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Urania - Racconti d'appendice
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UOMINI E DINOSAURI - John Gribbin
Titolo originale: Base eight arithmetic, meteors and man

Perché la nostra aritmetica ha per base il numero dieci? Naturalmente perché abbiamo due mani, e perché ogni mano ha cinque dita. Non c'è niente di misterioso nell'aritmetica su base dieci e se, con un piccolo sforzo, immaginassimo una forma di vita intelligente provvista di quattro mani con tre dita ciascuno, sarebbe logico aspettarsi che questi esseri contino su una base dodici. A prima vista, supponendo che gli esseri intelligenti comincino col fare uso delle parti più comode dei loro arti per contare, sembrerebbe che le possibilità di diverse aritmetiche con base differente siano illimitate.
Ma quante di queste possibilità sono poi reali? Tanto per incominciare, sarebbe sensato avere quattro mani con tre dita ciascuna? In termini evolutivi probabilmente no, per lo meno per quanto riguarda la vita intelligente. La simmetria bilaterale, con gli arti sui due lati del corpo è evidentemente un riuscito ritrovato dell'evoluzione. Un paio di gambe per lato è quello che ci vuole per stare in piedi, e un numero di gambe dispari non potrebbe risultare utile in questo schema, anche se ci sono scimmie che hanno la coda prensile e se i canguri usano la coda come sostegno. Una volta che siano state «inventate» le gambe per stare in piedi e per andare a spasso, il successivo passo logico sulla strada dell'evoluzione sarà adattare alcuni di questi arti per manipolare gli oggetti. Questo significa, nel nostro caso, che un paio di gambe è stato adibito all'uso motorio, lasciando così due mani libere. In realtà dovremmo andar cauti con un'interpretazione di questo genere, visto che dopotutto i nostri cugini scimpanzé adoperano normalmente i loro «piedi» per afferrare oggetti e che, se fossero abbastanza intelligenti da inventare l'aritmetica, troverebbero normalissima una base di venti. Ma una manipolazione davvero accurata comporta che gli occhi, il cervello e la mani siano ben coordinati. E questa è la principale ragione per cui il cervello umano si è sviluppato, tanto più che una coordinazione simile funziona meglio con gli arti più vicini agli occhi, all'estremità anteriore (o superiore) del corpo.
C'è poi il principio detto di «minimo sforzo», secondo cui, in termini evolutivi, è vantaggioso operare il minimo adattamento necessario per ottenere i migliori risultati. Un paio di braccia in più potrebbe essere utile, a volte, ma tali vantaggi occasionali vengono controbilanciati dagli aspetti terreni della vita quotidiana, come il maggior bisogno di cibo per nutrire la braccia in più, o il rischio raddoppiato di fratturare un arto rimanendo invalidi. Quelli che siano le ragioni, tutte le specie esistenti sulla Terra che hanno sviluppato arti in grado di manipolare oggetti, comprese anche quelle specie provviste di sei o otto zampe, ne hanno usato per questo scopo un solo paio. I granchi possiedono due grandi tenaglie sul davanti, i canguri hanno due braccia, e anche i topi usano le due zampe anteriori per tenere il cibo. Ed è una cosa sensata: con la simmetria bilaterale e un paio di occhi a un'estremità del corpo, un solo paio di braccia sarà il più utile per afferrare e spostare oggetti.

Lasciando da parte qualsiasi considerazione astratta sulla vita nelle nubi di Giove o sulla superficie di una stella a neutroni, potremmo cominciare coll'esaminare fino a che punto la nostra conformazione sia stata determinata dalle condizioni in cui si sono evoluti i nostri antenati. In effetti, noi siamo i tipici esemplari della vita intelligente su pianeti simili alla Terra? Quante possibilità ci sono, se mai dovessimo entrare in contatto con esseri intelligenti evoluti in condizioni simili alle nostre, che si tratti di animali bipedi, eretti, forniti di due braccia terminanti ciascuna con una mano a cinque dita, e provvisti di una testa sistemata all'estremità superiore del corpo, con due occhi, un naso e una bocca?
