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Urania - Asimov d'appendice
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LA MANO DI DIO - Isaac Asimov
Titolo originale: The finger of god

Nel 1775 la Gran Bretagna inviò un esercito nel Nordamerica, alla guida del generale Edward Braddock, con lo scopo di fermare l'espansione francese nella Pennsylvania occidentale.
Braddock prese in simpatia un ventitreenne originario della Virginia che aveva già combattuto (senza successo) i francesi e lo nominò aiutante di campo. Era l'unico coloniale entrato a far parte di un gruppo di inglesi.
Braddock guidò i suoi uomini verso una località dove oggi sorge Pittsburg e tentò di combattere alla maniera con cui si combatteva sui campi di battaglia europei, cioè con tutti gli uomini allineati che sparavano all'unisono una raffica di colpi, dietro ordine. I loro avversari erano francesi e indiani, ciascuno dei quali, dato che la battaglia si svolgeva in una foresta più o meno incolta, si teneva nascosto dietro un albero.
Francesi e indiani spararono a più non posso da dietro gli alberi e falciarono gli inglesi che, con quelle uniformi rosse, rappresentavano un bersaglio facile. Gli inglesi, invece, non avevano bersagli precisi contro cui sparare e ogniqualvolta cercavano di mettersi al riparo, venivano rispediti in linea da Braddock con urla e imprecazioni.
Gli inglesi furono massacrati, è ovvio, e Braddock stesso fu mortalmente ferito. Morì dopo quattro giorni di agonia. Le sue ultime parole furono: - Chi l'avrebbe mai detto?
Se qualcuno dell'esercito sopravvisse fu grazie all'aiutante di campo originario della Virginia il quale, quando gli inglesi finalmente ruppero le fila e si diedero alla fuga, coprì la loro ritirata facendo combattere le sue stesse truppe della Virginia secondo lo stile indiano.
Il giovane se la cavò senza nemmeno una scalfittura. Due cavalli sui quali montava furono atterrati. Quattro pallottole gli forarono la giacca senza sfiorarlo. Era l'unico aiutante di campo rimasto vivo (e integro) in quella carneficina.
Il nome del giovane, e penso che già l'abbiate capito, era George Washington.
Ho sentito questa storia per la prima volta a scuola, quando avevo circa dieci anni. L'insegnante, che chiamerò signor Smith, ne parlava con molta emozione e ci disse che era stata senz'altro la mano di Dio a salvare Washington. Era stato salvato, disse, perché vent'anni più tardi potesse guidare le colonie verso la vittoria nella Guerra d'Indipendenza americana e fondare in questo modo gli Stati Uniti d'America.
Ascoltavo questa storia con profondo scetticismo. Prima di tutto pensavo che Dio non era americano e che quindi gli dovessero stare a cuore le sorti di tutti i paesi, in egual misura. Se fosse stato veramente efficiente avrebbe dovuto inventare un sistema più semplice per raggiungere lo scopo, evitando i combattimenti e risparmiando così tante vite. Ma poi, di colpo, mi arrivò un pensiero sconcertante e alzai la mano.
L'insegnante mi consentì di parlare e io dissi: - Come potete affermare che sia stata la mano di Dio, signor Smith? Per quanto ne sappiamo, in quella battaglia può essere morto qualcuno che, se fosse sopravvissuto, avrebbe anche potuto essere meglio di George Washington ed escogitare un sistema incruento per portarci all'indipendenza.
Il signor Smith avvampò Gli occhi sembravano schiizzargli fuori dalle orbite. Mi puntò un dito contro e urlò: - State cercando di dirmi che chiunque avrebbe potuto essere meglio di George Washington?
Io avevo dieci anni e, terrorizzato, feci marcia indietro. Ma solo apparentemente. Dentro di me tenni duro, convinto che fosse una cosa molto sciocca raccontare un episodio soltanto per dimostrare l'esistenza della mano di Dio. In qualsiasi tipo di conflitto, sia tra individui, sia tra nazioni, quello che per il vincitore rappresenta la mano di Dio, per il perdente rappresenta invece, e sicuramente, l'orma dello zoccolo del Diavolo.

