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Urania - Racconti d'appendice
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PER ACQUA - Algernon Blackwood
Titolo originale: By water

La sera prima che il giovane Larsen partisse per l'Egitto per assumere il suo nuovo incarico andò da una chiaroveggente. Ci credeva e non ci credeva; non provava alcun interesse particolare perché conosceva già il suo passato e non gli interessava conoscere il futuro.
- Giusto per farmi piacere, Jim - insistè la ragazza. - È davvero straordinaria. Non erano passati neanche cinque minuti dacché ero con lei che mi diceva le iniziali del tuo nome. Così deve possedere un qualche potere.
- Ti legge nel pensiero - le disse lui sorridendo con indulgenza. - So farlo anch'io! - Ma la ragazza parlava sul serio e lui si arrese; quella sera andò alla sua cena di addio e le fece il resoconto del suo incontro con la chiaroveggente.
Il risultato fu scarso e poco convincente: gli stava per arrivare del denaro, avrebbe fatto presto un viaggio, e... non si sarebbe mai sposato.
- Vedi quante sciocchezze - le disse sorridendo, perché si sarebbero sposati alla sua prima promozione. Comunque, le fornì tutti i dettagli facendole un piccolo riassunto della faccenda nel modo che a lei piaceva.
- Ma questo è tutto, Jim? - gli chiese la ragazza fissandolo in volto. - Non mi stai nascondendo qualcosa?
Egli esitò un istante e quindi continuò, scoppiando a ridere: - Ci sarebbe qualcos'altro - confessò - ma tu prendi tutto così sul serio; io...
Doveva dirglielo, naturalmente. La donna gli aveva raccontato un sacco di sciocchezze circa gli elementi propizi e non.
- Dice che l'acqua non mi è propizia; che devo stare molto attento all'acqua, altrimenti mi danneggerà. Devo guardarmi solo dall'acqua dolce - si affrettò ad aggiungere, rendendosi conto che la ragazza stava pensando al suo viaggio in nave e a un possibile naufragio.
- Annegamento? - gli chiese a bruciapelo.
- Sì - ammise Larsen con riluttanza, ma continuando a sorridere - diceva proprio annegamento, ma non nel solito modo.
La ragazza si agitò a disagio. - Ma cosa significa "non nel solito modo"? - Trattenne il respiro per un attimo.
Ma questo non poteva dirglielo perché lui stesso non lo sapeva. Gli riferì pertanto le esatte parole della donna: «Annegherai, ma non saprai di annegare».
Era stato poco saggio da parte sua. In seguito desiderò non averle riferito quel particolare, essendo lei impressionabile e credendo a simili cose.
- In ogni modo, sarò al sicuro in Egitto. Sarò fortunato se nel deserto troverò tanta acqua da farmi male!
E per tutto il tragitto da Trieste ad Alessandria ricordò la promessa che la ragazza gli aveva estorto: che non sarebbe mai andato sul Nilo a meno che non glielo imponesse il lavoro. Mantenne la promessa da quell'anima fedele e priva di immaginazione che era, affrontando di buon grado gli occasionali sacrifici che l'amore gli imponeva. A parte il Nilo, praticamente in Egitto non c'era altra acqua dolce, e in ogni modo la ditta per cui lavorava, che si occupava dell'estrazione del natron (ovvero del carbonato di sodio) aveva i suoi uffici a qualche distanza dal fiume, in pieno deserto. Il Nilo, con le sue verdi e fresche rive, non era neanche visibile.

I mesi passarono in fretta e si avvicinava il tempo di far ritorno in patria. Nel lungo intervallo la fortuna aveva giocato buone carte per lui, s'erano liberati alcuni posti, una promozione sembrava imminente, e le lettere di Larsen erano piene di progetti circa l'andare a vivere con la ragazza in una casa di loro proprietà. La sua salute, tuttavia, non migliorò: il clima secco non faceva per lui; anche in quel breve lasso di tempo aveva continuato a dimagrire, il suo sangue non ne aveva tratto giovamento, il suo sistema nervoso ne aveva risentito e, a dispetto delle previsioni del suo medico, l'aria secca non aveva favorito il sonno.
Un clima umido sarebbe stato molto più indicato per la sua salute. Ma le sue lettere non accennavano a tutto questo. Le parlava della sua vita, del lavoro, dello sport, della gente simpatica che aveva conosciuto, delle sue chance di avere un aumento di paga e dunque del matrimonio che si profilava all'orizzonte. E una settimana prima di partire andò a ispezionare gli ultimi scavi che la sua compagnia stava effettuando una ventina di miglia nel deserto oltre El-Chobak in prossimità delle colline di calcare di Guebel Haidi; ci andò da solo, portandosi il tè e la colazione, perché quel giorno era venerdì e gli uomini non lavoravano. Era a cavallo.
