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Urania - Asimov d'appendice
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LUMINOSI PIGNOLI - Isaac Asimov
Titolo originale: The figure of the fastest

Come potete immaginare, ricevo spesso schemi di bizzarre teorie elaborate da miei lettori. Per lo più esse trattano ampi concetti, come le leggi fondamentali che stanno alla base dello spazio e del tempo. Per lo più sono illeggibili (o al di sopra delle mie possibilità di comprensione, se preferite). Molte sono di giovanissimi, altre di ingegneri in pensione. E tutti sembrano convinti che io possieda la capacità di valutare i profondi e sottili concetti, combinata con l'immaginazione sufficiente a non venire scoraggiato da nulla.
Ma è un errore. Io non sono giudice delle grandi e nuove teorie. Tutto quello che posso fare, quindi, è rispedire il tutto al mittente, sostenendo a volte forti spese postali, e cercare di spiegare, umilmente, che io non posso essere di nessun aiuto.
Però, di tanto in tanto, ricevo qualche lettera divertente. Una di queste mi è arrivata qualche anno fa. Erano quattordici pagine di bollente diatriba contro Albert Einstein.
La si può riassumere in due punti.
1) Albert Einstein si è guadagnata la fama elaborando la grande e acuta teoria della relatività, teoria rubata a qualche povero scienziato misconosciuto.
2) Albert Einstein si era conquistata la fama inventando una teoria completamente assurda sulla relatività, che era stata introdotta nel mondo da una congiura di fisici.
Il mio corrispondente discuteva alternativamente queste due tesi con identica veemenza, senza rendersi conto della loro incompatibilità. Va da sé che non gli risposi.

Ma perché taluni reagiscono con tanta violenza contro la teoria della relatività? La maggior parte di coloro che obiettano (di solito con molta più razionalità di quel mio corrispondente, per fortuna) sanno ben poco della teoria. Sanno unicamente, come quasi tutti quelli che non sono fisici, che secondo questa teoria niente può andare più veloce della luce.
E questo li irrita.
Non voglio entrare nel merito del perché gli scienziati credono che nessuna massa in movimento possa procedere più veloce della luce. Intendo solo parlare di questo limite di velocità e di come è stato determinato. Ho già trattato questo argomento nel 1972, in un articolo dedicato a Olaus Roemer, un astronomo danese che fu il primo a fare calcoli sulla velocità della luce, attraverso lo studio delle eclissi dei satelliti di Giove.
In quell'articolo ho commesso un errore. Ho scritto infatti che Roemer aveva fissato in 16 minuti il tempo impiegato dalla luce per attraversare la massima ampiezza dell'orbita della Terra intorno al Sole. Per la verità la cifra data dall'astronomo nel 1676, quando aveva annunciato i risultati del suo lavoro, era stata di 22 minuti. A quel tempo l'ampiezza massima dell'orbita terrestre era di circa 174.000.000 di miglia, perciò i risultati di Roemer implicavano una velocità della luce di 132.000 miglia al secondo (cioè oltre 210.000 chilometri).
La velocità reale è di circa un 30 per cento più alta, però, considerato il periodo in cui venne stabilita quella cifra, il risultato è rispettabile. A quanto si sa oggi, la velocità della luce è infatti tra le 100.000 e le 200.000 miglia al secondo (cioè da 160.000 a 320.000 chilometri).
La successiva misurazione della velocità della luce è stata fatta, quasi per caso, mezzo secolo più tardi.
L'astronomo inglese James Bradley stava cercando di scoprire il parallasse (lievi cambiamenti di posizione) delle stelle più vicine rispetto a quelle più lontane. Questi spostamenti sarebbero risultati dal cambiamento di posizione della Terra nel suo movimento intorno al Sole.

