il nostro pianeta, e solcano i nostri cieli su navi spaziali.
Questa è la teoria più sorprendente, e fu la teoria favorita di Charles Fort. Certo sono stati fatti molti validi rapporti sugli strani oggetti visti nei nostri cieli. Potrebbe essersi trattato di corpi di origine meteorologica, e forse no.
Le discussioni per stabilire se la vita può aver raggiunto la Terra per mezzo di meteoriti, e se poi sia iniziato il processo di evoluzione che ha prodotto la perversa creatura a due gambe chiamata uomo, sono state lunghe e accese.
Nel 1932 il dottor Charles B. Lipmann, dell'Università della California, condusse precisi esperimenti al riguardo. Immerse dei meteoriti in antisettici, li bruciò nell'alcool, e macinò finemente il materiale prelevato al centro del meteorite. Alla fine le particelle vennero versate in recipienti sterili. Nei recipienti si formarono degli organismi. Lipmann dichiarò che i batteri potevano essersi trovati soltanto all'interno dei meteoriti, dove erano rimasti addormentati durante il viaggio attraverso lo spazio.
Tra il 1933 e il 1935 Sharat Kumar Roy, assistente geologo al Field Museum di Chicago, ripeté l'esperimento del dottor Lipmann. E anche nei suoi recipienti si formarono batteri. Ma il geologo concluse che i batteri erano stati raccolti casualmente nel laboratorio durante le varie fasi dell'esperimento. Confutò quindi le teorie del dottor Lipmann affermando che i batteri si erano sviluppati per una contaminazione terrestre, e con altri argomenti. Ma Lipmann continuò ad affermare che i suoi batteri erano arrivati con tutta probabilità dal profondo dello spazio.

Se in un meteorite si trovassero dei fossili, si avrebbe la prova che altre forme di vita si sono sviluppate in qualche parte dell'universo. Stando alle dichiarazioni del geologo tedesco, dottor Otto Hahn, lui trovò fossili in un meteorite. Questo accadeva nel 1880.
I fossili che il dottor Hahn affermava di aver trovato erano quelli del corallo. In alcuni casi mostravano branchie di formazioni animali. I fossili vennero in seguito esaminati dal dottor D. F. Weinlander, un competente zoologo. Anche lui convenne che si trattava senza dubbio dei resti di creature viventi.
La maggior parte,dei frammenti di meteorite studiati dal dottor Hahn provenivano da quelli caduti a Knyainya, in Ungheria. Nel descrivere la scoperta, il «Popular Science» avanzò l'ipotesi che tutti quei frammenti provenissero da «un unico corpo extraterrestre scagliato nello spazio da una catastrofe celeste».
Altri scienziati, però, tra i quali lo studioso inglese dottor L. Fletcher, pensarono che i fossili del dottor Hahn fossero in realtà delle chondrules, elaborate formazioni cristalline senza alcuna parentela con gli organismi viventi.

C'è sulla Luna un cratere che gli uomini hanno chiamato Platone. Questo cratere non appare molto diverso dagli altri sparsi sul nostro satellite. Ma per oltre un secolo circolarono voci su fatti misteriosi che accadevano dentro e nelle vicinanze di Platone. Negli anni 1783 e 1787, Sir William Herschel riferì di aver notato luci in quella regione della Luna. Nel 1847, Rankin affermò di aver visto, durante un'eclisse, dei punti luminosi. Quattro altre osservazioni di queste luci vennero fatte negli anni immediatamente seguenti. Un fantastico rapporto venne fatto su «luci che sembravano torce in processione».
Nel 1923, Flammarion concluse che «le variazioni ultimamente osservate (nel colore della superficie) provano che la Luna non è ancora un mondo morto». Queste variazioni di colore sono particolarmente intense attorno a Platone.
Nel 1937, l'astronomo americano William H. Pickering, dichiarò che «c'è motivo di credere che esista una vita sulla Luna». Le sue osservazioni si riferivano soprattutto alla regione attorno a Platone.
Il 12 dicembre 1937, il dottor Robert Barker, esaminando il cratere con un telescopio a quattrocentoventi ingrandimenti, osservò una striscia bruno-aranciato, lungo tutta la parete occidentale del cratere. Il resoconto delle osservazioni di Barker venne pubblicato dalla rivista americana «Rockets» nel maggio del 1945. L'articolista, R. S. Richardson, scrisse quanto segue: «L'astronomo descrive la zona colorata, non come una macchia uniforme, ma come composta da sottili venature, a breve distanza una dall'altra. Quattro ore più tardi venne osservata una macchia irregolare spandersi verso ovest, scendendo dalla parete. Barker aveva notato l'identica macchia la notte del 16 gennaio del 1938, e nella notte seguente aveva potuto constatare che ricopriva la parete del cratere dalla cima alla base, trasformandosi da striscia in ampia macchia di colori diversi. Secondo Barker si trattava di vegetazione in rapido sviluppo, una vegetazione che disponeva di quattordici giorni circa per completare il ciclo di germinazione, di crescita e di fruttificazione...

La notte del 7 dicembre 1900, l'osservatorio astronomico Lowell di Flagstaff, in Arizona, notò un raggio di luce proiettarsi dal disco di Marte. Il fascio brillante perforò lo spazio per centinaia di miglia. E fu osservato per sette minuti. La luce brillava a intermittenza, e il dottor Percival Lowell credette di vedervi una specie di codice, ma non riuscì mai a tradurre il codice in linguaggio comprensibile.
La scoperta del fenomeno fu annunciata in tutto il mondo, e il professor William H. Pickering disse che la cosa era «assolutamente inspiegabile».
Stando a quello che afferma Giovanni Virgilio Schiapparelli, direttore dell'osservatorio di Milano, sul disco di Marte esisteva una croce gigantesca. Una croce di colore luminoso centrata in un cerchio scuro del diametro di circa mille cinquecento chilometri. Pochi mesi dopo scoprì che la croce «era stata rimossa».
Fino al giorno della sua morte, nell'anno 1910, Schiapparelli sostenne di aver visto nettamente la croce. Fino al giorno della sua morte sostenne anche di aver visto «canali». I moderni telescopi e le speciali macchine da ripresa fotografiche provarono che aveva visto una rete di linee (se queste linee indicano il lavoro di esseri intelligenti rimane una questione controversa).
I dati delle osservazioni fatte da Schiapparelli sono riportati nel «Major Mysteries of Science», di Gordon Garbedian, pubblicato nel 1933.
Il 2 settembre 1921, Guglielmo Marconi, dichiarò di aver ricevuto comunicazioni radio da una stazione posta fuori dal nostro pianeta. I messaggi, da lui captati sul suo yacht «Elettra», erano di una potenza dieci volte superiore a quella dei segnali che poteva lanciare una qualsiasi stazione terrestre.
Sul «New York Times» del 2 settembre 1921, J. H. C. Macbeth, agente inglese della «Marconi Wireless Telegraph Company, Ltd» espose il punto di vista di Marconi. Tra l'altro diceva: «Marconi non ha potuto accettare la teoria di un disturbo elettrico o atmosferico, perché i segnali sono stati ricevuti con regolarità, senza interferenze. Marconi, per gli esperimenti sullo yacht, aveva a disposizione un apparecchio ricevente in grado di ricevere lunghezze d'onda fino a 24000 metri. L'apparecchio venne sintonizzato parecchie volte su questa lunghezza. Con l'apparecchio riuscì a captare onde stimate della lunghezza di 150000 metri, e la loro regolarità smentì ogni supposizione che si trattasse di possibili disturbi elettrici. L'unica rassomiglianza con il codice usato su questo pianeta era nella lettera V, del codice internazionale...»
Marconi non disse che i messaggi provenivano da Marte. Affermò semplicemente che i segnali avevano una lunghezza d'onda che nessuna stazione della Terra poteva produrre, e che sembravano essere una specie di codice.
Nelle notti del 22 e 23 agosto del 1924, Marte venne a trovarsi tanto vicino alla Terra quanto non lo sarà più per oltre un secolo. La distanza tra i due pianeti era di circa trentaquattro milioni e mezzo di miglia. Durante tutto il tempo della vicinanza massima, su richiesta del governo degli Stati Uniti, tutte le stazioni radio della Terra rimasero in silenzio per cinque minuti ogni ora.
La Terra stava aspettando qualche possibile messaggio radio del pianeta rosso. Il dottor David Todd, professore di astronomia all'Amherst College, organizzò una rete internazionale di stazioni d'ascolto.
A Washington, il dottor Todd dispose che qualsiasi segnale in arrivò venisse registrato fotograficamente. Un inventore, C. Francis Jenkins, aveva appena perfezionato il dispositivo chiamato «macchina continua per radio-foto-messaggi»: l'apparecchio registrava automaticamente su pellicola fotografica ogni messaggio in arrivo.
Tra le 7:30 e le 10:00 di sera del giorno 22 agosto, R. I. Potelle, direttore della stazione WOR di Newark, nel New Jersey, sentì strani segnali. Riferì che nei giorni seguenti i segnali vennero ripetuti diverse volte, e che si trattava di serie di punti e linee che non appartenevano a nessun codice conosciuto. Altre stazioni confermarono il rapporto di Potelle.
Nel frattempo, a Washington, la complicata macchina di Jenkins continuava a funzionare. Allo scadere delle ventiquattro ore di massima vicinanza tra i due pianeti, la pellicola venne tolta dalla macchina, e sviluppata. Il 27 agosto il dottor Todd convocò la stampa per rendere noti i risultati dell'esperimento.
La pellicola mostrava due serie separate di linee e di punti. Nessuna delle due corrispondeva a codici conosciuti. Esperti di codice dell'esercito degli Stati Uniti esaminarono la pellicola, ma senza risultato. Una copia venne mandata all'Ufficio Cifra delle Forze Armate degli Stati Uniti, e con tutta probabilità si trova ancora là, in qualche archivio.
Poi Marte si allontanò nello spazio, con il suo mistero, insoluto.

Il direttore dell'«Observatory» invitò l'astronomo E. W. Maunder a scrivere un articolo per il 500° numero della rivista. L'articolo ebbe per argomento lo strano corpo celeste visto il 17 novembre 1882 da Maunder e dai suoi colleghi dell'osservatorio di Greenwich.
Lo strano oggetto comparve all'improvviso e attraversò il cielo a velocità costante. Sull'apparizione, Maunder e i suoi colleghi fecero diverse note. Eccone alcune: «L'oggetto aveva la forma di un sigaro, di una torpedine, di un fuso, di una spoletta. Troppo veloce per essere una nuvola, e troppo lento per essere un meteorite, con una sagoma ben definita e un nucleo centrale scuro, lo straordinario oggetto aveva un aspetto allarmante.
Ci fu un'aurora boreale, quella notte. Tuttavia Maunder affermò con sicurezza che lo strano oggetto non aveva niente a che fare con il fenomeno celeste.
La nave britannica «Caroline», la sera del 24 febbraio 1893, stava navigando lentamente nel Mar Giallo. Alle 10:00 il capitano Charles J. Norcock vide delle «luci insolite», e salì sul ponte per indagare.
Le luci erano chiaramente visibili tra lo scafo e la massa in ombra della costa. In quel punto le montagne si alzano per circa mille ottocento metri, e le luci apparivano poco al disotto della vetta. Erano diverse, e sembravano avere forma sferica. A volte si avvicinavano una all'altra per formare un'unica massa, poi si stendevano, in fila. Alla fine, dopo essere rimaste visibili per oltre due ore, le luci si diressero verso nord, e sparirono.
La sera seguente, ricomparvero. Questa volta rimasero visibili per sette ore. Procedevano alla stessa velocità del «Caroline», e quando vennero a trovarsi all'ombra di una piccola isola, il capitano Norcock ebbe la possibilità di osservarle al cannocchiale. Notò allora che erano corpi rossastri, i quali emettevano una piccola nuvola di fumo.
Il capitano Norcock disse che in quella stessa località, circa alla stessa ora, il capitano Castle della «Leander» aveva notato luci identiche. Il capitano Castle aveva invertito la rotta per dirigersi verso la strana fonte luminosa. Ma i punti si erano allontanati mantenendo una distanza costante dalla nave.
Il capitano Norcock fece un ampio rapporto sullo strano fenomeno. Il rapporto venne pubblicato su «Nature», del 25 maggio 1893.
Dieci anni prima i fratelli Wright avevano compiuto il loro famoso esperimento di Kittyhawk inaugurando l'era del volo. Nel 1893 i palloni venivano usati normalmente, ma è improbabile che qualcuno stesse volando sul mare della Cina in quella notte di febbraio.