Eppure, che tentazione è il gioco della «mano di Dio»! Ho finito il mese scorso un saggio sulla scoperta della fissione dell'uranio, nel quale, ho messo in risalto una serie di fortunati incidenti che hanno fatto sì che il primo passo in questo senso venisse fatto negli Stati Uniti invece che nella Germania nazista. Ed è tale il sollievo che le cose siano andate in questo modo che si potrebbe persino supporre che io abbia pensato che Dio ci avesse messo la mano.
Be', io non c'entro.
Consideriamo la situazione di Leo Szilard nel 1939. Come molti certo sapranno, egli continuava a pensare all'idea di una reazione nucleare a catena. Il suo primo tentativo in questo senso comportava l'interazione di un neutrone con un nucleo di berillio in modo tale che venissero liberati due neutroni. Tuttavia, ci voleva un neutrone veloce e carico di energia per interagire con il nucleo di berillio, e venivano liberati soltanto neutroni lenti, neutroni con energia troppo scarsa per interagire con ulteriori nuclei di berillio.
L'uranio, d'altro canto, passa attraverso la fissione se stimolato da neutroni «lenti». In realtà, libera, nel processo, neutroni veloci, che non sono così efficienti nello spezzare i nuclei di uranio quanto i neutroni lenti (Vanno troppo in fretta e non indugiano attorno a un nucleo quanto basta per ottenere una buona possibilità di reazione).
Tuttavia, mentre non si può dare maggiore velocità ai neutroni lenti, si possono invece rallentare i neutroni veloci. Dunque se si inizia la fissione dell'uranio e si rallentano i neutroni prodotti, si può di conseguenza continuare la fissione dell'uranio in accelerazione per produrre una bomba di una potenza devastatrice senza precedenti.
Nel 1939 era chiaro a Szilard che il mondo si trovava sull'orlo di una guerra, che la Germania nazista avrebbe potuto vincere tale guerra, e che quella nazione rappresentava uno spaventoso pericolo per il mondo civile.
Szilard era altresì convinto che fosse possibile mettere a punto, nel corso della guerra, una bomba a fissione nucleare e gli sembrava ovvio che chiunque avesse fabbricato e usato questa bomba avrebbe vinto la guerra, anche se si fosse trovato, prima dell'uso, sull'orlo della sconfitta. Chi dunque avrebbe avuto per primo la bomba nucleare, la Germania o gli Stati Uniti? (C'era anche una possibilità «esterna» riguardante la Gran Bretagna e la Francia. Nessuno, in quel momento, pensava che l'Unione Sovietica o il Giappone potessero avere una simile opportunità).
In sostanza, Szilard può aver pensato che le probabilità giocavano in favore della Germania per varie ragioni:
1) La tradizione scientifica in Germania era molto più forte che negli Stati Uniti. Dal 1850 al 1914, la Germania aveva avuto il primato mondiale per la ricerca scientifica, mentre gli Stati Uniti erano rimasti così indietro che un americano che desiderasse intraprendere una carriera scientifica doveva per forza recarsi in Germania per perfezionare la sua tesi di laurea. La Germania era forte, soprattutto in fisica nucleare, e le sperimentazioni per la fissione nucleare erano state tutte fatte in Germania.
2) La Germania era sotto il controllo assoluto di Adolf Hitler, il quale, se avesse cominciato a credere nella possibilità di una bomba nucleare, avrebbe, senza nessuna esitazione, buttato le risorse intere del paese su questo progetto. Non esisteva problema di denaro. Gli Stati Uniti, d'altro canto, erano una democrazia guidata da gente per la quale lo scopo principale era la rielezione. Investire un sacco di soldi in un oscuro progetto fantascientifico avrebbe significato rischiare il seggio al Congresso.
3) La Germania era una società chiusa, e se Hitler avesse mostrato interesse nella possibilità di una bomba nucleare, qualsiasi scoperta tedesca in questa direzione sarebbe stata tenuta segreta. Negli Stati Uniti, invece, tutte le scoperte sarebbero state rese pubbliche e discusse e la Germania avrebbe tratto vantaggio da qualsiasi progresso fatto in America... e non viceversa.