L'incidente fu abbastanza comune. Sulla via del ritorno, nella calura del primo pomeriggio, il suo cavallo inciampò in un macigno sepolto nell'infida pista del deserto, lo scagliò a terra, ruppe il sottopancia della sella e scappò via prima che lui potesse riafferrare le briglie, lasciandolo a piedi a una dozzina di miglia da casa. Gli faceva molto male un ginocchio e camminava con difficoltà, sentiva un ronzio in testa che gli rendeva difficile vederci bene e, cosa ancor più grave, la scorta d'acqua e di cibo, assicurata alla sella, era scomparsa con il cavallo in quelle sconfinate distese di sabbia. Era solo nel deserto, sotto l'implacabile sole meridiano, a dodici miglia di estenuante cammino dalla salvezza.
In condizioni normali avrebbe coperto quella distanza in quattro ore, giungendo a casa sul far della sera; ma il ginocchio gli doleva molto e il massimo che avrebbe potuto fare era un miglio all'ora. Rifletté per qualche minuto. La cosa più saggia da fare era sedersi e aspettare, finché, vedendo tornare il cavallo solo, sarebbero venuti a cercarlo. Così fece, perché il calore bruciante e il riverbero accecante erano pericolosi; erano terribili; era ancora scosso e stordito dalla caduta, affamato e debole; e trascinarsi penosamente per ore sulla pista indurita e cotta dal sole lo avrebbe portato a una prostrazione e a uno sfinimento completi. Perciò si sedette massaggiandosi il ginocchio dolorante. Era una piccola avventura quella che gli era appena capitata e, sebbene sapesse che il deserto non andava preso sottogamba, al momento la avvertì come tale, pregustando la descrizione che ne avrebbe data nella prossima lettera o, pensiero inebriante, a viva voce fra qualche settimana. La vampa del sole cominciò a causargli una lieve sonnolenza; era esausto; si sentì preda di un dolce torpore cui non oppose resistenza, addormentandosi.
Fu un lungo sonno senza sogni e quando finalmente si svegliò il sole era appena tramontato e l'oscurità scendeva terribile sullo smisurato deserto; l'aria andava facendosi più fredda. Ed era stato proprio il freddo a svegliarlo. In breve l'ultimo bagliore rosso scomparve all'orizzonte e cominciarono a brillare le prime stelle; era buio ormai. Il cielo era color viola scuro. Si guardò intorno rendendosi conto che aveva perduto completamente il senso dell'orientamento. Aveva molta fame. Il freddo si fece più pungente, essendosi alzato il vento, ma gli parve che il dolore al ginocchio fosse diminuito, così si alzò e camminò per un breve tratto, e dopo pochi passi perse di vista il posto dove era stato sbalzato di sella e aveva dormito per ore. Il deserto notturno lo aveva già ingoiato. Ah, disse fra sé e sé, questo non è un campo né la brughiera inglese. Sono nel deserto! La cosa migliore da fare era restare esattamente dove si trovava; soltanto così l'avrebbero ritrovato; se avesse continuato a camminare si sarebbe perduto del tutto. Ma era strano che non fosse ancora venuto nessuno a cercarlo. Per star caldo, d'altra parte, era costretto a muoversi: così fece un monticello di pietre per marcare il posto e cominciò a girargli attorno; il diametro del cerchio che compiva era d'una dozzina di metri. Camminava zoppicando malamente, mentre la fame lo tormentava; ma, dopo tutto, non era poi un'avventura tanto terribile. Lo colpì il lato buffo della sua situazione. Sebbene di corporatura fragile, non aveva uno spirito eccessivamente timido o fantasioso; avrebbe potuto resistere per tutta la notte, o, al peggio, per tutto il giorno seguente. Ma quando guardò il piccolo mucchio di pietre, si accorse che ce n'erano a dozzine, a centinaia, a migliaia tutte uguali; la superficie del deserto ne era cosparsa. Dopo cinque minuti non riuscì più a riconoscere quello che aveva ammucchiato lui. Così sedette di nuovo.
Ma il freddo pungente e il vento di cui avvertiva la gelida carezza sotto gli abiti leggeri lo costrinsero ben presto a ricominciare a camminare. Era una notte spaventosa, senza neanche un buco dove rifugiarsi. E anche il luccichio delle stelle dello zodiaco che avevano brillato per ore nel cielo occidentale era scomparso; non avrebbe potuto orientarsi con le stelle né con nessun altro mezzo nell'oscurità del deserto sempre uguale. Il vento soffiava e gemeva fra le dune sabbiose; il vasto deserto si stendeva per ogni dove sul mondo; udì il grido pauroso degli sciacalli.