Capitolo IV - I continenti scomparsi

Molti sono fermamente convinti che un tempo siano esistiti vasti continenti abitati da razze con civiltà molto più avanzata della nostra. I continenti, secondo le teorie di costoro, sarebbero scomparsi negli oceani, inghiottiti dalle acque. La fine di questi continenti è avvenuta in modo improvviso, forse anche nel giro «di un giorno e una notte», dicono le teorie. Avrete già capito che si tratta di quei continenti sommersi i quali offrono spesso argomento di articolo ai settimanali. Tutto quanto si dice su quei mondi favolosi potrebbe anche rispondere a verità.
Per i sostenitori della teoria dei mondi perduti questo articolo, probabilmente, sarà una delusione. Contiene dati che spero probanti, anche se non si possono considerare una prova definitiva. Personalmente non ho mai trovato una sola testimonianza che provi validamente l'antica esistenza di questi continenti leggendari.
I più tenaci assertori dell'esistenza di queste terre hanno tratto le loro conclusioni da una somma di dati certamente suggestivi, ma privi di fondamento scientifico. Così è per le conclusioni tratte da Bramwell, Spence, Braghine, Donnelly, etc.
È certo che nessun documento scritto e irrefutabile sui disastri è mai stato trovato, né, d'altra parte, nessuna marea ha mai portato in superficie una qualsiasi prova di natura conclusiva. Ma questo non deve sorprendere, dato che oggi le antiche città sarebbero comunque ricoperte da spessi strati di fango. Rimane il fatto che se gli oceani hanno un loro segreto, lo difendono gelosamente.
Molti, sinceramente convinti della loro teoria, accettano differenti metodi di prova «per conoscenza diretta». Informazioni raccolte attraverso intuizioni e tradizioni di antiche razze, e rivelazioni fatte dagli abitanti morti di Atlantide, di Mu, o di Lemuria, che hanno parlato attraverso le labbra di un medium. Altri basano le loro convinzioni su principi esoterici, cognizioni segrete custodite da società di iniziati. Riguardo a questi metodi di ricerca, posso soltanto dire che non sono competente al punto da discuterli; devo quindi limitarmi a usare metodi che mi sono più familiari.
Devo anzitutto precisare una cosa.
La scienza moderna è convinta che dei continenti siano effettivamente esistiti dove ora si estendono i profondi oceani. Tuttavia gli scienziati non transigono su due punti. Primo: questi continenti sono esistiti prima della comparsa dell'uomo, e sono sprofondati nelle acque lentamente. Secondo: l'archeologia non ha mai accettato l'esistenza di civiltà più avanzate in un periodo anteriore a quello dell'Egitto, della Mesopotamia, e di Creta.
Tuttavia non è necessaria una civiltà estremamente progredita per dare importanza a una catastrofe di natura continentale. Un evento simile avrebbe creato un'epoca geologica e storica. Più importante ancora, avrebbe avuto ripercussioni su tutto ciò che riguarda i continenti sui quali viviamo noi ora.
Gli studi moderni sui continenti perduti partono da un dialogo nel «Timaeus e Critias» di Platone. In quest'opera si dice che una grande terra, conosciuta col nome di Atlantide, era sprofondata nel giro di un giorno e una notte nelle acque dell'oceano che si stende oltre le Colonne d'Ercole, a est, e che una nobile civiltà era scomparsa con la scomparsa di quelle terre.
Nel diciottesimo secolo molti ripresero le indagini dal punto in cui Platone le aveva lasciate, e compilarono estesi rapporti nei quali cercavano di provare l'esistenza dell'Atlantide continente perduto.
Da quel momento sono apparsi numerosi libri sull'argomento.
Poi vennero proposti altri due continenti sommersi. Mu (o Moo o Pan), e la Lemuria. Entrambi nel Pacifico.
Nello scegliere il materiale per questo capitolo ho cercato di raccogliere le prove che un catastrofico movimento della terra può essere avvenuto all'improvviso e in un'epoca geologica molto recente. Ho voluto anche includere un interessante e poco conosciuto enigma archeologico, e un documento, anche se vago, su qualcosa che riguarda indirettamente il mistero di Atlantide.
Tra tutti gli scritti sul continente perduto, ritengo che il miglior commento sia stato fatto da James Bramwell, nel suo «Atlantide Perduta», pubblicato nel 1938.
«... Atlantide ha provato la sua esistenza nelle menti di popoli civili, e anche nelle loro mappe. La leggenda è come un filo colorato che corre attraverso il frammento esistente della storia dell'uomo. È una tradizione viva, e continuerà a sopravvivere fino a un altro diluvio...»

Nel «Literary Digest» del 31 gennaio 1925 c'è un breve articolo sul misterioso affiorare e sommergersi di isole. Tra le altre cose dice:
«Il sollevarsi di una vasta area del fondo dell'Atlantico, anche se la notizia è passata senza risalto sulla stampa, è uno dei più grandi e importanti mutamenti della superficie della Terra».
L'articolo riferisce che nel 1924 la «Eastern Cable» aveva mandato una nave a riparare il cavo oceanico che si era rotto tra Cape Town e St. Helena. Il punto preciso della interruzione venne trovato a milletrecento chilometri a nord della punta estrema dell'Africa.
Non appena individuato il punto della rottura, la nave immerse gli strumenti per sollevare il cavo. Inaspettatamente, gli apparecchi lo incontrarono a una profondità di mille e duecento metri. Quando il cavo era stato posato, nel 1899, la profondità dell'oceano in quella zona era di quattromilanovecento metri circa.
In un punto lontano del bacino atlantico, dunque, il fondo dell'oceano si era sollevato di oltre tre chilometri in soli venticinque anni.
Non è l'unico episodio del genere.
Dalle acque dell'Atlantico battute dal vento emerse la sonda che era stata calata dalla nave-ricerche del «Woods Hole Institute».
Era l'estate del 1934, e la nave stava scandagliando il fondo dell'oceano al largo di Cape Cod alla ricerca di fossili marini.
L'apparecchio raccolse fossili, ma nello stesso tempo portò a galla l'ombra della scomparsa Atlantide. Tra i fossili ce n'erano alcuni che indubbiamente appartenevano a creature della fauna terrestre. Questo indicava che il fondo dell'Oceano era sprofondato in epoca relativamente recente, e all'improvviso.
Stupiti per la scoperta, i membri della spedizione continuarono a scandagliare le profondità marine. E raccolsero le prove che quella vasta area era sprofondata di almeno duemila e cinquecento metri in un'epoca geologica compresa, con ogni probabilità, entro i limiti del ricordo della razza umana.
Commentando i risultati cui erano giunti gli scienziati della spedizione, H. C. Stetson, scrisse sul «Bulletin of the Geological Society of America»: «...un simile sollevarsi e sprofondare del fondo dell'oceano in così breve tempo, rasenta la catastrofe continentale...»

L'1 novembre del 1755, uno dei più spaventosi terremoti di tutti i tempi colpì Lisbona, in Portogallo.
Mentre gli edifici della città si trasformavano in cumuli di macerie, migliaia di persone cercarono la salvezza sul nuovo viale di marmo che fiancheggiava tutto il porto.
Erano solidi macigni quelli che pavimentavano il Cays de Prada, costruito per durare in eternità. Ma l'eternità è un periodo troppo lungo.
Almeno diecimila persone stavano raccolte sul viale, quando avvenne la seconda scossa tellurica.
Erano pigiati spalla a spalla, e osservavano gli edifici che crollavano.
Un minuto dopo, non c'era più viale. Scomparso, cancellato alla vista come se una mano gigantesca fosse uscita dalle acque per trascinarlo nelle profondità dell'oceano.
Scomparve il molo, e scomparvero tutti coloro che sul molo avevano cercato scampo. Rimasero solo i gorghi dell'acqua.
Un prestigiatore cosmico aveva portato a termine la più colossale sparizione di tutti i tempi.
Non un solo corpo dei diecimila ricomparve mai alla superficie delle acque. E, cosa ancora più sorprendente, non un solo pezzo di legno, un pezzo di vela, una corda, un attrezzo qualsiasi delle navi affondate, tornò mai a galleggiare. La terra si era aperta, e in un breve attimo si era richiusa per sempre sulla immensa tomba.

Quando un intero arcipelago le cui isole coprono un'estensione di oltre sessanta chilometri, scompare dalla faccia della Terra, lascia dietro di sé dei considerevoli problemi. Se un arcipelago può sprofondare, perché non potrebbe essere scomparso anche un continente?
Così ragionano i sostenitori di Atlantide, di Mu e di Lemuria.
Nel 1688 un olandese, certo Wafer, pubblicò un libro sul viaggio da lui compiuto nel 1687 quale primo ufficiale a bordo della nave inglese «The Bacelor's Delight», comandata da John Davis. Wafer scrisse che a 27°20' sud, da bordo della nave videro un'isola sconosciuta sorgere dalle acque al largo delle coste occidentali del Sud America. Subito fecero rotta in quella direzione.
Videro così che: «più a occidente si stendeva una fila di altre isole... Quella verso cui eravamo diretti misurava una lunghezza di quattordici o di quindici leghe (circa sessanta chilometri)».
In seguito il capitano Davis confermò il racconto fatto da Wafer, e il nuovo arcipelago venne quindi denominato Davisland.
Nei trentacinque anni seguenti i navigatori cercarono invano Davisland, che ormai era stata segnata su ogni carta. Nessuno riuscì mai a trovare l'arcipelago. Davisland era scomparsa.
Ma Wafer e Davis non potevano essersi sbagliati. Del resto, tremila chilometri a ovest delle coste del Cile, si trova l'Isola di Pasqua, il luogo più appartato della Terra.

L'isola di Pasqua è cosparsa di gigantesche statue, del peso di circa quaranta tonnellate. Inoltre, particolare alquanto sconcertante, su quel piccolo pezzo di terra sono state trovate tracce dell'unico linguaggio scritto di tutte le isole del sud Pacifico.
Il professor J. MacMillan, nel suo «The Riddle of the Pacific», riesce a trovare una spiegazione alle testimonianze della civiltà, esistente sull'isola di Pasqua, soltanto teorizzando l'esistenza di un arcipelago ora scomparso nel punto preciso in cui si doveva trovare Davisland. Lo studioso è convinto che l'Isola di Pasqua sia stata usata come cimitero da tutte le isole dell'arcipelago. Tra l'altro afferma:
«Se Davis avesse visitato l'arcipelago che si stendeva a nordovest fino all'orizzonte, avremmo forse avuto qualche notizia sulla cultura e sulla potenza di quelle popolazioni che usavano l'Isola di Pasqua come cimitero».
Avremmo anche avuto forse la spiegazione al mistero delle terre che scompaiono. Sfortunatamente Davis aveva fretta di tornare a casa, e non si è fermato a fare osservazioni più approfondite.
Nel 1939 cinque teste di pietra crearono un grosso problema per gli archeologi. Erano teste gigantesche, del peso di circa venticinque tonnellate l'una. Vennero trovate nella giungla messicana, vicino al confine occidentale dello stato di Tabasco.
È già abbastanza difficile spiegare come quelle teste siano andate a finire in quella giungla dimenticata da Dio, e quale popolazione sconosciuta sia stata in grado di produrre quelle gigantesche e artistiche sculture. In più c'era da spiegare il problema del trasporto.
Quelle teste erano scavate in blocchi di basalto. E lì non esisteva basalto entro un raggio di centocinquanta chilometri. Trasportare blocchi del peso di venticinque tonnellate attraverso centinaia di chilometri di giungla sarebbe un problema arduo anche per un tecnico moderno. Figurarsi per gli indiani primitivi.
Questa è soltanto una delle numerosissime scoperte misteriose. Forse ciascuna presenta problemi locali che possono essere spiegati individualmente. Tuttavia rimane sempre la sensazione che basterebbe l'esistenza di una razza altamente civile, i superstiti di un continente sommerso, per dare la risposta a ogni interrogativo.

Gli insostituibili manoscritti che diedero la chiave al linguaggio Maya vennero dati alle fiamme un giorno del 1562.
La distruzione venne ordinata dallo spagnolo Diego de Landa.
Su quelle pagine gli antichi Maya avevano scritto le leggende e la storia del loro paese.
Circa tre secoli più tardi, gli archeologi cominciarono a indagare sulla cultura Maya, la misteriosa razza che aveva riempito le giungle dello Yucatan di piramidi e giganteschi edifici in grado di rivaleggiare con quelli costruiti dagli egiziani. Gli scienziati cominciarono a studiare i pochi manoscritti, copie e originali, che erano sfuggiti al fuoco di Landa. Probabilmente il più importante è il «Libro di Chilam Balam» di Chumayel.
Nel 1930 il filologo brasiliano A. M. Bolio completò la traduzione di una parte del libro.
Molti passaggi della traduzione di Bolio suggeriscono l'ipotesi che il mistero della cultura Maya trova origine nell'agonia del continente Atlantide. Il brano più significativo della traduzione di Bolio è il seguente:
«Accadde durante l'Undicesimo Ahau Catoun... quando la Terra cominciò a svegliarsi. Nessuno sapeva cosa stava per succedere. E cadde una pioggia violenta, e ceneri, e sassi. E caddero le piante. Il Grande Serpente venne rapito dal ciclo. E poi, con una gigantesca ondata, vennero le acque... il cielo cadde sulla terra e le terre affondarono nelle acque. In un attimo la grande distruzione fu conclusa. E la Grande Madre Seiba si alzò in mezzo ai ricordi della distruzione della terra».
La leggenda universale del diluvio, le favole sui continenti scomparsi, fanno parte dell'eredità dell'uomo. Chi può sapere se non fanno parte anche della sua storia?

Capitolo V - Animali parlanti e pensanti

Che ci siano stati animali capaci non solo di pensare ma anche in grado di comunicare con l'uomo per mezzo di un linguaggio umano, sembra incredibile. Ma qui è assolutamente necessario rifiutare il termine «impossibile».
Le prove sulle eccezionali capacità di certi animali sono indiscutibili, le testimonianze, numerose e valide. L'argomento quindi non può essere tralasciato con la scusa che non è degno di seria considerazione.
Uno dei casi che intendo riferire riguarda «Lady», una cavalla particolarmente conosciuta come animale telepatico.
Le spiegazioni di frode, conscia o subconscia, date da allevatori non meritano di essere menzionate. Sono stati smentiti ogni volta, poiché nella maggior parte degli esperimenti le condizioni erano tali da eliminare ogni possibilità di frode di qualsiasi genere.
Tra le altre spiegazioni prospettate, segnalo le seguenti.
1. Certi animali, con una predisposizione adatta, istruiti accuratamente, possono sviluppare una mente e un processo di pensiero simile a quello dei bambini. La chiave dell'intero enigma sarebbe di insegnare un tipo di linguaggio agli animali, in modo che possano pensare in parole, come fanno gli uomini.
2. La risposta sta nella telepatia esistente tra animali ed esseri umani.
3. I cervelli e i corpi degli animali sono controllati, o «posseduti», da intelligenze di tipo umano disincarnate.
4. Il problema va considerato come il mistero dei bambini-prodigio. Quest'ultima però non è una spiegazione, ma semplicemente un metodo per eludere la domanda.