Idealmente, nel corso di un anno ogni stella si muove in una ellisse. La grandezza e la forma di questa ellisse dipendono dalla distanza della stella dal Sole e dalla sua posizione rispetto al piano dell'orbita terrestre. Più lontana la stella, più piccola l'ellisse. E per tutte, tranne che per le stelle più vicine, l'ellisse sarebbe troppo piccola da misurare. Le stelle lontane possono venire quindi considerate immobili, e lo spostamento delle stelle vicine rispetto alla posizione delle più lontane era il parallasse che Bradley stava cercando.
Bradley stabilì lo spostamento delle stelle, ma il risultato non fu quello che avrebbe dovuto essere se ne fosse stato responsabile il movimento della Terra intorno al Sole. Gli spostamenti non erano quindi causati dal parallasse, ma da qualcos'altro. Nel 1728, durante una gita in vela sul Tamigi, lo scienziato notò che la bandiera in cima all'albero cambiava direzione anche secondo il movimento relativo della barca e non soltanto secondo la direzione del vento.
Questo gli diede da pensare. Supponiamo di essere sotto la pioggia, con le gocce che cadono verticalmente perché non c'è vento. Se si ha un ombrello, e lo si tiene direttamente sopra la testa, si resta asciutti. Camminando, tuttavia, sempre tenendo l'ombrello sopra la testa, si va a urtare contro quelle gocce che hanno appena superato il riparo. E se si vuole rimanere asciutti anche camminando bisogna angolare leggermente l'ombrello nella direzione in cui si avanza.
Più velocemente si procede, o più lentamente cada la pioggia, più bisogna angolare l'ombrello per evitare l'incontro con le gocce. L'angolo esatto di cui bisogna piegare l'ombrello dipende dal rapporto tra le due velocità, quella delle gocce e quella di chi cammina.
La situazione è simile anche in astronomia. La luce cade sulla Terra da una data stella secondo una data inclinazione e una data velocità. Nel frattempo la Terra si muove attorno al Sole a un'altra velocità. Il telescopio, come l'ombrello, non deve essere puntato direttamente verso la stella. Per captare la luce deve essere inclinato leggermente nella direzione in cui si muove la Terra. Dato che la luce si muove molto più velocemente di quanto non si muova la Terra nella sua orbita, il rapporto di velocità è alto e il telescopio deve essere inclinato solo di pochissimo.
L'inclinazione può essere misurata e, da questa, si può calcolare il rapporto tra la velocità della luce e quella della Terra nella sua orbita. Dato che la velocità orbitale della Terra era già conosciuta con una certa precisione, fu possibile a Bradley calcolare la velocità della luce. Lo scienziato calcolò che la velocità era tale da permettere alla luce di attraversare l'intera orbita terrestre in 16 minuti e 26 secondi.
Siccome l'ampiezza dell'orbita terrestre era di 174.000.000 miglia, significava che la luce doveva viaggiare a una velocità di circa 176.000 miglia al secondo (280.000 chilometri). Questo secondo tentativo di stabilire la velocità della luce diede quindi una cifra più alta di quella calcolata da Roemer e considerevolmente più vicina alla cifra accettata oggi. Però era ancora di un 5 per cento inesatta per difetto.
I metodi di Roemer e di Bradley erano basati sull'osservazione astronomica e avevano lo svantaggio di dipendere dalla conoscenza esatta della distanza della Terra dal Sole. Questo dato non fu preciso nemmeno durante il diciannovesimo secolo. (Se ai tempi di Bradley si fosse conosciuta, come oggi, l'esatta ampiezza dell'orbita terrestre, il suo errore sulla velocità della luce sarebbe stato contenuto entro l'1,6 per cento).
Bisognava trovare un sistema per misurare la velocità della luce con esperimenti che non si basassero su calcoli d'astronomia.

