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Urania - Asimov d'appendice
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LA SUPERCASSETTA - Isaac Asimov
Titolo originale: The ancient and the ulimate

Qualche tempo fa ho partecipato, seppure con un ruolo minore, a un seminario di quattro giorni sulle comunicazioni e la società.
La prima sera ebbi modo di sentire una conferenza molto interessante, fatta da un uomo straordinariamente intelligente e simpatico, interessato alle video-cassette. Fece una stupenda e, a mio avviso, irrefutabile tesi in favore delle cassette, definendole onde di comunicazione del futuro, o per lo meno, una delle onde.
Fece osservare che per i programmi commerciali destinati a sostenere il costo spaventoso delle stazioni TV, e la terribile avidità dei pubblicitari, sono assolutamente necessarie platee di decine di milioni di spettatori.
Come tutti sappiamo, gli unici argomenti che hanno la possibilità di incontrare il favore di un pubblico che va dai venticinque ai cinquanta milioni di spettatori sono quelli che evitano accuratamente ogni offesa anche minima. Qualsiasi cosa aggiunta per rendere gustosa e salace una notizia potrebbe offendere qualcuno, e risultare sgradita.
Così è la pappa senza sapore che sopravvive, non perché piaccia, ma perché non crea scontenti. (Certo qualcuno, voi e io, per esempio, siamo scontenti, ma quando i magnati della pubblicità contano i voi e i me, e gli altri come noi, la somma finale li fa scoppiare in risate convulse).
Le cassette, comunque, vendono soltanto il loro contenuto, e non devono mascherarlo con false e costose cornici, o con la presenza di costosissimi presentatori. Si offre una cassetta sulla strategia degli scacchi con simboli scacchistici che si muovono su una scacchiera, e questo basta per vendere un numero x di cassette a un numero x di appassionati di scacchi. Se il prezzo richiesto è sufficiente a coprire le spese di produzione (più un onesto profitto), e se si effettua il preventivato numero di vendite, allora tutto va per il meglio. Si possono verificare dei fiaschi imprevisti ma anche degli enormi successi.
In breve, la produzione delle video-cassette somiglia alquanto alla pubblicazione dei libri.
Su questo punto l'oratore fu esplicito, e quando disse: «I manoscritti del futuro non saranno più fogli di carta malamente stampati, ma sequenze d'immagini ben fotografate» non riuscii a restare impassibile.
Evidentemente mi agitai tanto da farmi notare, dato che sedevo in prima fila, perché l'oratore disse: «E uomini come Isaac Asimov si troveranno superati e sostituiti».
Io feci un balzo, e tutti risero.
Due giorni più tardi, la persona che avrebbe dovuto parlare quella sera fece una telefonata da oltre oceano per avvertire che era trattenuto a Londra, così la gentile signora che dirigeva il seminario venne da me, e mi pregò di sostituire l'oratore ufficiale.
Le dissi che non ero affatto preparato, e lei ribatté che avevo la fama di saper tenere ottime conferenze senza la minima preparazione. Naturalmente, mi sciolsi alla prima parola di adulazione, naturalmente quella sera parlai, e naturalmente feci un'ottima conferenza. (O per lo meno, tutti dissero così).
Non sono in grado di riferirvi esattamente quello che dissi, perché, come sempre, improvvisai, però, da quello che ricordo, dev'essere stato qualcosa del genere...
«L'oratore di due giorni fa ha parlato di video-cassette e ha dato l'affascinante e brillantissima immagine di un futuro in cui le cassette e i satelliti domineranno il campo delle comunicazioni. Oggi io voglio usare la mia esperienza fantascientifica per andare oltre, e vedere come le cassette possono essere ulteriormente migliorate, perfezionate, e rese ancora più sofisticate.
«In primo luogo le cassette, come dimostrato dall'oratore, hanno bisogno di apparecchiature complesse e costose per la lettura del nastro, per trasportare le immagini sullo schermo televisivo, e per incanalare negli altoparlanti i suoni di commento.