Lady era una cavalla bianca e nera di tre anni. La proprietaria, signora D. C. Fonda di Richmond, Virginia, dichiarava che la cavalla poteva essere controllata telepaticamente. Nel 1927 il dottor J. B. Rhine, interessato al fatto, volle sincerarsene personalmente.
Diversi esperimenti vennero eseguiti con Lady tra il 3 dicembre 1927 e il 15 gennaio 1928. Sotto il controllo del dottor Rhine e del dottor William McDougall, noto psicologo, Lady eseguì gli ordini che le venivano impartiti mentalmente. Durante gli esperimenti, la padrona di Lady venne mandata in una stanza lontana da quella in cui si trovava la cavalla, e uno schermo venne collocato davanti all'uomo che doveva impartire gli ordini all'animale. Tuttavia Lady eseguì ogni ordine esattamente.
Servendosi di cartoni con scritte le lettere dell'alfabeto, la cavalla rispose anche alle domande che le venivano rivolte a voce alta. Ecco qualche esempio.
Domanda: - Dove posso prendere in prestito dei soldi?
Risposta di Lady: - Banca.
Domanda: - Quale banca?
Risposta di Lady: - Commercio.
Domanda: - Come si chiama questo signore?
Risposta di Lady: - Rhine.
Inoltre sillabò diverse parole e risolse problemi di matematica, inclusa l'estrazione di radici quadrate. Il rapporto sugli esperimenti venne pubblicato dal «The Journal of Abnormal and Social Psychology», 1928-9.
Il dottor Rhine non riuscì a dare una spiegazione normale al fenomeno, solo concluse che se la telepatia era possibile tra uomo e animale doveva essere possibile anche tra uomo e uomo.

I cavalli di Elberfeld sapevano dare risposte intelligenti a semplici domande, e risolvere problemi matematici anche complessi. Uno dei due cavalli aveva gli occhi bendati, durante le prove, e quindi non poteva venire influenzato da segnali. I due animali vennero sottoposti a un esperimento chiusi in una stalla controllata a distanza, senza nessuno all'interno o nelle immediate vicinanze.
I cavalli erano stati allevati a Elberfeld, in Germania, da un certo Karl Krall, un uomo profondamente convinto che l'intelligenza degli animali variava da quella umana per una semplice diversità di simboli con i quali veniva espressa.
Per «parlare», i cavalli raschiavano con uno zoccolo anteriore su una speciale asse, o usavano uno speciale alfabeto in cui ogni lettera o dittongo erano rappresentati da un numero compreso tra l'undici e il sessantasei. I cavalli sillabavano foneticamente.
Esaminati ai primi di questo secolo da eminenti scienziati europei, i cavalli risposero alle domande, sillabarono i nomi degli studiosi, e risolsero problemi matematici. Uno dei problemi, la radice cubica di 5832, venne scritta su una lavagna e la lavagna fu presentata al cavallo Muhamed per la soluzione.
Questo particolare problema venne pensato e sottoposto da uno degli scienziati. Per eliminare il fenomeno telepatico nessuno dei presenti volle risolvere l'operazione. In pochi secondi Muhamed diede la risposta esatta: 18.
Se i testimoni furono ingannati, l'inganno avvenne su grande scala. Tra le persone che confermarono la validità dell'esperimento, figuravano il dottor Edinger, eminente neurologo di Francoforte, il dottor Paul Sarasin, di Basilea, il professor A. Beredka, dell'Istituto Pasteur di Parigi, il professor E. Claparède, dell'Università di Ginevra, il dottor R. Assagioli, di Firenze, il dottor Hartkopf, di Colonia, e il dottor Freundenburg, di Bruxelles.

Poco prima della Grande Guerra Mondiale, Rolf, il cane parlante allevato dalla dottoressa Moekel, venne sottoposto a una prova nell'atrio del Casinò di Mannheim, in Germania. L'esperimento avvenne il giorno 14 maggio 1914. Capo della commissione esaminatrice fu il professor H. E. Ziegler, di Stoccarda.
Battendo il terreno con la zampa il cane diede la soluzione ai problemi matematici che gli furono proposti dagli scienziati. Poi, usando un codice per indicare le lettere dell'alfabeto, cominciò a rispondere alle domande. Dopo aver ricevute diverse risposte esatte, il professor Ziegler sottopose il cane alla prova finale.
Il professore aveva portato con sé una scatola con uno scarabeo di cartapesta. Dentro lo scarabeo aveva messo un biscotto per cani. Per evitare ogni possibilità di segnalazioni, la dottoressa Moekel venne fatta uscire dall'atrio, quindi venne aperta la scatola di fronte a Rolf. Il cane annusò lo scarabeo di cartapesta, ma non lo apri.
Al suo rientro nell'atrio la dottoressa Moekel domandò al cane cosa avesse trovato nella scatola.
- Scarabeo - rispose immediatamente il cane, - dentro c'era qualcosa da mangiare. - E dopo qualche istante, come se si fosse improvvisamente ricordato un particolare. - Non l'ho mangiata.
Il dottor Ziegel si dichiarò convinto che il cane pensava e si esprimeva esattamente come un uomo... ma si sbagliava. Nonostante gli sforzi compiuti negli anni seguenti, Rolf morì senza essere mai riuscito a comprendere il significato della parola «guerra».

Lola nacque a Mannheim, in Germania, il 27 gennaio 1914. Era figlia di Rolf. La sua vita è raccontata nel libro «Lola», di Henny Kindermann, l'addestratore della cagna. Dopo due anni di paziente lavoro, Kindermann ottenne i seguenti risultati: l'animale, battendo la zampa secondo uno speciale codice, era in grado di fare somme, divisioni, sottrazioni e moltiplicazioni. Poteva rispondere con intelligenza a semplici domande, da chiunque gli venissero rivolte.
Sapeva i giorni della settimana e i mesi dell'anno. Capiva e sapeva usare in modo appropriato termini astratti quali «amore», «odio», «paura», «speranza», etc.
Lola venne esaminata dal dottor William MacKenzie, dal professor Kraemer e dal professor H. E. Ziegler. Tutti confermarono la validità delle prove alle quali avevano assistito.

Nel 1937 morì Kurwenal, un bassotto, l'ultimo dei cani allevati dalla baronessa tedesca Mathilde von Freytag-Loringhoven.
La baronessa, seguendo metodi già sperimentati, insegnò a Kurwenal un alfabeto abbaiato, in cui ogni lettera veniva espressa con un certo numero di latrati.
Una volta il professor Seigmund-Schultze, di Berlino, si recò a Weimar per esaminare il cane. Aveva portato con sé un pacchetto di biscotti. Dopo averlo mostrato domandò all'animale se conosceva il nome di quei biscotti.
- Knapsack - fu la risposta abbaiata. Era esatta. Ma dopo un attimo Kurwenal soggiunse: - Un «knapsack» è un sacco portato sulla schiena.
Un altro scienziato domandò al cane se preferiva il formaggio o i biscotti.
- Il formaggio - abbaiò il cane, - perché ha più sapore. Dopo che il professor Plate di Jena aveva trascorso diversi giorni in pazienti esami, Kurwenal «disse»: - Vorrei soltanto che la finisse di prendermi in giro.
Il cervello del bassotto sembrava avere lo sviluppo del cervello di un bambino di dieci anni.
Il generale Hoff di Stoccarda scrisse un opuscolo sul cane, affermando, sul suo onore di generale, che le insolite qualità dell'animale erano indiscutibili.
Il cane svolse lunghe e spontanee conversazioni quando si trovava solo con gli esaminatori, spesso mentre la padrona si trovava a chilometri di distanza.
Una volta domandarono a Kurwenal: - Che ne pensi della morte?
- Non ho paura - abbaiò il bassotto.
La mente del bassotto, morto nel 1937, imbarazzò alquanto gli scienziati, che non riuscirono a definirla.

Capitolo VI - Il tempo, questo sconosciuto...

In cuor loro, gli uomini hanno sempre creduto volentieri che a volte i veli del futuro potessero diventare trasparenti, tanto da mostrare l'ombra degli eventi dì là da venire. I motivi per cui l'uomo insiste a credere nella preveggenza sono misteriosi.
Questa convinzione è stata fonte di pane per generazioni e generazioni di indovini. Di solito gli unici ingredienti necessari a quella professione sono una tunica, un turbante, e una mostruosa avversione per il lavoro in genere. Raramente c'è o c'è stato qualcosa di più.
La concezione di un tempo assoluto che si svolge eternamente dalla spola del futuro a quella del passato, è stata soggetta in questo ultimo secolo, a un certo numero di assalti. Albert Einstein, l'uomo che ha fatto comprendere al presidente Roosevelt la praticità della bomba atomica, ha ridotto il tempo allo stato di una dimensione. Diversi fisici hanno affermato che il tempo può non essere assoluto, e che possono esisterne parecchie varietà.
Nel frattempo un'altra teoria si era sollevata come un fantasma dal fondo dell'infinito. Il responsabile di questa particolare magia è stato J. W. Dunne, un tecnico militare inglese. Dunne affermò, confermando le sue parole con una infinità di fatti, che di tanto in tanto gli uomini sognano gli eventi prima che questi accadano. Il metodo seguito da Dunne per raccogliere le prove può essere nuovo, ma la concezione dei sogni ammonitori è vecchia quanto l'uomo.
Qui sono trattati altri fatti oltre a quelli che riguardano il mondo dei sogni. Si sono verificati casi in cui certi esseri, umani hanno trascorso il tempo in modo diverso da quello che viene calcolato con l'orologio. A volte questo avveniva nel mondo dei sogni, altre quando gli esseri umani erano perfettamente svegli.
Per quanto riguarda gli indovini di professione siamo stati molto rigorosi nella scelta, e abbiamo volutamente incluso soltanto Nostradamus. Questo «mago» supera di gran lunga in importanza i suoi colleghi: quasi senza eccezione i profeti, nel predire catastrofi come una «guerra o pericolo di guerra», restano vaghi ed evitano di fornire dettagli precisi. Non così Nostradamus.
In questa puntata è incluso anche un caso di «viaggio» all'indietro nel tempo. È la storia delle due donne di Versailles.
Non si intende qui affermare che i fatti riportati sono la prova di un futuro irrevocabilmente fisso, non soggetto agli sforzi dell'uomo. Ma qualcosa indica la necessità di una revisione all'attuale idea di tempo. Proprio come il vecchio fisico, con gli immutabili novantadue elementi, che ha bisogno di qualcosa di nuovo.
In ogni caso le storie che seguono rimangono molto curiose.

Diverse volte J. W. Dunne «sentì» di aver «già fatto» certe cose prima che gli accadesse di farle veramente. È una sensazione comune a tutti gli uomini. Dunne pensò che la chiave di questo mistero fosse in certi sogni che potevano avergli rivelato il futuro. Da quel momento annotò con cura ogni sogno. E i risultati furono sorprendenti.
In seguito raccolse annotazioni anche sui sogni di un certo numero di persone, e pensò di aver raggiunto la prova che i sogni si proiettano nel futuro. Nel 1927 pubblicò «Esperimenti col tempo», un libro in cui esponeva i diversi casi che lo avevano portato alle sue conclusioni. Ecco un esempio di un viaggio di Dunne nel futuro.
Nel 1902, mentre era accampato con il suo reggimento nell'Orange Free State, nel Sud Africa, Dunne sognò di essere su un'isola. Improvvisamente si rese conto che l'isola stava per esplodere, e disperatamente cercò di indurre le autorità francesi a evacuare la popolazione, in caso contrario ci sarebbero state quarantamila vittime. Le sue grida di allarme non vennero ascoltate, e l'isola esplose.
Pochi giorni dopo capitò nelle mani di Dunne un giornale in cui veniva descritta l'esplosione di Mt. Pelee, sull'isola francese della Martinica. Il disastro era avvenuto «dopo» il sogno di Dunne. Per quanto ripetutamente avvisate, le autorità francesi si erano rifiutate di evacuare la popolazione. E come risultato si ebbero quarantamila morti. Il vulcano era esploso esattamente come aveva sognato Dunne.
Le altre prove portate da Dunne sono simili.

Tra tutte le storie che vengono portate dal mondo del sonno, poche sono meglio autenticate di quella di Frederick Lane.
Un giovedì sera, il 16 dicembre 1897, l'attore inglese William Terriss sarebbe salito sul palcoscenico dell'«Adelphi Theater» di Londra per la rappresentazione del mediocre dramma «Servizio Segreto». Il sostituto di Terriss era l'attore Frederick Lane. Il pomeriggio del giorno sedici Lane si recò alle prove, e intrattenne tutti i presenti col racconto del sogno che lui aveva fatto durante la notte. Aveva sognato che Terriss, circondato dai colleghi e dai macchinisti del teatro, giaceva in stato di semi-incoscienza sulla scala che portava ai camerini. Aveva il petto nudo e sembrava ferito.
In seguito la signorina Alice Johnson, insegnante al Newnham College di Cambridge, raccolse le testimonianze di tre persone che avevano ascoltato il racconto del sogno fatto da Lane il giovedì pomeriggio. Queste persone erano l'attrice Frances Olive Haygate, l'attore H. Carter Bligh, e S. Creagh Henry. Tutti e tre confermarono i particolari del sogno.
Quella sera di dicembre, Terriss recitò sul palcoscenico del teatro un ruolo inaspettato, e la notizia comparve su tutti i giornali di Londra. Il «London Times» del 17 dicembre, oltre alla cronaca dell'omicidio di Terriss, compiuto da un pazzo, riportava lo strano sogno ammonitore di Lane. Nel descrivere la scena della morte di Terriss, il «Times» riferì che l'attore venne trasportato all'interno del teatro e «disteso ai piedi della scala che portava ai camerini. Morì, senza più riprendere conoscenza, con la camicia slacciata sul petto, e circondato dai suoi colleghi di teatro».

