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Urania - Asimov d'appendice
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LA CHIMICA DEL VUOTO - Isaac Asimov
Titolo originale: Chemical of the void

L'anno scorso partecipai, assieme alla mia cara moglie Janet, al banchetto annuale dei "giallisti" d'America, durante il quale vengono assegnati i premi per la narrativa del settore. Abbiamo un atteggiamento un po' romantico nei confronti di questa cerimonia, perché, ventisei anni fa, ci conoscemmo proprio a uno di tali banchetti.
In ogni caso, mi era stato chiesto di consegnare l'Edgar per il miglior romanzo poliziesco dell'anno. Poiché l'Edgar era il premio più ambito, veniva consegnato per ultimo, così sedemmo pazientemente per tutta la durata della cerimonia, mentre una decina di oratori si alternavano sul podio cercando di essere più spiritosi e divertenti che mai.
Janet cominciò a sentirsi in ansia. Sapeva che l'occasione che mi si offriva, di consegnare un Edgar particolarmente importante, mi lasciava giusto un tantino freddo, in quanto l'associazione non mi aveva mai nemmeno candidato al premio. Era sicura che mentre ascoltavo tutte quelle battute e dimostrazioni di abilità oratoria stessi studiando il modo e il mezzo per superare tutti quanti.
Così si protese verso di me e disse: - Isaac, è tutta la sera che quei poveri candidati al premio per il miglior romanzo sono in preda ad una terribile tensione. Non farla lunga. Nomina solo i cinque titoli e gli autori e poi leggi chi è il vincitore.
- Sì, cara - dissi (sono un marito straordinariamente educato). - Annuncerò solo i candidati ed il vincitore.
Poi arrivò il momento ed io, saltando sul podio con il mio solito fare giovanile, lessi una frase contenuta nella lettera formale che mi avevano spedito per spiegarmi come dovessi comportarmi in occasione della consegna del premio. La lettera avvertiva che alcuni dei nomi sarebbero stati molto difficili da pronunciare e che se avessi avuto qualche problema avrei dovuto chiamare la sede dell'associazione, dove mi avrebbero insegnato la corretta pronuncia.
Ripiegai quindi la lettera, la infilai in tasca, dissi che ero fiero che la società americana fosse multi-etnica e pluralistica e che non mi sarei mai sognato di chiedere aiuto. Avrei pronunciato tutti i nomi difficili meglio che potevo, se il pubblico avesse portato pazienza.
Poi guardai l'elenco dei cinque candidati, che per caso, per la più pura delle coincidenze, comprendeva solo nomi semplicissimi, di chiara origine anglosassone. Lessi tutti i titoli dei libri, poi esitai davanti ai nomi degli autori, li scrutai ansiosamente, quindi li pronunciai a poco a poco con una certa difficoltà, mentre a ogni sforzo venivo ricompensato da uno scroscio di risate. Quando ebbi finito, allungai la mano verso la busta che conteneva il nome del vincitore, dissi mesto che probabilmente conteneva il nome più complicato di tutti e che mi sarebbe così toccato pronunciarlo una seconda volta. Infatti il vincitore era Ross Thomas, un nome che pronunciai con grande difficoltà. Strappai al pubblico la sesta e più scrosciante risata e tornai al mio posto.
- Ho soltanto letto i nomi, cara - dissi a Janet.
Per fortuna, quando scrivo questi articoli, non c'e al mio fianco nessuno che mi inciti ad essere stringato, per cui adesso riprenderò con tutta tranquillità dal punto in cui ero rimasto nell'articolo della volta scorsa.

La volta scorsa ho parlato del vuoto, degli spazi quasi vuoti che si trovano nelle immediate vicinanze di grandi corpi celesti. Secondo i parametri terrestri, il vuoto è appunto vuoto e non contiene niente, ma non niente del tutto. Contiene, qui e là, tenui nubi di polvere e gas. Persino il vuoto più spinto, lo spazio lontanissimo da qualsiasi stella, deve contenere atomi sparsi di qualche tipo...
Il problema è: di quale tipo?
C'è un modo per analizzare un vuoto quasi totale che si trovi ad enorme distanza e per chiarire la natura della materia assai rarefatta che contiene?