«Col tempo queste apparecchiature ausiliarie diventeranno più piccole, più leggere, e più mobili. È possibile infine che scompaiano del tutto per diventare parte della cassetta stessa.
«In secondo luogo per consentire la conversione delle informazioni contenute nella cassetta in suono e immagini occorre energia, e questo pone un limite d'ambiente (Ogni uso di energia lo pone, e dal momento che non possiamo evitare l'uso dell'energia, cerchiamo almeno di non usarne più del necessario).
«Possiamo prevedere che la quantità di energia necessaria a tradurre le cassette in suoni e immagini diminuirà. E possiamo anche presumere che alla fine, raggiunto il valore zero, sparirà del tutto.
«Quindi possiamo immaginare una cassetta completamente mobile e autosufficiente. Cioè non richiederà più né energia né apparecchiature speciali per il suo uso. Non serviranno più spine da infilare nelle prese, né batterie di ricambio, e potrete trasportarla con voi ovunque vi piacerà: a letto, nel bagno, in un bosco, sul terrazzo.
«Una cassetta, come la si immagina solitamente, produce suoni e proietta immagini. Deve risultare chiara sia nel suono quanto nell'immagine, ma a causa della necessità di imporsi all'attenzione di più persone, alcune delle quali possono anche non essere interessate, può risultare imperfetta. L'ideale sarebbe che la cassetta mobile autosufficiente sia vista e sentita soltanto da una persona.
«Per quanto sofisticate siano le cassette in commercio oggi, o quelle previste per l'immediato futuro, esse hanno sempre bisogno di comandi. Esiste un pulsante per accendere e spegnere, e altri per regolare colore, volume, luminosità, contrasto, eccetera. Nella mia visione io faccio che questi comandi operino, nel limite del possibile, per volontà.
«Io prevedo una cassetta in cui il nastro si fermi non appena voi staccate gli occhi dallo schermo, e tale rimanga fino a quando non riportiate indietro lo sguardo. A questo punto riprende immediatamente a scorrere. Io prevedo una cassetta che programmi i nastri velocemente o lentamente, in avanti o indietro, a salti, o con ripetizioni, il tutto a volontà.
«Dovete ammettere che una cassetta del genere è un sogno. Auto-sufficiente, mobile, che non consuma energia, assolutamente privata, e largamente sotto il controllo della volontà.
«Già, ma i sogni sono labili, quindi siamo pratici. Può esistere una simile cassetta? A questa domanda io rispondo: "Sì, certo".
«La domanda che segue è: "Quanti anni dobbiamo aspettare una simile cassetta, tanto superbamente perfezionata?".
«So darvi anche questa risposta, e con la massima precisione. L'abbiamo già da cinquemila anni, perché quello che io ho descritto (come forse avete immaginato) è esattamente il libro...»

Sto scherzando? Vi sembra forse, gentili lettori, che il libro non sia la cassetta perfettamente rifinita, perché un libro presenta soltanto parole e non anche immagini, che le parole senza immagini siano qualcosa a una dimensione, staccate dalla realtà, che non ci si possa aspettare di avere informazioni dalle sole parole in un universo che esiste in immagini.
Pensiamoci un momento. L'immagine è più importante delle parole?
Certo, se consideriamo le attività puramente fisiche dell'uomo, il senso della vista è il principale mezzo che permette all'uomo di raccogliere le informazioni su quanto lo circonda. Dovendo scegliere fra l'attraversare una zona accidentata con gli occhi bendati e tutti gli altri sensi all'erta o con gli occhi aperti e gli altri sensi fuori uso, io opterei senza esitazione per l'uso degli occhi. Infatti, a occhi chiusi, io mi potrei soltanto muovere con grande cautela.
Però, in una delle primissime età del suo sviluppo, l'uomo ha inventato la parola. Ha imparato come modulare il fiato che emette, e come usare le differenti modulazioni per servirsene come simbolo di oggetti materiali, di azioni e, cosa molto più importante, di astrazioni.
Alla fine ha imparato a codificare i suoni modulati in segni. Il libro, non serve che ve lo dica, è uno strumento che potremmo definire «deposito della parola».