Szilard sentì che, per quanto era in suo potere, doveva spostare il peso della bilancia in favore degli Stati Uniti.
Ho elencato i tre punti in ordine decrescente di difficoltà. Il primo punto, per esempio, cioè la tradizione scientifica tedesca e la carenza in questo campo degli Stati Uniti, erano un dato storico e non ci si poteva far nulla... tranne il fatto che qualcosa stava modificandosi e io penso che Szilard lo sapesse benissimo.
Sin dalla prima guerra mondiale la Germania era andata perdendo la sua preminenza in campo scientifico mentre gli Stati Uniti stavano recuperando terreno. Inoltre Hitler, sotto questo aspetto, era il miglior alleato di Szilard. Le paranoiche idee razziste di Hitler avevano fiaccato la scienza tedesca e avevano riempito l'occidente di scienziati-esuli in grado di costruire una bomba nucleare per gli Stati Uniti con, inoltre, forti motivazioni per farlo.
Infatti, si potrebbe immaginare come un «se» della storia, un Hitler diverso da quello reale, non ossessionato dalla mania della «purezza della razza». In questo caso, tutti coloro che erano stati costretti a lasciare la Germania in nome di questa «purezza», sarebbero rimasti al loro posto. Non c'è motivo di dubitare che avrebbero potuto essere dei cittadini normalmente patriottici e che avrebbero potuto contribuire alla fabbricazione di una bomba nucleare per la Germania piuttosto che per gli Stati Uniti. La Germania potrebbe essere ora la nazione che domina il pianeta.
Potremmo dire «che ironia!» e stupirci del modo con cui Hitler ha sconfitto se stesso e parlare ancora di mano di Dio, se non fosse per il fatto che questo evento ha dei precedenti. È accaduto per lo meno due volte nella storia europea, in maniera spettacolare. La Spagna di Filippo III sfrattò i Saraceni (cristiani di discendenza moresca) e la Francia di Luigi XIV sfrattò gli Ugonotti (cristiani di fede protestante). In entrambi i casi la nazione responsabile dello sfratto ha agito in nome della «purezza» perdendo una parte preziosa della popolazione, indebolendosi perennemente e rafforzando in proporzione il nemico.
L'umanità ha forse imparato questa lezione? Certamente no. Proprio ora il Vietnam sta sfrattando i vietnamiti di origine cinese ed è assolutamente certo che, come conseguenza, il Vietnam ne uscirà fiaccato.
Non ci vuole la mano di Dio per far sì che gli esseri umani diano più importanza ai pregiudizi che al buon senso. Sarei più tentato di credere il contrario.
Torniamo a Szilard. Non poteva certo giocare sul fatto che Hitler avesse indebolito la scienza tedesca per salvare la situazione e così dovette ricorrere ai punti 2 e 3.
Cominciò una campagna scrivendo lettere nelle quali sottolineava le possibilità di creare una bomba nucleare e chiedendo agli scienziati che lavoravano in questo campo di tenere segreto il loro lavoro. Era difficile per gli scienziati seguire queste norme. Le comunicazioni «aperte» tra gli scienziati stessi, nonché le pubblicazioni sui lavori compiuti, stanno alla base del progresso scientifico.
Eppure il caso non aveva precedenti e a poco a poco Szilard riuscì a spuntarla. Nell'aprile del 1940 si era creato un sistema volontario di autocensura sull'argomento e la discussione pubblica sulla fissione nucleare cessò di colpo. Szilard aveva tenuto conto del punto 3 e questo significava che la Germania non poteva più contare sulla nostra gentilezza nell'aiutarla a distruggerci.
Ma nello stesso tempo si cominciò a sospettare che la Germania non avesse bisogno del nostro aiuto. Nell'aprile 1940 Hitler era arrivato a un accordo con l'Unione Sovietica, aveva dato l'avvio alla guerra, distrutto la Polonia, acquisito il controllo della Danimarca e della Norvegia e tutto questo mentre Gran Bretagna e Francia restavano in uno stato di paralisi. Poco dopo la vittoria di Szilard, Hitler prese la Francia e cominciò a sottoporre la Gran Bretagna a spietati bombardamenti aerei. E nel 1941 si voltò contro l'Unione Sovietica, abbandonò i Balcani e penetrò in Russia.