Un abbozzo di risposta arrivò nel 1904. Un astronomo tedesco, Johannes Franz Hartmann (1865-1936), stava studiando le righe spettrali di una stella binaria, Delta Orionis. Le due stelle del sistema binario erano troppo vicine perché con il telescopio le si potessero vedere come oggetti separati, ma nel moto di rivoluzione reciproco una si allontanava da noi mentre l'altra si avvicinava, poi questa si allontanava mentre la gemella si avvicinava.
Entrambe le stelle avevano righe spettrali, quando una si allontanava e l'altra si avvicinava, una serie di righe si spostava verso il rosso dello spettro, mentre l'altra si spostava verso il viola. Quando le stelle invertivano il loro movimento, altrettanto facevano le righe spettrali. In altre parole, le righe spettrali del sistema binario diventavano doppie quando le due stelle giravano l'una intorno all'altra, poi si univano quando una stella eclissava l'altra, quindi tornavano doppie nella direzione opposta, e questo più e più volte.
Ma Hartmann notò che una particolare riga non si spostava. Era quella che rappresentava gli atomi di un elemento: il calcio. Il calcio non può far parte né dell'una né dall'altra stella, perché entrambe si muovono. Deve appartenere a qualcosa di fisso rispetto alle stelle, e quel qualcosa dev'essere costituito dai lievi fili di gas interstellare che si trovano tra le stelle e la Terra. Questi pennacchi sono estremamente tenui, ma negli anni luce che separano la binaria da noi gli atomi diventano sempre più numerosi, e la luce delle stelle ne incontra abbastanza, lungo la strada, da far sì che la lunghezza d'onda del calcio sia assorbita in modo rilevabile dagli strumenti. Hartmann aveva insomma scoperto che il calcio era tra i componenti del gas interstellare.
Naturalmente quest'idea non fu accettata subito. Erano state compiute altre analisi, con risultati contraddittori, ed erano state formulate le più disparate teorie in contrasto tra loro. Soltanto nel 1926 il lavoro dell'astronomo inglese Arthur Stanley Eddington (1882-1944) dimostrò in maniera convincente che l'ipotesi del gas interstellare fosse corretta. A quell'epoca erano stati individuati nel gas interstellare anche altri tipi di atomi, come quelli del sodio, del potassio e del titanio.
Questi metalli sono relativamente comuni sulla Terra e, presumibilmente, nell'universo in genere. Ormai si sapeva, però, che l'idrogeno è l'elemento di gran lunga predominante nell'universo e si pensava che dovesse essere predominante anche nel gas interstellare. Circa il 90% di tutti gli atomi dell'universo è costituito da atomi di idrogeno, ed il 9% da atomi di elio. Tutto il resto messo assieme rappresenta al massimo solo l'1% circa. Che senso ha che si individuino i costituenti minori e non quelli che sono in maggioranza schiacciante?
La risposta è semplice. Succede che atomi come quelli del calcio assorbano in misura notevole certe lunghezze d'onda di luce visibile, mentre l'idrogeno e l'elio no. Perciò, quando si studia lo spettro della luce visibile, si individuano nel vuoto le righe scure del calcio e di altri atomi del genere, mentre, nel caso dell'idrogeno e dell'elio, non si riesce a vedere niente.
Solo in una particolare condizione l'idrogeno diventa visibile. L'atomo di idrogeno è composto da un nucleo dotato di una carica positiva che viene annullata dalla carica negativa del singolo elettrone alla periferia dell'atomo. Il nucleo e l'elettrone insieme costituiscono un "atomo di idrogeno neutro". Se c'è però una stella molto calda nelle vicinanze, la radiazione energetica che essa emana sottrae l'elettrone al nucleo, lasciando dietro di sé un "idrogenione". Ogni tanto l'idrogenione si ricombina con l'elettrone, cedendo la quantità di energia che era occorsa per separarli, e tale quantità può essere individuata.
Queste emissioni di idrogenioni furono notate nelle nebulose brillanti e servirono anche a studiare le giovani stelle calde di cui abbondavano i bracci di spirale delle galassie, dato che le intense radiazioni di queste stelle producevano considerevoli quantità di idrogeno ionizzato rilevabili per vari anni luce intorno ad esse. Nel 1951 l'astronomo americano William Wilson Morgan (1906) riuscì a rappresentare sulla carta le curve di idrogeno ionizzato che delimitavano i bracci di spirale della nostra galassia, in uno dei quali si trova il nostro Sole. Si era già ipotizzato che la nostra galassia avesse una struttura a spirale, ma quella era la prima prova diretta a suffragio della teoria.
