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The Lost Treasures
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PIÙ VERDE DEL PREVISTO - Ward Moore

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«...ho capito che non c'era che una strada per lui; perché aveva il naso affilato come una penna e balbettava di campi verdi. - Oh, via, Sir John - dico io, - Che c'è, buon signore? State di buon animo. - E lui a gridare: - Dio, Dio, Dio, tre o quattro volte. E io, per confortarlo, gli ho detto che non era il caso che pensasse a Dio, e che non era ancora il momento di farsi venire queste idee...»
Enrico V, Atto II, Scena III


Né la vegetazione né la gente di cui si parla in questo libro sono del tutto immaginari. Ma, o lettore, nessuna delle persone qui rappresentate sei tu. Con un'unica eccezione. Tu, signore, signorina, signora, qualunque sia la tua patria e la tua posizione sociale, tu sei Albert Weener. Anch'io sono Albert Weener.

Capitolo I

Gli inizi di Albert Weener

Ho sempre saputo che avrei scritto un libro. Qualcosa che aiutasse le menti stanche a dimenticare i pensieri della giornata. Ma ho sempre detto che non si può sapere cosa c'è dietro l'angolo fino a che non lo si è, girato; e tutti si sono ormai così abituati, negli ultimi ventun anni, agli avvenimenti più strani che il romanzo, a un tempo riposante e fonte d'ispirazione, di cui una volta sognavo, apparirebbe oggi del tutto irreale. Bisogna dunque che io scriva, invece, delle cose che sono successe a me.
Tutto cominciò con una parola. Quella parola.
- Erba. Famiglie delle Graminacee. L'erba.
Nella mia mente, allora, vedevo solo della roba verde in un parco, con panchine qua e là per gli oziosi.
Avevo risposto, non per la prima volta nella mia carriera di venditore, a un'inserzione: aspettandomi naturalmente un posto di direttore alle vendite. Ma il mondo è pieno di matti, i più pericolosi dei quali tendono a fregare l'ingenuo piazzista spacciando per affari d'oro le speranze più dissennate. Non si è mai verificato che una proposta veramente d'alta classe sia venuta fuori da qualcuno senza quel minimo d'aggressività necessaria per mettere su una facciata decente: almeno un ufficio come si deve, e non un decrepito appartamento nella parte sbagliata di Hollywood.
- Si tratta solo di un inconveniente temporaneo, Weener: che restringe però l'efficacia del Metamorphizer alle sole erbe.
Questo nome assurdo, questa accozzaglia di sillabe pronunciate dalla voce profonda di una donna di mezz'età, sottolineava la totale assurdità del prodotto, la radicale cretineria della scoperta fatta da J. S. Francis, l'autrice di quell'appetitosa inserzione; per l'esattezza: Josephine Spencer Francis. Posto sbagliato, atmosfera sbagliata, tipo sbagliato. Guardandomi dall'alto del suo uno e settantacinque almeno (io sono di altezza media), percorreva a grandi passi la cucina, adibita contemporaneamente a laboratorio e ufficio, gesticolando e parlando con esuberanza. La donna era un aggregato di cilindri delle dimensioni più diverse. Le gambe informi erano simili a colonne che poggiavano su grosse scarpe dal tacco basso e che sostenevano, a mo' di timpano capovolto, i fianchi massicci, Una gonna troppo corta e unta, botte dalla curva possente, reggeva il dilatato tamburo del torso.
- Ancora un po' di lavoro - rombava con la sua voce da basso, - ancora qualche problema marginale da risolvere, e il Metamorphizer sarà in grado di modificare la struttura di ogni pianta in cui verrà inoculato.
Già era grossa, ma faccia e testa erano ancora più grosse. L'unico aggettivo adatto ai suoi occhi è "enormi". Arriverei a dire che qualcuno avrebbe potuto definirli belli.
- Ma pensate a cosa significa la mia scoperta. Pensateci, Weener. Qualsiasi pianta potrà utilizzare ogni sorta di materiale. State attento, Weener, ho detto ogni sorta di materiale: rocce, quarzo, granito. Tutto.
Frugò nel taschino della sua giacca da uomo e ne tirò fuori uno di quegli stuzzicadenti d'oro di moda nell'epoca vittoriana, e lo usò con grande energia malgrado io rabbrividissi. - Sfortunatamente - continuò senza eccessiva chiarezza, - sfortunatamente nella congiuntura attuale non dispongo delle risorse necessarie per procedere a ulteriori esperimenti...
Anche questo. Solo un piccolo investimento giusto per iniziare la produzione: quante volte mi avevano fatto quel bel discorsetto. Ero un venditore, mica un idiota; e comunque, al momento ero sprovvisto di liquidi.
- Cambierà la faccia del mondo, Weener. Basta con le terre troppo a lungo sfruttate, basta con le lotte frenetiche per quei pezzetti di terreno naturalmente fertili, basta con la fatica senza fine di arricchire il suolo impoverito con concimi chimici, alla faccia dei popoli troppo poveri e troppo ignoranti. - Tese la mano, una mano modellata con finezza ed economia di materiale sorprendenti, mancando per un pelo una pila di piatti che sosteneva un vaso da fiori pieno di viticci ricadenti. Non riuscivo a capire come una donna fosse riuscita a pervertire l'istinto naturale fino al punto di vivere e lavorare in un posto simile. Non solo la sua cucina era in disordine, ma lei stessa appariva sciatta e probabilmente poco pulita. - I fertilizzanti! Puah! Espedienti, Weener, poveri, rozzi espedienti. - I suoi occhi inevitabili erano agganciati ai miei. - Cos'è un fertilizzante? Uno stuzzichino, una pappetta, un lecca-lecca. Gli indiani usano il pesce; i cinesi il pozzo nero; i chimici mettono insieme appetitosi miscugli di azoto e potassio: e lo chiamate progresso, questo? Inventare la frusta meccanica per l'asino invece che il motore a scoppio. Io sono andata direttamente al cuore del problema, Come Watt. Come Maxwell. Come Almroth Wright. Assurdo fermarsi perché non si ha molto su cui lavorare: immaginazione ci vuole! Bisogna cambiare la pianta, Weener! Cambiare la pianta!
Non era più, ormai, la buona educazione a trattenermi lì. Se fossi riuscito a liberarmi dai suoi occhi me ne sarei andato di volata.
- Bisogna che la pianta riesca a nutrirsi da sé usando tutto quello che trova. Prendete una terra arida, sterile, infeconda: seminateci grano o granoturco, trattate le piante col Metamorphizer ed ecco che avrete un raccolto più ricco dei migliori che si siano mai visti nello Iowa o in Ucraina. L'abbondanza regnerà in tutto il mondo.
Forse... ma le vendite? - Avete detto di essere a secco - la provocai, tanto per porre fine a quel penoso colloquio.
A secco? A secco? Ah, i soldi per perfezionare il Metamorphizer, Non importa, si perfezionerà da solo.
- Non capisco.
- Guardatevi attorno: cosa vedete? Metaforicamente, intendo dire, Campi di grano. Acri e acri piantati a grano, Il grano è un'erba. E granoturco. Iowa, Wisconsin, Illinois: il granoturco è dappertutto. E poi orzo, avena, segale: sono tutte erbe. E il Metamorphizer funzionerà su tutte quante.
Io sono un uomo dalla mente aperta. Forse... improbabile, ma non impossibile; forse, dopotutto, poteva esserci qualcosa di vero. Pensai che lei vedeva le cose dal lato sbagliato. Erba, diceva, e poi parlava di grano, granoturco e contadini. La California meridionale è piena di prati, no? Perché sbattersi nell'hinterland quando c'era un ottimo territorio di caccia proprio lì intorno?
- Fate rivivere il vostro prato, ormai vecchio e stanco - improvvisai. - Basta con il concime, la torba, la sabbia e le grane. Una spruzzata di Meta, una spruzzata della straordinaria invenzione della dottoressa Francis, e il vostro prato ritornerà a nuova vita.
- Prati? Sciocchezze. Non penserete che abbia lavorato per anni e anni solo per soddisfare la vanità di qualche piccolo borghese?
- I prati, signorina Francis, Io sono un venditore, e so come si fa a vendere un prodotto. Bisogna vendere il vostro prodotto alle massaie.
- Ah sì? E io dico di no. Io lavoro con le piante. Non prendo una margherita e la pasticcio per farne una mostruosità rossa e nera. Non sono il tipo che dà corda agli imbecilli che vogliono far crescere l'erbetta nel deserto. Io ho altri obiettivi: basta col sottosviluppo; basta con le carestie; basta con le terre sterili; basta guerre, povertà, bambini affamati. Ecco perché ho inventato il Metamorphizer: non per far crescere due steli d'erba dove già ne cresce uno, ma per trasformare in campi le rocce e le dune di sabbia. No, Weener, no. Ecco, guardate: questa pompa... - e con gesto da prestigiatore tirò fuori dal guazzabuglio di oggetti un congegno dall'aspetto goffo con un lungo tubo pendulo la cui estremità si perdeva tra i piatti sporchi, - questa pompa è piena di Metamorphizer in quantità sufficiente per trattare centocinquanta acri di terreno mescolando la sostanza all'acqua per irrigare in certe proporzioni. Ho qui una tabella pronta. Nel serbatoio ci sono cinque galloni di Metamorphizer; vendetelo a cinquanta dollari al gallone. Fa un dollaro e mezzo all'acro; voi vi tenete il dieci per cento. Ricordatevi di portarmi la pompa ogni sera.
Devo dire a suo merito che una volta passata a parlare d'affari non disse una parola di troppo. Forse la sorpresa fu tale che mi lasciai incantare e non mi riuscì di rifiutare.
Naturalmente la sua offerta era ridicola: dieci per cento! Il talento, le capacità e l'impegno di un venditore provetto valevano almeno il cinquanta per cento, e il cinquanta per cento ottenni dopo aver chiesto il settantacinque.
Alla fine me ne andai con la pompa (un giocattolo per la Francis, a giudicare dalla disinvoltura con cui la maneggiava, ma pesante e scomoda per me) appesa alla schiena e tre metri di tubo recalcitrante arrotolato sulla spalla. Attraversai il soggiorno desolato, mi voltai a guardare, una volta fuori, l'intonaco scrostato del palazzo e scossi la testa.