Durante la notte tra il 27 e il 28 giugno 1914, monsignor Joseph de Lanyi, vescovo di Grosswarden, fece uno spiacevole sogno. Sulla scrivania del suo studio qualcuno aveva lasciato una lettera listata di nero. Sulla busta era visibile lo stemma di un arciduca che molti anni prima era stato allievo del vescovo.
Il vescovo aprì la lettera, lesse il contenuto, e si svegliò terrorizzato. Guardò l'ora. Erano le quattro e mezza. Si alzò per trascrivere il contenuto della lettera letta in sogno.
Quando la domestica entrò, alle sei del mattino, per svegliare il vescovo, lo trovò immerso in preghiera.
De Lanyi raccontò alla madre e alla domestica quanto aveva sognato, e lesse le poche righe della lettera: «Eminenza, Mia moglie e io siamo stati vittime di un attentato politico a Sarajevo. Ci raccomandiamo alle vostre preghiere. Sarajevo 28 giugno 1914».
Era firmata da Francesco Ferdinando, arciduca d'Austria, che dieci ore più tardi cadeva vittima della pallottola di un assassino... la prima pallottola della Prima Guerra Mondiale.

Una delle più classiche storie di fantasmi venne raccontata dal diplomatico inglese, lord Dufferin.
Mentre soggiornava in Irlanda nella casa di un amico, lord Dufferin si svegliò una notte in preda a una strana agitazione. Per calmare i nervi si alzò e andò alla finestra. Al chiaro di luna un uomo stava camminando lentamente sul prato. Sulle spalle portava una grande cassa. Quando fu sotto le finestre l'uomo sollevò la testa verso Dufferin che poté, vederlo bene in faccia.
Era di una bruttezza impressionante. Dopo qualche istante, quando ormai l'uomo era scomparso, Dufferin si rese conto che l'uomo aveva sulle spalle una bara.
Il giorno dopo Dufferin fece qualche indagine per scoprire l'identità di quell'uomo, ma senza risultato.
Anni più tardi, quando Dufferin era ambasciatore a Parigi, mentre saliva in ascensore per recarsi a un incontro diplomatico, gli capitò di osservare l'uomo addetto all'ascensore. Era lo stesso che aveva visto trasportare una bara in una notte di luna parecchi anni prima.
Istintivamente Dufferin fece un passo indietro, e l'ascensore partì senza di lui. Quando la cabina fu al terzo piano, il cavo si ruppe e l'ascensore precipitò. Diverse persone rimasero uccise, e parecchie altre ferite.
Le indagini rivelarono che l'inserviente all'ascensore, morto anche lui nell'incidente, era stato assunto per quella sola giornata. La sua identità rimase un mistero.
Secondo alcuni l'esperienza irlandese di lord Dufferin doveva essere stata un sogno piuttosto che una realtà osservata da sveglio. Comunque l'aspetto profetico del fatto rimane inalterato.

Nostradamus è uno dei pochissimi indovini che abbia dato nomi precisi e dettagli su fatti che sarebbero accaduti in futuro. Non tutte le sue profezie si sono avverate, ma la precisione con cui alcune si sono compiute ha del sorprendente. Oltre che profeta, Nostradamus era anche un valente fisico, e a lui viene attribuito l'unico efficace rimedio per combattere la peste nera.
Nel suo primo «Prophetic Centuries», una serie di predizioni scritte in quartine e pubblicate nel 1555, Nostradamus profetizzò che Enrico II di Francia sarebbe stato «accecato in una gabbia d'oro». Nel 1559 Enrico venne accecato da una lancia da duello che passò attraverso la visiera del suo casco d'oro.
Sempre nella prima edizione del «Centuries», Nostradamus dice: «I Gigli del Delfino verranno a Nancy, e porteranno aiuto nelle Fiandre a un Elettore dell'Impero. Il grande Montmorency verrà messo in una nuova prigione, e, lontano dai luoghi soliti, verrà consegnato a Clerepeyne».
Certamente questo ammasso di parole non poteva aver senso nel 1555. Ma tre quarti di secolo più tardi, le truppe di Luigi XIII, che portava il titolo di Delfino, occuparono Nancy, e in seguito invasero le Fiandre per portare aiuto all'Elettore di Trier. «Il Grande» Montmorency venne incarcerato nella nuova prigione di Tolone. In seguito venne decapitato, lontano dal luogo in cui normalmente avvenivano le esecuzioni, da un soldato di nome Clerepeyne.
Sulla rivoluzione francese, lontana dal suo tempo oltre duecento anni, Nostradamus predisse che le Tuileries sarebbero state invase da cinquecento, che il re sarebbe stato incoronato con una coccarda, e che due uomini, chiamati Narbon e Sauce, avrebbero avuto a che fare col re.
Quando il 20 giugno 1792 vennero invase le Tuileries, la rossa coccarda dei Giacobini venne posta per scherno sul capo di Luigi XVI. Il conte Narbonne fu ministro sotto Luigi XVI. Sauce fu Il mercante che riconobbe il re mentre tentava di fuggire dalla Francia.
Un'altra delle profezie di Nostradamus contiene elementi che potrebbero riferirsi a Napoleone.
«Di un nome che nessun re francese ebbe mai
Non ci fu mai fulmine più temuto,
L'Italia tremerà, Spagna e Inghilterra,
Sarà molto ammirato dalle donne straniere».

Sono stati compiuti diversi tentativi di legare qualche profezia di Nostradamus ai recenti avvenimenti, in particolare a quelli della Seconda Guerra Mondiale. Ma senza risultato. Forse quelle profezie non erano fatte per il nostro tempo, o forse, nel tentativo di voler penetrare il futuro sempre più lontano, la visione di Nostradamus si era fatta confusa.

Dove Jonathan Swift abbia raccolto le nozioni di astronomia che ha voluto includere nei «Viaggi di Gulliver» rimane un mistero.
Nell'edizione originale del libro, pubblicato nel 1726, Swift faceva visitare a Gulliver la mitica isola di Laputa, abitata di astronomi di grande abilità. Gli osservatori di stelle di quell'isola avevano scoperto che Marte aveva due lune, e che una si spostava a una velocità due volte maggiore dell'altra.
Nel 1726 gli astronomi del mondo reale sostenevano ancora che Marte non aveva lune. Centocinquant'anni più tardi, nel 1877, l'Osservatorio Navale di Washington scoprì che Marte aveva due lune, e che una aveva velocità due volte maggiore dell'altra.

Ecco i fatti che collegano lo scrittore americano Thomas Wolfe e la sigla «K 19». Premonizione o coincidenza... a voi decidere.
Poco dopo la pubblicazione del suo lavoro «Lord Homeward Angel», Wolfe mandò all'editore un nuovo libro, la storia di un pullman che portava il numero «K 19». «K 19» avrebbe dovuto essere inoltre il titolo del libro. Il manoscritto non venne pubblicato, però Wolfe usò parte di quel materiale per includerlo nel «Of Time and the River».
Tuttavia non poteva sfuggire al fascino della sigla «K 19». E nel suo ultimo lavoro «You Can't Go Home Again», ecco che ricompare un pullman con la targa «K 19».
Wolfe morì il 15 settembre 1938. Un suo amico, lo scrittore Edward C. Aswell, racconta il fatto nel «The Hills» pubblicato nel 1941. Era presente nel momento in cui la bara dello scrittore venne messa sul treno che lo doveva trasportare a Asheville, nel Nord Carolina. Anche i parenti dello scrittore salirono sullo stesso treno.
Quando il treno fu lontano Aswell notò il numero del pullman che aveva trasportato i parenti dello scrittore alla stazione: «K 19».

Nell'estate del 1939, alla signora Axel Wenner-Grens, moglie di un industriale svedese, capitò di precedere il marito lungo le scale di casa. Era passata da poco la mezzanotte, e la casa era nella completa oscurità.
Improvvisamente apparve in cima alla scala la figura di un uomo inzuppato d'acqua. Teneva sollevato il corpo di un bambino. Sulla fronte del piccolo era visibile una gran ferita sanguinante. La signora Wenner-Grens gridò, e la figura scomparve. Il signor Wenner-Grens ascoltò incredulo la storia della moglie, attribuì tutto quanto a una tensione di nervi, e propose una crociera a bordo del loro yacht, il Southern Cross.
Quando il 3 settembre 1939, in risposta ai disperati segnali che venivano lanciati nella notte, il Southern Cross raggiunse il punto in cui era stata silurata la nave «Athenia», la signora Wenner-Grens fu spettatrice del salvataggio dei superstiti.
La prima persona che salì a bordo dello yacht fu l'uomo inzuppato che lei aveva visto sulle scale di casa sua. L'uomo stringeva tra le braccia un bambino moribondo, con una ferita sulla fronte.
Questi sono i fatti, come li ha raccontati la signora Wenner-Grens a un giornalista.

Di fronte alle due donne c'era il giardino di Versailles, com'era stato nel 1789... ma era il 10 agosto 1901. Le due donne erano entrate nel tranquillo giardino... e avevano fatto un passo all'indietro nel tempo.
Le donne erano Charlotte E. A. Moberley ed Eleanor Jourdain. Entrambe erano insegnanti. Erano andate a Versailles in gita. Mentre camminavano lungo i viali del giardino si accorsero che la scena era diventata irreale, quasi simile alla scena di un palcoscenico. E sentirono di essere entrate in uno strano «circolo d'influenza». Un mondo di ombre e di paure.
Il giardino in cui si trovavano non era più quello del 1901. Era il giardino di Maria Antonietta. Il giardino in cui stava per concludersi uno dei più grandi drammi della storia. II dramma di una lama che taglia il collo della regina.
Per qualche tempo le due donne camminarono in quel giardino giustamente collocato nello spazio, ma fuori del tempo. Altre persone passeggiavano lungo i viali, ma erano esseri del passato.
Continuarono a camminare, e all'improvviso si ritrovarono nel mondo normale, quello segnato dal calendario. Tutte e due le donne avevano osservato la stessa scena. La descrizione che ne fecero fu meticolosamente accurata. E ogni particolare indicava che avevano veramente fatto un passo indietro nel tempo.
Per dieci anni le due donne cercarono attraverso documenti di identificare ogni dettaglio della loro visione. E ogni prova che potevano raccogliere veniva depositata alla Bodleian Library di Oxford. Tutto fu controllato. La disposizione degli alberi, dei cespugli, di ogni minima cosa.
La storia dei fantasmi di Versailles venne pubblicata nel 1911 sotto il titolo «Un'avventura». Ci furono diversi oppositori, ma nessuno pensò di attaccare apertamente le due donne. Forse anche per il nome di rilievo che avevano.
Nel 1938 l'inglese J. R. Sturge-Whiting pubblicò «The Mistery of Versailles», con la completa soluzione dell'enigma. Ma ormai le due donne erano morte da molti anni. Sturge-Whiting aveva compiuto parecchie ricerche, e si era infine convinto che il mistero era frutto solamente di una cattiva osservazione, poca memoria e un inguaribile romanticismo.

Irene Kuhn, in «Assigned to Adventure», 1938, racconta questa storia.
Stava tranquillamente camminando lungo il Michigan Boulevard di Chicago, quando tutto ciò che le stava di fronte cambiò improvvisamente. Per qualche istante si trovò di fronte a una collina illuminata dal sole e ricoperta d'alberi di foggia strana.
C'era un cancello di ferro. Sullo sfondo si vedeva il fumo di una fabbrica alzarsi nel cielo. Vide una macchina nera avanzare lungo la strada, e fece in tempo a scorgere la donna pallida che sedeva all'interno.
Poi all'improvviso ricomparve il Michigan Boulevard, ricoperto della neve caduta durante la notte.
Il maggio seguente Irene Kuhn stava andando, su una macchina nera, verso un cimitero che non aveva mai visto. Dovevano seppellire le ceneri del marito morto improvvisamente in Cina il mese di aprile.
Di fronte a lei c'erano la collina illuminata dal sole ricoperta di alberi di foggia strana, il cancello di ferro, e sullo sfondo si vedeva il fumo di una fabbrica alzarsi nel cielo.
Esattamente ciò che aveva osservato nella visione avuta sul Michigan Boulevard.

Capitolo VII - Le navi maledette

I misteri che riguardano le navi sono di tre specie: navi scomparse inspiegabilmente, navi ritrovate alla deriva, senza equipaggio benché fossero in condizioni perfette, e il classico tipo di nave fantasma. Racconteremo qui due storie per ogni tipo di mistero.
Diciamo subito che non abbiamo incluso quella del misterioso ritrovamento della «Marie Celeste» perché l'argomento è stato già così abbondantemente trattato in ogni sede che ci è sembrato il caso di lasciarlo un po' a riposo. Inoltre si tratta di una storia troppo complicata per essere presentata adeguatamente in queste poche pagine.