Gli idrogenioni, però, furono trovati solo in certi punti della galassia. Quest'ultima era composta soprattutto da stelle piccole e poco luminose. Lo spazio fra tali stelle consisteva di un sottile gas formato da atomi di idrogeno neutri, che risultavano invisibili per quanto concerneva gli spettri di luce normali. Tuttavia, proprio mentre ci si serviva dell'idrogeno ionizzato per rappresentare sulla carta i bracci di spirale della galassia, la situazione cambiò per quel che riguardava gli atomi di idrogeno neutri.
Nel 1940 l'esercito tedesco aveva occupato i Paesi Bassi, che erano finiti così sotto l'ombra tenebrosa della tirannia nazista. La normale ricerca astronomica diventò impossibile, ed un giovane astronomo olandese, Hendrikk Christoffell Van de Hulst (1918) fu costretto a cercare di combinare qualcosa usando solo carta e penna.
L'atomo di idrogeno neutro può esistere in due forme. In una l'elettrone ed il nucleo ruotano nella stessa direzione, nell'altra in direzioni opposte. Le due forme hanno un contenuto di energia leggermente diverso. Può capitare che un fotone vagante di luce stellare sia assorbito dalla forma contenente meno energia, la quale si trasforma allora nella forma contenente più energia. Quest'ultima prima o poi si converte nell'altra e cede l'energia che ha assorbito.
Nel 1944 Van de Hulst dimostrò che l'energia veniva ceduta in forma di fotone di microonde con lunghezza d'onda di 21 centimetri (un fotone, cioè, che aveva circa un 40 milionesimo dell'energia della luce visibile). In media, i singoli atomi di idrogeno emetterebbero la lunghezza d'onda di 21 centimetri solo ogni milione di anni, ma nello spazio extra-atmosferico ci sono in complesso così tanti atomi di idrogeno, che in qualsiasi momento dato moltissimi di essi cedono questi fotoni di microonde, i quali potrebbero, in teoria, essere individuati.
Prima della seconda guerra mondiale, però, mancavano gli strumenti per individuare fotoni così deboli.
Ma negli anni di poco precedenti la guerra fu inventato il radar, e durante il conflitto le ricerche in questo campo furono intensissime. Si dà il caso che il radar funzioni con raggi di microonde, e verso la fine della guerra furono elaborate molte tecniche di rivelazione delle microonde. La radioastronomia era diventata una realtà.
Usando le nuove tecniche, l'astronomo americano Edward Mills Purcell (1912) individuò nel 1951 la radiazione di 21 centimetri. Così diventava possibile studiare il freddo idrogeno interstellare e raccogliere quindi moltissime informazioni sulla galassia.
Si potevano inoltre utilizzare le nuove tecniche della radioastronomia per scoprire altri componenti del gas interstellare.
Per esempio, il nucleo a una sola carica del normale atomo di idrogeno è composto da un protone e nient'altro. Vi sono però alcuni atomi di idrogeno il cui nucleo è costituito da un protone e un neutrone. Tale nucleo ha ancora un'unica carica positiva, ma è due volte più pesante del comune nucleo di idrogeno. Questo atomo di idrogeno più pesante è chiamato di solito "deuterio".
Il deuterio, come l'idrogeno normale, ha due stati d'energia, e nel passare da quello a maggior contenuto energetico a quello a minor contenuto energetico emette un fotone di microonde con lunghezza d'onda di 91 centimetri. Questa radiazione fu individuata da astronomi americani all'università di Chicago nel 1966, e adesso sappiamo che circa il 5% dell'idrogeno interstellare è in forma di deuterio. Quello stesso anno, un astronomo sovietico individuò le caratteristiche microonde emesse dall'atomo di elio.
I dodici atomi che si trovano più facilmente nell'universo (e, quindi, nel gas interstellare) sono, in ordine decrescente di abbondanza, l'idrogeno (H), l'elio (He), l'ossigeno (O), il neon (Ne), l'azoto (N), il carbonio (C), il silicio (Si), il magnesio (Mg), il ferro (Fe), lo zolfo (S), l'argo (Ar) e l'alluminio (Al).
Come ho detto in precedenza, l'idrogeno e l'elio messi assieme costituiscono il 99% degli atomi dell'universo. Se prescindiamo da questi, i restanti dieci elementi elencati rappresentano più del 99,5% di tutti gli altri atomi. In breve, meno di uno su 20 mila atomi dell'universo è di un tipo diverso da quelli riportati nella lista. Quindi possiamo non tenerne conto, nelle riflessioni che seguono.