È la parola che distingue fondamentalmente l'uomo dagli altri animali (eccezione fatta per il delfino, che probabilmente ha la parola ma non ha mai trovato il sistema per «depositarla»).
La parola, e la potenziale capacità di depositarla, sono doti comuni a tutti gli uomini. Tutti i gruppi conosciuti di esseri umani, per quanto primitivi siano, hanno la parola, hanno il loro linguaggio. So di certi popoli primitivi che possiedono un linguaggio estremamente complesso.
In più, tutti gli esseri umani normali imparano a parlare nei primi anni di età.
Essendo quindi la parola attributo generale dell'umanità, è evidente che la maggior parte delle informazioni ci arriva, quali animali «sociali», più dalla parola che attraverso le immagini.
E non ho finito. La parola e le sue forme di espressione (scrittura o ideogrammi) sono per noi una tale prepotente fonte di informazioni che dovendone fare senza saremmo perduti.
Per chiarire quello che voglio dire prendiamo un programma televisivo, che comprende suoni e immagini, e chiediamoci cosa succederebbe dovendo eliminare l'uno o l'altro.
Poniamo di escludere l'immagine lasciando soltanto il suono. Non resterebbe una nozione abbastanza soddisfacente di quello che succede? Forse alcuni punti ricchi di azione e poveri di suono lascerebbero perplessi. Ma se la mancanza delle immagini fosse prevista, poche parole in più basterebbero a colmare i vuoti.
Infatti la radio funziona esclusivamente col suono. Usa la parola e gli «effetti sonori». In particolari momenti, alla radio, il dialogato diventa artificiale o innaturale, se preferite, per sopperire alla mancanza delle immagini. Tipo: «Ecco che arriva Harry. Oh, non ha visto la buccia di banana. Ci ha messo un piede sopra. È caduto». Comunque, in generale, non si perde niente. Dubito che qualcuno, ascoltando la radio, abbia lamentato la mancanza delle immagini.
Torniamo adesso allo schermo TV. Togliete il suono e lasciate l'immagine, a fuoco perfetto, e magari con tutti i suoi bei colori. Cosa ci capite? Ben poco. Non servono. Le espressioni della faccia, o i gesti teatrali, o i trucchi della telecamera mentre inquadra qua e là, non servono nemmeno a darvi una pallida nozione di quello che succede.
Paragonabile alla radio, che è soltanto parole e suoni diversi, era il cinema muto, che dava soltanto le immagini. In assenza della parola e del suono, gli attori del film muto dovevano «esprimere». Quante palpebre che sbattevano, quante mani portate alla gola, agitate nell'aria, sollevate al cielo, quante dita puntate fiduciosamente al cielo, fermamente verso terra, rabbiosamente alla porta. Le cineprese che giravano lentamente per inquadrare la buccia di banana a terra, l'asso nella manica, la mosca sul naso! E con tutte le estreme inventività d'inquadratura, nelle sue forme più esasperate, cosa avevamo ogni quindici secondi? Una pausa nell'azione, per far comparire delle parole sullo schermo.
Non voglio dire che non si possa comunicare per mezzo della visione soltanto... con l'uso di immagini pittoriche. Un abile mimo come Marcel Marceau o Charlie Chaplin o Red Skelton può fare meraviglie... ma la principale ragione per cui noi li guardiamo e li applaudiamo sta proprio nel fatto che danno moltissimo con il solo mezzo della mimica.
Infatti noi ci divertiamo a risolvere sciarade e a far risolvere a qualcuno una semplice frase che noi «mimiamo». Non sarebbe, un gioco divertente se non fosse tanto ingenuo, e anche così, quelli che partecipano al gioco elaborano una serie di segnali e studiano dei sistemi che (anche se i giocatori non lo sanno) si avvantaggiano dei meccanismi del dialogo.