Il 26 luglio 1909 salpò da Durban, nel Sud Africa, una nave di 16800 tonnellate, la «Waratah». La nave, varata da poco, era diretta a Capetown. Era il suo terzo viaggio. Mercantile e nave passeggeri insieme, la «Waratah» era stata progettata e costruita per affrontare il Capo di Buona Speranza, una rotta famosa per essere battuta dalle tempeste. Prima di affrontare il mare, la nave era stata sottoposta a cinque diversi controlli, e i Lloyd's l'avevano classificata ottima. Era dotata di tutti gli strumenti di segnalazione e i sistemi di sicurezza; solo, non aveva telegrafo.
Il 27 luglio incrociò la nave a vapore «Clan Maclntyre», dopo di che non se ne seppe più niente. La grande nave, appena costruita, con duecentoundici persone a bordo, svanì senza lasciare nessuna traccia. Cinque navi tra le quali due da guerra la cercarono per mesi e mesi. Niente. Non un relitto, non una tavola del ponte, non un salvagente né un corpo vennero mai trovati. Considerata la rotta, la «Waratah» deve essere affondata relativamente vicina a riva, e una scialuppa di salvataggio avrebbe certamente potuto guadagnare la costa con facilità. Nel caso che il disastro si fosse verificato di notte, la nave poteva segnalare di trovarsi in difficoltà lanciando razzi colorati o usando l'apposito lampeggiatore. Invece, niente. La nave scomparve, come se non fosse mai esistita.
Sulla sua sparizione sono state fatte infinite ipotesi la più credibile delle quali riguarda l'insolito peso delle sovrastrutture. Si sa che al momento in cui la nave scomparve c'era tempesta. In queste condizioni può darsi che il peso eccessivo delle sovrastrutture l'abbia fatta capovolgere in seguito a un'ondata particolarmente forte. La «Waratah» però aveva già fatto due viaggi, da Londra all'Australia, e i suoi ufficiali non avevano lamentato nessun inconveniente. La commissione d'inchiesta d'altronde stabilì che la nave aveva una «sufficiente stabilità a pieno carico». Comunque, resta il fatto che le ricerche compiute immediatamente dopo la sua scomparsa non hanno portato al ritrovamento del più piccolo rottame. E questo è inspiegabile.

Un bellissimo vascello, il cinque alberi «Kobenhaven» uscì dal porto di Montevideo il 15 dicembre 1928. L'imbarcazione era munita di telegrafo e oltre alle vele era equipaggiata con motori diesel. A bordo c'erano sessanta cadetti, tutti giovani appartenenti alle migliori famiglie danesi. Il cinque alberi venne avvistato al largo del River Plate, poi scomparve. Il suo telegrafo non lanciò nessun appello, non si trovò fasciame attribuibile a quell'imbarcazione, né albero o pezzo d'albero, e non venne avvistata nessuna scialuppa col suo nome.
Eppure un vascello di quella grandezza non cola a picco come una pietra. Un'imbarcazione con lo scafo di legno come il «Kobenhaven» può andare alla deriva anche per anni. E perché nessun segnale dal telegrafo? Perché non erano riusciti a calare nemmeno una scialuppa?
Un anno dopo la scomparsa del «Kobenhaven» un missionario che viveva sull'isola, Tristano da Cunha, disse di aver avvistato, il 31 gennaio 1929, un grande vascello apparentemente abbandonato e trascinato dalla corrente, passare a una certa distanza dall'isola. Ma fu appurato che in quel giorno era salpato dall'isola una grossa imbarcazione finnica, la «Ponape». Con tutta probabilità il vascello visto dal missionario era quello. Del resto, se fosse stato il «Kobenhaven», come mai la «Ponape» non l'aveva visto? E rimane pur sempre il mistero di un mancato segnale di soccorso e l'assoluta assenza di relitti sulla sua rotta.

Sopra le acque in tempesta dell'Atlantico il «Marathon» lanciò un saluto al vascello «James Chester». Era il 28 febbraio 1855. Il «James Chester» non rispose. Sul ponte, nessuno. Il Comandante del «Marathon», insospettito, fece calare una lancia che accostò all'altra nave. Il vascello fu esplorato da cima a fondo, ma a bordo non c'era nessuno. Sul ponte, nelle cabine, dappertutto un gran disordine, ma nessun segno di violenza: niente tracce di sangue, né armi, né segni di lotta. Mancavano le carte nautiche e la bussola, ma le scialuppe di salvataggio c'erano tutte. Intatte erano, o sembravano, le provviste di viveri e le scorte d'acqua dolce. La nave era in perfette condizioni: niente falle, niente guasti.
Dell'equipaggio del «James Chester» non si ebbero più notizie. Non è da escludere che la nave portasse una lancia in più oltre le regolamentari, ma anche ammesso questo per quale motivo l'equipaggio aveva abbandonato una nave solida e sicura preferendo affrontare mille miglia di mare in tempesta su una piccola scialuppa?

Nel 1850 i pescatori e i contadini che abitavano in un gruppo di case sulla spiaggia vicino a Newport, nel Rhode Island, videro un vascello puntare sulla riva. Tutte le vele erano alzate e le bandierine si agitavano al vento. Sulla spiaggia si radunò in fretta una folla in attesa del disastro, ma la nave toccò la spiaggia così dolcemente da non riportare danni. Gli spettatori s'affrettarono a salire a bordo del «Seabird», un vascello al comando del capitano John Huxham, e che doveva arrivare quel giorno, dall'Honduras.
A bordo, gli abitanti della spiaggia trovarono un bricco di caffè che bolliva sulla stufa della cambusa, la prima colazione pronta per essere consumata dall'equipaggio, le carte nautiche e gli strumenti tutti in ordine, ma l'unico essere vivente sul «Seabird» era un cane accucciato tranquillamente sul ponte.
Ci fu un'indagine accurata, ma non si trovò la più piccola traccia né del Comandante né dell'equipaggio. Perché, come, e dove gli uomini erano scomparsi Dio solo, e un piccolo cane bastardo, potevano saperlo.

Nel 1752 la «Palatine» salpò da un porto dell'Olanda, diretta a Filadelfia, carica di emigranti. Durante il viaggio, i viveri cominciarono a scarseggiare, e l'equipaggio si ammutinò. Il Comandante venne ucciso e gli emigranti furono fatti sbarcare e abbandonati su una spiaggia. Gli ammutinati abbandonarono poi la nave nel cui scafo si era prodotta una falla, e si allontanarono dal relitto con le scialuppe di salvataggio, lasciando la «Palatine» al largo di Block Island. Era la settimana di Natale. A bordo rimase una persona, però: una donna che era impazzita e si era rifiutata di sbarcare. La nave venne abbordata da pirati che la spogliarono di tutto ciò che poteva valere qualcosa, e dopo aver tentato invano di farla navigare allargarono la falla, diedero fuoco allo scafo, e la lasciarono andare alla deriva. A bordo c'era ancora la donna.
Col passare degli anni nacque la leggenda che in certe notti di tempesta, si vede da Block Island una luce sul mare, e che quella luce è la «Palatine» in fiamme. Nel 1934 un noto giornalista e commentatore radiofonico, Edwin C. Hill, fece un'inchiesta di cui pubblicò i risultati.
«Sono centinaia», scrisse Hill, «quelli che dichiarano di aver assistito al fenomeno. Lungo tutta la costa della Nuova Inghilterra, la "luce del Palatine" è un fenomeno conosciutissimo. Secondo le dichiarazioni dei testimoni, a volte, di notte, si vede da riva una luce misteriosa che non ha una spiegazione e che si sposta sul mare, al largo. Troverete abitanti di Block Island pronti a giurarvi sulla Bibbia di aver visto la inesplicabile luminosità e di aver assistito al passaggio all'orizzonte della "Palatine" avvolta nelle fiamme...»

Sulla visione di un'altra nave fantasma abbiamo addirittura la testimonianza di Giorgio V, re d'Inghilterra.
Nel 1881 il principe Giorgio stava facendo una crociera sulla nave di Sua Maestà, l'«Inconstant». C'era anche il fratello del principe. Alle 4 del mattino dell'11 luglio mentre la nave stava navigando da Melbourne a Sydney, sulla sinistra dell'«Inconstant» fu vista una irreale luce rossa. Il fenomeno è annotato chiaramente nel diario del principe che venne poi pubblicato nel libro "La crociera del Bacchante".
«Al centro della luce rossa risaltavano, nettissimi, gli alberi, le vele, il sartiame di un brigantino lontano circa duecento metri. Dal castello di prua la visione era assai chiara, ma anche gli ufficiali di guardia sul ponte videro nettamente la nave. E la vide anche il guardiamarina che faceva il suo quarto di guardia. Quando questi, però, salì sul castello di prua dove era stato chiamato, non c'era più segno della nave misteriosa. La notte era limpida, e il mare calmo. Ma tredici persone avevano visto il brigantino. Altre due navi della squadra, la "Tourmaline" e la "Cleopatra", che navigavano alla nostra destra, ci chiesero se avevamo visto una bizzarra luce rossa».
Quest'ultima storia di navi è certamente una delle più singolari che si raccontino sulle navi fantasma.

Capitolo VIII - Abitazioni... abitate

Tutte le case sono impregnate dalle speranze, dalle paure, dall'odio, dai desideri, dal coraggio, dalle vigliaccherie passati tra le loro pareti. Questa affermazione, si dice, è molto più che un'immagine. Il problema s'addentra nell'oscurità profumata d'incenso del misticismo.
Le «abitazioni-abitate» di cui tratteremo sono però dei casi assai più «solidi». I fenomeni raccontati non erano soltanto reazioni personali all'atmosfera particolare di un edificio. Le case erano infestate, nel vero senso che l'uomo può dare alla parola.
L'ultimo caso di questo articolo è stato controllato da me personalmente. Mi spiace che la persona in questione debba restare anonima, ma credo che restare nell'ombra sia, a volte, giustificato e giusto. Ho discusso questo punto con la persona nella cui casa avvenivano le manifestazioni, e devo ammettere che tutte le sue ragioni per conservare l'anonimato mi sono sembrate giustificate.
Comunque, io posso garantire l'autenticità del caso, e sarei felice di poter fornire le prove utili a coloro che si interessano a questo genere di ricerche. Nel dicembre del 1942, ho pubblicato nella rivista «Tomorrow» un resoconto completo.
I «disturbi» sono di svariati tipi. Alcuni sembrano rispondere a uno scopo preciso, altri appaiono del tutto casuali. Talvolta un edificio sembra una specie di quartier generale di fantasmi.
Accettato, per amore di discussione, il fatto che le case infestate esistono, si possono fare diverse osservazioni interessanti.
Una cosa che ha colpito molti studiosi del fenomeno è che le manifestazioni avvengono seguendo una specie di ciclo. Qualunque sia la forza che genera questo tipo di fenomeni, essa sembra aumentare gradatamente per poi scaricarsi in una esplosione di curiosi effetti. E a questo punto ricomincia il processo di ricarica. Questa, comunque, non è la principale caratteristica delle manifestazioni.
Si ha la prova che la quantità di elettricità statica presente nell'aria ha un certo effetto sull'ampiezza del fenomeno. Le manifestazioni più potenti avvengono spesso durante periodi di alta concentrazione statica, come durante i temporali. È una osservazione ormai accettata come regola, tuttavia potrebbe anche essere soggettiva.
Almeno due dei casi che intendo esporre sono al limite tra le case tormentate e i fantasmi, ma si tratta di una linea di confine molto vaga.
La maggior parte dei «disturbi» sembra diminuire d'intensità con il passare degli anni, ed è probabile che nessuna casa resterà infestata in eterno.

Borley Rectory, «la casa più tormentata di tutta l'Inghilterra», è ora un cumulo di rovine: il 27 febbraio 1939, un incendio scoppiato per cause rimaste misteriose distrusse gran parte dell'edificio. Si dice che i fantasmi si aggirino ancora in mezzo alle rovine bruciate, ma sono spettri senza logica... almeno secondo il filo che viene seguito nelle indagini scientifiche sulle case infestate. Fino al 1937, Borley Rectory era stata sottoposta alla più grande caccia al fantasma di tutti i tempi.
L'edificio si trova nel villaggio di Borley, vicino a Long Melford, nel Suffolk, e ha fama di essere il luogo di convegno dei fantasmi. Un certo numero di inquilini, per la maggior parte ecclesiastici, vennero cacciati dalle continue manifestazioni. Nel 1937 la casa era in vendita, e con tutta probabilità lo resterà per sempre.
Il 19 maggio 1937, Harry Price, famoso ricercatore psichico e organizzatore di «cacce al fantasma», affittò Rectory per un anno. Per essere il più imparziale possibile sulle indagini, convocò attraverso la stampa tutte le persone più scettiche e disposte a trascorrere un certo periodo al Rectory, perché fossero loro a riferire ogni fatto insolito. Alla fine scelse un gruppo di quaranta osservatori che tenessero Borley Rectory sotto controllo costante.
Istruzioni scritte su come osservare i fenomeni vennero date a ognuno di loro, e tutti consegnarono il loro rapporto alla fine della permanenza al villaggio. Quasi tutti gli osservatori riferirono fatti bizzarri e insoliti: luci che si accendevano, fruscii e rumori di passi, eccetera. Uno speciale contatto elettrico messo dagli investigatori in una stanza vuota e sprangata, venne ripetutamente suonato. Si vedevano nella casa sagome indistinte, sia scure che luminose.
Sulle pareti comparivano misteriosamente dei messaggi. In un caso, una parete venne fotografata due volte a un'ora di distanza. Nuovi segni, perfettamente visibili sulla seconda fotografia, si erano aggiunti durante l'intervallo, eppure la stanza era rimasta chiusa, e guardata a vista, per tutto il tempo che intercorse tra le due fotografie.
Un filosofo inglese, il dottor Joad, pubblicò su «Harper's Magazine» un resoconto dei fenomeni, e affermò che, innegabilmente, nell'edificio in questione era presente una entità... o delle entità... supernormali.
Anche Price si convinse che i fenomeni erano autentici, ma non riuscì mai a trovare una soddisfacente logica per tutte le diverse manifestazioni. A suo giudizio le «presenze» dovevano essere multiple. Un suo elaborato riepilogo di tutta l'indagine venne pubblicato nel 1940 sotto il titolo «La casa più tormentata d'Inghilterra».
Se vi interessano le case infestate in generale, e le indagini scientifiche sui fantasmi in particolare, dovreste leggere questo libro. Ne vale la pena.