Proviamo a chiederci se gli atomi del gas interstellare possano esistere, là nello spazio, in una forma che non sia quella di singoli atomi. Possono, due o più atomi, combinarsi per formare una molecola?
Per combinarsi devono prima collidere, e nel vuoto interstellare i singoli atomi sono così lontani, che la collisione si verifica solo molto raramente. Tuttavia le collisioni di fatto avvengono, e poiché l'universo, così com'è, esiste da più o meno 10-14 miliardi di anni, ci saranno state nel corso del tempo molte, molte collisioni e si saranno formate molte molecole. Certo le molecole, una volta formatesi, devono resistere a ulteriori collisioni con radiazioni e particelle energetiche che tenderebbero a disgregarle di nuovo, ma tra formazione e disgregazione dovrebbe esserci un equilibrio tale, da permettere che nello spazio esista in qualsivoglia momento un certo numero di molecole.
E che tipo di molecole sarebbero? Possiamo innanzitutto eliminare tutti gli atomi che non appartengono al mio elenco di dodici: sarebbero infatti troppo pochi per partecipare alla creazione di molecole in concentrazioni tali da essere individuabili. Dei dodici elencati possiamo tralasciarne tre, dato che gli atomi di elio, neon ed argo non si combinano con altri atomi in nessuna delle condizioni a noi note.
Quanto al silicio, al magnesio, al ferro e all'alluminio, è improbabile che formino piccole molecole; tendono piuttosto a diventare sempre più numerosi ed a formare particelle di polvere con altri atomi, come quelli di ossigeno.
Queste particelle di polvere rappresentano solo l'1% circa della massa del gas interstellare, ma la loro presenza si nota bene. I singoli atomi e le piccole molecole di gas interstellare non assorbono grandi quantità di luce solare, per cui lo spazio extra-atmosferico, è in genere, trasparente.
La polvere invece assorbe molto la luce solare. Una massa di polvere assorbe 100 mila volte più luce stellare di un'equivalente massa di gas. Le stelle che si trovano dietro (relativamente alla Terra) quelle zone di spazio dove la polvere interstellare è moderatamente abbondante, appaiono più scure e più rosse. Se la polvere è abbastanza abbondante, le stelle vengono nascoste completamente e abbiamo le "nebulose oscure" che ho menzionato nell'articolo della volta scorsa (Nello spazio si trovano atomi come quelli che di solito compongono le particelle di polvere, che o non si sono ancora legati alle particelle, o si sono staccati da esse. Questi atomi spiegano righe spettrali come quelle individuate per la prima volta da Hartmann).
Se pensiamo dunque a molecole vere e non a particelle di polvere, dobbiamo prendere in considerazione solo cinque tipi di atomi: idrogeno, ossigeno, azoto, carbonio e zolfo, in tale ordine decrescente di abbondanza.
Le combinazioni di questi atomi esistono in quantità individuabili? La risposta è "sì", perché alcune combinazioni in effetti emettono delle radiazioni nella regione di luce visibile quando perdono energia assorbita, e queste combinazioni furono individuate dai norma gli strumenti spettroscopici fin dal 1941. Tre combinazioni di questo tipo sono quella carbonio-azoto, il cianuro (CN), quella carbonio-idrogeno, il metino (CH), e il metino con un elettrone mancante (CH+).
Queste tre combinazioni non possono esistere sulla Terra. Potrebbero formarsi, naturalmente, ma sarebbero molto attive e ben presto si unirebbero ad altri atomi o molecole dell'ambiente per creare molecole più complesse e più stabili. Nel gas interstellare però vi sono così poche collisioni, che queste combinazioni instabili continuano per forza a esistere almeno per un certo tempo.
Non ci sono altre probabili combinazioni di molecole adatte ad emettere radiazioni nella regione della luce visibile, così per un po' parve che gli astronomi non potessero scoprire altro. Nel 1953, però, l'astronomo sovietico Iosif Samuilovich Shklovskij (1916-1985) osservò che gli atomi di ossigeno erano più comuni di quelli di carbonio ed azoto, sicché la combinazione ossigeno-idrogeno, l'idrossile (OH), era sicuramente più comune del cianuro o del metino. Anche l'idrossile era instabile e non poteva esistere per lungo tempo sulla Terra, ma nei tenui pennacchi di gas dello spazio interstellare sì. Tuttavia non avrebbe ceduto luce visibile, bensì fotoni di microonde.