Capitolo II

Tutto va per il meglio: ecco il cardine della mia filosofia; fare di necessità virtù, eccone il consolante corollario. Così mi convinsi che si fa meno fatica a sorridere che ad accigliarsi, e che non si può vedere il lato luminoso delle cose se si portano gli occhiali scuri. Siccome il mondo è fatto di gente di tutti i tipi, e poiché al mondo esistevano esseri come Josephine Spencer Francis, non era irragionevole supporre che esistessero anche esseri interessati ad acquistare il prodotto da lei inventato. Per vendere qualche cosa bisogna in primo luogo vendere se stessi: cominciai dunque a recitare dentro di me l'elenco delle virtù del Metamorphizer. Probabilmente, una volta fornita la prima applicazione, non ci sarebbe stato mai più bisogno di altre: fortunatamente, non ero legato per la vita a quella diabolica invenzione.
Non mi restava che trovare i clienti, e divenni di colpo pratosensibile. E, altrettanto improvvisamente, mi resi conto che il venditore ero io, e non lei: toccava a me, uomo eminentemente pratico, decidere dove, come, a chi e a quali condizioni avrei venduto. Mi diressi risoluto verso il giardino più vicino e suonai il campanello.
- Buon giorno, signora. Si vede, guardando il vostro giardino, che ci tenete ad avere piante come si deve.
- Il giardino non è mio e la signora Smith non c'è.
La casa accanto non aveva giardino, ma un'edera rigogliosa. Nessuno aveva il diritto di far crescere edera quando io vendevo un prodotto che funzionava solo per le graminacee. Lasciai l'edera e suonai il campanello della casa di fronte.
- Buon giorno, signora. Ho capito, guardando i vostri fiori, che ci tenete ad avere un giardino in ordine e ben curato. Io sto presentando a un gruppo ristretto di acquirenti, e cioè a non più di una o due persone per ogni isolato, un nuovo prodotto, una sorprendente scoperta di un famoso scienziato in grado di rendere il vostro prato due volte più verde e più rigoglioso. E questo dopo una sola applicazione, senza bisogno di nessun altro aiuto, né naturale né artificiale...
- Ah! Giardino ci pensa il mio giardiniere.
- Ma, signora...
- Avete una licenza, giovanotto?
Dopo il quinto rifiuto cominciai a vedere in una luce meno negativa l'idea della Francis di vendere per l'agricoltura; inoltre cominciai a chiedermi cosa non andava nella mia tecnica di vendita. Non certo il mio aspetto, ragionai, perché ero un giovane di bella presenza, poco più di trentanni, praticamente senza difetti, a parte qualche particolare insignificante che un paio di sedute dal dentista avrebbero facilmente fatto scomparire. Certo che la mia pelle non è un gran che, ma la gente deve accettarmi per quello che sono.
No, il mio aspetto non c'entrava... o forse sì? Certo, quella pompa mostruosa! Chi sarebbe mai stato disposto a farsi intrattenere da uno che sembrava sul punto di gassarli? Mi tolsi il tubo dalla spalla e mi strappai quell'incubo dalla schiena. Lasciai l'ordigno fuori del cancello in modo da poterlo tenere d'occhio e mi avventurai sul prato più mal ridotto che avessi incontrato fino allora.
Avevano seminato quel tipo d'erba che, come avrei imparato più tardi, si chiama Bermuda, ma che nella California meridionale la maggior parte della gente ha soprannominato, con involontaria preveggenza, "devilgrass", o erbadiavolo. L'erba era giallastra, di quel colore tra giallo e grigio dello strame vecchio; e qua e là la terra nuda, dura e crepata, si mostrava senza decenza. Il vialetto, ricoperto da uno spesso strato di stoloni intrecciati fittamente tra loro, ripugnava sia al piede sia all'occhio. I fili d'erba più giovani si ergevano con maligna baldanza là dove un tempo si stendevano aiuole fiorite; ora, irti come spini, mostravano un verde scialbo soltanto in cima, e questo verde era l'unico tocco di colore che ravvivava quel giardino miserabile.
Dove l'erba era andata a seme si scorgevano chiazze di un porpora fangoso che sottolineavano, invece di nascondere, il colore malato della vegetazione e l'aria morente di tutto il giardino. Una cosa abbandonata e non amata; un'appendice vergognosa, uno sbaglio mai corretto.
- Signora - cominciai, - il vostro giardino è in condizioni davvero deplorevoli. - Non aveva senso la tattica del giardino-come-si-deve, in questo caso. Comunque, senza la pompa sulla schiena, mi sentivo audace. Anzi, buttai alle ortiche tutta la procedura del perfetto venditore. - Signora, il suo prato è il più trascurato di tutto il quartiere. È, mi spiace dirlo, signora, è una vergogna.
Era una donna di mezz'età: portava il busto, e si vedeva. Mi guardò freddamente.
- E allora?
- Signora, per dieci dollari io posso trasformare questo pezzo di terra nel giardino più bello dell'isolato, l'orgoglio della sua famiglia e l'invidia del vicinato.
- Posso far di meglio con dieci dollari che buttarli su un mucchio di paglia.
Allora capii che l'avevo in pugno: quando cominciano a discutere, sono già perduti. Tirai un gran respiro e mi buttai nella mischia.
Non fu una vendita facile: tirò il prezzo fino a cinque dollari, il che voleva dire due dollari e mezzo per me, secondo l'accordo con la Francis, ma si trattava di rompere il ghiaccio.
Andai a prendere pompa e canna.
Due dollari e cinquanta, pensavo spruzzando rabbiosamente i punti pelati, e non solo per vendere. Lavoro manuale. Lavorare con le proprie mani. Avrei potuto fare il giardiniere, allora. E invece, scuole superiori e vasta esperienza. Venditore sveglio e aggressivo. E solo per spruzzare della roba dal disgustoso odore di garofano su uno spiazzo pelato.
Alla fine misi via disgustato la mia roba e riscossi i miei cinque dollari, che la donna cedette con riluttanza.
- È lo stesso di prima - disse la signora Dinkman, diffidente.
- Signora, l'importantissima scoperta della dottoressa Francis fa miracoli, ma non istantaneamente. Tra una settimana vedrete i risultati, a patto che annaffiate l'erba in modo adeguato, naturalmente.
- Tra una settimana chissà dove sarete voi e i miei cinque dollari - diagnosticò la signora Dinkman.
Sebbene non priva di fondamento, l'affermazione era scortese e indelicata, e io ne fui profondamente ferito. Tirai fuori un biglietto da visita, un vecchio biglietto di quando lavoravo per un'altra ditta.
- Mi potrà sempre trovare a questo indirizzo nel caso in cui non fosse pienamente soddisfatta, signora Dinkman; il che è impossibile, naturalmente. Inoltre, verrò ogni giorno in questo quartiere a dimostrare le incredibili proprietà del Tonico per Prati della dottoressa Francis.
Il che era certamente vero, almeno fino a che non avessi trovato un lavoro migliore, Comunque, lavoro manuale o no, ero deciso, ora che avevo fatto una breccia, a vendere a più gente possibile prima che apparissero i primi effetti del Metamorphizer, Perché, detto in via strettamente confidenziale e anche se la sfiducia verso il prodotto incide negativamente sul successo del venditore, dubitavo che quegli effetti, o la loro mancanza, avrebbero stimolato ulteriori vendite.

Capitolo III

La mia sveglia, come succede ogni mattina, domeniche comprese, suona alle sei e mezza, perché sono un abitudinario. La spensi e mi ricordai che non avevo dato alla Francis né la pompa né i suoi due dollari e mezzo. Naturalmente era più ragionevole darle tutto in una volta sola, e io ero sicuro che non c'era bisogno che rispettassi le sue istruzioni alla lettera; questo principio valeva anche per la sua pretesa che il Metamorphizer venisse venduto solo agli agricoltori.
La verità è che avevo speso i miei e i suoi soldi: non in bagordi, certo, ma per cenare e finire di pagare l'affitto della mia stanza. Il fatto che avessi considerato i suoi due dollari e mezzo come anticipo sulle future vendite dimostrava la mia fiducia nel prodotto.
Sciolsi un cubetto di lievito in un bicchiere d'acqua; il lievito fa molto bene alla salute, e inoltre avevo sentito dire che fa bene alla pelle. Insaponandomi la faccia studiai la lista di parole che avevo trascritto dal dizionario la sera prima e che avevo infilato nella cornice dello specchio per poterle imparare con comodo. Con questo semplice metodo per arricchire il mio vocabolario ero già arrivato alla lettera K.
Bevendo il caffè (mai più di due tazze) scorsi, com'era mia abitudine, il listino di borsa. Non che possedessi titoli (l'unica volta che avevo provato a giocare in borsa c'era stata una breve, ma per me definitiva, recessione del mercato) ma ero del parere che un uomo che non si tenesse al corrente dell'andamento della borsa fosse indegno di ricoprire un ruolo anche minimo nel campo degli affari. Inoltre, non contavo di rimanere al verde per sempre, e volevo essere pronto ad afferrare la mia occasione quando mi si fosse, presentata.
Come chi si dedica per la maggior parte del tempo a qualcosa di serio e nei momenti di relax si volge a qualcosa di più leggero, allo stesso modo io per anni seguivo l'andamento di un titolo, il Pemmican e Alimenti Concentrati Affini, Inc. Non era un titolo particolarmente ricercato, né presentava fluttuazioni vistose. Per sei mesi all'anno, un anno sì e uno no, quotava 1/16 di cent ad azione; nei sei mesi successivi, la quotazione si alzava fino a 1/8 di cent. Non avevo la minima idea di cosa fosse il pemmican né mi interessava farmene una, ma se fossi riuscito a comprare a 1/16 avrei raddoppiato il capitale quando il titolo si fosse portato a 1/8. Poi, vendendo il titolo alle massime quotazioni, avrei ricomprato a 1/16 e così via, fino a farmi una fortuna. Una fantasticheria innocua.
Controllai che le Pemmican e Alimenti Concentrati si trovassero, come dovevano, alla quotazione minima; poi, a malincuore, ripresi la pompa della dottoressa Francis. Mi sembrò più leggera, e non a causa della minima quantità che avevo vaporizzato sul prato della signora Dinkman: sentivo che mi aspettava un giorno fortunato. Così presi l'autobus preparandomi un discorsetto adatto alla nuova situazione. "Una sua vicina...". "Poco fa ho irrorato...". Evitai con disprezzo le case che avevano rifiutato i miei servigi il giorno prima: mai avrei concesso loro il Metamorphizer, ora, a nessun prezzo. Poi lo vidi.
Il prato della signora Dinkman, voglio dire.
Quel prato trascurato, giallo, moribondo.
Una distesa di erba verde, florida, lussureggiante. Verde. Verde, dico. Non verde qua e là: tutto verde in tutta la sua morbida, ondulata estensione; verde mela quando le erbe, ondeggiando, mostravano il rovescio; verde smeraldo intenso e luminoso sulla cima dei fili d'erba. Anche i germogli che già si schiudevano sul marciapiede erano verdissimi.
Il Metamorphizer funzionava.
Non solo funzionava, ma funzionava con rapidità sbalorditiva. Ventiquattro ore. Non sapevo niente dell'efficacia dei vari fertilizzanti, stimolanti o ormoni: ma bastava il semplice buon senso per darmi la certezza che mai prima d'ora s'era vista una cosa simile.
Le dita che si contraevano nervosamente, le ginocchia tremanti, mi avvicinai a un gruppo di persone che osservavano quel prato risorto a nuova vita. Io, io avevo fatto il miracolo; io avevo trasformato il brutto anatroccolo... e per cinque schifosi dollari. Cercai di ricordarmi come era stato, prima, quel prato: per assaporare meglio il contrasto. Impossibile: il vivido presente aveva cancellato le immagini del decadimento passato.
- Da un giorno all'altro - sentii che diceva qualcuno. - Sissignore, da un giorno all'altro. Non ci crederei se non avessi visto con i miei occhi com'era ieri.
- Scommetto che è alta venticinque centimetri.
- Se fossi in te non lo direi, fratello. Sono due spanne abbondanti.
- È l'erba più splendida che vedo da quando ho lasciato il Texas.
- E la più verde, anche. Mai visto una roba del genere.
In mezzo all'entusiasmo popolare, la mia mente aveva imboccato sentieri molto più pratici.
Prima di tutto dovevo afferrare la Francis e ingabbiarla con un contratto di ferro. Agenti di zona; controllori vendite; distributori; rappresentanze; infine, un direttore alle vendite sopra di tutti: Albert Weener. Società per azioni. Tutto nero su bianco, firmato e controfirmato. Per il suo bene. Scienziata idealista, donna fragile, era indispensabile proteggerla dagli avvoltoi. Darle una bella cifra mensile e sollevarla dal peso delle responsabilità. Ricerca pura, per lei. In capo a sei mesi sarei diventato miliardario.
- Visto com'è grossa, quell'erba?
- Si capisce, è Bermuda. Erbadiavolo. Pare che in Florida la coltivino.
- Ma scherzi?
- Nossignore. E, una cosa: anche se sembra bella, io nel mio giardino quella roba lì non ce la voglio: bisogna tosarla un giorno sì e uno no.
- Preferisco la ginnastica da letto.
Ah, sì, anche questo, pensai. Dire alla Francis di modificare la formula. Abbassare la velocità di crescita. Diluendo la sostanza, forse... Più redditizio, anche. Naturalmente ai contadini la velocità di crescita non importava, anzi. Aveva ragione lei, dopotutto. La roba dovevano spruzzarla i clienti, però... spedizione per posta... meno costosa, E l'erba medica? L'alfaalfa? O non erano graminacee? Ma immagina orzo o grano alto come granturco, e granturco alto come un granaio! Non una sola fortuna, ma cento!
Cominciai a sudare. L'affare si faceva troppo grosso. Darci dentro non bastava: prima di rivedere la dottoressa Francis dovevo assolutamente mettermi in una botte di ferro da ogni punto di vista. Non potevo permettermi di trascurare niente. Era un affare di miliardi.
- Dite un po': non siete voi quel tale che ha trattato il prato?
Mi trovai circondato da una mezza dozzina di occhi sbarrati; sentivo pesarmi la pompa sulla schiena, il tubo arrotolato sulla spalla.
- La Dinkman vi cercava. Ha detto che vi farà causa.
Mentre io rimanevo lì senza sapere cosa dire, la signora Dinkman uscì dal garage con aria bellicosa spingendo una falciatrice rugginosa. Io non ho la minima pratica di attrezzi da giardinaggio, ma capii immediatamente che quell'aggeggio scricchiolante e corroso non era all'altezza di quell'erba lussureggiante. Anche il pubblico ebbe un'impressione analoga, e si dispose ad assistere a quella lotta ineguale.
Con grande decisione spinse la macchina sull'erba giovane, appena ondeggiante. Le ruote cominciarono a girare, le lame rugginose morsero l'erba, qualcosa s'inceppò e la falciatrice si fermò. La signora Dinkman spinse con tutte le sue forze: niente da fare. La donna tirò indietro la macchina, che ticchettò con riconoscenza, Fece un nuovo tentativo, e questa volta riuscì a strappare un ciuffo d'erba, che la macchina sputò disgustata fermandosi immediatamente.
- Voi! Greener, Weener o come diavolo vi chiamate!
Non c'era modo di far finta di niente. - Sì, signora?
- Avete fatto crescere questa roba. Ora tagliatela.
Grasse risate da parte del vicinato.
- Ascoltate, signora. Io...
- Sbrigatevi con quella falciatrice, giovanotto, se non volete finire in tribunale.
La prospettiva non mi preoccupava per niente, non avendo niente da perdere. Ma pensai alle vendite future, alla mia immagine... - Sì, signora.
Mollai pompa e tubo e mi diressi con riluttanza verso la falciatrice. L'erba si fletteva, rigida e elastica, sotto i miei piedi. Era davvero una cosa completamente diversa da ogni altro prato che avessi mai visto o me lo immaginavo soltanto?
La folla degli spettatori era aumentata, e l'umore dominante era di maliziosa collaborazione.
- Dacci dentro, amico. Facci vedere che uomo sei.
- Prendi la rincorsa e buttati.
- Va' a casa a fare un po' di flessioni, prima.
- Ci vuole una buona falciatrice. Cosa volete che tagli quel pezzo d'antiquariato?
- Già, ci vuole una macchina più moderna, di dopo la guerra di secessione.
- C'è nessuno qui che ha una falciatrice come si deve?
L'ultima frase stimolò evidentemente l'orgoglio locale perché quasi subito comparve un ometto tirando una macchina pulita come uno spillo, - Questa ci vuole - disse con orgoglio mentre io mi ritiravo con comprensibile prontezza. - È un fenomeno, questa macchina.
Era proprio vero: l'erbadiavolo affrontò strafottente la macchina che si avvicinava con un ticchettio sommerso. I fili d'erba recisi senza sforzo volarono per l'aria, ricadendo sulla striscia rasata, Tutti sorrisero, sollevati; il mio sospiro di sollievo venne proprio dal cuore. Me la svignai alla chetichella.