Tanto per cominciare, la vita intelligente (del tipo che crea una società civile e costruisce astronavi), non può essere molto diversa per adattarsi con successo al proprio ambiente naturale e, durante la sua evoluzione, dev'essere stata considerevolmente minacciata dai suoi nemici naturali. L'elefante, sotto un certo aspetto, è un animale intelligente, ma è talmente forte da non correre rischi di attacchi, e non ha mai dovuto far uso della sua intelligenza per combattere i propri nemici. La balena e il delfino, intelligenti in potenza come l'uomo, hanno pochi nemici, e si sono adattati in modo superbo al loro ambiente acquatico. Hanno dovuto pagare però un prezzo molto alto: un corpo affusolato e la totale mancanza di braccia e mani da usare per maneggiare oggetti. Una balena potrà anche cantare, ma non sarà mai in grado di costruire o suonare l'equivalente balenesco di un sassofono o di un pianoforte.
Ma questo punto non ha importanza. In un pianeta come il nostro, una forma di vita intelligente, capace di costruire e di usare attrezzi, è destinata a emergere sulla terraferma, e non nel mare. Non sarà molto grande o molto forte, dal momento che gli animali grandi e forti non hanno bisogno di inventare attrezzi o armi, o di aguzzare l'ingegno per nascondersi ai predatori. E sarà provvista di un paio di arti a un'estremità, posti convenientemente vicini agli occhi, che terminino con alcune dita da usare per maneggiare piccoli oggetti.
Il nostro quadro comincia a prender forma e a rassomigliare molto a un primate: una creatura simile a un topo o a uno scoiattolo, abilissima nel dissimularsi e nello sfuggire ai pericoli, con vista e udito ben sviluppati per scoprire l'avvicinarsi del pericolo, e non troppo grande per non rendere difficoltosa la fuga e l'occultamento. E perché non aggiungere qualche gamba in più, per migliorare la capacità di fuga? Il centauro, mezzo cavallo e mezzo uomo, a prima vista sembrerebbe la soluzione ideale. Ma c'è un intoppo. Più il corpo è grande e più difficile diventa nasconderlo, e poi ha bisogno di più cibo per sopravvivere. Un centauro, per difendersi, farà più affidamento sulla velocità piuttosto che sulla capacità di nascondersi, e in termini evolutivi ciò significa che la selezione naturale tenderà a produrre centauri sempre più simili a cavalli, mentre gli arti umani si atrofizzeranno fino a divenire inutili appendici. No. Se escludiamo la coda del canguro, non c'è modo di migliorare lo schema di base composto da due gambe per correre, due braccia fornite di mani per prendere oggetti, e in cima una testa con due occhi per fornire una visione stereoscopica e tridimensionale del mondo. La visione tridimensionale è essenziale per valutare le distanze, che si tratti di un leone che sta caricando o di un boccone che aspetta solo di essere afferrato, e avere gli occhi posti ben in alto è una necessità per una potenziale preda che deve poter scorgere in tempo l'avvicinarsi del pericolo. I bisogni poi di aria e di cibo completano il disegno generale, aggiungendovi una bocca e un naso fatti in qualche modo, anche se su questo tema sono possibili alcune variazioni.
Così a occhio, pur volendo evitare ogni pregiudizio culturale dettato dalla nostra esperienza quotidiana, sembra proprio che quello del bipede sia lo schema più adatto alla vita intelligente sulla Terra. L'unica possibilità di varianti riguarda il numero di dita per ogni mano. Come tutti ben sappiamo, cinque è senz'altro un buon numero. Ma non è detto che rappresenti la perfezione. È difficile immaginare che un dito in più per mano possa essere di qualche utilità, mentre d'altra parte esistono numerosissimi casi di persone che per incidenti hanno subito amputazioni e che se la cavano benissimo con due o tre dita per mano. L'importante, in questi casi, è che sia loro rimasto il pollice, cui opporre le dita superstiti, rendendo possibile l'afferrare e manipolare oggetti con una certa abilità.
Fin qui, però, sono solo supposizioni. Adesso come adesso non abbiamo nessuna informazione sulla vita in altri pianeti con cui provare se le forme di vita intelligente di tipo terrestre sono bipedi e, in linea di massima, simili all'uomo. Quello che ci serve è una prova. Se potessimo far atterrare una sonda robot su un pianeta simile alla Terra e scoprissimo che la forma di vita dominante è costituita da bipedi intelligenti con quattro o cinque dita per mano, gli argomenti per sostenere che si tratti di un inevitabile prodotto dell'evoluzione sarebbero schiaccianti. Le possibilità che simili somiglianze siano dovute al caso sono talmente piccole da essere praticamente trascurabili.