E allora si rese conto improvvisamente che la sua non era affatto un'avventura divertente e, messo alle strette, fu costretto a fronteggiare la squallida e buia realtà che lo circondava. Si era perduto. Quel pensiero lo raggelò. - Devo stare calmo e pensare - disse a voce alta.
La sua voce non svegliò alcuna eco, era ben piccola cosa nell'immensità del deserto e fu subito inghiottita da qualcosa di gigantesco. Si rialzò e ricominciò a camminare. Perché non veniva nessuno? Erano passate molte ore. Il cavallo doveva aver fatto ritorno alla stalla da un pezzo, oppure... aveva corso follemente in un'altra direzione? Esaminò diverse ipotesi. Aveva sempre più freddo e il caldo di alcune ore prima sembrava un sogno. Non avvezzo alle privazioni e alle avversità non sapeva cosa fare, ma si tolse giacca e camicia frizionandosi vigorosamente la pelle e agitando le braccia come un vetturino di Londra, quindi si rivestì in fretta. Sebbene il vento gli soffiasse sulle spalle nude, sentì un po' più di calore. Esausto, si lasciò cadere a terra al riparo di un macigno di calcare appisolandosi di quando in quando mentre il vento gli soffiava in faccia la sabbia. Aveva in continuazione davanti agli occhi un viso e dei cari lineamenti; due mani morbide lo accarezzavano e nell'aria sentiva un certo profumo. Era abbastanza naturale. Perché nella sua ben misera situazione il pensiero gli era corso all'Inghilterra e alla donna amata, l'Inghilterra dove c'era soffice erba fresca, grandi alberi, siepi ombrose di agrifoglio, mentre il duro e nero deserto lo imprigionava, e la sua coscienza a intervalli dileguava sotto quell'impietoso e arido cielo d'Egitto.

Fu verso le cinque del mattino che udì una voce, sobbalzando, e quella voce apparteneva alla chiaroveggente. Le frasi si persero nell'oscurità ma una parola rimase: acquai Dapprima si meravigliò ma poi trovò una spiegazione. Causa ed effetto erano ovvi. Era a causa del suo corpo che aveva bisogno di acqua, da ciò quell'allucinazione. Aveva sete.
Fu allora che per la prima volta ebbe davvero paura. Era certo che avrebbe potuto sopportare la fame ancora per un giorno o due, ma la sete! Sete e deserto costituivano un'accoppiata maligna che, per suggestioni risalenti ancora all'infanzia, provocava il terrore. Una volta che il pensiero aveva messo radici nella mente non era più possibile cacciarlo. A dispetto dei suoi sforzi, quel pensiero crebbe smisuratamente e la sete con esso. Aveva fumato molto e fatto colazione il giorno prima con cibi conditi con spezie piccanti, aveva respirato l'aria secca, ardente del terreno alcalino. Cercò una petruzza fredda di silice da mettersi nella bocca infuocata; non c'erano ciottoli lì, ma soltanto macigni di calcare. Il freddo lo aiutava a sopportare la sete, ma temeva già nel suo subconscio quello che sarebbe successo. Di che si trattava? Cercò di scacciare quel pensiero. L'assoluta futilità delle sue deboli forze contro quelle dell'universo lo annichilì. E poi seppe. Era il sole di cui temeva la venuta. L'implacabile sole nel suo eterno cammino stava già per sorgere.
Il suo ritorno era come il presagio di un'esecuzione.
E venne. Con autentico orrore scrutò la meravigliosa alba sul mare di sabbia. Il cielo occidentale s'accese di improvvisi fuochi cremisi. Creste e dirupi, invisibili alla luce delle stelle, si stagliarono neri contro l'orizzonte, assieme alle dune, simili a cavalloni gelati di un mare di ghiaccio. Poi si disegnarono lunghe striature gialle e blu mentre il cielo copriva di grandi drappi color malva le alture corrose dal vento. Non si mossero, attesero che il sole fosse alto e allora si spostarono disegnate nitidamente dalla luce in cui sembravano fluttuare gettando lunghe ombre.
Ma entro un'ora non ci sarebbe stata più ombra.
I piccoli mucchi di pietre cominciarono a danzare. Era orribile. E tutt'intorno aveva la sconfinata distesa di sabbia, che nelle prossime dodici ore si sarebbe trasformata in un inferno. Di già il mostruoso deserto avvampava di luce abbagliante uniforme e uguale, ogni angolo di esso uguale al precedente e al successivo, a destra come a sinistra, e si faceva beffe di direzione e senso dell'orientamento. Si alzò e riprese a camminare; camminò per miglia sebbene non sapesse se era diretto a nord, a sud, a est o a ovest. La frenetica follia del deserto si stava impadronendo di lui, e si trascinava stancamente, passo dopo passo, per l'arida, sconfinata distesa del deserto assassino. Gli sembrava quasi una cosa viva, vi avvertiva il cieco desiderio di ridurlo allo stremo, senz'acqua. Sentiva, sebbene sapesse che era un effetto del delirio, che la sua piccola e insignificante vita non era altro che un punto sulla sua immensa superficie, un mucchietto di pietre e null'altro. Le sue emozioni, le sue paure, le sue speranze e le ambizioni, il suo amore non erano nient'altro che ciottoli danzanti nell'abbaglio solare.