Sembrava in grado di conquistare tutta l'Europa, e forse anche il mondo intero, «senza» armi nucleari.
Era quindi importante che gli Stati Uniti fabbricassero una bomba nucleare non solo per un problema di preminenza scientifica ma forse come ultima possibilità di difesa contro la altrimenti inevitabile sconfitta. E avevamo solo pochi anni di tempo.
È difficile ora, per coloro che non sono vissuti in quel periodo, capire la disperazione di quei giorni. C'era il rischio che gli Stati Uniti sprecassero tempo e possibilità mentre la Germania era sempre all'avanguardia nell'elaborazione e nell'uso di armi nuove e mai sperimentate.
Consideriamo, per esempio, il caso della missilistica. La missilistica moderna cominciò negli Stati Uniti, nel 1926, con Robert Goddard, ma Goddard rimase un caso isolato. Il governo non sembrava disposto ad aiutare le ricerche in quel campo. È dubbio se nei vent'anni tra il 1926 e il 1946 ci possa essere stato un solo deputato del Congresso disposto a sostenere la missilistica o comunque abbastanza di sani principi da rischiare, su questo, la rielezione.
In Germania la situazione era diversa. L'impulso dato dal governo alla missilistica cominciò molto presto per cui, nel 1944, le V-2 stavano già bombardando l'Inghilterra.
Di conseguenza non possiamo fare altro che stupirci del fatto che la Germania non abbia vinto la guerra. Ancora una volta si riproponeva il caso: Hitler aveva sconfitto se stesso. Intanto, il suo interesse nella missilistica soffocò il suo interesse per la bomba nucleare. Nell'emergenza di una guerra, sembrava che dentro di sé avesse spazio sufficiente solo per un segreto bellico per volta.
Ma, cosa ancor più importante, il desiderio di Hitler di far marciare a passo d'oca le sue truppe attraverso tutta l'Europa, mentre lui era ancora vivo e abbastanza giovane da godere della distruzione che si lasciavano dietro, lo spinse a una guerra prematura. Sospetto che non volesse costruire una macchina bellica che qualche successore avrebbe poi potuto usare per conquistare il mondo.
Dopotutto, anche in questo caso esistevano precedenti storici e Hitler, appassionato studioso di storia, lo sapeva. Filippo il Macedone aveva messo insieme un esercito che suo figlio, Alessandro, aveva usato per conquistare l'Impero Persiano e fu il figlio a essere chiamato «il Grande».
Un esempio più recente. Federico Guglielmo I di Prussia aveva costruito un esercito perfetto del quale suo figlio Federico II si era servito per sconfiggere gli eserciti austriaci e francesi, e fu il figlio a essere chiamato «il Grande».
Forse Hitler voleva essere Filippo e Alessandro insieme e non voleva rischiare di aspettare troppo?
Nel 1939, comunque, aveva solo 50 anni e avrebbe anche potuto rischiare di aspettare, diciamo, per cinque anni. Nel qual caso, avrebbe anche potuto essere sicuro che le potenze occidentali avrebbero perso tempo. Alla Gran Bretagna e alla Francia avrebbe fatto piacere che la Germania, dopo Monaco, non facesse altre richieste territoriali e sarebbero passate all'estremo opposto pur di evitare di irritare Hitler. Franklin D. Roosevelt, nel 1940, non si sarebbe presentato per la terza candidatura se il mondo fosse stato in pace, o altrimenti, se l'avesse fatto, ne sarebbe uscito sconfitto e il suo successore, chiunque potesse essere, sarebbe stato certamente meno abile nel tollerare le idee isolazioniste negli Stati Uniti.
Hitler allora avrebbe potuto approntare programmi più intensi per sviluppare sia la missilistica sia la bomba nucleare, senza nessuna concorrenza da parte dell'Occidente. L'Unione Sovietica avrebbe potuto lavorare in entrambe le direzioni, ne sono certo, ma ho il sospetto che Hitler sarebbe arrivato primo.