Dividono la parola in sillabe, indicano se la parola è corta o lunga, usano sinonimi ed emettono «suoni». In tutto questo, vengono usate immagini per «parlare». Senza usare un qualsiasi sistema che comprenda le qualità del dialogo ma servendovi semplicemente dei gesti e dell'azione, sapreste esprimere una semplice frase, quale: «Ieri il tramonto aveva degli stupendi colori rosa e viola»?
Naturalmente una macchina da presa può fotografare un magnifico tramonto, e voi lo potreste descrivere. Questo comporta un considerevole impiego della tecnica, e in ogni modo non sono molto sicuro che le immagini sarebbero come quelle del tramonto di «ieri» (a meno che nella pellicola non si mettano inserti di calendario, il che equivarrebbe a una forma di dialogo).
Oppure, pensate un po' a questo. Le commedie di Shakespeare sono state scritte per essere interpretate. L'immagine è essenziale. Per gustarle a pieno bisogna vedere gli attori e ciò che fanno. Quanto perdereste se assistendo all'«Amleto» chiudeste gli occhi e vi limitaste a sentire? E quanto perdereste se vi tappaste le orecchie limitandovi a guardare?
Stabilita chiaramente la mia convinzione che il libro, fatto di parole e non di immagini, perde pochissimo per questa sua lacuna, e che ha quindi tutto il diritto di essere considerato un esempio estremamente sofisticato di video-cassetta, lasciate che ricorra a un argomento ancora migliore.
Lontano dal mancare di immagini, il libro ha immagini. In più ha immagini migliori di quelle che potrebbero mai venire presentate in televisione, perché si tratta di immagini personali.
Quando leggete un libro interessante, non vi si formano forse delle immagini nella mente? Non vedete forse tutto quello che succede, con gli occhi della mente?
Queste immagini sono tutte vostre. Appartengono a voi e a voi soli, e sono infinitamente migliori di quelle inventate per voi da altri.
Una volta ho visto Genie Kelly in «I tre moschettieri» (l'unica versione che abbia mai visto ragionevolmente fedele al libro). Il duello tra D'Artagnan, Athos, Porthos, e Aramis da una parte, e le cinque guardie del cardinale dall'altra, che avviene quasi all'inizio del film, era assolutamente stupendo. Era una danza, naturalmente, e mi divertì. Ma Gene Kelly, per quanto abile ballerino possa essere, non coincideva con l'immagine del D'Artagnan che avevo con gli occhi della mia mente, e rimasi a disagio per tutta la durata del film, perché la sua presenza faceva violenza ai «miei» tre moschettieri.
Con questo non voglio negare che qualche volta un attore non possa adattarsi alla vostra immagine. Sherlock Holmes, nella mia mente, è Basil Rathbone. Nella «vostra» mente, tuttavia, Sherlock Holmes può anche non essere Basil Rathbone. Potrebbe anche essere Dustin Hoffman, per quello che ne so. Perché mai tutti i nostri milioni di Sherlock Holmes dovrebbero essere visti nel solo Basil Rathbone?
Vedete quindi perché un programma televisivo, per quanto eccellente, non potrà mai dare tanto piacere, interessare tanto, riempire durevolmente una nicchia nella vita dell'immaginazione, quanto un libro. Per assistere a un programma televisivo noi dobbiamo portare una mente vuota, sedere apaticamente, e lasciare che i suoni e le immagini ci raggiungano, senza pretendere niente dalla nostra immaginazione. Se altri stanno a guardare, tutti vengono riempiti fino all'orlo nella stessa precisa e identica maniera, tutti quanti, con le stesse identiche immagini sonore.
Il libro, invece, richiede la partecipazione del lettore.
Quando leggete un libro voi vi create una vostra immagine, create il tono delle diverse voci, create gesti, espressioni, emozioni. Create tutto questo con delle semplici parole. E se provate un piccolo piacere nella creazione, allora il libro vi ha dato qualcosa che il programma televisivo non può dare.
Inoltre, se diecimila persone leggono lo stesso libro nello stesso momento, tutte creano inevitabilmente delle loro immagini, dei loro timbri di voce, dei loro gesti, espressioni, emozioni. Non sarà più un solo libro, ma diecimila libri. Non sarà più soltanto il prodotto dell'autore, ma il prodotto della collaborazione tra l'autore e ciascuno dei lettori separatamente.