Capitolo IV

La porta, dopo una prudente esitazione, si aprì. La Francis sembrava aver passato una brutta notte; per il resto era uguale a prima, gonna e macchia sulla narice sinistra. - Se è per il frigorifero siete in ritardo di una settimana. L'ho già aggiustato io.
- Questo fu il suo saluto.
- Weener, Albert Weener. Ricordate?
- Ah, Weener. Sì. - Tirò fuori lo stuzzicadenti e si grattò il mento. - Il Metamorphizer, già.
- S'interruppe per strofinarsi il gomito, - Uno sbaglio, ho paura. Un errore. Nella fretta, ieri ho dimenticato un particolare, Forse insignificante, forse essenziale. Abbiamo cominciato troppo presto.
Male, molto male. Mi trovavo a dover lottare per il mio lavoro e per il futuro del Metamorphizer. - Dottoressa Francis, io non so niente di particolari insignificanti o essenziali, ma se c'è qualche guaio sicuramente si può appianare. Non bisogna lasciarsi scappare questa occasione. Credetemi: avete fatto una grande scoperta. Ho visto come funziona.
Mi perforò con i suoi occhi acuti. Io mi dimenai a disagio. - Di già? - disse.
- Be'... certo che agisce in fretta...
Mi interruppi, perché non mi ascoltava più. Si sedette, tamburellandosi con le dita i grossi denti. - Grano o granoturco?
- Eh?
- Avete detto di aver visto come funziona. Vi ho chiesto se l'avete applicato al grano, al granoturco o a cos'altro.
- Beh, ne ho messo un po' su un prato...
- Avete detto un prato, Weener?
- S-sì, signora.
- Ma io vi avevo detto...
- Istruzioni di massima. Certamente non vorrete legarmi le mani...
- Che erba? O non lo sapete?
- Certo che lo so - risposi indignato. Cosa credeva che fossi, un idiota? - Era erbadiavolo.
- Ah, Bermuda. Cynodon Dactylon. Stupida, stupida, stupida. Come ho fatto a non pensarci? Ma perché non mi è venuto in mente che se funziona sul grano funziona anche sulle erbacce?
Avevo la sensazione di perdere tempo, ascoltando quel soliloquio. - Sentite, questa mattina era verde come,..
- Niente poesia, Weener. Fatemelo vedere.
- Ma, signora... - Comprensibilmente, volevo mettere a punto gli accordi per il futuro prima di portarla a vedere il prato della Dinkman.
- Immediatamente, Weener.
- Vorrei parlare prima della organizzazione delle vendite...
- Non adesso.
Credo di essere tornato al prato della Dinkman non più di tre quarti d'ora dopo. Avevo lasciato un gruppetto di persone che commentavano eccitate la trasformazione di un giardino trasandato; ritrovai una vera e propria folla che osservava meravigliata uno strano fenomeno. Fendendo la calca mi resi conto che tutti cercavano di stare alla larga dall'erba: era una cosa ormai da prendere seriamente e con cautela, e non da affrontare in modo spensierato.
A metà del giardino l'ometto con la falciatrice fenomeno aveva rinunciato. L'erba non falciata si ergeva come un muro minaccioso, più alto del ginocchio di un uomo: verde, imponente, spavalda. Ma mi spaventò di più la parte del giardino che era stata falciata. Ricordavo che la macchina aveva tagliato l'erba corta, raso terra. E ora l'erba era già ricresciuta, alta quasi come un'ora prima: cresciuta in un' ora quanto un'erba normale in un mese.
Diedi un'occhiata alla Francis per vedere come la prendeva, ma la sua faccia era impassibile, gli occhi fissi innanzi a sé.
- Perché hanno smesso di tagliarla? - chiesi.
- La falciatrice s'è inceppata.
- Cosa fanno ora? La lasciano crescere?
- Diavolo, no. Hanno chiamato un giardiniere con una falciatrice a motore. Una macchina potente. Taglia qualunque cosa. Eccolo che arriva.
Un camioncino fendeva la folla che si accalcava sul vialetto. Un uomo scaricò la falciatrice facendo una gran scena: lubrificava, regolava le lame, e così via. Controllò la benzina e finalmente la mise in moto con uno strappo alla cordicella. Il giardiniere spinse la macchina sulla parte di prato già tosata: il motore scoppiettava tranquillo. La Francis guardava rapita.
- L'avevate previsto? - le chiesi.
- Sì e no. Non mi aspettavo che l'azoto libero avrebbe dato risultati così immediati.
La falciatrice percorse con facilità, con disinvoltura direi, la parte di prato già tagliata, tirandosi dietro il giardiniere sbuffante. Ma la parte già tagliata era piccola, e la macchina fece l'ultimo facile viaggio a ridosso del muro d'erba intensa. Senza esitazione il giardiniere spinse la macchina dentro l'erba fitta. Il motore rallentò, tossì, sputacchiò e finalmente si spense.
- Figlio di puttana - disse il giardiniere.
Lo riaccese rabbiosamente, spinse con disperata determinazione. La macchina si avventò sull'erba come un bulldog che attacca un chihuahua: mordendo, masticando, azzannando. Ne tagliò dieci centimetri come niente; poi, rallentando, venti, trenta centimetri. Infine, tra gli urli e le imprecazioni del giardiniere, il motore si spense di nuovo.
L'uomo si asciugò la fronte con la manica.
Qualche mormorio della folla.
- Ci vuole un contadino vero, qui.
- La falce, ci vuole.
- È vero, ci vuole una falce.
- Solo una falce può tagliare una roba come questa.
Dopo tre tentativi il giardiniere rinunciò e caricò la sua macchina sul camioncino, ripartendo tra scherni e lazzi.

Capitolo V

- Le vendite ne soffriranno - dissi.
La Francis mi guardò come se avessi detto qualcosa di osceno in presenza di signore.
- Proprio così. La gente non spenderà mai dieci dollari per trovarsi il giardino invaso da un' erba così.
Mi guardò come, probabilmente, guardava al microscopio qualcosa spalmato su un vetrino. Non riuscivo a capire cosa l'avesse turbata.
- La scoperta è grossa, come ho detto. Ma forse non vi siete ancora resa conto che non è del tutto commerciabile. Tutto quello che dovete fare è diluire la sostanza o modificarla un pochino in modo che renda l'erba bella e verde, mica una robaccia come questa.
- Weener, il Metamorphizer non è un concime. È una sostanza che provoca una mutazione in tutte le graminacee con cui viene a contatto. Diluirlo non serve a niente: se è troppo poco, la mutazione non avviene.
- Ma, dottoressa, bisogna fare qualcosa.
- E perché?
- Come, perché? Per rendere commerciabile la vostra scoperta, naturalmente.
- E chi se ne frega?
- Dottoressa Francis, voi siete una signora e il rispetto che ho di me stesso mi costringe a trattarvi con la cortesia dovuta al vostro sesso. Avete messo una inserzione per cercare un venditore. Invece di deridere i miei sforzi, sarebbe auspicabile che teneste fede al nostro patto.
- Tener fede a che cosa, al vuoto? Voi siete un venditore, e io vi ho dato una cosa da vendere. Ma se dalla vendita della cosa nascono effetti collaterali negativi, è chiaro che il nostro contratto è nullo.
- Non capisco di cosa state parlando. La vostra sostanza fa crescere l'erba troppo in fretta, tutto qui. Dovete cambiare un pochino la formula o trovarne una nuova, oppure...
- Oppure voi non avrete niente da vendere. Non credo di poter cambiare la formula: la vostra fiducia in me è ingenua. Tuttavia, non sono arrogante e riconosco di avere una certa responsabilità in tutto questo. Se ieri foste venuto a casa mia un' ora dopo non vi avrei certo permesso di andarvene in giro a spargere quella roba a piene mani.
- Si può sapere che cosa state dicendo?
- Quando ve ne siete andato ho cominciato a pensare: come fare per estendere l'efficacia del Metamorphizer anche alle non graminacee? E improvvisamente mi sono resa conto che non sapevo per quanto tempo sarebbe durato l'effetto della sostanza.
- E ora lo sapete? - Se l'effetto avesse avuto una durata limitata si sarebbe forse potuto venderla ancora.
- Una volta tanto ho usato la logica, invece delle mani. Sono rimasta seduta a pensare: e sebbene questa sia una procedura insolita per uno scienziato, ho scoperto molte cose. Ho pensato questo: se si cambia la struttura genetica di un pianta, il cambiamento è permanente: non per un giorno o per un'ora, ma per tutta la vita della pianta. Non parlo delle mutazioni casuali, che producono mostri e capricci genetici; ma di cambiamenti controllati, prodotti dall'intervento umano. L'azione del Metamorphizer si può paragonare all'amputazione di una gamba per l'uomo, o al trapianto di un rene. Sentite: cosa succede quando si amputa la gamba di un uomo?
- Che quell'uomo rimane con una gamba sola - risposi facendo dello spirito idiota.
- Proprio così. E inoltre quell'uomo cambierà tutto in funzione della perdita di quella gamba. Non è più una normale creatura a due gambe: è un altro essere, totalmente diverso. In altre parole: se si instaura in una pianta la capacità di nutrirsi di ogni cosa, ecco che nasce un appetito insaziabile.
- Non capisco.
- Se si dà a un uomo una gran pancia, se ne fa un ghiottone.
L'arrivo di una Chevrolet interruppe la nostra conversazione. Dentro si vedeva la lama ricurva di una falce, e sulla portiera qualcuno aveva speranzosamente tracciato una scritta: "Arcangelo Barelli - Arature & Movimenti terra".
Il signor Barelli si avvicinò all'erba come se si accostasse al letto di morte di qualcuno. Vedendo la falce qualcuno gridò: - Ecco che arriva Padre Tempo in persona. - Il signor Barelli non mutò espressione. Toccandosi delicatamente la fronte esaminò con occhi tristi i tre gradini d'erba. Il gradino più alto, intonso, raggiungeva ormai il metro e venti: il concetto di prato era remoto da quella vegetazione come da un campo di grano.
- Ce la fate a tagliarla? - chiese uno del pubblico.
Il signor Barelli sorrise senza allegria e non rispose. Invece, tirò fuori di tasca una pietra per affilare e cominciò a passarla sulla lama.
- Ehi, quella roba continua a crescere; datevi da fare.
- Bisogna fare le cose per bene - spiegò senza offendersi il signor Barelli.
Il rumore ritmico della pietra strofinata contro l'acciaio prolungava insopportabilmente l'attesa.
Alla fine fu pronto, e s'incamminò sulle stoppie con grande delicatezza, come se fosse roba preziosa. Di nuovo misurò con l'occhio la massa di vegetazione; aveva lo sguardo devoto di uno sposo.
- E cosa aspettate, adesso?
Il signor Barelli sembrò non sentire; invece, tracciò per terra con la scarpa un semicerchio come a delimitare una zona. Valutò l'erba ancora una volta, flesse le ginocchia, prese con delicatezza la falce. Infine, con gesto ampio mosse la falce all'indietro, e falciò. L'erba tagliata cadde per un ampio tratto. Mi vennero in mente quei bei bagni di sangue di una volta: la Rivoluzione Francese, per esempio.
Gli spettatori commentavano. - Come burro, vedete... bisognava chiamarlo subito non c'è niente come l'olio di gomito ...guardate, è roba da niente.
Il signor Barelli ripeteva il suo ampio gesto. E l'erba cadeva, cadeva.
- È un rito, uno dei riti più antichi dell'umanità - disse la Francis oscillando a tempo coi movimenti del falciatore. - Un atto di devozione a Cerere. Ma non c'è niente da raccogliere dopo questa mietitura: nient'altro che un po' di Cynodon Dactylon. E il segno dei tempi.
- È il progresso. Ora il grano si raccoglie con le macchine. Tutti i contadini lo fanno; solo in certe sacche di arretratezza alcuni si ostinano a fare come una volta, e poi non riescono a tirare avanti.
- Progresso. Che strano concetto. - E senza una parola in più la Francis si voltò e se ne andò via.
La superficie intonsa diminuiva, ma non più con la rapidità di prima. Sempre più spesso il signor Barelli si fermava per affilare la lama, e ogni volta mi sembrava che la falciata fosse meno abbondante. L'erba tagliata si intrecciava con quella ancora in piedi, e l'operazione era meno ordinata e gradevole da guardare.
Dietro di me una voce un po' blesa disse: - Cosa sta succedendo da queste parti, amico?
Era un giovanotto, sottile come una canna di bambù, ben vestito e dall'ampio sorriso che metteva in mostra numerosi denti d'oro. Glielo spiegai. - Che spetazzi, barba? - mi chiese.
- Eh?
Tirò fuori di tasca un mazzo di carte e le mischiò con mano esperta. - Chi credi di prendere in giro, amico? - tradusse.
- Proprio nessuno. Potete chiedere a tutti, qui, se non è vero che ieri questo era un prato moribondo, pieno di erba secca.
Guardatelo, adesso: erba alta un metro e mezzo.
Il giovanotto sbadigliò e mi presentò il mazzo, coperto. - Pesca una carta, una carta qualsiasi. - Per non essere sgarbato ne pescai una, - È il nove di quadri. Bello, vero? - Mi tolse la carta di mano e disse, sbirciandomi da sotto le sopracciglia cespugliose: - Se andassi dal mio direttore con una storia così mi licenzierebbe sui due piedi.
- Giornalista?
- Acuto, il ragazzo. Cronista. Il nome è Gootes, Jacson Gootes. Del "Daily Intelligencer", e non di "Thrilling Wonder Stories".
- Andiamo un attimo un po' in là - suggerii.
Si pescò una monetina in tasca, me la fece vedere, mosse il braccio e mi mostrò la mano vuota. Sfizioso, ma ho da fare il pastone anche se questo non bagna la coda al rospo.
- Non sono sicuro di capire bene; so però che sono in grado di darvi certi particolari con cui tirereste fuori una storia che piacerebbe anche al vostro direttore.
- Bah! Tu non conosci W. R, Anche se ricevesse in anteprima una cronaca della Creazione avrebbe qualcosa da ridire.
Guardò il signor Barelli che continuava a falciare. - Lavora duro, quello eh? Andrò a fare quattro chiacchiere con lui: informazioni di prima mano.
- Signor Gootes - dissi cercando di impressionarlo, - io sono l'uomo che ha trattato quell'erba. Siete disposto, adesso, a sentire la mia storia?
- Accidenti. Buono, buono. Fa' strada, uomo. Le mie due orecchie sono pronte a sentirti.
Lo portai in un ristorante di Hollywood Boulevard, uno che non mi sembrò troppo caro per la sua nota spese. Ci sedemmo. - Sputa il rospo, - mi ordinò. Gli raccontai tutto, tacendo solo il nome della Francis e il fatto dell'inserzione.
Gootes mi fissò attenta. - Okay, signor Weener. Chi è lo scienziato di cui non mi volete dire il nome?
- No. Gli scienziati non amano la pubblicità. Disturba le loro ricerche.
- Già, come le puttane sono disturbate dai clienti - ribatté con un paragone volgare. - Niente nome, niente storia.
Ho paura, a questo punto, di aver mostrato la mia soddisfazione.
- Via, via, uomo. Non si sfrutta la stampa. Ti ho già offerto gratis birra e arrosto.
- Non sono un uomo venale, e credo nel diritto all'informazione, Dunque sarei disposto a sacrificarmi per amore della verità, ma...
- ... ma devo vivere. Lo so, lo so. Quanto?
- Direi che cinquanta dollari sarebbero appena sufficienti...
- Cinquanta verdoni! - recitò un'elaborata pantomima mostrando turbamento, sorpresa, orrore, indignazione e una decina di altre emozioni. - Amico, W. R. non sputerebbe un cent neanche per salvarsi l'anima. Hai suonato il campanello sbagliato. Cinque potrei forse farteli dare, ma non di più.
Risposi fermamente che non ero ancora ridotto a chiedere l'elemosina e che la mia era una proposta d'affari seria. Dopo un po' di contrattazione andò a telefonare al giornale per vedere se poteva arrivare fino a venti dollari. Mentre era via ordinai dolce e caffè. È sempre bene essere previdenti.
Jacson Gootes tornò scoraggiato. - Niente da fare. Ha detto che solo la compassione che prova per le forme di vita inferiori gli impedisce di buttarmi fuori a calci. Mi spiace.
- Anche a me. E siccome non possiamo più esserci utili...
- Calma, ragazzo. Andiamo a dare un'altra occhiata all'erba.
Camminando riflettei che almeno avevo compiuto una buona azione salvando la Francis dalla pubblicità. La vita continua, come sempre. Forse, chissà, mi sarebbe capitata un'altra occasione per guadagnare qualcosa da quell'infelice esperienza di vendita.
- Qui ci vuole una trasfusione - commentò Gootes osservando il giardino della Dinkman.
In effetti il giardino aveva un' aria anemica, disordinata, consunta e desolata. La luce nebbiosa del tardo pomeriggio ci mostrava che il signor Barelli aveva terminato con successo il suo lavoro e che la gente se n'era andata. Non c'era un morbido tappeto erboso, ma neppure l'erba mostruosa di prima. Un'estensione desolata e, come dire, deforme.
- Visipallidi pagare molta acqua di fuoco per far tagliare erba ogni giorno.
- Probabilmente tra un po' l'erba smetterà di crescere.
- Questo lo dici tu. Comunque, ho metà articolo. Ciao ciao.
Sospirai. Se la Francis avesse trovato il modo di controllare la crescita!.. Una, cento fortune...
Andai a casa, cercando di inventare cosa avrei fatto l'indomani.