Sull'autorevole rivista «Atlantic Monthly» del giugno 1942 è riportato un piccolo incidente tra i più oscuri. Il fatto è riferito dallo scrittore inglese Robert Graves.
Nell'inverno 1919-1920, Graves abitò per un certo periodo in un vecchio edificio di pietra chiamato Maesyneuadd, vicino a Talsamau, nel North Wales. Si diceva che l'edificio fosse infestato, e in diverse occasioni Graves vide le porte aprirsi all'improvviso, come mosse da una strana forza supernormale.
La sera di fine anno Graves stava seduto accanto al camino con alcuni amici. Bevevano vino caldo. Qualche attimo prima di mezzanotte Graves appoggiò il bicchiere pieno a metà su un tavolino accanto al fuoco.
Due o tre minuti dopo allungò il braccio per riprendere il bicchiere: era vuoto. Eppure nessuno era entrato e nessuno era uscito dalla stanza. Tutti sedevano ancora ai loro posti sulle poltrone disposte a semicerchio attorno al camino, e nessuno, tranne Graves, avrebbe potuto prendere quel bicchiere senza alzarsi.
È un piccolo fatto, ma non è detto che tutte le manifestazioni siano spettacolari.

Quale forza abbia trasportato le tarme in una stanza di cemento-armato ermeticamente chiusa, e le ubbia fatte svanire cinque minuti dopo, rimane un misuro. L'incidente fa parte di una serie di fatti inesplicabili che nel 1934 rovinò le vacanze a un professore universitario americano.
Il fatto venne riferito da «Harper's Magazine», nel novembre l934, sotto il titolo: «Quattro mesi in una casa infestata». L'articolo, firmato da Harlan Jacobs, portava in calce la seguente annotazione: «Harlan Jacobs è lo pseudonimo di una persona che occupa una importante posizione in una delle nostre più grandi università. I fatti raccontati in questo articolo sono frutto di sua esperienza personale».
«Harper's» è una delle più serie e attendibili riviste degli Stati Uniti. L'articolo è scritto con grande obiettività e abbondanza di particolari. L'autore era evidentemente uomo di grande intelligenza, competenza, ed esperienza scientifica. Il fatto che abbia voluto restare anonimo, non è sintomo di malafede, come potrebbe parere.
La casa infestata di cui l'articolo trattava, era una villetta di Cape Cod. Quando Jacobs l'affittò per trascorrervi le sue vacanze, la casa, costruita nove anni prima, non era mai stata abitata, chissà per quali motivi.
Il fatto che una casa con questa particolarità fosse infestata è contrario a ogni tradizione. Di solito i fenomeni di cui ci stiamo occupando si verificano in edifici che hanno un passato di sangue.
Mentre Jacobs occupava la villetta, la «forza» prese a bussare, a produrre tonfi, a provocare rumori simili a quelli «di un giornale che venga strusciato sul pavimento», una scatola di fiammiferi cadde da un cassettone, un matterello rotolò per la stanza, una inesplicabile luce comparve in una delle camere da letto. E non è tutto.
Un garage in cemento armato, chiuso da mesi, si riempì misteriosamente di tarme. Cinque minuti dopo il garage venne nuovamente ispezionato, e non si trovò un solo insetto. Nel breve intervallo tra le due visite, il garage era stato chiuso.
Non mancò la manifestazione classica: i passi del fantasma. «Non parlo di un rumore soffocato... erano i passi secchi di una persona che cammini decisa, calzando scarpe con suole di cuoio» scrisse il professore.
Il fenomeno più sorprendente fu lo strano suono che si ripercosse diverse volte per tutta la villa. Sembrava «che il piano a coda venisse sollevato e poi fatto ricadere provocando la vibrazione delle corde».
Oltre a Jacobs e alla moglie, ai fenomeni assistettero diversi amici andati a Cape Cod a trovare il professore.

«Diverse volte ho teso sottili corde attraverso gli scalini, prima di andare a letto, e dopo che tutti si erano ritirati nelle stanze ai piani superiori. E almeno due volte ho visto la figura che passava attraverso le corde lasciandole intatte».
Questa fu una delle osservazioni fatte da Rose C. Morton sulla «Dama in Nero» che si aggirava per Bognor House, in Inghilterra. Il nome di quella casa è citato nel «Proceedings of the British Society for Psychical Research».
La signorina Morton, quando la sua famiglia si trasferì a Bognor House, era studentessa in medicina. La casa era stata costruita nel 1860. I Morton vi entrarono nel marzo del 1882. «La Dama in Nero» venne vista diverse volte negli anni tra il 1882 e il 1889. La signorina Morton scrisse un accurato rapporto scientifico sul caso, e il rapporto venne sottoscritto da sei testimoni.
Le manifestazioni erano tranquille, piene di dignità e quasi di sussiego. Il fantasma si aggirava placidamente per la casa, a suo agio. In svariate occasioni la signorina Morton rivolse la parola alla «Dama», ma venne sempre ignorata.
Di tanto in tanto si sentiva un leggero rumore di passi, simile a quello che può fare una donna muovendosi per casa. A volte il fantasma si aggirava in un frutteto vicino.
Vennero annotate anche le reazioni del cane dei Morton. «Ricordo di aver visto due volte il nostro cane correre verso il tappeto ai piedi della scala, e agitare la coda e muoversi come in attesa di ricevere carezze. Si era poi sollevato agitando le zampe anteriori, e all'improvviso era scappato con la coda tra le gambe...»
Le relazioni sul fantasma di Bognor House vennero fatte con grande meticolosità, e il fantasma fu descritto minuziosamente.

Questa storia potrebbe essere chiamata «Il caso del fantasma Barkeep». Un fantasma con più senso dell'humor dei suoi colleghi.
È il caso cui ho accennato nell'introduzione, quello controllato da me. L'uomo nella cui casa avvennero le manifestazioni è professore di una delle più importanti università americane.
La storia è ricavata dagli appunti presi dalla stenografa il giorno in cui ho intervistato il professore che aveva, allora, circa quarantanni. E questa e la storia, come lui l'ha raccontata.
Nei primi mesi del 1933, il nostro professore aveva affittato una casa di San Francisco. I precedenti inquilini avevano improvvisamente lasciato la casa dopo due soli mesi di permanenza. Prima vi aveva abitato per vent'anni una famiglia.
Il giorno stesso del suo arrivo, il professore cominciò a sentire dei passi sulla scala della cantina. Stabilì positivamente che non potevano essere rumori prodotti da topi. Si trattava di passi umani, con il caratteristico colpo di tacco e fruscio di suola. Ed erano generalmente più forti di quelli prodotti da una persona comune.
Per un gran numero di sere, il professore raccolse in casa sua gruppi di amici, in attesa dei passi. Una persona rimaneva accanto alla porta della cantina, un'altra accanto all'interruttore della luce. Quando cominciavano i rumori, veniva spalancata la porta e accesa la luce. La scala risultò sempre deserta.
Una volta la moglie del professore si tolse gli anelli, per lavare i piatti, e li depose su uri angolo del lavandino, finito il lavoro allungò macchinalmente la mano per riprendere gli anelli. Erano scomparsi. Un'attenta ricerca li fece scoprire su un alto armadio raggiungibile soltanto per mezzo di una scaletta.
In cima al mobile c'era uno strato di polvere intatto. Per non lasciare traccia gli anelli dovevano essere stati deposti con grande delicatezza.
Tra gli altri fenomeni, i misteriosi spostamenti di una pesante sedia, che avvenivano quando nella stanza non c'era assolutamente nessuno.
Riferisco il resto con le stesse parole del professore.
«L'unico altro membro della famiglia, nostro figlio di due anni e mezzo, non poteva avere certo parte nei fenomeni. Cominciava appena a parlare, e non poteva ne pensare né fare burle di quel genere. Inoltre moltissime volte si trovava proprio sotto i nostri occhi nel momento stesso in cui avvenivano i fenomeni.
Il suo unico contributo fu casomai di tipo passivo. Diverse volte mia moglie è entrata nella sua stanza per vedere se si era addormentato, e lo ha trovato sveglio. Il bambino diceva sempre che stava parlando con il vecchio che andava a trovarlo tutte le notti.
Spesso mia moglie gli ha domandato cosa gli dicesse il vecchio, ma le risposte sono sempre state confuse. La sola cosa comprensibile era che parlavano "di quella casa e delle ruote".
La bravata più curiosa e testimoniata del nostro fantasma rimane legata a una bottiglia di bitter. In questi ultimi anni ho pensato migliaia di volte all'incidente, e ne ho parlato con le persone che erano presenti al fatto. Ma non mi è stato possibile trovare una spiegazione plausibile.
Tenevo le bottiglie di liquore in una credenza molto alta. La cucina era assai grande e il tavolo era sistemato a circa cinque metri dalla credenza.
Quella sera, volendo preparare qualcosa da bere, portai le bottiglie dei liquori sul tavolo della cucina. Poi mi accorsi di aver dimenticato una bottiglia.
Accidenti, ho detto ad alta voce, ho dimenticato il bitter.
Quattro amici erano vicini a me. E nessuno si trovava, in quel momento, vicino alla credenza.
Avevo appena finito di parlare che qualcosa mi cadde ai piedi: era la bottiglia del bitter. Intatta.
La bottiglia poteva essere caduta dalla credenza, ma in questo caso sarebbe finita a terra direttamente ai piedi del mobile. Cinque altre persone, oltre me, hanno visto la bottiglia cadere dall'alto, a una distanza di cinque metri dalla credenza, ed è caduta a terra con un tonfo, come se qualcuno l'avesse posata lì con un gesto secco.
Passammo l'ora successiva a ispezionare le pareti della credenza nel tentativo di scoprire come poteva aver fatto la bottiglia a uscire e "volare" fino al tavolo».

Forse in tutta la storia dei fantasmi non ce ne sono mai stati di tanto servizievoli!

Capitolo IX - Il mago Houdini

La vita di Harry Houdini è tutta un complicato mistero. A poco a poco è diventata quasi una leggenda, e molti dei fatti che riguardano Houdini tendono a essere distorti dalla realtà. Houdini è diventato una leggenda, o meglio, un simbolo, il simbolo del comodo concetto secondo il quale tutti i miracoli possono essere spiegati da un abile prestigiatore. Qualcosa è curiosa e del tutto inesplicabile. Allora? Houdini la sapeva fare benissimo... e con un semplice trucco. La mano è più veloce dell'occhio, i miracoli sono i conigli che escono da un cappello.
Esiste però un certo numero di fatti collegati a Houdini che non possono essere spiegati con un trucco da palcoscenico. Houdini affermava che tutte le sue prodezze venivano compiute con trucchi meccanici. Forse era così. Tuttavia attorno alla sua vita si sono raccolti i misteri, come un gruppo di bambini si raccoglie attorno a un pallone.
Qui voglio trattare alcuni di questi misteri.
La sua lunga amicizia con Conan Doyle, finita disastrosamente, è stata un capolavoro di confusione. I particolari vi danno la sensazione che ciascuno di loro fosse convinto che l'altro avesse ogni ottimo motivo.
Houdini fu duro a morire. Consumato dalla peritonite, agonizzante, rimase in vita per giorni e giorni, oltre le speranze dei medici. Per gli increduli medici questo fu uno dei suoi miracoli. Alla fine disse: «Ho combattuto la malattia... ma adesso sono stanco». Morì il 31 ottobre 1926, vigilia del giorno dei Santi.
Venne sepolto in una speciale bara di metallo in cui era già stato rinchiuso altre volte. Una volta, in quella cassa, aveva trascorso un'ora sott'acqua, per ripetere l'esperimento compiuto da Rahman Bey.
Da attore visse, e da attore morì.