Allora, cosa può sostituire il libro?
Ammetto che il libro può subire piccoli cambiamenti. Una volta era scritto a mano, adesso è stampato. La tecnica per la stampa dei libri è migliorata in più modi, e in futuro il libro può uscirvi elettronicamente da un apparecchio televisivo posto in casa vostra.
In definitiva, comunque, voi resterete ancora solo con la parola stampata. E cosa la può sostituire?
È un mio desiderio questo? È perché mi sono guadagnato da vivere coi libri che non voglio accettare la possibilità che scompaiano? Sto forse inventando ingegnosi argomenti per consolarmi?
No. Sono certo che in futuro i libri non verranno rimpiazzati, perché non lo sono stati in passato.
Certo, c'è molta più gente che guarda la televisione di quanta si dedica alla lettura dei libri, ma questa non è una novità. I libri sono sempre stati un interesse di minoranza. Poca gente leggeva libri prima della televisione, e prima della radio, e prima di qualsiasi altra invenzione vogliate.
Come ho detto i libri chiedono e richiedono un'attività creativa da parte del lettore. Non tutti, pochissimi, per la verità, sono pronti a dare ciò che viene richiesto, così non leggono, non «vogliono» leggere. Loro non sono lettori persi perché il libro viene a mancare in qualche modo. Loro sono persi per natura.
Infatti, lasciatemi dire che la lettura in se stessa è difficile, spaventosamente difficile. Non è come il parlare, che qualsiasi ragazzo mediamente normale impara senza programma o insegnamento. L'imitazione comincia all'età in cui uno la vuole imparare.
Leggere, invece, deve essere insegnato, e, solitamente, senza molta fortuna.
Il guaio è che ci lasciamo sviare dalla nostra stessa definizione di «saper leggere e scrivere». Noi possiamo insegnare quasi a tutti (se ci si mette d'impegno, e a lungo) a leggere le segnalazioni stradali, a capire le istruzioni e gli avvertimenti dei cartelli, e a decifrare i titoli di testa di un giornale. Posto che il messaggio stampato sia breve e ragionevolmente semplice, e che la motivazione di leggere sia grande... quasi tutti sanno leggere.
Se questo si può chiamare «saper leggere e scrivere», allora quasi tutti gli uomini sono «letterati». Ma se passate a chiedervi perché così pochi uomini, negli Stati Uniti come altrove, leggano libri (ho sentito dire che l'americano medio non legge nemmeno un libro intero all'anno), cominciate a dubitare del significato di «saper leggere e scrivere.»
Poche persone letterate, nel senso che sanno leggere il cartello con la scritta «Vietato Fumare», diventano mai tanto familiari con le parole stampate e così a loro agio con il processo del rapido decifrare con gli occhi i piccoli e complicati segni che stanno al posto dei suoni, da desiderare di affrontare il compito di una qualsiasi lunga lettura... quale potrebbe, per esempio, essere leggere un migliaio di parole consecutive.
Non che io pensi che questo sia da collegare a un completo fallimento del nostro sistema educativo (anche se il cielo sa che è così). Se voi insegnate a tutti i ragazzi a giocare a baseball, nessuno si aspetta che questi ragazzi diventino tutti dei campioni, o se si insegna a tutti i ragazzi a suonare il piano, che questi diventino tutti dei grandi pianisti. Noi, in quasi tutti i campi, accettiamo il concetto del «talento» che può essere incoraggiato e sviluppato, ma non creato dal nulla.
Bene, secondo il mio punto di vista, anche saper leggere è un «talento». Lasciate che vi dica come l'ho scoperto.
Quando avevo una decina di anni leggevo i fumetti, e il mio personaggio preferito, se v'interessa, era Scrooge McDuck. In quei giorni i giornali a fumetti costavano dieci cents, ma io li leggevo per niente all'edicola di mio padre. Comunque mi chiedevo come poteva essere tanto stupida la gente da pagare dieci cents al fascicolo quando, fermandosi due minuti all'edicola lo poteva leggere tutto senza sborsare un soldo.