Capitolo VI

Pensavo di essere ormai preparato a qualunque cosa, dopo quello che avevo visto il giorno prima. In realtà non ero preparato a un bel niente; solo, m'immaginavo di ritrovare il prato come l'avevo lasciato, o addirittura di vederlo morto e sterile com'era prima della cura.
Ma l'erbadiavolo non aveva dato nessun peso a quello che io mi ero immaginato: ora ondeggiava alla brezza, più alta della folla che la guardava attonita; una folla tre volte più numerosa di quella del giorno prima, e che aumentava rapidamente. Tutte le cicatrici inflitte precedentemente erano cancellate da un muro d'erba prodigioso, enorme, gigantesco: l'erba del giorno prima, a confronto, faceva ridere. Si ergeva arrogante, insolente fino a coprire le finestre della casa. Il tetto del garage appariva sperduto, simile a un isolotto circondato da un mare d'erba. L'ottimismo del giorno prima era infondato: quella roba non avrebbe smesso di crescere tanto presto. E non da sola, soprattutto: bisognava ucciderla, sradicarla.
L'erba ora non cresceva solo nel prato della Dinkman, separato da una siepe dai giardini contigui. Nella notte l'erba aveva scavalcato l'ostacolo, ed ora cominciava a invadere i prati ben tenuti cancellando i confini, infiltrandosi nelle aiuole, soffocando i cespugli accuratamente potati.
Ma non fu tanto questo a sconvolgermi: piante, fiori e cespugli, sebbene plasmati dall'uomo, erano elementi naturali, e la natura li aveva di nuovo inghiottiti. Il marciapiede di cemento, invece, era tutta opera dell'uomo; l'erba che l'invadeva significava debolezza e disfatta. Ma l'erba non era soddisfatta di questa sfida irriverente gettata in faccia all'uomo, e già aggrediva la cordonatura di pietra e la cunetta.
- Figliolo, ce l'hai fatta. W. R. era talmente furibondo con se stesso che ha licenziato tre scribacchini e un correttore di bozze. Ecco qui. Jacson Gootes mi porgeva, simulando sorpresa, un biglietto da venti dollari.
- Grazie - risposi freddamente. - E questi a cosa servirebbero?
- Abbi fede, ragazzo: mai vista tanta innocenza da quando ho lasciato il paesello. Questo non è che un modesto segno di stima da parte di Lui in persona, che ti manda a dire di accompagnarmi dal tuo scienziato, dal tuo Frankenstein, o Burbank che sia. Fa' strada, ragazzo. E in fretta, perché voglio essere di ritorno prima del salvataggio.
- Salvataggio?
- Già. La gente nella casa, Pinkman, Dinkman. Già. I Dinkman hanno chiamato i pompieri. Non possono uscire. Salvataggio da un minuto all'altro. Titolo: "Intrappolati in casa da prato mostruoso", e inchiodare il tuo scienziato al tempo stesso.
L'arrivo dei pompieri pose fine alle sue buffonate. Il capo saltò giù dal suo bel camion rosso e osservò napoleonicamente la scena. - Va bene, ragazzi. C'è gente, in quella casa. Tirateli fuori.
Portando un'ascia gli uomini si diressero verso la casa. Gli stivali schiacciavano gli steli giovani più bassi. L'erba reagì scostandosi dai piedi come se fosse acqua, e poi richiudendosi a lambire le caviglie, i polpacci. Ansimarono quasi. A vederli, sembrava che stessero lottando contro una piovra invisibile. Per quanto alzassero i piedi, non riuscivano a tirarli fuori da quell'incredibile vegetazione; usarono l'ascia, ma l'erba sembrò richiudersi su di loro più fermamente che mai.
Alla fine fu evidente che gli uomini non avanzavano più, sebbene i loro movimenti scomposti dessero l'illusione del movimento. Agitandosi e menando colpi qua e là si gettarono di peso contro l'erba con l'unico risultato di seppellirsi in quella massa di tentacoli. Si ritirarono aprendosi la strada con il panico della disperazione, e abbandonando l'ascia.
Il capo li osservò con riprovazione. - Tagliatela. Cosa credete, che le scuri servano solo a fracassare i mobili degli altri?
I pompieri cercarono di abbattere l'erba a colpi d'ascia; a malincuore, l'erba cedette loro di qualche centimetro per volta. Mezz'ora dopo recuperarono trionfanti l'ascia abbandonata. - Questa roba è come gomma. Non si taglia, si piega e rimbalza.
- Eh sì. E nel frattempo quella gente ha telefonato ancora. Vuole sapere perché non arriviamo. Perché pagano le tasse?

Capitolo VII

Arrivò un altro camion dei vigili del fuoco, e i nuovi arrivati cominciarono a prendere in giro gli altri. Era chiaro che non c'era pericolo, né per le persone né per le cose: per loro era come far scendere un gatto dalla cima di un palo del telefono, o convincere un bambino che si era chiuso in bagno ad aprire la porta. Inoltre, questi nuovi pompieri erano forse più furbi degli altri: unirono insieme delle scale e, dal marciapiede, le appoggiarono sul tetto dei Dinkman, La scala era fragile all'apparenza, ma tenne. Gli spettatori uscirono in un mormorio d'approvazione.
Gli uomini salirono con cautela su quel ponte fragile e oscillante, passarono sopra l'erba portando una scala più corta che, dal tetto, appoggiarono sul materasso di erbe.
I pompieri scesero lungo quest'ultima e forzarono una finestra. Uscì per prima la signora Dinkman, aiutata da due pompieri. Cercava con modestia di tenersi a posto la gonna, la qual cosa la privava della possibilità di afferrarsi alla scala.
Un pompiere dimostrò quanto fosse bella e facile la traversata, che la Dinkman eseguì nel più puro stile cinematografico; seguì il marito in modo meno spettacolare insieme agli altri uomini.
- Un crimine - stava dicendo la Dinkman, che sentii non appena fu a portata d'orecchio. - Un crimine. Sabotaggio, Attentato. L'ergastolo ci vuole, l'ergastolo.
- Stai calma, mia cara - disse il marito: rotondo, piccoletto, tranquillo. - È stato molto spiacevole, ma sarebbe potuto andare peggio.
- Peggio? Adam Dinkman, forse che le sventure ti hanno sconvolto la mente? Quel farabutto! La nostra casa inghiottita da... un'innaturale proliferazione. E l'umiliazione finale di venir trasportata fuori di casa mia sotto gli occhi maliziosi di una folla ridacchiante.
- Be', via... - cominciò a dire il signor Dinkman; ma non stetti a sentire il resto, perché mi parve che il farabutto in questione dovessi, sebbene ingiustamente, essere io. Inoltre, Gootes doveva sbrigarsi.

Capitolo VIII

Gootes fischiò piano alla vista del deprimente soggiorno; vide la cucina e alzò le sopracciglia. Prima che potessi presentarlo, la Francis borbottò senza voltarsi: - Se siete venuti per il frigorifero...
- Numi! - esclamò Gootes. - Un Linneo femmina!
- Non so chi siate, giovanotto, ma siete estremamente maleducato a venire a sporcarmi il pavimento della cucina senz'altro scopo che verificare il mio sesso, per altro evidente a ogni mammifero. Se...
- Nein, Fraulein Doktor - la interruppe in fretta Gootes, - io niente zapere ti frigoriferi. Io rappresento, Fraulein Doktor, il "Daily Intelligencer zeitung..."
La Francis lo interruppe con un fiume di parole in una lingua che immaginai fosse tedesco. Gootes cominciò a rispondere lento e impacciato, ma quasi subito preferì diventare un gentiluomo del profondo Sud. - Capisco perfettamente, gentile signora, come una donna dall'animo gentile possa malamente risentirsi dell'intrusione del rappresentante di un fogliaccio scandalistico. Ma considerate, signora: vivendo noi in un'epoca illuminata, non è pensabile che l'immenso contributo che avete apportato alla Scienza possa passare sotto silenzio. Non è dunque preferibile parlare con me, che discendo da illustre prosapia (sono imparentato con i Taliaferro di Ruffin County per parte di madre), piuttosto che con un ignobile pennivendolo? Ditemi, come siete giunta alla vostra grande scoperta?
- Sono nata. Sono andata a scuola. Ho letto dei libri. Ho guardato in un microscopio.
- Sì? - la incitò Gootes.
- Tutto qui.
- Ascoltate un momento: non è ragionevole, questo. Ma pensate cosa potrebbe fare la stampa con una donna così recalcitrante. Vi piacerebbe leggere sui giornali di domani una vostra definizione in questi termini: "un'arpia asessuata, traditrice dell'umanità, senza cuore, senza anima"...
- Basta così. Cosa volete sapere?
- Prima cosa: cosa avete usato?
- Il Metamorphizer.
- Che cos'è?
- Volete la formula?
- Né io né i miei lettori ci capiremmo molto, e se ve la chiedessi non me la dareste. Illuminatemi in buon inglese.
- È un composto simile alla colchisina che agisce sul somaplasma della pianta. È efficace solo sulle graminacee e induce un cambiamento metabolico. Se tale cambiamento sia ereditario o no...
- Un momento, "Induce un cambiamento metabolico". Come si scrive metabolico? Non importa, ci penserà il proto. Quale cambiamento metabolico?
- Le piante assorbono sali minerali in soluzione. Ossia, ne assorbono alcuni, mentre ne rifiutano altri. Il Metamorphizer permette alla pianta di metabolizzare anche le sostanze più stabili. Inoltre fa sì che la pianta si nutra anche dell'azoto atmosferico.
- ...atmosferico - ripeté Gootes scrivendo rapidamente. - Allora, se ho capito bene, ma ne dubito, si tratta di un nuovo fertilizzante.
- Ma no! Credevo di essermi espressa chiaramente.
- Non arrabbiatevi. Ditemi, perché l'erba cresce in modo tanto prodigioso?
- Non so esattamente. Posso solo fare delle ipotesi. Come dicevo a Weener, creando una nuova capacità si crea anche un nuovo appetito. Penso che quell'erba, una volta trattata, non possa smettere di assorbire nutrimento.
- Aha. Quando ci si abitua all'alcool...
- Se volete metterla così...
- Okay. E, in teoria, s'intende, cosa si potrebbe fare per far smettere di crescere quell'erba?
- Per quel che ne so io - disse la Francis, - proprio niente.