Parecchi anni prima della sua morte Houdini disse a Sir Arthur Conan Doyle che gli avrebbe dato la prova definitiva che con i trucchi si possono ottenere miracoli tali da far vergognare gli spiriti. È comunque difficile dire cos'abbia veramente dimostrato con le sue prove.
All'esperimento, compiuto in casa di Houdini, erano presenti, Houdini, Conan Doyle, e Bernard M. L. Ernst, presidente della «Parent Assembly of the Society of American Magicians». Una lavagna, attentamente esaminata, venne appesa da Conan Doyle al centro della stanza. Poi furono esaminate cinque palle di sughero. Una di queste, presa a caso, fu tagliata. Era di sughero pieno.
Una delle palle restanti venne immersa in una tazza di inchiostro bianco. Poi Conan Doyle fu pregato di andare in un posto qualunque, scelto da lui, e di scrivere una frase su un foglio di carta. Conan Doyle si allontanò di tre isolati, e svoltò in una strada laterale. Lì, scrisse una frase su un foglio. Ernst rimase con Houdini per controllare che non uscisse di casa. Scritta la frase, Conan Doyle ripiegò il foglio, lo infilò in una tasca interna della giacca, e ritornò nella stanza dove Houdini ed Ernst l'aspettavano.
Houdini disse allora a Conan Doyle di prendere la palla immersa nell'inchiostro e di appoggiarla al piano della lavagna. Così venne fatto.
La palla si incollò alla lavagna. Poi cominciò a rotolare sul piano nero e scrisse la frase biblica «Mene mene takel upharsin». Esattamente la frase scritta da Conan Doyle sul foglio che lo scrittore teneva nella tasca interna della giacca.
Finito di tracciare la frase, la palla cadde a terra. Conan Doyle la raccolse e la portò a casa. Quella e le altre che non erano state usate. Tutte risultarono di sughero pieno.
Houdini disse di aver usato un trucco. Doyle dichiarò che Houdini doveva essersi aiutato con poteri mentali. Houdini comunque rifiutò sempre di spiegare quale fosse il trucco, se trucco c'era. Ernst, lui pure eminente mago, rimase completamente sconcertato, e Doyle ricordò a Houdini che una volta aveva smesso gli esperimenti di lettura del pensiero, perché aveva ottenuto risultati tali da sembrare anche a lui soprannaturali. Ernst arrivò a supplicare Houdini, per il bene della sua crociata contro lo spiritismo, di rivelare il segreto della palla di sughero. A lui o a Doyle... nel più grande riserbo, ma Houdini rifiutò, e nonostante la sua competenza Ernst non riuscì mai a trovare una spiegazione possibile e soddisfacente.

Durante il tempo in cui condusse una attiva campagna contro la frode e i trucchi usati nello spiritismo, Houdini tenne un rapporto sulle sue indagini. Alla sua morte molti di questi rapporti finirono in mano di Joseph Dunninger, grande mago e mistificatore.
In quel voluminoso carteggio era riportato un caso che aveva sconvolto lo stesso Houdini. Eccolo.
«Los Angeles, 11 aprile 1923. Mi hanno chiesto di scattare alcune fotografie alla signora Mary Fairfield McVickers. Prima di morire la donna aveva pregato di fotografare il suo corpo alle cinque pomeridiane del giorno in cui le avrebbero fatto il funerale. Aveva annunciato che sarebbe apparsa sotto forma di spirito. Mi sono messo in contatto con Larry Semon (produttore cinematografico), pregandolo di mettermi a disposizione un fotografo.
Alle 3:45 Nathan B. Moss, della Keystone Press Illustration Service, di Los Angeles, arrivò con la macchina fotografica e gli chassis caricati con quattordici negativi. Non aveva ancora idea di che cosa volessi da lui... Andammo da Howland and Dewey, rappresentanti della Kodak, per comperare una dozzina di lastre 5x7... Il commesso prese cinque pacchi, li mise sul banco, davanti a un signore che io non avevo mai visto e al quale chiesi di sceglierne uno. Il signore eseguì. Presi il pacco scelto e andai con Moss in camera oscura. Qui l'operatore scaricò gli chassis che aveva portati, e mano a mano che mi dava una delle sue lastre, io gliene consegnavo una di quelle nuove, poi ripose gli chassis nella sua borsa... Arrivati in chiesa scattammo dieci fotografie.
Fatto questo andammo immediatamente nel laboratorio fotografico della Camera di Commercio, e in mia presenza il fotografo sviluppò le lastre che avevamo usato. Una di queste portava una macchia particolare. Moss ne stampò una copia. E subito cominciarono le discussioni.
Nessun fotografo riuscì a spiegare di che trucco si trattasse e come fosse stato possibile un trucco del genere. Il signor Moss offrì cento dollari a chiunque fosse riuscito a ottenere lo stesso effetto in quelle stesse condizioni. Nessuno ci riuscì. Firmato: Harry Houdini».

Dunninger pubblicò questi appunti di Houdini nell'articolo «Houdini's Spirit Exposés», nel 1928. Dunninger afferma che Houdini arrivò a offrire mille dollari a qualsiasi mago di teatro che fosse riuscito a fare lo stesso esperimento. Ma nessuno accettò.
La famosa fotografia, pubblicata a illustrazione dell'articolo, mostrava la «macchia»: Una grossa striscia luminosa con una sfera di luce a una delle estremità. La forma della macchia praticamente esclude che possa trattarsi di un difetto di lastra, di chassis, o di macchina fotografica.

Ma è sulla morte di Houdini, che si accesero le più accanite discussioni.
Generalmente si crede che la signora Houdini abbia negato di aver ricevuto il «messaggio di morte» studiato per lei dal marito quando era ancora in vita. Quel messaggio doveva dimostrare che Houdini era riuscito ad aprire la porta che da sempre sconcerta gli uomini: la porta sull'aldilà.
Qualche tempo prima della sua morte, Houdini e la moglie stabilirono un messaggio che il primo di loro a morire avrebbe dovuto trasmettere all'altro. Il messaggio sarebbe stato trasmesso in codice. Molte persone sapevano leggere questo codice, ma il messaggio era conosciuto soltanto da Houdini e da sua moglie.
Poco dopo la morte del mago, la signora Houdini offrì 10000 dollari a chiunque fosse stato in grado di comunicarle il messaggio stabilito. Un anno dopo la signora Houdini ritirò l'offerta. L'8 gennaio 1929, dopo il ritiro dell'offerta, il reverendo Arthur Ford riferì un messaggio che la donna riconobbe all'istante. Due giorni dopo consegnò un comunicato alla stampa. Fu molto precisa.
«Contrariamente a tutte le dichiarazione fatte» diceva il comunicato, «confermo che il messaggio riferitomi dal reverendo Arthur Ford corrisponde a quello stabilito da me e da mio marito. Beatrice Houdini».
In seguito si sparse la voce che la donna aveva inventato la storia del messaggio per farsi della pubblicità. La signora Houdini scrisse allora una lettera a Walter Winchell del «New York Graphic».
«Questa lettera non è per farmi pubblicità. Non ne ho bisogno. Voglio soltanto far sapere ai vecchi amici di Houdini che non ho tradito la sua fiducia... Per due anni ho pregato per ricevere il messaggio da mio marito. E per due anni ho ricevuto quotidianamente messaggi provenienti da ogni parte del mondo. Se avessi voluto della pubblicità avrei potuto scegliere a caso uno dei tanti e sensazionali messaggi che mi sono arrivati. Quando mi hanno comunicato quello vero, il messaggio che io e mio marito avevamo stabilito, sono stata ringraziata con lo scherno...
Mio marito mi ha reso possibile vivere nell'agiatezza. Non ho bisogno di denaro. Ho ricevuto il messaggio dalla persona che amavo. Come, se non per aiuto spirituale, io non so.
...in conclusione posso dire che Dio, Houdini, e io, sappiamo che non ho mentito. Quello che pensa il resto del mondo non dovrebbe interessarmi. Purtroppo non è così. Ecco il motivo per cui ho scritto questa lettera. Sinceramente, vostra Beatrice Houdini».

In seguito, la signora Houdini cominciò a chiedersi se il messaggio ricevuto era definitivo. Tuttavia, sino alla fine della sua vita non negò l'autenticità del messaggio ricevuto.
Il 22 luglio 1935, scriveva sul «Los Angeles Exarainer»: «Ho ricevuto molti messaggi che avrebbero potuto pervenirmi da Houdini tramite qualche medium, ma nessuno ha mai avuto un particolare significato per me. Molto spesso vado a sedute spiritiche, e spero e prego che Houdini mi mandi qualche messaggio significativo. Ma aspetto inutilmente».
Poco prima della sua morte Beatrice Houdini tenne sua seduta spiritica in un hotel di Hollywood. Era l'Ognissanti del 1936. Gli attori di Hollywood intervennero numerosi... ma il protagonista non si presentò.
Resta ancora una testimonianza. Devo ammettere che il significato del messaggio lascia perplessi, tuttavia non posso negare che aggiunga un finale fantastico a una storia fantastica. Il fatto fu a suo tempo riferito dal «Los Angeles Times».

In una nebbiosa mattina del 1938, Pat, il venticinquenne pappagallo della signora Houdini, ruppe il lucchetto della sua gabbia e fuggì sulle colline di Hollywood dove, spaventò gli abitanti con le sue grida selvagge.
Si racconta che durante uno dei tentativi della signora Houdini di comunicare con il marito, Pat, di natura chiacchierona, smise improvvisamente il suo eterno monologo, e dopo un lungo silenzio cominciò a parlare in una lingua sconosciuta, che nessuno mai gli aveva insegnato. Quando riprese a parlare in inglese si rivelò molto meno ciarliero di prima.
Poi il vecchio Pat ruppe la speciale serratura della sua gabbia, da degno allievo del suo grande maestro, e volò via.

Capitolo X - La valle delle ombre

«C'è solo un momento di ombra tra la tua vita e la mia».
Così parla la Morte nella commedia «La Morte va in vacanza». Per la Morte, e per certi esseri umani che affermano di comprendere tutto, la questione può essere semplice ma alla maggior parte di noi rimane alquanto oscura.
Una infinità di storie sono state raccontate sul «momento dell'ombra», e si sono fatte diverse interessanti indagini scientifiche al riguardo, condotte da uomini che avevano studiato a fondo il problema. Ma sino a che punto questo particolare problema può essere studiato veramente a fondo?
Riguardo la sopravvivenza della personalità umana alla morte del corpo, quasi tutti hanno tratto conclusioni in base alla fede, fede religiosa o fede scientifica.
Esistono innumerevoli storie di anime tornate in breve visita al mondo dei vivi. Si è detto che questo, certe volte, avviene per tener fede a un patto.
Le storie che racconto qui sono tutte autentiche. Mi limito però a esporle, senza commenti, perché non me la sento di impegnarmi in discussioni.

I giornali pubblicarono che il dottor Duncan MacDougall aveva «pesato l'anima». Il dottor MacDougall precisò che aveva soltanto condotto un esperimento interessante. Grande scalpore, sul fatto, ma presto tutto tornò a tacere. Per quanto mi risulta, l'esperimento del dottor MacDougall non venne mai più ripetuto.
Il dottor MacDougall era un fisico del Massachusetts General Hospital. Fece i suoi esperimenti nel 1906, e ne pubblicò un resoconto completo sul «Journal of the American Society for Psychical Research» nel maggio del 1907.
Una leggera piattaforma venne costruita appositamente e collocata su una bascula sensibilissima. Su questa piattaforma misero un letto in cui giaceva un uomo in agonia.
Tutti i soggetti usati per gli esperimenti avevano dato il loro benestare. Il dottor MacDougall scelse pazienti afflitti da malattie che li avrebbero portati all'immobilità quasi assoluta e che al momento della morte avrebbero avuto contrazioni muscolari minime. Questo avrebbe evitato improvvisi sbalzi sulla scala della bilancia.
Dato che l'intero letto veniva pesato con il paziente, qualsiasi materia fosse uscita dal corpo del moribondo non avrebbe potuto falsare i risultati. Anche il peso dell'aria che usciva dai polmoni del malato venne tenuto in considerazione.
Come vedremo in questo caso-tipo venne tenuto calcolo anche della evaporazione, che avveniva in modo costante.
«... il soggetto stava morendo di tubercolosi. Il paziente venne tenuto in osservazione per tre ore e quarantacinque minuti prima della morte... Perse lentamente peso per la evaporazione dell'umidità nella respirazione e nel sudore. Durante le tre ore e quarantacinque minuti tenni l'indice della bilancia leggermente spostato verso l'alto in modo da ottenere uno spostamento più sensibile, nel caso si fosse verificato. Al termine delle tre ore e quarantacinque minuti il malato spirò, e improvvisamente, nel momento preciso della morte, l'indice scese con un "colpo udibile". Rimase in quella posizione senza più risollevarsi. La perdita di peso venne calcolata in 21 grammi e 26 centigrammi».
Il dottor MacDougall fece esperimenti con sei persone, e in ogni caso, nel momento preciso in cui avveniva la morte, osservò chiare e improvvise diminuzioni di peso. In certi casi, alla prima seguì una seconda e improvvisa diminuzione.
Due degli esperimenti del dottor MacDougall non vennero ritenuti validi: uno a causa dell'ostilità di alcune persone presenti che non permisero osservazioni accurate; il secondo perché il malato morì non appena disteso sul letto-bilancia, quando gli indici non erano ancora perfettamente regolati. Negli altri quattro casi invece c'erano tutte le condizioni per un controllo accurato.
Il dottor MacDougall venne assistito negli esperimenti da alcuni suoi colleghi medici.