I calcoli dimostravano che l'idrossile cedeva quattro diverse e caratteristiche lunghezze d'onda di microonde, che rappresentavano, per così dire, le sue "impronte digitali". Nell'ottobre del 1963 fu individuata l'impronta digitale dell'idrossile e gli astronomi quindi ebbero in mano la chiave per compiere ulteriori identificazioni.
Per esempio, dato che l'idrogeno è di gran lunga il più comune dei componenti del gas interstellare, si può prevedere che in circa il 99,8% delle collisioni casuali siano coinvolti due atomi di idrogeno. Ciò significa che una combinazione idrogeno-idrogeno, la molecola di idrogeno (HH, o H2), dovrebbe essere la molecola più comune nello spazio. Nel 1970, le caratteristiche microonde irradiate dalla molecola di idrogeno furono individuate nelle nubi di gas interstellare.
Al momento attuale sono state individuate nello spazio tredici diverse combinazioni di due atomi. Esse sono HH, CO, CH+, CN, CS, CC, OH, NO, NS, SO SiO e SiS. Nelle ultime due è coinvolto l'atomo di silicio, e potrebbe trattarsi dì iniziali particelle di polvere. Notate anche che in sei delle tredici è coinvolto l'atomo di carbonio.
A metà degli anni Sessanta gli astronomi non pensavano certo di individuare nello spazio combinazioni contenenti tre o più atomi. Erano sicuri che per un occasionale colpo di fortuna una combinazione di due atomi si potesse unire ad un atomo di idrogeno, o (meno probabilmente) a qualche altro tipo di atomo, o (ipotesi meno probabile di tutte) ad un'altra combinazione di due atomi. Tuttavia pareva che perfino nelle nubi di gas, dove la densità degli atomi era maggiore che nello spazio interstellare nel suo complesso, e dove era più probabile che avvenissero collisioni, difficilmente potessero formarsi in questo modo combinazioni di tre o più atomi.
Nel 1968, però, ci fu la grande sorpresa che portò una rivoluzione in questo campo e favorì la nascita della nuova scienza dell'"astrochimica". Nel novembre di quell'anno furono individuate delle microonde: le "impronte digitali" della molecola dell'acqua (H2O) e della molecola dell'ammoniaca (NH3). La molecola dell'acqua, come vedete, consiste di tre atomi, e quella dell'ammoniaca di quattro.
Tali molecole sono molto stabili e si trovano facilmente sui corpi planetari. La Terra ha interi oceani di acqua, ed i giganti gassosi hanno atmosfere ricche di ammoniaca. Il problema, però, è come queste complesse molecole abbiano potuto formarsi in quantità individuali nelle nubi di gas interstellare, dove è improbabile che le collisioni necessarie avvengano spesso.
Ormai nello spazio interstellare sono state individuate non meno di tredici diverse combinazioni di tre atomi, otto delle quali contengono un atomo di carbonio. Inoltre sono state scoperte nove combinazioni diverse di quattro atomi, Otto delle quali contengono un atomo di carbonio (la molecola di ammoniaca è l'unica che non lo contenga).
L'ultimo elenco che ho visto comprendeva ventiquattro combinazioni di più di quattro atomi, tutte quante contenenti atomi di carbonio. La più grande è una molecola di tredici atomi composta di una stringa di undici atomi di carbonio, con un atomo di idrogeno ad un'estremità ed un atomo di azoto all'altra estremità.
Più complesse sono queste molecole interstellari, più misterioso è l'enigma della loro formazione. Innanzitutto, più grande è la molecola, più è "malferma" e più è probabile quindi che venga disgregata da elettroni vaganti di luce stellare. Si ha l'impressione, però, che le particelle di polvere presenti nelle nubi di gas interstellare servano a proteggere le molecole in formazione e a permettere loro di continuare ad esistere.
Sono state avanzate varie ipotesi sulle diverse collisioni che potrebbero avvenire in condizioni diverse, e con calcoli basati su queste ipotesi sono stati stabiliti i tipi di molecole che si formano ed il loro numero. Nessuno dei calcoli è esatto, ma alcuni hanno una buona approssimazione. La conclusione generale è che la chimica interstellare è strana, a causa delle condizioni molto insolite (in confronto a quelle a cui siamo abituati), ma non è abnorme. Ossia le leggi chimiche e fisiche che vengono seguite durante il processo di formazione delle grandi molecole interstellari sono le stesse che vediamo in funzione sulla Terra.