Capitolo IX

Conseguenze di una scoperta

- Ma bisogna fermarla - esclamò Gootes. - Dannazione, bisogna assolutamente fermarla! - Meccanicamente fece per prendere il mazzo di carte ma si trattenne all'ultimo momento, come per rispetto alla gravità della situazione.
- Altrimenti... altrimenti inghiottirà la casa e tutto quanto.
- Ci ripensò, tirò fuori le carte.
- Perché, se quello che avete detto è vero, l'erba si mangerà la casa. Letteralmente. La digerirà, trasformandola in altra erbadiavolo.
- Cynodon Dactylon. Certo che è vero quello che dico.
- Ma è terribile - protestò Gootes.
- Già, terribile. Terribile come la fame delle api quando l'apicultore si prende il loro miele; terribile come l'attività che giornalmente si svolge in un macello; terribile come l'appetito dei pesci adulti quando è il momento della schiusa delle uova.
- Puah. Fato, destino, kismet, natura.
- Sentilo un po': le catastrofi che non toccano l'uomo non gli interessano.
- Mi sembra che stiate esagerando - intervenni io. - Parlare di catastrofe è eccessivo. Non mi sembra il caso di essere così pessimisti.
Gootes spalancò la bocca fingendosi sorpreso. - Oddio. Ma questo ragazzo è un filosofo nato.
- Non siete particolarmente preoccupato, Weener?
- Non c'è nessun motivo perché lo sia. Ho venduto il vostro prodotto in buona fede e non posso essere considerato responsabile...
- Oh, la cecità di quest'uomo. Nessun uomo è un'isola, sapete. Ciò che accade a un uomo accade anche a tutti gli altri uomini. Non responsabile! Come Caino, che non era il custode di suo fratello. Ma voi siete responsabile di tutte le rapine, le stragi, le esecuzioni, le calamità che avvengono al mondo.
- Naturalmente, naturalmente - cercai di calmarla indietreggiando. - Avete perfettamente ragione.
Camminava come se il suo corpo goffo le fosse improvvisamente diventato pesante da sostenere. - Come sempre, a una verità ovvia, perfino banale, si risponde con un'accusa di pazzia. Io sostengo un concetto vecchio quanto l'intelligenza umana, e chi ascolta è indeciso tra offendersi o disprezzare chi l'ha espresso. Credetemi, Weener: anch'io sono colpevole, infinitamente colpevole. E con tanta maggiore certezza quanto più ho dedicato la mia vita alla scienza pura, credendo alla mia fede come un monaco medievale, fedele ai voti di povertà e di incrollabile determinazione. Sarei colpevole anche se non avessi tradito i miei sforzi per bassa avidità di denaro; anche se non avessi raccolto per l'uso di un momento uno strumento indegno quale siete voi, Weener: e non offendetevi, l'indegnità è un fatto naturale come tanti altri; anche se mai avessi inventato il Metamorphizer; anche se fossi glottologa o astronoma. Sarei sempre colpevole di aver rovinato i Dinkman e di aver distrutto la loro casa: allo stesso modo voi siete colpevole e il giornalista qui è colpevole e l'uomo della spazzatura è colpevole e il prete sul suo pulpito è colpevole.
- Colpevole - esclamò improvvisamente Gootes, - colpevole! Ma che razza di giornalista sono? Me ne sto qui a preoccuparmi di colpevolezze e di catastrofi invece di dare notizie calde al pubblico che le attende con ansia. Colpevole: all'inferno, meriterei di essere fucilato. Dov'è il telefono?
- Tengo a un minimo di privacy malgrado gli sforzi di giornalisti e di piazzisti disoccupati. Il telefono non c'è.
- Okay. Ritorno immediatamente.
Lo seguii perché non avevo nessuna voglia di rimanere solo con qualcuno che aveva tutta l'aria di essere pericoloso. Ma le sue gambe lunghe lo fecero sparire prima che potessi raggiungerlo, e allora rallentai il passo. Tutte le chiacchiere metafisiche della Francis erano al di là della mia comprensione, e quel minimo che ero riuscito a capire mi sembrava pura assurdità. Genio e sregolatezza: mi consolai pensando che la mia intelligenza era appena normale.

Capitolo X

Ben presto non pensai più né alla Francis né al Metamorphizer: ora avevo un certo capitale. Non molto, in verità, ma esisteva davvero qualche banconota arrotolata nella mia tasca; ed ero sicuro, con le mie capacità e la mia intelligenza, che ben presto la somma che avevo avuto dal "Daily Intelligencer" sarebbe aumentata.
Ma la mia risoluzione di non pensare più al Metamorphizer non mi permise di sfuggire al prato della signora Dinkman, Camminavo lungo Hollywood Boulevard quando sentii da un altoparlante appeso sopra la porta di un negozio di apparecchi radio le ultime notizie sui progressi dell'erbadiavolo.
- ...qui è la Voce di Edendale, la KPAR, che vi parla da una postazione radiofonica di fronte al posto dove abitavano i signori Dinkman. Credo che ormai tutti sappiate la storia del loro prato, che si dice qualcuno abbia spruzzato con qualche sostanza che ha provocato la crescita incontrollabile dell'erba. Incontrollabile è la parola giusta: ora è alta cinque o sei metri. Pensate, erba alta come tre uomini l'uno sulle spalle dell'altro. Si vede a malapena il tetto della casa, e anche il marciapiede ne è coperto: sembra un enorme tappeto di lana verde. No, il paragone non è giusto. Comunque ha coperto tutto il marciapiede e buona parte della strada e tra breve avrà raggiunto la nostra postazione. O almeno la raggiungerebbe se i vigili del fuoco non fossero costantemente all'opera e tagliassero continuamente i giovani germogli per tenere libera la strada. Gente, è spaventoso vedere dell'erba esattamente uguale a quella che cresce nel vostro giardino o nel mio ingigantita cento volte o più.
"Mentre aspettiamo che succeda qualcosa... be', non è proprio giusto, questo, perché l'erba cresce continuamente e dà un mucchio da fare... cercherò di raccogliere qualche impressione dell'uomo della strada. Della strada, alla lettera, perché il marciapiede è coperto d'erba. Scusatemi, signore, vorreste dire qualche parola agli ascoltatori della stazione KPAR? Più vicino al microfono. Dite il vostro nome. Non siate timido. Ah, i gentiluomini non hanno bisogno di dare il loro nome? Va bene, va bene. Cosa vi sembra questo fenomeno? Che ne pensate? Vi preoccupa questa massa di vegetazione? Il microfono... Molto interessante, grazie.
"Stanno arrivando altri lanciafiamme, adesso. Gli uomini hanno sulle spalle serbatoi di benzina o cherosene, e tengono in mano tubi collegati a questi serbatoi. Assomigliano un po' ad aspirapolvere. Be', non proprio. Ora li accendono. Fanno un gran rumore, sentite? No? Ora mi avvicino col microfono così potrete forse sentire anche voi il rumore dei lanciafiamme. Lo sentite? È come un ruggito, quasi. Credo che la nostra amica erba sia bell'e cotta a quest'ora.
"Ora i nostri ragazzi avanzano lungo la strada con i lanciafiamme puntati. L'erbadiavolo crepita. Sissignore crepita e frigge proprio, come uno sputo sulla piastra rovente della stufa. Ne hanno già bruciata un mezzo metro. Non resta altro se non gli steli fumanti. Un mucchio di steli fumanti. Una massa vera e propria di steli fumanti, ma tutta la roba verde è stata bruciata. Sissignori, bruciata; peccato non avere la telecamera per mostrarvi tutta questa distesa di steli fumanti.
"Ora cominciano a sgombrare il marciapiedi. Io li seguo con il microfono: forse riuscite a sentire il ruggito dei lanciafiamme. Ricordatevi che quest'erba è alta. Mai vista erba così alta: forse nella giungla o in Sudamerica o nei posti in cui l'erba è alta come questa. Alta davvero. Anche qui sul marciapiede dove è più bassa raggiunge i due metri e mezzo. E i nostri ragazzi ci stanno facendo dentro dei grossi buchi, come quando si taglia l'acciaio con la fiamma ossidrica. Sentite questo fischio? Be', è l'erba che frigge... Asciuga in un attimo, comunque. Ora la parte alta casca giù, verso di noi, come un'onda che si frange... Oops! Un lanciafiamme è fuori combattimento, è caduto, Annegato nell'erba, si è spento. Niente di grave: ecco che lo riaccendono. Si va avanti piano, gente: dovete rendervi conto che questa roba è alta tre metri. Più avanti raggiunge i sei metri. E come lottare contro una piovra con un milione di braccia. Questa roba intanto continua a crescere. Spaventoso. Immaginate un intrico di filo spinato: centinaia e centinaia di balle o rotoli o quello che è di filo spinato ammucchiati tutto intorno a casa vostra. Solo che non è filo spinato ma erba, erba verde, viva... un momento, gente, ho delle difficoltà col filo del microfono. Niente di grave, sapete, si è solo impigliato un pochino nell'erba dietro di me. Quegli steli bruciati... rimanete in ascolto...
"Qui è la radio KPAR. In seguito a difficoltà tecniche siamo costretti a interrompere la trasmissione per qualche minuto. Ascolterete ora un breve programma musicale...
"Grrr, crac, cromp. Eccomi di nuovo in linea, signore e signori. Sono davanti alla casa dei Dinkman, sulla strada. Ho il fiato un po' corto ma niente paura, sono pronto a riprendere la trasmissione in diretta dal teatro della lotta contro l'erbadiavolo. C'è stata qualche difficoltà ma ora è tutto a posto. Sembra... be', sembra che quegli steli bruciati, sapete, non siano bruciati proprio del tutto e che quando ci sono passato sopra col filo del microfono siano... be', sì, siano tornati a crescere e il filo si è un po' aggrovigliato. Ora è tutto a posto. Tutto è sotto controllo. I ragazzi coi lanciafiamme sono tornati indietro e hanno ripassato tutta la strada, tanto per essere sicuri.
"Insomma, questa roba cresce, e quando dico cresce voglio dire che cresce davvero. Stupefacente, semplicemente stupefacente. Si dice che certe piante crescono a vista d'occhio: be', con questa, ti giri un attimo e quando torni a guardare è ricresciuta. Insomma, i ragazzi hanno ripassato la strada con i lanciafiamme, e ora l'erba sul marciapiede è alta come prima, anche dove era stata bruciata. Ora comincia a ricrescere anche sulla strada. Se si guarda con attenzione la si vede avanzare. I germogli avanzano dal grosso come tanti serpentelli verdi. Immaginate di vedere dell'erba che si sposta verso di voi come un esercito di vermi: un esercito che non si può fermare. Perché è viva; è viva e sta venendo verso di voi. E viva, E viva. E vi..."
Ripresi a camminare immerso nei miei pensieri. In un'edicola vidi il "Daily Intelligencer": "Riunione del consiglio comunale per affrontare la minaccia dell'erba".
E che facessero in fretta: ero stufo del prato della signora Dinkman.