Quindi, nel 1944 o 1945, Hitler avrebbe potuto avere missili e bombe nucleari pronti o per lo meno quasi pronti per una rapida produzione e per un perfezionamento, se necessario. Avrebbe potuto dare il via alla guerra e serbare le armi segrete in caso di emergenza. Se la guerra fosse andata inaspettatamente male o fosse durata troppo oppure ancora se fosse sorto il sospetto che, dal di là dell'oceano, gli Stati Uniti avrebbero potuto superare la Germania nella produzione di armi convenzionali, un paio di bombe nucleari fatte esplodere sulle città americane da qualche sottomarino al largo delle coste sarebbero state sufficienti, così credo, a porre fine a tutto, e Hitler avrebbe avuto il dominio del mondo.
Ma tutto questo non accadde. Hitler, senza il senno del poi, può non aver avuto una visione di tutto questo, ma io sarei propenso a credere che nessuna di queste possibilità lo avrebbero interessato. Semplicemente non voleva aspettare più a lungo perché non voleva correre il rischio di perdere il credito di una conquista. E così perse invece la sua unica possibilità.
La mano di Dio? Perché mai? Non c'è bisogno dell'intervento del cielo per far sì che un egomaniaco paranoico agisca come tale.
Ma Szilard non poteva contare su tutto questo. Non poteva prevedere il futuro, e non poteva essere certo che Hitler sarebbe stato intempestivo. Certamente non sembrava che lo fosse nel 1941.
No! Gli Stati Uniti dovevano avere la bomba nucleare e non c'era modo di poterla costruire senza un massiccio programma governativo, e molto dispendioso per di più, che sostenesse la ricerca e la costruzione. Ma come convincere il governo a investire dei soldi? Il Congresso! Neanche da pensarci. Con il mondo che bruciava da tutte le parti, la Camera dei deputati rinnovò la leva per un solo voto. Un deputato si oppose al rinnovo dicendo che nel caso ci fosse stata una invasione, tutti gli americani «avrebbero imbracciato le armi». Non disse quali armi né come gli americani sarebbero stati addestrati a maneggiarle.
La cosa migliore era tentare col presidente Roosevelt. Ma lui era soltanto il presidente e sarebbe stato senz'altro svuotato di potere dal Congresso e dal popolo stesso se avesse speso un sacco di soldi per qualcosa non di uso immediato e tangibile per la maggior parte degli elettori. Allo scopo di ottenere qualcosa, si poteva convincere Roosevelt dell'urgenza della situazione, convincerlo al punto tale da fargli rischiare un suicidio politico.
Ma come si poteva convincere Roosevelt a tal punto? Era una questione scientifica, certo, ma assomigliava tanto alla fantascienza e non c'è nulla che mandi in bestia gli stupidi di questo mondo quanto qualcosa che assomigli alla fantascienza. Per aggirare questo ostacolo la questione avrebbe dovuto essere presentata da qualche scienziato di così chiara fama che nessuno avrebbe osato mettere in dubbio le sue dichiarazioni.
C'era un solo scienziato vivente tanto famoso da essere diventato ormai leggenda, anche per coloro che di scienza non sapevano nulla tranne forse il fatto che due più due fa qualcosa che sta tra il tre e il cinque. Si trattava di Albert Einstein.
Szilard chiese aiuto a due amici, Eugene Paul Wigner e Edward Teller. Erano, tutti e tre, brillanti fisici nucleari, di origine ungherese, fuggiti da Hitler. E tutt'e tre si rendevano perfettamente conto del pericolo che incombeva sul mondo e della necessità di avere la bomba nucleare per parare la minaccia nazista.
Non fu facile convincere Einstein a firmare la lettera. Era un pacifista convinto, non voleva dare in mano a esseri umani un'arma tanto terribile. D'altro canto capiva il pericolo e l'incredibile dilemma nel quale si dibatteva il mondo. Sarebbe stato un male, in entrambi i casi, ma lui doveva fare una scelta, e mise il suo nome in calce alla lettera che Szilard aveva scritto per lui.