Sfortunatamente, le possibilità che una sonda robot atterri su un pianeta simile alla Terra in un prossimo futuro sono altrettanto trascurabili. Ma, aspettate... la storia non è ancora finita.
Disponiamo di cognizioni che riguardano un pianeta le cui condizioni erano innegabilmente simili a quelle della Terra, ma su cui non esisteva l'uomo. Mi riferisco, è chiaro, alla Terra stessa, durante l'era dei dinosauri. Se le argomentazioni che ho delineato più sopra hanno qualche fondamento, allora la selezione naturale dovrebbe aver prodotto un bipede eretto e intelligente durante l'epoca dei dinosauri, non diversamente da quanto ha poi fatto nei successivi 65 milioni di anni della storia terrestre.
Nei 150 milioni di anni, o giù di lì, in cui i dinosauri hanno dominato la Terra, le pressioni evolutive sono state, sotto diversi aspetti, minori di quanto furono in seguito. In particolare il clima era più stabile di quanto sia stato negli ultimi milioni di anni e, grazie alle particolari condizioni geografiche dei continenti, condizioni che cambiano in milioni di anni a causa della deriva continentale, non si verificarono Ere Glaciali che estirpassero le specie meno adattabili premiando l'intelligenza e, appunto, l'adattabilità. La recente serie di Ere Glaciali, secondo molti teorici dell'evoluzione, ha giocato un ruolo fondamentale nel forzare l'uomo ad adattarsi alle condizioni in mutamento, premiandone l'intelligenza e la versatilità, facendoci infine diventare quelli che siamo ora. Ed è questo il motivo per cui l'uomo si è evoluto così rapidamente.
Ma anche se le difficoltà ambientali furono minori per i dinosauri, l'intelligenza sarebbe stata ugualmente un vantaggio? E in 150 milioni di anni, un'evoluzione relativamente graduale avrebbe avuto la possibilità di funzionare davvero?
Senza dubbio. Anche se molte persone credono che i dinosauri fossero dei bruti enormi e pesanti con cervelli minimi, in effetti il termine dinosauro si applica a una gamma di creature estesa quanto gli odierni mammiferi. Esistevano dinosauri grandi e lenti, ma c'erano anche dinosauri piccoli e agili. C'erano i carnivori, l'equivalente in dinosauro del leone e della tigre, e gli erbivori, l'equivalente del cervo e della pecora. Qualsiasi varietà di odierni mammiferi possiamo immaginare, ha probabilmente un equivalente dinosauro. E i dinosauri non sono scomparsi senza lasciare traccia, come generalmente ritiene l'immaginazione popolare. I discendenti dei dinosauri sono diffusi ancor oggi sulla Terra, e non solo sotto l'ovvia forma di rettili come il coccodrillo e l'alligatore, ma anche sotto forma di uccelli, prodotto di una varietà di dinosauri che trovarono nell'aria il loro ambiente, e che elaborarono il sangue caldo, emulati in ciò da altre varietà di dinosauri. Fra tutte queste varietà, ci sono dinosauri candidati per il posto di bipede eretto che, secondo le mie teorie, è il punto di partenza della strada verso l'intelligenza? Se i ritrovamenti fossili non mostrassero traccia di dinosauri con aspetto se pur vagamente umano, dovremmo ammettere che la nostra idea non sta in piedi. Ma se sono esistiti dinosauri che si possono dire, a grandi linee, sulla via di assomigliare all'uomo, ecco allora che le nostre tesi diventerebbero un poco più plausibili.
In effetti sono esistiti diversi tipi di dinosauri che, in linea di massima, hanno seguito l'approccio del canguro, più che quello umano, alla bipodalità, conservando una grossa coda che poteva essere usata come stabilizzatore, arma o sedile. Non ci sono problemi: un bipede con la coda rimane sempre un bipede. Il Tirannosauro e l'Iguanodonte furono gli estremi di questo schema, arrivando fino a cinque metri d'altezza. Il primo era carnivoro e il secondo erbivoro, e nessuno dei due può essere ritenuto intelligente. Lo Scleromochlus, rettile bipede che visse circa 200 milioni di anni fa, sembra a prima vista un candidato più adatto al posto di pre-intelligente, ma il suo cervello era piccolo e non sembra che abbia mai fatto il gran passo. Ma abbiamo un candidato principe che risponde, per quanto possiamo desumerne dai resti fossili, a tutti i nostri requisiti. Se vi capitasse di atterrare su un lontano pianeta e di essere ricevuti da una creatura simile a un Saurornitoide, dovreste ammettere che la tesi secondo cui pianeti simili alla Terra producono specie intelligenti simili all'uomo, regge.