Capitolo XI

- Weener sahib, il destino ci ha riunito. - Speravo proprio di no. Ero stufo anche di Gootes e delle sue varie interpretazioni.
- Quel Frankenstein femmina, quella vostra scienziata, non ha accettato l'offerta di W. R. Il capo le ha offerto una somma favolosa... favolosa per lui, voglio dire, per una serie di articoli sull'erba. J. S. Francis, chimico di fama mondiale, in esclusiva per il "Daily Intelligencer". Sapete com'è, sorvolando sul suo sesso infelice. "Il creatore dell'erba diabolica svela la verità". Ebbene, non ha accettato. Ha detto a W. R. di andare all'inferno. Di andare all'inferno, capisci? - ripeté, evidentemente combattuto tra l'orrore per il sacrilegio e l'ammirazione per l'audacia di lei. - O Weeneru san - continuò passando a un registro orientaleggiante, - non ti sarà troppo difficile farti un po' di yen. Non ti sei beccato cinquanta verdoni dal capo-san proprio ieri?
- Quaranta, non cinquanta.
Mi mostrò una carta, la lacerò, mosse la mano e me la fece vedere intatta. - Senza scherzi, amico. Al vecchio è venuto il pallino di nominare te corrispondente speciale: dietro mio consiglio, capisci, io sono sempre in giro a cercare collaboratori.
Bene, e perché no? La ruota della fortuna aveva girato per un bel pezzo prima di fermarsi al posto giusto. Mai avevo dubitato che prima o poi avrei avuto modo di dimostrare le mie capacità letterarie. - Be'... non so proprio se troverò il tempo...
- Okay venditore. Vediamo un po' come va il mercato.
- Quanto è disposto a offrire il tuo negriero?
- E come faccio a saperlo? Più di quanto vali, probabilmente. Più di quanto prendo io, perché tu ora sei una delle sette meraviglie del mondo, l'uomo che ha messo la roba sull'erba. Vieni e lo sentirai direttamente alla fonte.
Era un edificio imponente. Mi fermai davanti ad una porta a vetri smerigliati con una scritta semicancellata: "W. R. Le Ffacasé", Sulle altre porte le scritte invece erano nuove fiammanti. Gootes si accorse della mia esitazione e cominciò a fare il buffone.
- Hai paura di Lui, eh, ragazzo? Non ci pensare, non ci pensare: è un uomo nato da donna, come tutti noi. Ha scritto tante di quelle volte che discende da una nobile stirpe di Ugonotti che ormai quasi ci crede anche lui, Ma gli Ugonotti erano sporchi Protestanti, e quando verrà la sua ora W. R. manderà a chiamare il prete e prenderà l'estrema unzione da quel buon figlio della Chiesa che è in fondo al suo cuore. Perciò, su con la vita, ragazzo, entra e guarda il più gran truffatore della carta stampata.
Ma il discutibile umorismo di Gootes non mi rassicurò per niente, così come non mi tranquillizzò la vista del nudo ufficio illuminato dal sole che c'era dietro quella porta. Anche la scrivania di W. R. era spoglia, se si eccettua una tabacchiera smaltata e la fotografia di un presidente che aveva dovuto subire ogni giorno gli attacchi più velenosi da parte del giornale. Alle pareti erano appesi gli originali delle vignette politiche più famose degli ultimi venticinque anni. Non si vedevano né telefono né fogli.
Ma chi poteva esaminare quell'ufficio con distaccata serenità in presenza di William Rufus Le Ffacasé? Semiaddormentato in una poltrona di cuoio, socchiuse due occhi profondamente incassati e ci guardò col minimo di interesse. Indossava un abito grigio, lucido per l'uso, e una antiquata camicia senza colletto chiusa da una spilla di diamanti, la cui magnificenza compensava abbondantemente la mancanza di colletto e cravatta. Aveva la faccia molto allungata: il labbro superiore si allungava nello sforzo di congiungere la bocca, che sembrava unta di recente con vaselina, al naso, di forma molto simile a una mazza da golf. Dalla tabacchiera sulla scrivania, che avevo immaginato puramente ornamentale, prese col pollice un mucchietto conico di polvere grigia che infilò con rapida mossa in una narice dilatata.
- Capo, questo è Albert Weener.
- Come sta, signor Weener? Gootes, chi diavolo è Albert Weener?
- Ma capo, è il tipo che ha dato la roba all'erba.
- Oh. - Mi esaminò con l'attenzione che si dedica a un esemplare interessante ma non particolarmente prezioso.
- Mi è stato detto che, in considerazione del fatto che ho trattato il prato della signora Dinkman, desiderate che io collabori... - dissi.
- Più cresce l'intelligenza, più diminuiscono i desideri - mormorò Le Ffacasé. - Io non desidero altro che pochi momenti di solitudine per leggere l'immortale Hobbes.
- Chiedo scusa. Credevo che voleste le mie impressioni sull'erba.
Le Ffacasé mi fissò, frugando sotto il piano della scrivania e tirando fuori un telefono dal suo nascondiglio; poi disse nella cornetta: - Mi spiace interrompere la vostra partita a dadi con questioni inerenti alla vita del giornale, ma vi ricordo che vi si paga uno stipendio. Ora vi mando un uomo che sa qualcosa di quell'erba mostruosa. Lasciate perdere quel giornale pornografico che state guardando con gli occhi fuori dalle orbite e vedete se ci può essere utile.
- Ti ha assunto, perdio - stabilì Gootes appena fummo usciti. E infatti così avvenne. Pensai che un uomo di genio come Le Ffacasé mi avesse valutato in un lampo, riconoscendo in me il giornalista nato senza che avessi mai scritto un rigo.

Capitolo XII

La paga che mi passava l'"Intelligencer" (anche se per breve tempo, come immaginavo, e cioè fino a che non fosse finita la faccenda dell'erba) mi permise l'acquisto di un'automobile di seconda mano. L'affare non fu facile, sia perché avevo pochi contanti sia per certe cambiali del mio passato, ma una telefonata al giornale chiarì le mie referenze, e mi trovai così a guidare per Sunset Boulevard meditando sul tardivo ma benvenuto miglioramento della mia condizione.
A un certo punto la strada era interrotta dai cavalletti; le macchine parcheggiate fitte fitte per un bel tratto testimoniavano dell'interesse che la cittadinanza provava per l'erba in continua espansione. M'intrufolai fino a raggiungere il fenomeno che mi dava da vivere.
La casa dei Dinkman, prima, era in città, ma ora la zona non aveva niente di urbano. Una collina conica contrassegnava la tomba della casa dei Dinkman. Sembrava un disegno infantile fatto con un pastello verde: la collina era troppo simmetrica, troppo uniforme, troppo verde per un prodotto spontaneo della natura; l'intervento umano era evidente.
I fianchi della collina ricoprivano le case adiacenti a quella dei Dinkman, evacuate dagli inquilini; la base del cono investiva già i giardini di altre case, avvertendo i proprietari che anche la loro ora era vicina.
Devo confessare che provai una sorta di orgoglio perverso, per un attimo, pensando che quella collina mostruosa era opera mia. Mi scossi di dosso quel compiacimento morboso solo perché un altro impulso, ugualmente malsano, mi aveva invaso: il desiderio di toccare, di camminare, di rotolarmi sull'erba. Cercai di controllarmi, ma non riuscii a fare a meno di avvicinarmi e di prendere a piene mani i fili d'erba più giovani. Sentii come una scossa elettrica: sebbene fossero molli e teneri, percepii una sensazione di vita implacabile e di forza irresistibile. Mi allontanai dall'erba come se, toccandola, avessi compiuto qualcosa di osceno.
Malgrado quello che ci dicono i botanici e i naturalisti, di solito consideriamo la vita vegetale come qualcosa di statico, di stolido, di quiescente. Ma quella vegetazione anormale non era passiva, torpida. Mentre la osservavo affascinato, quella cosa si muoveva, espandendosi in tutte le direzioni. Rabbrividiva e si contorceva, espandendosi, aumentando, estendendosi: e si allargava, si allargava, si allargava. Si muoveva lentamente, da un punto di vista umano, ma era cosa tanto mostruosa veder muoversi una massa simile di vegetazione che si aveva l'impressione di una crescita velocissima, che inghiottiva tutto quello che incontrava sul suo cammino. Una crepa nell'asfalto scomparve, un cespuglio fu inghiottito, un tratto di muro svanì.
Spero di non aver dato l'impressione che non ci fosse attività umana nei dintorni, che niente venisse fatto per frenare l'espansione di quel verde ghiacciaio vivente. ÀI contrario, c'era un'attività frenetica e tumultuosa. Gli uomini con i lanciafiamme combattevano ancora una battaglia di retroguardia, ottenendo qualche successo locale qua e là quando ricacciavano i germogli che si spingevano sui marciapiedi e sulle strade: ma a un certo punto la massa principale, crescendo sempre più alta, cadeva in avanti occupando le zone che sembravano liberate. Su quella massa enorme quei fumosi getti di fiamma non avevano più effetto degli uomini muniti d'ascia, che con gran fatica ne erodevano futilmente i margini, o delle falciatrici che si inceppavano come navi in secca.
Ora le speranze erano tutte accentrate su una nuova arma: da una decina di autocisterne si dipartivano, simili ai tentacoli di un calamaro, grossi tubi dalle molli spire. Stavano versando centinaia e centinaia di litri di petrolio grezzo sull'erba. Il petrolio, nemico di tutto quanto ha radici, avrebbe ucciso l'erba. In un paio di giorni, quando il petrolio fosse stato assorbito dalla terra, le radici sarebbero morte, e il mostro sarebbe crollato e scomparso. Con tutto il cuore volevo credere in questa speranza, ma paragonando quei rivoletti neri all'enorme massa verde avevo molti, molti dubbi.
Scosso e pensieroso, ripresi la macchina e tornai a casa. Volevo ordinare le mie impressioni in modo che il Daily Intelligencer potesse avvantaggiarsi delle reazioni di un uomo tanto legato alla diffusione dell'erba mutata. Cominciai a formulare qualche frase, a mente; nella mia stanza, quando mi sedetti a tavolino con carta e penna, ero tutto un fervore di attività creativa.
Ma quando appoggiai la penna sulla carta, ogni cosa connessa all'erbadiavolo sembrò evaporare dalla mente. Allora camminai su e giù fino a che l'inquilino del piano di sotto batté rabbiosamente contro il soffitto. Andai in bagno a lavarmi le mani. Mi esaminai i denti allo specchio. Poi mi sedetti e scrissi: "L'Erba". Ma cancellai questo inizio e lo sostituii con: "Oggi, l'erba".
Decisi che quel modo di scrivere era privo di fantasia e indegno di me. Voltai il foglio e cominciai: "Come un drago che s'avventa". Buono, questo: un modo ottimo per cominciare.
"Come un drago che s'avventa". Ma s'avventa da dove? Da dove si avventano i draghi? Dalle uova, come i serpenti? I draghi sono rettili, no? Strinsi i denti e ricominciai. "Non dissimile da un drago feroce e aggressivamente furioso, o da qualche altra creatura chimerica orrenda, orribile e furiosa, un pericolo minaccioso e inquietante mina pericolosamente il cuore della nostra bella e popolosa città. Essendo io l'innocente ma determinante elemento scatenante di questa spaventevole minaccia, voglio ora descrivere le impressioni da me avute osservando direttamente questa spaventosa minaccia nella sua minacciosa e maligna avanzata..."
Mi appoggiai allo schienale, abbastanza soddisfatto di questo inizio. Ma non posso dire che il resto mi venne tutto d'un fiato. Mi ricordai che molti grandi scrittori sono soliti prendere stimolanti per intensificare l'ispirazione, ma ritenni che nel mio caso avrebbero potuto ottundere l'acutezza della mia mente. E inoltre, quale stimolante migliore dello stringere i denti e andare avanti? Presi la penna e mi imbarcai ostinatamente nella frase successiva.

Capitolo XIII

- Cosa diavolo è questa roba? - chiese il caposervizio guardando la mia pila di fogli scritti accuratamente a mano.
Non mi degnai di mettermi a discutere con un sottoposto troppo pigro per dare un'occhiata al miglior pezzo che probabilmente avesse mai visto, e mi limitai a metterglieli sotto gli occhi.
- Per le palle di Beniamino Franklin e i quattro peli bianchi sul mento di Horace Greely, questa porcheria è scritta a mano! Forse che non esistono più le macchine da scrivere? Forse che la Remington, la IBM e la Olivetti sono fallite?
- Mi spiace - replicai secco. Pensavo che la mia calligrafia fosse perfettamente leggibile. - Se c'è una cosa di cui vado orgoglioso è la grazia e la chiarezza della mia grafia. La macchina da scrivere poteva andar bene per la notiziola di cronaca nera, ma io ero un corrispondente speciale.
Il caposervizio mi fissò con astio. - Io sono un uomo istruito: Groton, Harvard e WPA. Senza dubbio con tempo e pazienza arriverei a decifrare questa roba entro l'anno venturo; ma devo proteggere i dipendenti meno fortunati, e cioè compositori e correttori. No, signor Weener, bisogna proprio che mettiate questa roba in dattiloscritto.
Mentre io mi sforzavo di soddisfare questo capriccio burocratico, Gootes si sedette sull'angolo della scrivania. - Al lavoro, eh? Il vecchio vuol sapere dov'è la tua roba. In realtà ha usato espressioni molto più efficaci. Non ha la parola gentile, sai, W. R.
- Fra cinque minuti ho finito.
Tirò fuori la pipa dal mio orecchio sinistro e la borsa del tabacco dall'aria; poi, senza chiedermi il permesso, prese il primo foglio e cominciò a leggerlo, Le sopracciglia cespugliose si alzarono immediatamente, la pipa pendette nella bocca semiaperta.
- Porpora - esclamò, - magenta, violetto, lavanda, seppia. Terra d'ombra bruciata, scarlatto, turchino, ceruleo, cremisi. Non ho mai letto niente di simile da quando la mia sorellina scrisse su Jack lo Squartatore nel milleottocentoottantanove. Amico Bertie, mi si spezza il cuore a vederti faticare tanto. Portiamo quello che hai fatto al capo: o ne rimarrà tanto colpito da chiamare uno stenografo perché scriva il resto, oppure...
- Oppure?
- Oppure no. Vieni.
Il signor Le Ffacasé sembrava non essersi mosso dal suo ufficio dall'ultima volta che l'avevo visto. Aprì gli occhi e aspirò una presa di tabacco. - Dove cavolo è quella dannata roba sull'erba?
- Eccola, capo. Niente fatti, niente chi cosa quando dove. Brodo. Un brodo molto liquido.
Il direttore prese il mio pezzo e io osservai con una certa ansia le sue reazioni. Non dovetti aspettare molto.
- Che razza di ingegnoso e squisitamente doloroso inferno è questo, Gootes?
- Articolo del nostro inviato speciale, Albert Weener, l'Uomo che ha Scatenato l'Erba Mostruosa.
- Gootes, voi siete il prodotto finale di una secolare ascendenza di idioti incestuosi. Avete superato voi stesso nel presentarmi questa verminosa e putrescente lordura - disse il direttore buttando a terra i miei fogli e prendendoli a calci. - In quanto a voi, Weener, dubito che riuscirete mai ad innalzarvi dal livello dell'idiozia. Uscite immediatamente di qui con questo abominio e rendete un segnalato favore all'umanità facendovi investire dal primo camion della spazzatura che passa per strada.
- Un momento, capo - s'intromise Gootes. - Non così in fretta. Avete visto le ultime notizie sull'erba? Forse potremmo far scrivere gli articoli di Bertie a qualcun altro.
Le Ffacasé prese altro tabacco e guardò con astio il muro.
- Va bene - concesse alla fine.
- Visto che dell'erba ve ne occupate voi, tanto vale che rimanga anche quest'altro. Ma non dovete dormire più di ventidue ore al giorno, mi raccomando. Voi, Weener, rimanete sul libro paga, a metà dello stipendio precedentemente concordato. Via di qui, babbuino idiota, cretino dissennato, essere irragionevole: e ringraziatemi perché vi permetto di succhiarmi una paga settimanale invece di condannarvi a lavorare per sempre, senza stipendio, nelle cripte sotterranee dove teniamo gli archivi.
- Figliolo - mi consigliò Gootes, - mai dire no al capo. Vedi, sta per avere un colpo apoplettico, e volesse il cielo che l'avesse davvero. Ora sta' attaccato all'osso e vedrai che ce la farai. Vieni con me, andiamo a vedere i fatti nudi e crudi.
- Ma, i miei fogli... - protestai.