È interessante che delle 59 diverse molecole individuate nello spazio, 46 contengano atomi di carbonio, comprese tutte le combinazioni formate da più di tre atomi, tranne una. Sembrerebbe che nello spazio extra-atmosferico, in condizioni di quasi vuoto e in una situazione estremamente diversa da quella riscontrabile sulla Terra, sia tuttavia sempre e soltanto sull'atomo di carbonio che si costruisce la complessità. Il che suffraga per esempio l'ipotesi che avanzai nel mio articolo The One and Only.
Pare che gli astronomi siano unanimamente convinti che le 59 diverse combinazioni di atomi finora individuate non siano tutte quelle esistenti. Di combinazioni potrebbero essercene centinaia o migliaia nelle nubi di gas, ma individuarle è un problema. È chiaro che più la molecola è complessa, più è interessante; ma meno sono le quantità che si formano e più è difficile individuarle.
È per esempio plausibile immaginare che, nascoste tra gli anni luce cubi di una nube di gas, vi possano essere qui e là tracce di semplici molecole di zucchero o di amminoacidi. Queste tracce, se sommate lungo l'intero, enorme volume, potrebbero ammontare a tonnellate e tonnellate, ma poiché sono così sparse forse non verranno scoperte nel futuro prossimo.
È assai importante capire esattamente come si siano formate le molecole che abbiamo già individuato. Se riusciremo ad elaborare un'ipotesi accettabile, potremo forse calcolare quali altri molecole più complesse si possano creare. E forse ci troveremo di fronte a realtà davvero sorprendenti.
L'astronomo inglese Fred Hoyle, per esempio, già sospetta che nelle nubi interstellari si possano formare molecole abbastanza complesse da possedere alcune delle proprietà della vita, anche se è praticamente l'unico a nutrire questa convinzione.
Tuttavia pare in effetti molto probabile che le nubi di gas interstellari siano importanti per la creazione della vita, anche se di per sé non contengono vita.
Il nostro sistema solare è nato per condensazione da una nube interstellare di polvere e gas, e anche se i solidi blocchi che componevano la Terra si saranno riscaldati a tal punto, nel processo, che i composti del carbonio complessi, se per caso ne esistevano saranno andati distrutti, la Terra primitiva forse era circondata da un sottile residuo di gas contenente varie molecole organiche. Per lo più questo gas fu probabilmente spazzato via dal primo vento solare, ma parte di esso forse penetrò nell'atmosfera iniziale della Terra e nell'oceano.
In altre parole, sbagliamo a cercare di far risalire l'origine della vita sulla Terra a materiale elementare, a molecole molto semplici? Forse la Terra cominciò da un certo numero di molecole più complesse, e fin dall'inizio era, almeno parzialmente, avviata lungo la strada della vita.
I più piccoli frammenti di materia del sistema solare forse conservano queste molecole originarie. Ci sono per esempio delle condriti carbonacee, un tipo di meteoriti, che contengono piccole quantità di amminoacidi e molecole simili a quelle dei grassi.
Anche le comete possono contenerne. Anzi, Fred Hoyle ritiene che le comete siano focolai di vita primitiva, e che in esse esistano addirittura molecole complesse come quelle dei virus. Ha perfino avanzato l'ipotesi che se una cometa ci sfiorasse, potrebbe venir depositato nell'atmosfera della Terra un tipo di virus patogeno dal quale gli esseri umani sarebbero in grado di difendersi ben poco, o addirittura niente.
Che sia questa l'origine delle improvvise pandemie che ogni tanto affliggono il nostro pianeta, come ad esempio la "morte nera" del quattordicesimo secolo? O, poiché sembra che la Terra sia passata attraverso la coda della cometa di Halley nel 1910, si potrebbe azzardare l'ipotesi che nell'atmosfera siano rimasti alcuni virus che alla fine si sarebbero riprodotti sino a provocare la grande epidemia di influenza del 1918.
Non credo minimamente a queste teorie, e mi risulta che nessuno scienziato approvi le speculazioni più azzardate di Hoyle, ma mi sorprende che nessuno ne abbia ancora tratto spunto per qualche storia di fantascienza.
O forse (visto che non riesco più a leggere tutti i racconti e romanzi di fantascienza che escono) c'è qualcuno che ha già sfruttato l'idea?

FINE