La lettera arrivò a Roosevelt e il nome di Einstein apparentemente fornì la spinta necessaria. Roosevelt decise di rischiare il fallimento totale e di autorizzare un progetto segreto per l'elaborazione della bomba nucleare, un progetto che alla fine doveva costare due miliardi di dollari. (Si può ben capire il ridicolo che avrebbe coperto Roosevelt se il progetto fosse fallito).
Anche una decisione presidenziale doveva sottostare a una certa trafila burocratica e fu soltanto alla fine dell'anno, in un particolare sabato, che Roosevelt finalmente firmò l'ordine che metteva in moto quello che si sarebbe chiamato «Progetto Manhattan», un nome qualsiasi scelto per nasconderne lo scopo reale.
Se si tiene conto di quello che è successo dopo, bisogna ammettere che fu un chiaro esempio di pericolo scampato per miracolo. È una vecchia abitudine americana quella di non fare nulla di importante durante il fine-settimana. E anche i presidenti sono americani, dopo tutto.
Se Roosevelt avesse rimandato la firma al lunedì, chissà quando mai quell'ordine sarebbe stato firmato. Forse non sarebbe stato firmato affatto.
Il giorno in cui l'ordine fu firmato era sabato, 6 dicembre 1941 e il giorno successivo era domenica, 7 dicembre 1941, cioè il giorno dell'attacco giapponese a Pearl Harbor. Dopo di che, per un certo periodo, a Washington ci fu solo il caos.
L'ordine, comunque, fu firmato l'ultimo giorno possibile (la mano di Dio o l'orma del Diavolo?) e la bomba nucleare fu costruita. Gli Stati Uniti furono i primi ad averla.
Szilard aveva vinto.
E poi venne fuori che della bomba non c'era assolutamente bisogno. La Germania di Hitler non aveva affatto iniziato la progettazione per una bomba atomica e la costruzione dei missili era arrivata troppo tardi per farle vincere la guerra.
Il 30 aprile 1945 Hitler morì suicida e l'8 maggio la Germania si arrese. Il mondo poteva tirare il fiato.
Il Giappone stava ancora combattendo, ma la sua flotta se n'era andata, i suoi eserciti sconfitti, le città ridotte in cenere; anche lui era sul punto di arrendersi.
Molti scienziati che erano stati ansiosi di mettere a punto una bomba nucleare ora non ne sentivano più la necessità. Era stato necessario averla per battere sul tempo i nazisti, per cercare di prevenire la sconfitta. E l'orrore della bomba, a quel tempo, sembrava comunque essere preferibile all'orrore di un mondo in mano ai nazisti.
Ma una volta che la Germania era stata distrutta, che i giapponesi erano sul punto di cedere, perché non fermare il progetto, tenerlo per riserva per altre future eventuali emergenze, oppure rivelare quale lavoro era stato fatto e metterlo sotto controllo internazionale? Oppure ancora, perché non fare qualcosa, «qualsiasi cosa» per evitare quello che avrebbe potuto succedere e che poi è successo? Cioè un mondo con opposte potenze armate fino ai denti di armi nucleari, un mondo con la spada di Damocle della distruzione totale sempre sulla testa?
Eppure il progetto della bomba atomica andò avanti. Il 16 luglio 1945 a Alamogordo, New Mexico, si verificò la prima esplosione di bomba nucleare nella storia del mondo. Il 6 agosto 1945 scoppiò la seconda bomba nucleare, a Hiroshima, Giappone, e il 9 agosto dello stesso anno, a Nagasaki. I giapponesi si arresero formalmente il 2 settembre.
Perché? Si sarebbe potuta giustificare l'esplosione di Alamogordo. Dopo tutto, il lavoro e gli investimenti erano stati immensi e c'era una, se vogliamo, irresistibile curiosità a verificare se la bomba funzionasse o no.
Ma poi, perché usarla su un nemico già in agonia?
I motivi addotti dopo l'evento furono che i giapponesi fanatici, duri a morire, non si sarebbero mai arresi. Gli americani che avrebbero invaso le isole giapponesi sarebbero stati attaccati dal nemico con incredibile ferocia, causando la morte di almeno centomila americani e, diciamo, cinquecentomila giapponesi. Bombardare due città avrebbe significato un risparmio netto di centinaia di migliaia di americani e giapponesi e di conseguenza sarebbe stato un gesto umanitario.