Capitolo XIV

Durante la mia assenza la guardia nazionale aveva installato potenti riflettori che illuminavano la collina d'erba. Cinque case erano sparite, altre cinque minacciavano di fare la stessa fine. La luce elettrica dava all'erba un colore giallastro, malato.
- Che succede? - chiese Gootes.
- Stiamo scavando un tunnel sotto l'erba - rispose cortesemente un ufficiale. - Poi sbattiamo per aria tutto con un bel po' di esplosivo e chi si è visto si è visto. Non rimarrà un filo d'erba.
- Ma io ho letto che né dinamite né tritolo né nitroglicerina potrebbero fare niente. Anzi, forse fanno più male che bene.
- Scrittori. - Il capitano Eltwiss (ci aveva detto il suo nome quando Gootes gli aveva mostrato la sua tessera di giornalista) liquidò letteratura e letterati senza nemmeno ricorrere a un punto esclamativo. Quasi a sottolineare la sua sicurezza un martello pneumatico entrò in funzione con fracasso, scuotendoci fin nelle ossa. L'energia dei militari avrebbe compiuto con un unico colpo decisivo nel cuore del nemico quello che i civili pasticcioni non erano riusciti a fare.
Mancava parecchio all'esplosione, e così andai a casa. Tornai in loco la mattina dopo quando stavano sistemando le cariche di esplosivo.
Il capitano Eltwiss parlava molto amichevolmente con Gootes, ma la conversazione era continuamente interrotta dall'arrivo di dispacci dall'aria ufficiale che lui si ficcava distrattamente in tasca senza nemmeno leggere, - Vecchi cretini - mormorava ogni volta.
Una rapida ispezione, qualche controllo, e venne l'ordine di mettersi al riparo. Tutti quanti, giornalisti, soldati, curiosi, dovettero indietreggiare di un paio d'isolati, dove le case e gli alberi non permettevano di vedere niente.
- Spaventoso - disse freneticamente Gootes. - Avrei dovuto pensarci. Noleggiare un aeroplano. Microfono e cinepresa... Mi chiameranno Gootes il Gottoso, l'uomo che perde tutte le occasioni... Forse un pallone frenato.,. Ehi! Un tetto, un tetto!
- Meglio gli alberi - suggerii, perché me lo vedevo arrampicarsi sulla facciata dell'edificio più vicino.
- Nein! Wigwam di donna bianca essere meglio di albero, Allons! - Solo a metà delle scale mi resi conto che il wigwam era il palazzo in cui abitava la Francis.
La trovai sul tetto insieme a un mucchio di gente che apparentemente non aveva niente di meglio da fare. - Non so come, vi aspettavo - ci disse. - Sapete quando ci sarà l'esplosione?
Prima che potessi rispondere l'erba si mosse e ondeggiò; sentimmo il rombo soffocato. Il tetto tremò; i vetri delle finestre vibrarono. Il rumore era stato cosa da poco: pensai che non fosse affatto all'altezza della situazione.
Credo che tutti ci aspettassimo di vedere una voragine al posto dell'erba. Quando fummo certi che non si era avverato niente di tutto questo, continuai a guardare con attenzione: poiché la mia preparazione in fisica era quella che era, pensai addirittura che, essendo forse la velocità del suono superiore a quella della luce, avessimo sentito il rumore dell'esplosione prima di vederne gli effetti.
Ma la gran massa verde era ancora lì.
Non esattamente come prima, ma c'era. La collina conica aveva perso un po' della sua simmetria; il vertice non era più dritto, ma piegato da una parte come un berretto frigio. Le linee, prima così precise, erano ora un po' confuse, un po' arruffate. L'esplosione qualcosa aveva fatto; ma ben poco perché l'erba, sebbene un po' scomposta, era ancora lì.
L'aria era piena di frammenti verdi che piovevano da ogni parte ondeggiando, ricadendo, preda di ogni alito di vento, ma inevitabilmente destinati prima o poi a ricadere.
- Ce n'è un po' meno, se non altro - disse Gootes esaminando un pezzetto d'erba tra le dita.
- Cynodon Dactylon - disse la Francis, - Quest'erba, come avviene per quasi tutte le graminacee, si propaga per inseminazione e per talea. Vale a dire che ogni frammento di pianta (tranne foglie e fiori, naturalmente) può attecchire e dare origine a una pianta nuova. L'esplosione non ha danneggiato l'erba, ha danneggiato noi: infatti ognuno di questi frammenti diventerà una nuova pianta, che comincerà a riprodursi. La stampa e gli studiosi lo hanno detto e ripetuto fino alla nausea. Le autorità militari non hanno dato retta a nessuno e hanno fatto di testa loro. Questa battaglia l'ha vinta il Cynodon Dactylon.
Tutto ora sembrava insolitamente tranquillo. Stranamente tranquillo. Di sotto, si sentiva una radio vociare.
- ...proprio così, voi che mi ascoltate: Dio sta preparando la Sua vendetta per punire i malvagi e i peccatori. La collera di Dio è vicina! Dio vi ha dato un segno: ha preso un'erba, umile e disprezzata, e ha fatto sì che si moltiplicasse malgrado i deboli sforzi degli uomini. Amici, non combattete quell'erba, ma veneratela: non permettete che venga tagliata, poiché essa è segno della volontà di Dio. Ma ora, amici, mi dicono che il tempo che ho a disposizione sta per finire: affrettatevi dunque a mandare le vostre offerte, così necessarie per coltivare l'orto del Signore, a Fratello Paul, presso la stazione radio che state ascoltando.
- Ecco un modo valido come un altro di prendere la cosa - disse Gootes, Scese le scale a rompicollo. Appena fuori del palazzo finimmo quasi addosso a due ufficiali che stavano litigando.
- Osate affermare, capitano, che non avete ricevuto l'ordine urgente di sospendere l'operazione?
- Colonnello, non ho visto niente contro il progetto tranne qualche articolo di giornale.
Improvvisamente ricordai dove avevo già sentito quel nome, Eltwiss: sulla pagina finanziaria del giornale. "Eltwiss & Co., Polvere da sparo e Esplosivi". Strano come ci si ricorda di colpo di cose apparentemente insignificanti.
La Francis, che era scesa in strada con noi, stava raccogliendo qualcuno dei frammenti d'erba che ondeggiavano pigramente nell'aria.

Capitolo XV

Quattro parole in croce, senza vita e senza eleganza, apparvero sotto il mio nome sull'"Intelligencer": non c'era rimasto né un concetto né una parola di mio. Le minacce di Le Ffacasé, per quanto assurde, mi indussero a non protestare: i soldi che ricevevo dal giornale, per quanto pochissimi, servivano tuttavia a soddisfare le mie necessità più urgenti.
Essendo pagato non per il mio talento, che veniva stupidamente sprecato, ma solo per il nome, potevo fare quello che più mi piaceva. Ma passavo gran parte del mio tempo nelle immediate vicinanze dell'erba. Ne osservavo con meraviglia l'incessante vitalità: l'erba, alla costante ricerca di spazio e di cibo, si muoveva in continuazione, in altezza e in larghezza: come se la massa verde fosse un essere senziente che si preparasse a qualcosa e, disturbato, si tenesse pronto a reagire, ad aggredire.
Anche l'aspetto era cambiato. Dopo l'esplosione, le proporzioni tra altezza e ampiezza erano mutate: non c'era più una punta conica, ma una vasta piattaforma irregolare. L'erba si era estesa enormemente: ormai occupava tutte le strade intorno all'isolato e minacciava tutto il quartiere. Per il momento sembrava che non ci fossero altre operazioni in vista, e i militari non facevano altro che pattugliare le vicinanze. Mi chiesi se per caso non si trattasse di una nuova strategia, e cioè di lasciare che l'erba esaurisse le proprie forze da sola. Ma mi sembrava che a ogni ora diventasse più vigorosa, e dunque mi vidi stipendiato dall'"Intelligencer" ancora per lungo tempo a venire.
Vidi il capitano Eltwiss e gli chiesi cosa ne pensava. - Non preoccupatevi - mi rispose. - Ormai siamo a cavallo. Aspettate e vedrete cosa capiterà a questa puttana di un'erba.
Parlammo molto amichevolmente. Gli riferii quello che aveva detto la Francis, e cioè che da ogni frammento d'erba sarebbe nata una nuova pianta in grado di riprodursi a sua volta. Lui si limitò a ridere.
- Li conosco io questi scienziati. Sono capaci di trovare un disastro dietro ogni angolo più in fretta di un ubriacone che cerca un bar.
Ma il capitano Eltwiss, malgrado le apparenze, era un devoto servitore della Scienza, e pensa e ripensa aveva trovato una soluzione che apparve proprio in quel momento. Erano venti o trenta carri armati con davanti come dei pattini di slitta attaccati alla rovescia. - Carri tagliafili - mi spiegò con orgoglio. Esattamente uguali a quelli che hanno spazzato via il filo spinato durante lo sbarco in Normandia. Passano dappertutto. L'idea è semplice. I carri si aprono la strada fino in mezzo all'erba. Noi entriamo e fissiamo una base operativa in posizione centrale, e inoltre spazziamo via l'erba proprio dove è più forte. Poi useremo ogni mezzo a disposizione dell'esercito, e anche qualche altro in più. Anche quello che hanno usato i civili, prima. Solo con maggiore efficienza. E poi tutto quello che ci viene in mente. Efficienza, ci vuole. È appena arrivato il via da Washington. Il primo filo d'erba che vediamo lo facciamo fuori.
I carri armati erano pronti, e gli equipaggi presero posto. I mostri d'acciaio cominciarono a muoversi ruggendo avanti e indietro, finché ad un qualche segnale balzarono avanti schiacciando e stritolando l'erba con i grossi cingoli.
Andavano avanti diritti, lasciando dietro dì sé un sentiero di erba schiacciata. Il capitano si avviò lungo uno di quei sentieri, e io lo seguii, Non senza trepidazione misi i piedi su quella massa verde, ora senza vita, pressata dai cingoli fino a diventare dura come legno: infatti ricordavo come l'erba avesse per così dire strappato il lanciafiamme e si fosse accanita contro il microfono del reporter.
I carri armati procedettero con facilità fino a che l'erba non si fece più alta e non cominciò a oscillare e ondeggiare grottescamente invece di farsi schiacciare senza protestare. L'erba lambiva i fianchi d'acciaio; piccoli ciuffi mutilati e recisi tornavano a ergersi dopo il passaggio del mezzo.
Poi, di colpo, il carro armato che stavano seguendo scomparve. Un attimo prima andava dritto per la sua strada, implacabile giustiziere, l'attimo dopo era sprofondato nell'erba, e fu perduto. Le erbe si richiusero dietro di lui ondeggiando rabbiosamente, intrecciandosi e annodandosi tra loro.
Il capitano era tutto contento. - Ora ci siamo. I nostri carri stanno colpendo al cuore quella vecchia puttana.
Rimasi a fissare con occhi sbarrati il punto dove era scomparso il nostro vendicatore, ma l'erba non mi permetteva di vedere niente. Seguimmo per un po' anche altri sentieri: anche gli altri carri armati erano scomparsi dentro l'erba come tanti bracchi all'inseguimento di un coniglio.
- Bene - disse il capitano Eltwiss, che a quanto pareva mi considerava un po' come il suo confidente, - andiamo a sentire cosa dice la radio.
C'era un altoparlante da cui si sentivano le comunicazioni dei vari equipaggi: probabilmente era stato messo a uso e consumo di curiosi come me. Peccato che le comunicazioni si sovrapponessero spesso, riducendosi a una cacofonia di suoni confusi.
- Brf brf brm. Rrrr rrrr circa trecento brrmm brrmm nord-nord-est. Mi sentite, FHQ? Passo, FHQ.
Ci furono altri suoni incomprensibili, e poi: - ...il motore è andato. Devo tornare? FHQ, passo, FHQ.
- Brutto posto per una panne - disse il capitano con comprensione. - Ma lo tireremo fuori in un batter d'occhio non appena la situazione sarà sotto controllo.
- ...brrmm circa cinquecento metri. Secondo il piano ci dovrebbe essere SMT5, ma non c'è. Il collegamento radio non funziona, non risponde. Che cosa sta facendo SMT5, FHQ? Passo, FHQ.
Stavo chiedendomi cosa fosse successo a SMT5 quando l'altoparlante riprese: - ... sempre più difficile muoversi. I tagliatili sono intasati, intasati dico. Era meglio non metterli.
Una babele di suoni, e poi: - ...qualcosa che è entrato nel motore e ha mandato in corto l'accensione, credo. Esco per andare a vedere. Qui è SMT3 che fa rapporto a quartier generale. Chiudo.
- ...bloccato, e così ho acceso i fari. Mi sentite, FHQ? Passo, FHQ. OK, OK, non arrabbiatevi. Ho acceso i fari. Impressionante. Questa roba è bella verde di fuori, ma qui in mezzo sembra la foresta delle favole: dove vive l'orco cattivo, sapete? Niente verde. Niente luce tranne quella dei fari, che illuminano per un metro sì e no. Tutto morto. Gli steli sono gialli e rosso scuro, molto fitti, intrecciati tra di loro. Vorrei sapere come diavolo ho fatto ad arrivare fin qua. Vorrei sapere anche come diavolo farò ad uscirne.
- Ho messo la testa fuori della torretta, quel poco che posso. Dannata erba, è una massa solida. Ora prendo qualche attrezzo e guardo il motore, è l'unica cosa da fare. Mica posso starmene qui a parlare di steli d'erba tutto il santo giorno. Se non ce la faccio a rimetterlo in moto, do le dimissioni. Qui è SMT7, che lascia il carro per riparazioni. Passo e chiudo.
Per ore e ore ascoltammo i rapporti dei carri armati, ed erano tutti dello stesso tipo, e tutti concludevano così, "Passo e chiudo". Inutilmente FHQ, il quartier generale, ordinò agli equipaggi di rimanere nei carri e di non uscirne per nessun motivo. Gli uomini erano giovani e in gamba, e quando il motore si fermava prendevano gli attrezzi e si aprivano la strada nell'erba per qualche metro per aggiustarlo, Dopotutto non erano nella giungla, ma nel centro di una grande città. Il loro carro armato era un bestione dell'accidenti, e nessuna minaccia di corte marziale poté convincerli a restarsene tranquillamente seduti ad a- spettare i soccorsi. Così, uno a uno uscirono per riparare l'accensione, mettere a punto la carburazione, liberare i cingoli dalle erbe. E una per una le loro radio si azzittirono, e non si seppe mai più niente di loro.
Il capitano Eltwiss passò dalla sicurezza al dubbio, dal dubbio alla preoccupazione, dalla preoccupazione alla collera disperata. Conosceva personalmente quasi tutti gli uomini dei carri,' e il pensiero dei suoi amici intrappolati in minuscole grotte d'erba che si facevano sempre più piccole lo rendeva frenetico. SMT1, SMT1, qui è FHQ. Lew Brown, mi senti? Ascolta, Lew, non uscire, rimani dove sei. Lew, mi senti? Non uscire, Lew - urlava il capitano nel microfono. Ma l'altoparlante rimase muto.
- Jake White, Jake White. SMT4, mi senti? Ho detto che ti pagavo da bere, dopo, Jake. Non uscire, Jake, non uscire. Stai lì buono, Jake.
Disperato, alla fine cominciò a gridare: - Andiamo a tirarli fuori, ragazzi, facciamoli uscire! - E avrebbe guidato personalmente una spedizione di soccorso se non l'avessero trattenuto a forza e portato via.