I Saurornitoidi furono dinosauri piccoli, del peso di circa cinquanta chili, e vissero circa 65 milioni di anni fa, sul finire dell'epoca dei dinosauri. Il loro cervello, in relazione al peso del corpo, era il più grande che qualsiasi dinosauro abbia mai avuto, con un rapporto di peso fra cervello e corpo non dissimile da quello dell'odierno babbuino. Ed erano indubbiamente bipedi, con una lunga coda e mani provviste di quattro dita, probabilmente disposte con due «dita» al centro e un «pollice» opponibile per lato.
È una serie di credenziali d'effetto. Se i Saurornitoidi, partendo 65 milioni di anni fa da questa base, avessero seguito, spinti da simili necessità evolutive, la stessa strada che i loro equivalenti preumani presero 60 milioni di anni dopo, sarebbe stata probabile la nascita di una civiltà saurornitoide, formata da bipedi con otto dita simili ai canguri, capaci di arrivare al volo spaziale circa 60 milioni di anni fa. Se così fosse accaduto, se questa specie fosse riuscita a sopravvivere, oggi il sistema solare potrebbe ospitare una società cui la scelta di un'aritmetica su base di otto sembrerebbe la più ovvia. Ma perché i Saurornitoidi non sono riusciti a compiere il passaggio verso 1' intelligenza? Cosa ha impedito ai Saurornitoidi di sterminare i mammiferi e sviluppare una propria civiltà?
La risposta più adeguata sembra essere quella che suggerisce che un grande meteorite abbia colpito la Terra proprio mentre questi dinosauri stavano compiendo i primi passi sulla strada dell'intelligenza, con risultato che tutti i grandi animali che vivevano sulla superficie della Terra morirono. Questa spiegazione della catastrofe che pose fine all'era dei dinosauri è quella solitamente accettata, e si basa su alcune prove molto valide.
Dai ritrovamenti geologici risulta chiaro che si è verificata una catastrofe che ha cancellato tutti i grandi animali dalla faccia della Terra. In un tempo brevissimo in termini geologici (e cioè in meno di 100.000 anni), metà delle specie terrestri, e in particolare tutti gli animali pesanti più di 40 chili, si estinsero. Dopo questo cataclisma il mondo fu diverso. I piccoli animali superstiti erano liberi di muoversi negli spazi ecologici occupati in precedenza dai grandi dinosauri. Buona parte di questi animali erano mammiferi (i piccoli mammiferi erano già ben sistemati sulla Terra nell'era dei dinosauri), e in 65 milioni di anni si sono evoluti, diventando elefanti, tigri, gazzelle e così via, rimpiazzando i loro equivalenti dinosauri, divenuti ormai un ricordo fossile. Se la catastrofe, di qualunque genere sia stata, avesse spazzato via gli animali pesanti più di 60 chili, allora i Saurornitoidi avrebbero avuto un buon punto di partenza per raggiungere il predominio. Ma persero l'occasione e, con tutto il tempo a disposizione, i piccoli mammiferi a forma di topo, che probabilmente erano preda dei Saurornitoidi, produssero una nuova specie intelligente, che, come aspetto superficiale, ne seguiva da vicino lo schema.
Certo, non abbiamo la coda, e le nostre mani hanno cinque dita. Ma non siamo poi così diversi dai Saurornitoidi. Per lo meno non più di quanto lo siamo dai topi da cui siamo discesi. Sembra proprio che l'unico modo di riempire lo spazio disponibile per la vita intelligente su pianeti simili alla Terra sia essere bipedi, con due braccia, due mani, la testa in alto, dove può aver migliore visibilità.
Ma può servire anche evitare gli impatti con grandi meteoriti. Le possibilità di vincere questa specie di lotteria cosmica non sono molte, almeno nel nostro sistema solare.