Nel 1849 un fisico francese, Armand Hippolyte Louis Fizeau, escogitò questo sistema. Sistemò una sorgente luminosa in cima a una collina e uno specchio in cima a un'altra collina a cinque miglia di distanza. Il raggio che partiva dalla sorgente luminosa arrivava allo specchio e tornava indietro percorrendo in totale dieci miglia. Fizeau doveva calcolare l'intervallo di tempo. Dato che questo intervallo sarebbe stato inferiore a 1/10.000 di secondo, Fizeau non poteva certo usare un cronometro.
Si servì invece di una ruota dentata messa davanti alla sorgente luminosa. Tenendola ferma, il raggio di luce passava tra due denti, raggiungeva lo specchio, e veniva riflesso indietro tra i due denti.
Dunque, supponiamo di far ruotare il disco. La luce si muove tanto rapidamente che può raggiungere lo specchio e tornare indietro prima che i due denti si siano spostati. Aumentiamo la velocità della ruota. A un certo punto il raggio di luce raggiunge lo specchio e torna indietro ma al posto dello spazio libero trova un dente. Così la luce riflessa non può più venire osservata. Facciamo girare la ruota ancora più rapidamente. Il raggio di luce passa tra due denti, torna indietro, e passa attraverso la scanalatura successiva. La luce riflessa può essere vista di nuovo.
Se si conosce la velocità della ruota si può calcolare la frazione di secondo che impiega un dente a mettersi nel raggio della luce riflessa e quanto impiega a uscirne. A questo punto si può stabilire quanto impiega il raggio di luce a coprire dieci miglia.
Fizeau stabilì che la luce viaggiava a circa 195.000 miglia al secondo (312.000 chilometri). Come Bradley sbagliò di un 5 per cento, ma questa volta per eccesso.
Ad aiutare Fizeau negli esperimenti c'era un altro fisico francese: Jean Bernard Leon Foucault. Foucault si decise alla fine a calcolare per conto suo la velocità della luce con un sistema leggermente diverso.
Nel sistema di Foucault la luce partiva sempre per raggiungere uno specchio e tornare indietro. Però, al ritorno il raggio cadeva su un secondo specchio che lo rifletteva a sua volta su uno schermo.
Supponiamo ora che il secondo specchio sia girevole. Quando il raggio ritorna colpisce il secondo specchio dopo che questo ha cambiato leggermente di posizione, e il raggio viene riflesso sullo schermo in un punto leggermente diverso da quello che si avrebbe con uno specchio immobile.
Conoscendo la velocità a cui girava il secondo specchio, Foucault riuscì a calcolare la velocità della luce.
Il miglior calcolo di Foucault, fatto nel 1862, ebbe come risultato 185.000 miglia al secondo (296.000 chilometri). Fu quasi il calcolo più accurato mai fatto, inferiore alla realtà solo dello 0,7 per cento.
Per le sue misurazioni, Foucault non usò grandi distanze, non si servì di cime di colline, ma trasportò la sua attrezzatura in un laboratorio, con un raggio di luce che percorreva una distanza di appena venti metri.
L'uso di distanze così brevi portò a qualcos'altro. Se la luce deve percorrere dieci miglia si può solo farla viaggiare attraverso l'aria. Un liquido o un solido possono essere trasparenti per brevi distanze, ma non certo per dieci miglia. Su una distanza di venti metri è invece possibile far viaggiare un raggio di luce attraverso l'acqua, o qualsiasi altro materiale trasparente.
Foucault provò a far passare la luce attraverso l'acqua, e scoprì che con il suo sistema la velocità risultava considerevolmente inferiore: tre quarti di quella che aveva nell'aria. Risultò infatti che la velocità della luce dipendeva dall'indice di rifrazione del materiale attraverso cui viaggiava. Più alto era l'indice di rifrazione, più bassa era la velocità della luce.
Ma l'aria stessa ha un indice di rifrazione, anche se basso. Quindi la velocità della luce doveva essere leggermente più alta del risultato ottenuto. Per ottenere la velocità pura bisognava misurare la luce nel vuoto.

I metodi astronomici usati da Roemer e Bradley implicavano il passaggio della luce attraverso il vuoto dello spazio interstellare e interplanetario. La luce, in quei casi, passava anche attraverso tutto lo spessore dell'atmosfera, ma questo spessore era insignificante se paragonato ai milioni di miglia di vuoto attraverso cui la luce aveva viaggiato. Tuttavia i metodi astronomici del XVIII e XIX secolo contenevano errori che annullavano il piccolo vantaggio di usare il vuoto al posto dell'aria.
Altro importante scienziato che studiò la velocità della luce fu il fisico tedesco-americano Albert Abraham Michelson. Cominciò a lavorarci nel 1878 secondo il metodo di Foucault migliorato però considerevolmente. Michelson si servì cioè di uno spostamento dello specchio riflettente di circa tredici centimetri, e nel 1879 stabilì che la velocità della luce doveva essere di 186.355 miglia al secondo (298.168 chilometri).
Questo valore è solo dello 0,04 per cento superiore alla cifra ritenuta esatta, e fu il più preciso ottenuto fino a quel momento.
Michelson continuò a lavorare al problema, usando diversi mezzi per migliorare le misurazioni, soprattutto dopo che nel 1905 la teoria della relatività di Einstein fece apparire la velocità della luce come una fondamentale costante dell'universo.
Nel 1923 Michelson scelse due cime di monti della California, che non distavano cinque miglia come quelle di Fizeau, ma ventidue. Calcolò la distanza tra le due cime fino a quando non l'ebbe stabilita al centimetro esatto, usò speciali specchi girevoli a otto facce, e nel 1927 annunciò che la velocità della luce era di circa 186.295 miglia al secondo (298.072 chilometri). Ancora troppo alta, ma solo dello 0,007 per cento.
Tuttavia Michelson non era ancora soddisfatto: voleva la velocità della luce nel vuoto. Perché la luce, e nient'altro, era la costante fondamentale dell'universo.
Prese quindi un lungo tubo, ne controllò accuratamente la lunghezza, e lo vuotò dell'aria. Nel tubo collocò un congegno che mandava la luce avanti e indietro sino a farle percorrere dieci miglia di vuoto. Fece esperimenti su esperimenti e nel 1933 (due anni dopo la sua morte) venne annunciato il risultato.
La cifra finale era di 186.271 miglia al secondo (298.033 chilometri). Un altro piccolo passo avanti: solo lo 0,006 per cento in meno.