Poi, un giorno, mentre mi trovavo sulla metropolitana, diretto alla Columbia University, mi trovai appeso alla maniglia di una vettura affollata, senza niente da leggere. Fortunatamente una ragazzina seduta di fronte a me aveva in mano un giornale a fumetti. Qualcosa è sempre meglio di niente, così mi misi in posizione adatta a leggere con lei. (Fortunatamente sapevo leggere un giornale tanto a rovescio quanto dalla parte giusta).
Poi, dopo qualche secondo, pensai: «Perché non volta pagina?».
Alla fine lo fece. Le ci volevano diversi minuti per finire le due facciate del giornale, e mentre la guardavo spostare gli occhi da una vignetta all'altra muovendo le labbra e mormorando le parole, ebbi un'intuizione.
Lei stava facendo quello che avrei fatto io trovandomi di fronte a parole scritte con caratteri ebraici, greci, o cirillici. Conoscendo appena i rispettivi alfabeti, avrei dovuto prima riconoscere ogni lettera, poi ricordare il suono, poi metterle insieme, e alla fine riconoscere la parola. Sarei poi passato alla parola successiva per fare la stessa cosa. Alla fine, dopo aver decifrato diverse parole in questo modo, avrei dovuto tornare indietro per tentare di metterle in ordine e cavarne un senso.
Potete scommettere che in queste condizioni io avrei letto pochissimo. La sola ragione per cui io leggo è perché quando vedo una riga stampata tutte le parole mi saltano immediatamente all'occhio.
La differenza tra il lettore e il non lettore aumenta gradatamente ogni anno. Più il lettore legge, più informazioni raccoglie, più vasto diventa il suo vocabolario, più familiari gli diventano le diverse allusioni letterarie. La lettura diventa a lui sempre più facile e più divertente, mentre al non lettore diventa sempre più difficile e meno interessante.
Il risultato è che noi abbiamo, come ci sono sempre stati, lettori e non lettori. I primi formano una piccola minoranza che io immagino di circa l'uno per cento.
Ho calcolato che circa 400.000 persone hanno letto qualcuno dei miei libri (su una popolazione di 200.000.000), e io sono considerato, e mi considero, uno scrittore di successo. Se di un libro vengono vendute 2.000.000 di copie in tutte le edizioni americane, è un notevole successo, e significa che l'uno per cento della popolazione americana si è presa il disturbo di comperarlo. Di questo totale, comunque, io sono pronto a scommettere che almeno la metà si limita a leggere solo qua e là, andando alla ricerca dei punti spinti.
Questa gente, questi non lettori, questi ricettacoli passivi degli svaghi sono terribilmente incostanti. Passano da una cosa all'altra in una eterna ricerca di qualcosa che dia loro il massimo richiedendo loro il minimo.
Passano dai canti alle rappresentazioni teatrali, dal teatro al cinema, da quello muto a quello sonoro, dal bianco e nero a quello a colori, dai dischi alla radio e viceversa, dal cinema alla televisione, alla televisione a colori, alle videocassette.
Che importanza ha?
Comunque, la fedele minoranza di meno dell'uno per cento rimane attaccata ai libri. Solo le parole stampate possono richiedere qualcosa da loro. Solo le parole stampate possono stimolare la loro creatività. Solo le parole stampate possono adattarsi ai loro bisogni e desideri. Solo le parole stampate possono dare loro quello che nient'altro può dare.
Il libro può essere vecchio, ma è anche definitivo, e il lettore non ne verrà mai distolto. Rimarranno una minoranza, ma rimarranno.
Così, nonostante quello che ha detto il mio collega nella sua conferenza sulle video-cassette, gli scrittori e i libri non verranno mai superati e sostituiti. Scrivere libri può anche non portare alla ricchezza (ma che cos'è mai il denaro?) però come professione esisterà sempre.

FINE