Le superfici tormentate della Luna, di Mercurio, di alcuni satelliti di Giove e di Saturno, sono mute testimoni della frequenza degli impatti di meteoriti nella storia del sistema solare. Anche dopo gli effetti dell'erosione dovuta alla pioggia e al vento, la superficie della Terra dimostra come simili avvenimenti non siano rari, perlomeno in tempi geologici. Il Cratere Barringer, nell'Arizona, ne è un esempio classico. Con un diametro di oltre un chilometro e profondo quasi 200 metri, è stato prodotto da un meteorite e si può far risalire, servendosi delle consuete tecniche geologiche, a soli 25.000 anni fa. Esemplari ben più grandi, come il West Clearwater Lake nel Quebec, con un diametro di una ventina di chilometri, e il Vredevoort Ring in Sudafrica, largo oltre 56 chilometri, hanno la caratteristica forma circolare degli impatti meteoritici, e sono quasi certamente crateri prodotti diverse centinaia di milioni di anni fa. Ovviamente, simili impatti devono aver avuto effetti ambientali spaventosi. Un meteorite di dimensioni normali può muoversi a circa 50 chilometri al secondo quando colpisce la Terra, e nel sistema solare ci sono frammenti di pietrisco cosmico pesanti migliaia di tonnellate. L'energia cinetica sprigionata dall'impatto con un corpo celeste simile può produrre l'equivalente di oltre 100.000 megaton, molto più di qualsiasi ordigno nucleare mai provato dall'uomo.
Tuttavia ciò non basta a spiegare il Vredevoort Ring, per il quale è stato necessario un urto tale da produrre 10 milioni di megaton, dovuto alla collisione con un oggetto grande come l'asteroide Hermes: 32 miliardi di tonnellate di roccia.
Se un oggetto simile avesse colpito la Terra 65 milioni di anni fa, potrebbe spiegare l'estinzione dei grandi dinosauri. La polvere scagliata dall'esplosione nella stratosfera avrebbe avvolto come un sudario la Terra, oscurando la luce del Sole, uccidendo le piante e privando così del cibo gli animali, e avviando probabilmente un'Era Glaciale, o almeno una mini-Era Glaciale, per dare il colpo di grazia agli affamati superstiti.
Il problema, con questa ipotesi, è che non esistono crateri di dimensioni simili al Vredevoort Ring che risalgano a 65 milioni di anni fa. Però buona parte della superficie terrestre è coperta dall'acqua. E se un meteorite gigante fosse caduto in mare?
Fino al 1979 quest'idea rimase un'ipotesi, poi un'equipe dell'Università della California dimostrò che gli strati geologici vecchi di 65 milioni di anni erano arricchiti da tracce di elementi pesanti, in particolare da iridio. Le prime scoperte vennero fatte in strati provenienti dall'Italia, poi sono state trovate nuove prove in posti molto distanti fra loro, come la Danimarca, la Nuova Zelanda e il centro del Pacifico settentrionale. Tutte queste tracce dimostrano che 65 milioni di anni fa, e cioè all'epoca della scomparsa dei dinosauri, un evento di portata mondiale coprì la Terra con uno strato di polvere arricchito da metalli pesanti. E la causa più probabile di un evento del genere è un impatto meteoritico. I paleontologi, gente cauta per tradizione, si sono detti d'accordo sul fatto che l'impatto di un meteorite gigantesco può aver contribuito all'estinzione dei dinosauri, agendo probabilmente come «ultima goccia» aggiuntasi a diversi milioni di anni di peggioramenti della condizioni climatiche. Comunque sia, non sembrano esserci dubbi che se domani si verificasse un avvenimento come quello che ha prodotto il Vredevoort Ring, porrebbe fine alla nostra civiltà, se non all'intero genere umano (fra gli altri).
Se accadesse, comunque, sarebbe simpatico scommettere, in via del tutto ipotetica, che fra 50 o 100 milioni di anni, esisterà una specie di bipedi intelligenti che se la caverà benissimo sul pianeta Terra. Forse non saranno mammiferi né rettili, e non possiamo sapere se avranno la coda o no. Forse conteranno su una base di otto o forse su una base di dieci, ma sarei sorpreso se contassero su base sei o dodici. Saranno alti circa due metri, con occhi su una testa posta in cima al corpo. E intrecceranno ipotesi sul disastro che mise fine all'epoca dei mammiferi, chiedendosi se quei curiosi bipedi eretti fossero mai riusciti a raggiungere lo stadio intelligente, e scherzando senza dubbio sulla possibilità che quelle strane creature fornite di mani con cinque dita usassero un bizzarro sistema decimale.

FINE