Nei quattro decenni dopo il calcolo finale di Michelson i fisici studiarono nuove tecniche e strumenti che potevano essere usati per determinare la velocità della luce.
Per esempio, fu possibile, per mezzo del laser, produrre una luce di un'unica lunghezza d'onda, e misurare questa lunghezza d'onda con estrema precisione. Fu anche possibile determinare la frequenza della lunghezza d'onda (il numero al secondo) con altrettanta precisione.
Se si moltiplica la lunghezza di una lunghezza d'onda per il numero della lunghezza d'onda al secondo, il risultato equivale alla distanza coperta dalla luce in un secondo: cioè, la velocità della luce.
I calcoli vennero fatti e rifatti con precisione sempre maggiore, e nell'ottobre del 1972, dopo una accuratissima serie di misurazioni fatte con una catena di raggi laser da un gruppo di scienziati diretti da Kenneth M. Everson a Boulder, nel Colorado, venne diffuso il nuovo risultato: 186.282,3959 miglia al secondo.
La precisione della misura sta entro una yarda, perciò, dato che in un miglio ci sono 1760 yarde, si può dire che la velocità della luce sta tra 327.857.015 e 327.857.017 yarde al secondo.

Ho dato le misurazioni nelle unità di miglia e yarde per me abituali, facendo, finora, alcuni calcoli approssimativi in chilometri. Nonostante tutta la mia pratica scientifica mi riesce sempre difficile trasporre immediatamente le misurazioni nel sistema metrico. Dipende dalla stupida istruzione che ricevono i bambini americani, ma questo è un altro discorso.
Tuttavia, se non posso pensare istintivamente in termini di sistema metrico, lo posso però fare matematicamente, se mi ci metto. Ora siccome il modo corretto di dare la velocità della luce non è in miglia o in yarde al secondo, ma in chilometri o in metri al secondo, usando il linguaggio preciso, e fatti i debiti calcoli, la velocità della luce risulta di 299.792,4562 chilometri al secondo. Se la si moltiplica per 1.000 (la bellezza del sistema metrico sta nel fatto che moltiplicazioni e divisioni diventano semplicissime) risulta che è di 299.792.456,2 metri al secondo. Metro più, metro meno.
Esistono alcune misurazioni che è possibile fare con la stessa accuratezza del valore della velocità della luce. Una è la lunghezza dell'anno, che conosciamo con precisione ancora maggiore.
Dato che i secondi in un anno sono 31.556.925.974, possiamo calcolare che la lunghezza di un anno luce (la distanza che la luce percorre in un anno) è di 5.878.499.776.000 miglia, o meglio 9.460.563.614.000 chilometri (È inutile tentare di scoprire cosa siano gli 000 finali. Anche oggi la velocità della luce non è conosciuta in maniera tanto perfetta da poter stabilire un anno luce con maggiore approssimazione di qualche migliaio di miglia).
Queste cifre non sono arrotondate ed è estremamente difficile ricordarsele a memoria. Peccato, perché la velocità della luce è una quantità fondamentale, ma c'era da aspettarselo. Le diverse unità, miglia, chilometri e secondi, sono state determinate per ragioni che non hanno niente a che fare con la velocità della luce, e quindi è molto improbabile che la velocità risulti un giorno assolutamente esatta. Se ci si arriverà sarà soltanto per una fortunata coincidenza.
In miglia al secondo il valore comunemente dato alla velocità della luce, diciamo in un racconto, è di 186.000 miglia al secondo, che è solo dello 0,15 per cento inferiore al reale. Abbastanza soddisfacente, però dobbiamo ricordare una cifra di tre numeri: uno, otto, sei.
In chilometri al secondo la situazione è migliore perché se diciamo che la velocità della luce è di 300.000 chilometri al secondo, siamo al di sotto del vero (vero relativo) soltanto dello 0,07 per cento. L'approssimazione è due volte maggiore che non nel caso di miglia-per-secondo, e bisogna ricordarsi soltanto una cifra, il 3 (Naturalmente dobbiamo anche ricordare l'ordine di grandezza, cioè che la velocità è data in centinaia di migliaia di chilometri al secondo, e non in decine di migliaia, o in milioni).
La bellezza del sistema metrico decimale si evidenzia di nuovo. Il fatto che la velocità della luce sia di circa 300.000 chilometri al secondo significa che è di circa 300.000.000 metri al secondo, e di circa 30.000.000.000 centimetri al secondo, e che tutte e tre le cifre hanno la stessa approssimazione all'esattezza.
Il fatto che la velocità della luce, nel sistema metrico decimale, sia così vicina a un numero intero è soltanto una coincidenza.
Una delle misure più pratiche che gli uomini hanno usato è la distanza dal naso alla punta delle dita di un braccio disteso orizzontalmente. È abbastanza facile immaginare i commercianti del passato vendere stoffa, o corda, misurandola in questo modo. Di conseguenza quasi tutte le culture hanno una unità comune di questa lunghezza. Nella cultura anglo-americana è la yarda.
Quando nel 1790 il Comitato Rivoluzionario Francese volle preparare un nuovo sistema di misura, pensò anzitutto a un'unità fondamentale, e fu logico che ne scegliesse una molto vicina al vecchio sistema naso-punta delle dita. Comunque, per non farla troppo antropocentrica, pensarono di legarla a una misurazione astronomica.
Nei decenni precedenti i francesi avevano finanziato spedizioni scientifiche per calcolare le esatte misure della curvatura della Terra allo scopo di controllare se era veramente schiacciata ai poli come aveva sostenuto Isaac Newton. Queste spedizioni avevano portato gli scienziati francesi a una conoscenza molto esatta delle dimensioni e della forma della Terra.
Avevano provato che la Terra era veramente un poco schiacciata ai Poli, per cui la circonferenza che passava attraverso i due poli era leggermente inferiore a quella che correva intorno all'equatore. Parve molto aggiornato legare l'unità fondamentale di misura a una di queste circonferenze. Venne scelta quella polare perché la si poteva far passare da Parigi. La circonferenza equatoriale (la sola e unica) non poteva certamente passare attraverso la loro città.
Secondo le misurazioni dell'epoca, la circonferenza polare era di circa 44.000.000 yarde, e il quadrante della circonferenza dall'Equatore al Polo Nord, passando attraverso Parigi, era di circa 11.000.000 yarde. Venne deciso di stabilire che la lunghezza del quadrante era 10.000.000 di volte l'unità fondamentale, e per contro di definire la nuova unità come 1/10.000.000 del quadrante, e si convenne di chiamarla «metro».
Questa definizione del metro fu romantica ma non rigorosamente scientifica, perché implicava una conoscenza esatta della circonferenza polare, conoscenza che non c'era. Nel fare più esatte misurazioni della Terra si scoprì che quel quadrante era leggermente più lungo di quanto fosse stato calcolato. Non fu più possibile cambiare la lunghezza del metro, perché ormai troppe misurazioni si erano fatte con quel sistema. Comunque adesso sappiamo che il quadrante non è 10.000.000 metri, come stabilito dalla logica francese, ma 10.002.288,3 metri.