Allora fece un coraggioso sforzo di volontà. - Una notte e un giorno - sorrise e le labbra gli si screpolarono dolorosamente sotto la tensione della pelle - cosa saranno mai? Molti hanno resistito per giorni e giorni...! - Già, solo che non faceva parte di quella eletta schiera. Era un uomo qualunque, non avvezzo alle privazioni, alla fatica, alla dura resistenza, e il suo spirito non era temprato. Non sapeva risparmiare le proprie energie. Il deserto giocava con lui come il gatto con il topo. Aveva la lingua gonfia; la gola riarsa non gli permetteva di deglutire. Si lasciò cadere sulla sabbia. Vi giacque per un'ora ed ebbe il buon senso di trascinarsi sulla sommità di un tumulo dove avrebbero potuto vederlo con più facilità. Vi rimase due, tre, quattro ore... e il calore era tale che gli sembrava di essere in una fornace. Il cielo, quando apriva gli occhi, era vuoto, poi intravide un puntolino nella distesa azzurra, e subito dopo un altro. Chissà da dove venivano. Fluttuavano altissimi, quasi invisibili. Apparivano, scomparivano, riapparivano.
Volavano librandosi in ampi cerchi, lontani ma sempre più vicini, gli avvoltoi...

Aveva teso l'orecchio per tanto tempo attento a ogni minimo suono di passi o di voci che gli sembrò di non riuscire più a udire nulla del tutto. Non ci sentiva più.
Poi cominciarono i sogni d'acqua, con la loro estenuante tortura. Sentiva che... sentiva scorrere l'acqua in limpidi ruscelli attraverso i verdi prati inglesi. Gorgogliava con suono argentino, lo udiva benissimo. Vi immerse mani, piedi, la testa, li immerse in chiare polle gorgoglianti. E bevve; beveva con la pelle, non solo con la bocca e con la gola. Deliziosa! Il ghiaccio tintinnava contro il vetro d'un bicchiere d'acqua. Si tuffò e nuotò nella fresca polla. L'acqua gli scorreva sulla schiena e le spalle, litri e litri, un flusso d'acqua fresca, limpida, cristallina, vitale... E poi si rizzò in piedi ai margini di un bosco mentre un acquazzone estivo si rovesciava su di lui, bagnandogli i capelli e la faccia; e ne sentiva lo scroscio su milioni di foglie assetate. I tronchi umidi luccicavano, il muschio bagnato esalava il suo profumo, le felci ondeggiavano nell'atmosfera umida di pioggia. Ne era inzuppato fino alle ossa. Un torrente di montagna, freschissimo per l'acqua del ghiacciaio, si frangeva contro i massi e la schiuma gli spruzzava le guance e i capelli. Vi tuffò la testa. Ah, dentro fino al collo... e lei gli era vicino; erano insieme sott'acqua socchiudendo gli occhi vide i suoi attraverso il flusso copioso del liquido vitale.
La voce, però, non era la sua: "Annegherai, ma non saprai di annegare!". La sua lingua gonfia articolò un nome. Ma dalla gola riarsa non uscì alcun suono. Chiuse gli occhi. Dolcemente sprofondò nell'oblio...
Qualche istante dopo udì un suono. Era una voce - più voci - e il tonfo di zoccoli d'animali sulla sabbia. Gli avvoltoi svanirono dal cielo altrettanto misteriosamente di com'erano apparsi. E, quasi in risposta al suono, egli fece un movimento, ma automatico, inconscio. Non sapeva di muoversi. E il corpo, non più controllato dalla mente conscia, perse il suo precario equilibrio. Rotolò sulla sabbia ma non sapeva di rotolare. Lentamente, oltre il bordo del tumulo dove stava scivolando, si volse su un fianco, poi sull'altro, e continuò a rotolare su se stesso senza che nulla lo fermasse, fino al fondo. C'era una polla d'acqua, ma egli non la vide e non sapeva che ci fosse.
Lo trovarono in una pozza d'acqua, una di quelle rare risorgive del deserto, preziose per i beduini. Era rimasto disteso per ore a non più di tre metri da essa. Era annegato... ma senza sapere di annegare.

FINE