Il dottor Hereward Carrington, psichiatra, venne un giorno a sapere che una ragazza di sua conoscenza stava morendo. Decise di osservare la morte della ragazza attraverso uno degli schermi studiati dal dottor Kilner per rendere visibile l'essenza umana (vedi «Esperimenti dimenticati»).
Un amico del dottor Carrington partecipò all'esperimento. Entrambi osservarono il corpo della ragazza attraverso i filtri di Kilner nel momento in cui avvenne il decesso, e parve loro di vedere una specie di fumo, una tenue nebbia che si sollevò dal corpo. Così Carrington descrisse il fenomeno: «Quel fumo lo vedemmo tutti e due. In un primo momento parve attaccato ai contorni del corpo. Poi prese vita e movimento, sollevandosi leggermente. Mentre ondeggiava nello spazio, direttamente sopra il corpo, assunse una definita forma corporea. Fu visibile per qualche attimo. Poi si spostò verso la zona d'ombra di un angolo della stanza e scomparve».
Il dottor Carrington racconta di un'altra esperienza personale che, per quanto non legata agli esperimenti di osservazione della morte, può indirettamente appartenere allo stesso argomento, ed è particolarmente interessante se si tiene in considerazione lo scetticismo del dottor Carrington.
Un giorno, mentre stava seduto alla sua scrivania, sentì l'irresistibile desiderio di telefonare a una sua giovane amica. Lo fece, e venne a sapere che la ragazza era morta il giorno prima. Immediatamente nell'appartamento del dottor Carrington cominciò una serie di strani fatti.
Dapprima si udirono dei colpi secchi che non avevano nessuna giustificazione logica. Poi il dottor Carrington, e tutte le persone che si trovavano con lui in quel momento, ebbero la netta sensazione che una persona li stesse osservando da un angolo della stanza. Subito dopo il battacchio della porta d ingresso venne battuto diverse volte con violenza. Il dottor Carrington si trovava in quel momento vicino alla porta, e aprì di scatto. Fuori non c'era nessuno. Infine venne ripetutamente suonata una nota del piano. La stanza era deserta. Né c'erano animali nell'appartamento. Non esisteva una normale spiegazione per il suono di quella nota.
Il dottor Carrington concluse: «Posso solo pensare che una entità invisibile abbia voluto richiamare la mia attenzione. Quando si è accorta di esserci riuscita... è rimasta soddisfatta, e se n'è andata!»

Simile al primo caso del dottor Carrington è quello raccontato dal dottor James H. Hyslop, diventato poi docente di logica ed etica alla Columbia University.
Un gruppo di persone si era raccolto attorno al letto della sorella di Louisa M. Alcott. Il gruppo era formato da Louisa M. Alcott, sua madre, e il medico di famiglia. Stavano aspettando il cambiamento fisiologico che noi chiamiamo morte.
Il momento venne. Il meccanismo cessò di funzionare. E il dottore fece gli accertamenti prescritti.
Per qualche istante ancora il gruppo rimase al capezzale.
E mentre fissavano il cadavere capitò una cosa bizzarra: dal corpo si sollevò una leggera nebbia luminosa che svanì poi nell'aria.
La signorina Alcott affermò: «Gli occhi di mia madre seguirono il mio sguardo. E quando le domandai: "Cos'hai visto?", lei descrisse l'identica nebbia luminosa che io avevo visto».
Anche il medico disse di aver notato la strana luminosità. Ma non seppe fornire spiegazioni. Accennò soltanto all'antica convinzione che "qualcosa" doveva lasciare il corpo al momento della morte.

Il dottor Hippolyte Baraduc, fisico e neurologo francese, affermò di aver fotografato una specie di tenuo vapore che si sollevava dal corpo al momento della morte. Qualche isolato tentativo di ripetere l'esperimento non ottenne risultati. Riporto quindi i fatti riferiti dallo stesso dottor Baraduc.
Il suo primo esperimento ebbe luogo nell'aprile del 1907. Il soggetto fu il figlio del neurologo, André Joseph. Il dottor Baraduc scattò fotografie al momento della morte del figlio, e dopo un intervallo di tre ore.
I risultati ottenuti furono tanto interessanti da costringere il dottor Baraduc a ripetere l'esperimento sei mesi dopo, quando morì sua moglie. Le foto vennero scattate al momento della morte, e dopo, a intervalli di quindici minuti, per un periodo di tre ore.
Sviluppate, le fotografie mostrarono tre netti globi di nebbia che si sollevavano dal cadavere della donna. I tre globi si spostavano lentamente fino a formare una sfera unica. Questa rimase unita al corpo per mezzo di una specie di cordone luminoso. Poi il cordone si ruppe, e la sfera si allontanò nell'aria.

Dopo la morte della moglie, il dottor John F. Thomas condusse elaborati esperimenti per scoprire se la personalità che si presentava come «signora Thomas», tramite insospettabili medium, fosse una testimonianza attendibile del supernormale. In seguito, queste sue indagini divennero soggetto di lezioni alla Duke University.
Come ulteriore precauzione contro eventuali trucchi o l'influsso di pensieri trasmessi dal suo cervello, Thomas stabilì che la maggior parte delle sedute con i medium avvenissero in sua assenza. Infatti vennero tenute in Inghilterra mentre lui si trovava in America, e tutte le dichiarazioni dei medium furono trascritte da uno stenografo. Questo stenografo, tra l'altro, non sapeva assolutamente nulla della vita di Thomas.
Le ricerche del dottor Thomas durarono sei anni. Il lavoro di Thomas, «oltre le cognizioni normali», contiene una lunga lista di fatti specifici che riguardano la sua vita in comune con la signora Thomas, ma anche fatti della vita di Thomas dopo la morte della moglie.
I riferimenti sono infiniti: da una partita di calcio a cui Thomas e la moglie assistettero insieme, al colore e disegno di un tappeto da loro comprato, da episodi della fanciullezza della signora Thomas, che lo stesso John Thomas ignorava, nomi di persone, uomini e donne, che entrambi avevano conosciute. In una seduta «lo spirito» disse anche il numero esatto della pagina del libro che Thomas stava leggendo in America il giorno prima dalla seduta tenutasi in Inghilterra.
L'analisi del caso finì con la somma delle risposte avute e il calcolo delle informazioni corrette date nelle diverse sedute, con differenti medium. La percentuale delle risposte esatte fu del settanta per cento.

Nelle pagine dell'Enciclopedia Britannica c'è la storia di Frederic Myers e della sua «corrispondenza».
Myers era considerato in Inghilterra un eminente poeta, saggista e studioso. Dopo aver cominciato a interessarsi di ricerche psichiche iniziò lo studio della biologia e della psicologia. In seguito divenne uno dei più importanti professionisti in questi campi.
Dopo anni di ricerche sui fenomeni supernormali, Myers concluse di aver ottenuto la prova di una sopravvivenza alla morte del corpo. L'unico anello debole della sua teoria fu la possibilità che le informazioni supernormali fossero in verità il pensiero trasmesso per telepatia da una persona vivente.
Myers morì nel 1901 in assoluta tranquillità di spirito e di mente nonostante la sofferenza fisica. Disse che le sue ricerche gli avevano cancellato ogni paura della morte. Secondo lui la morte era soltanto uno dei minimi incidenti dell'esistenza conscia. Rimpianse, tuttavia, di non essere mai riuscito a provare la immortalità per non aver potuto eliminare il dubbio di una trasmissione telepatica.
Poco dopo la sua morte una entità che dichiarava di essere Myers si presentò in sedute di medium non professionisti, col sistema della scrittura automatica. (La scrittura automatica è un processo, in cui un medium scrive senza consciamente sapere ciò che sta scrivendo. Nessuno afferma che la scrittura avvenga con mezzi supernormali. L'importanza dello scritto sta nelle informazioni che può contenere.)
I messaggi ricevuti dall'entità che affermava di essere Myers erano scritti nello stile caratteristico dello psicologo defunto, e contenevano certe piccole informazioni «che non potevano esser conosciute dai medium, ma che dovevano essere conosciute da Myers».
Poco dopo l'inizio dei messaggi si notò un nuovo sviluppo. Una mezza dozzina di medium notò che gli scritti erano diventati senza senso. Mantenevano lo stile di Myers, ma sembravano incompleti. Alla fine si scoprì che, se tutte le frasi venivano messe in un certo ordine, si poteva ottenere una assoluta coerenza. Quindi, non solo il contenuto dei messaggi apparve supernormale, ma si comprese che venivano dettati da una personalità estranea ai medium, una personalità che inviava parti di uno stesso messaggio a medium diversi.
Questo complicato sistema avrebbe dovuto praticamente eliminare la possibilità di trasmissione del pensiero di una persona vivente, e fornire l'anello mancante alla teoria di Myers sulla sopravvivenza dello spirito. Quell'anello che, da vivo, lo studioso non aveva potuto saldare.

Il nome di Lord Henry Peter Brougham (1778-1868) è saldamente legato alla storia inglese moderna. Lord Brougham fu descritto così: uomo di vigore e varietà di intelligenza quasi senza paralleli... uno degli uomini più straordinari della sua epoca...»
Dopo la sua morte, si scoprì che Lord Brougham aveva tenuto il diario della sua vita. In quelle pagine menzionava un certo amico dell'Università di Edimburgo col quale era legato da particolare amicizia. In seguito l'amico lasciò l'università per arruolarsi nel servizio civile indiano. Lord Brougham si laureò, e dopo qualche anno, preso dalla sua carriera, aveva completamente dimenticato l'esistenza dell'amico dei giorni di scuola.
Nel dicembre del 1799, durante un viaggio in Svezia, Lord Brougham così scrisse sul diario:
«Siamo arrivati a Gothenburg. Verso l'una di notte abbiamo trovato una decente locanda dove ci siamo fermati per riposare... Ho avuto la possibilità di fare un bagno caldo, e qui mi è capitata una cosa incredibile. Mentre ero immerso nella vasca ho girato la testa per guardare la sedia su cui avevo appoggiato i miei vestiti. Sulla sedia sedeva "G"» (l'amico dell'università), «e mi stava guardando. Immediatamente l'apparizione, o cos'altro fosse, scomparve». (Il fatto che Lord Brougham abbia lasciato l'amico nell'anonimo è deplorevole. Ma simili debolezze erano tipiche di quel periodo.)
Questo brano del diario portava la data del 19 dicembre. In seguito Lord Brougham scriveva:
«Poco dopo il mio rientro a Edimburgo mi è giunta una lettera dall'India che annunciava la morte del mio amico, avvenuta il 19 dicembre».
Tra le cose che Lord Brougham scrisse il 19 dicembre sul diario c'è una frase che merita una certa considerazione: «Quando eravamo all'università, il mio amico e io abbiamo fatto il folle patto, firmato con il nostro sangue, che il primo di noi a morire sarebbe apparso all'altro».

Il dottor Vincenzo Caltagirone, medico di Palermo, notoriamente agnostico, si trovava con l'amico e paziente Beniamino Sirchia, statista italiano. Era il maggio 1910. La discussione tra i due amici verteva sulle storie di spiriti. Sirchia suggerì, scherzando, che avrebbe potuto ritornare dopo morto a dire come stavano le cose, e il dottor Caltagirone rispose: «Allora vieni a manifestare la tua presenza rompendo qualcosa di questa stanza... per esempio, il paralume di vetro della lampada a gas che c'è sopra il tavolo» (si trovavano in quel momento in sala da pranzo).
Sirchia disse che così avrebbe fatto. Pochi giorni dopo lo statista partì per una lontana regione, e morì improvvisamente il novembre successivo. Il dottor Caltagirone non venne a sapere della morte dell'amico, e aveva da molto tempo dimenticato la scherzosa conversazione e lo strano patto.
Due giorni dopo la morte di Sirchia, qualcosa cominciò a battere contro il vetro della lampada a gas sul tavolo della sala da pranzo. Il dottor Caltagirone e la sorella cercarono di scoprire cosa potesse essere. E salirono anche sul tavolo. Ma non trovarono una spiegazione possibile.
Per sei giorni qualcosa continuò a battere contro la lampada, e alla fine la campana di vetro si ruppe. I pezzi vennero «depositati» sul tavolo. Chi li vide giurò che non potevano essere caduti in quel modo. Qualcuno li aveva ordinatamente disposti sotto la lampada.
Al fatto venne dato grande risalto. Camille Flammarion pubblicò nel suo «La morte e i suoi misteri» ciò che il medesimo dottor Caltagirone gli disse.

Nell'alba nebbiosa di domenica 5 ottobre 1930, il dirigibile britannico R-101 precipitò in Francia nelle vicinanze di Beauvais. Nella improvvisa fiammata che si sollevò morirono il Comandante, tenente pilota H. C. Irwin, e i quarantacinque uomini dell'equipaggio.
Il giovedì, il 2 ottobre 1930, Harry Price aveva fissato per il 7 ottobre un appuntamento con la medium signora Eileen Garrett. La medium arrivò puntuale.
La signora Garrett, irlandese, e donna di cultura, non era una medium professionista. La si conosceva particolarmente per le ricerche che svolgeva con il dottor J. B. Rhine alla Duke University. Oggi dirige la rivista americana «Tomorrow». La rivista tratta materie di interesse generale, e solo occasionalmente pubblica articoli sul supernormale.
Il dottor Harry Price è un eminente scienziato e psichiatra, sulla cui serietà non c'è niente da eccepire.
Quel 7 ottobre, nel laboratorio di Price, la signora Garrett cadde in trance, e quasi all'istante un aviatore adirato cominciò a parlare per bocca sua, e dichiarò di essere il tenente pilota Irwin, Comandante dell'R-101.
Il tenente Irwin discusse la tragedia e dichiarò: «Sollevamento insufficiente e mal calcolato. Massa del dirigibile troppo grande per la potenza dei motori. A momenti scoperchiavamo le case di Achy. La formula del carburante è sbagliata».
Le inchieste ufficiali sul disastro confermarono la verità di queste affermazioni, e di molti altri dati precisati dal tenente Irwin. Achy, un piccolo villaggio, non appariva in nessun rapporto sul sinistro. Tuttavia era segnato sulla carta nautica usata dal tenente Irwin. Un abitante di Achy confermò che il dirigibile britannico mentre precipitava aveva sfiorato la punta del campanile.
Gli esperimenti con la composizione di carbone e idrogeno come carburante erano un segreto militare custodito gelosamente.
Una persona sapeva sicuramente tutti i fatti riferiti dalla signora Garrett, ma quella persona era morta in un'esplosione di fiamme nella tragedia del1'R-101.

FINE