Ora, naturalmente, il metro non è più legato alle misure della Terra. Adesso definisce la distanza tra due segni su una sbarra di platino-iridio mantenuta a costante temperatura sotto una campana di vetro, e anche le lunghezze d'onda di un particolare raggio di luce: il raggio rosso-arancio emesso dal nobile gas isotopo, il krypton 86, per essere esatti.
Per coincidenza si ha che:
1) La velocità della luce è circa 648.000 volte superiore alla velocità del globo terrestre all'equatore mentre il nostro pianeta ruota sul suo asse. Questa è solo una coincidenza, perché la Terra potrebbe ruotare a qualsiasi velocità. Infatti in passato la rotazione era considerevolmente più veloce, e in futuro sarà considerevolmente più lenta.
2) Una singola rotazione del la Terra stabilisce un giorno, e le nostre piccole unità di tempo sono basate sull'esatta divisione del giorno. Grazie ai babilonesi e ai loro predecessori, per dividere il giorno in più piccole unità usiamo i fattori 24 e 60, e per coincidenza 24 e 60 sono anche fattori di 648.000. Come risultato delle coincidenze 1 e 2, qualsiasi cosa che si muova alla velocità della luce può compiere il giro completo dell'equatore terrestre quasi esattamente 450 volte al minuto, o quasi esattamente 7,5 volte al secondo... che sono numeri semplici.
3) Dal momento che per una terza coincidenza gli scienziati francesi hanno deciso di legare il metro alla circonferenza della Terra e renderlo una frazione di questa circonferenza, il risultato è un inevitabile numero pieno per la velocità della luce nel sistema metrico. Ci sono 40.000.000 metri (circa) di circonferenza terrestre, e se si moltiplica questa cifra per 7,5 si ottengono 300.000.000 metri al secondo.

FINE