Non l'ho creduto allora e 'non lo credo ora.
Tuttavia i giapponesi non erano il vero nemico, in quel momento. Il vero nemico era il nostro alleato, l'Unione Sovietica.
Alla Conferenza di Yalta, tenutasi nel febbraio 1945, l'Unione Sovietica aveva promesso di dichiarare guerra al Giappone tre mesi dopo la resa nazista, perché aveva bisogno di questo periodo di tempo per trasferire uomini e scorte attraverso cinquemila miglia, dai confini occidentali dell'Unione Sovietica ai confini orientali. E su questo si convenne.
Nonostante tutte le battute che si possono fare sul fatto che non ci si può fidare dell'Unione Sovietica, bisogna ammettere che l'Unione Sovietica rispetta fino alla lettera uno specifico accordo (Può violarne lo spirito, ma questa è un'altra faccenda). Se diceva tre mesi, significava tre mesi, e tre mesi dopo l'8 maggio 1945 è l'8 agosto 1945. Quel giorno, infatti, l'Unione Sovietica dichiarò guerra al Giappone.
Gli Stati Uniti, d'altronde, stavano combattendo i giapponesi da tre anni e mezzo. Era una guerra amara e noi dovevamo vendicare l'umiliazione di Pearl Harbor. Volevamo essere certi di prenderci tutto il credito della vittoria. Se il Giappone si fosse arreso dopo che l'esercito russo si era spinto in Manciuria, poteva sembrare che fosse stata la Russia a infliggere il colpo finale e noi avremmo perso il credito. Per cui ci affrettammo come pazzi per avere almeno una bomba nucleare da lanciare su una città giapponese «prima» che arrivassero i russi, e ce la facemmo per due giorni. Dopo di che l'entrata dell'Unione Sovietica fu soltanto un dettaglio e tutto il mondo sapeva «chi» in realtà avesse sconfitto il Giappone. Gli Stati Uniti.
Inoltre, noi sapevamo molto bene che, una volta finita la guerra, saremmo stati in competizione con l'Unione Sovietica per l'influenza in Europa. Era quindi necessario far sapere alla Russia che eravamo in possesso di questa terribile arma. Inoltre dovevamo fare molto di più che parlarne, o farla scoppiare a vuoto in qualche deserto o nell'oceano. Doveva essere usata su una città, perché la distruzione e la morte che portava fossero visibili a tutti. E dovevamo farlo in fretta, prima che i giapponesi si arrendessero e ci privassero così di un nemico su cui farlo. Nagasaki e Hiroshima furono dimostrazioni a sangue freddo fatte ad uso dell'Unione Sovietica. Per lo meno, così la vedo io.
È possibile controbattere che questo per lo meno evitò una guerra tra America e Russia negli anni successivi alla seconda guerra mondiale. E anche questo significava milioni di vite salvate, e ancora una volta il bombardamento nucleare di città giapponesi poteva essere salutato come un gesto umanitario. E si potrebbe anche aggiungere che riuscire a ultimare la bomba in tempo perché il bombardamento venisse effettuato prima che la resa giapponese ne avesse vanificato l'uso, è un altro esempio dell'intervento della mano di Dio.
D'altro canto, potremmo anche argomentare che lo stretto margine che ci consentì la costruzione e l'uso della bomba nucleare alla fine della seconda guerra mondiale diede agli Stati Uniti una tale fiducia e sicurezza in se stessi che non ritennero di fare alcun tentativo di conciliazione con l'Unione Sovietica, in un momento in cui questa era talmente fiaccata dalla guerra contro la Germania che avrebbe anche potuto accettare questa conciliazione.
È possibile aggiungere ancora che questa sicurezza in noi stessi ci ha portato poi a commettere una serie di errori nella politica estera per i quali stiamo pagando ora?
La mano di Dio? L'orma del Diavolo? O forse dovremmo piantarla di cercare cause sovrannaturali e guardare un po' più da vicino l'umana follia? Credo che non ci serva altro che questo.

FINE