Capitolo XVI

Sarebbe inutile riferire qui tutti i tentativi che vennero fatti per salvare gli uomini dei carri armati. Tutto si rivelò inutile. La stampa e la radio si buttarono a corpo morto: per ventiquattr'ore la prima pagina di tutti i giornali fu dedicata solo ai "prigionieri dell'erba".
L'erba non concedette tregua; al contrario, sembrò trarre nuovo vigore dalle sue vittime. A sud già raggiungeva Hollywood Boulevard; a nord si perdeva nel deserto intorno a Hollywood Bowl. Il traffico attraverso il passo di Cahuenga, sulla grande arteria che collega Los Angeles con la sua grande valle, rischiava di essere interrotto.
E, mentre la massa principale si espandeva, altri tratti d'erba mutata, più piccoli, erano comparsi secondo le previsioni della Francis. Ce n'erano decine: alcuni vicini, altri più lontano, fino a Hollywood. Si cercò di distruggerli appena scoperti, naturalmente: ma la cosa era difficile perché all'inizio non si poteva capire se si trattasse di erbadiavolo normale o mutata; e quando ci se ne accorgeva, era troppo tardi.
Ora l'erba occupava il primo posto nei pensieri di tutti: aveva sostituito la luna (per gli innamorati), la tassa sul reddito (per chi aveva redditi), il tempo (per le persone che non si conoscevano), e i malesseri vari (per le signore ormai non più interessate alla luna) in tutte le conversazioni. Grandi accademici lasciavano i laboratori per tenere conferenze a vantaggio delle associazioni femminili. Nel vocabolario popolare entrarono termini come stolone, rizoma, talea, che sostituirono cilindro, pistone e scappamento; gli articoli puerili che Gootes scriveva sotto il mio nome venivano commentati da costa a costa.
Man mano che l'erba si diffondeva, i sermoni radiofonici di Fratello Paul diventavano più lunghi e più ispirati. Molte chiese Io bollarono come eretico; le immobiliari, che vedevano scendere il prezzo degli immobili man mano che la paura dell'erba saliva, lo denunciarono alla Commissione Federale per le Comunicazioni; le scuole domenicali lo elessero Uomo dell'Anno; migliaia di devote lo sommersero di torte fatte con le loro mani. Fratello Paul si limitava a comprare sempre più tempo radio.
Nessuno dubitava che alla fine il governo sarebbe uscito dalla sua apatia e avrebbe trovato i mezzi idonei a porre fine alla minaccia in modo rapido e decisivo. L'erba preoccupava, certamente, ma la situazione non era priva di lati piacevoli: molti si sentivano come bambini la cui scuola è andata distrutta; peccato, ma ne faranno una nuova e noi daremo una mano; nel frattempo, divertiamoci.
L'Intelligencer" era sommerso dalle lettere dei lettori, tutte a proposito dell'erba. Con la sua acuta percezione dei gusti popolari, Le Ffacasé pubblicava le lettere pubblicabili (quelle impubblicabili circolavano per i corridoi e poi finivano nel cesso) nonché carte topografiche che, ogni settimana, mostravano l'avanzata dell'erba, e profezie di chiaroveggenti, articoli di scienziati, pareri di uomini politici, riflessioni di noti intellettuali. Addirittura, il giornale mise in palio diecimila dollari, da destinarsi a chi avanzasse un suggerimento in grado di porre fine alla minaccia. Dopo di che le vendite raddoppiarono, e la corrispondenza in arrivo, già più volte superiore al normale, assunse proporzioni mostruose.
Ma nello stesso numero in cui si offrivano i diecimila dollari c'era un'altra notizia, per me molto più significativa. Il governatore dello stato aveva nominato una commissione speciale che indagasse sulla situazione, e i primi testimoni chiamati a deporre erano Josephine Spencer Francis e Albert Weener.

Capitolo XVII

William Rufus Le Ffacasé mostrava tutto l'entusiasmo concessogli da una natura flemmatica. Mi chiamò nel suo ufficio e fu quasi sul punto di porgermi la tabacchiera come se pensasse di offrirmi una presa del suo disgustoso tabacco da naso, - Weener, ormai siete un uomo arrivato - mi disse, e cambiando idea spostò la tabacchiera lontano dalla mia portata. - Il vostro nome sarà in prima pagina su tutti i giornali, dall'Alabama all'Alberta; e tutto per merito dell'"Intelligencer".
- Preferirei di gran lunga evitare questa spiacevole notorietà - protestai. - Poiché l'Intelligencer, per ragioni assolutamente incomprensibili, ha deciso di non avvalersi della mia collaborazione e si limita ad apporre il mio nome in calce a parole che non ho scritto io, immagino che non avrete nessuna obiezione a che mi ritiri temporaneamente in Nevada fino a che questa storia non sarà finita.
Il suo volto assunse una sfumatura color prugna. - Weener, avete dimenticato chi siete. L'"Intelligencer" vi ha ripescato dalla fogna, una fogna disgustosamente intasata, e vi paga, vi paga bene, tenete presente, non per i vostri futili e morbosi tentativi di attentare alla castità della lingua inglese, ma semplicemente per pura grandezza d'animo, per quella bontà sconfinata che solo un giornale illustre può avere. E, in cambio, cosa vi proponete di fare? Correre via, scappare, nascondervi all'autorità, portare la sventura sul capo dell'istituzione che ha immesso e immette la vita nella vostra disgustosa, smidollata, tremante carcassa. Non una parola né un altro suono inarticolato del vostro futile lessico. Via di qui prima che perda le staffe. Andate difilato ovunque quel dannato comitato tiene le sue riunioni e restateci. Restateci sempre: non ve ne allontanate né per mangiare né per dormire né per vuotarvi quelle budella della cui esistenza non sono sicuro. Mi avete sentito, Weener?
Non so per quale motivo il comitato non aveva intenzione di sentirsi raccontare la storia dell'erba in ordine cronologico. Quando arrivai io, quei sei signori stavano cercando di vederci chiaro nella storia del petrolio che avrebbe dovuto provocare la morte dell'erba.
Il senatore Jones, in mezzo a due colleghi, l'apparecchio acustico che gli spuntava dall'orecchio come un corno fuori posto, così diceva: - Quanto verrà a costare ai contribuenti?
Alla sbarra era il capo della polizia, che si contrasse e fece per parlare. Ma il vecchio giudice Robinson, che disprezzava ogni palliativo per la sua sordità, si portò la mano a coppa all'orecchio e stridette: Ah? Ah? Che è questo? Parlate a voce alta, giovanotto. Non statevene lì seduto a bofonchiare.
Il deputato Brown volle sapere se non c'era stato conflitto di competenza; il pubblico ministero, Smith, chiese chi aveva dato l'ordine di versare il petrolio, e se c'era stata l'autorizzazione a versarlo da parte dei proprietari del terreno. Gli altri due membri della commissione sembravano disposti a indagare ulteriormente, ma alla fine ii capo della polizia riuscì a dire la sua.
- Sono molto spiacente, signori, ma allora non ero in città e questa storia del petrolio l'ho saputa soltanto adesso.
Al che venne immediatamente messo in libertà, e fu la volta di un assessore, che venne interrogato senza conseguire risultati migliori. Stavano per mandare via anche lui quando il dottor Johnson, che rappresentava la Scienza all'interno della commissione, gli chiese che risultati si erano ottenuti con l'uso del petrolio.
Gli esperti parlarono a lungo con un impiego massiccio di termini esoterici, uno mostrava addirittura formule su una lavagna portatile, ma nessuno ci capì niente finché qualche impiegatuccio del catasto, che era stato chiamato solo perché avevano fatto confusione con i nomi, andò alla sbarra e disse: - Assolutamente nessun risultato.
- E perché no? Il petrolio era forse adulterato? Parlate ad alta voce, giovanotto, e non bofonchiate.
Henry Miller, grosso palazzinaro molto noto (il suo motto: "Los Angeles la città più popolosa d'America entro il millenovecentonovanta") nonché petroliere, si accigliò. L'impiegato rispose che non sapeva, ma che forse la spiegazione era che il petrolio non era mai giunto a contatto con le radici.
- Cioè? - lo incoraggiò il dotto giudice, che sembrava non aver digerito bene né il pranzo né la colazione né, se è per questo, ogni sorta di pasto a partire almeno dal presidente Taft.
- M'interesso un po' di giardinaggio, signori - spiegò l'impiegato del catasto mettendosi comodo. - La domenica zappetto un po' e so com'è l'erba-diavolo. E scommetto che si può versare un'autocisterna di petrolio su quell'erba alta dieci metri senza che una sola goccia raggiunga il terreno.
- Non con petrolio americano di prima qualità - intervenne magistralmente Henry Miller; ma nessuno gli diede retta, perché tutti sapevano che quel commento veniva dal capo di una organizzazione chiamata Fraternità e Democrazia avente lo scopo di deportare nei paesi d'origine tutti gli immigrati e discendenti d'immigrati.
- Albert Weener!
Spero di non dover mai più sottomettermi all'esame di dodici occhi altrettanto spietati. Io guardai fisso il linoleum del pavimento fino a che ogni segno e ogni macchia non mi si impressero indelebilmente nella memoria. Finalmente il senatore Jones ruppe la tensione chiedendomi: - Qual è il vostro nome?
- Parlate a voce alta, non bofonchiate - mi incitò il giudice Robinson.
- Albert Weener.
Nella stanza si udì un mormorio. Tutti quelli che leggevano l'Intelligencer" avevano sentito parlare di me.
- Qual è la vostra occupazione, signor Weener? - chiese Henry Miller.
- Venditore, signore - risposi automaticamente, dimenticando che ero alle dipendenze del giornale; lui mi sorrise con comprensione.
Il senatore Jones prese un taccuino di tasca, lo consultò, Io rimise via, scrisse qualcosa su un foglio che aveva davanti a sé, stracciò il foglio, guardò ancora il taccuino e disse: - Che rapporti sono intercorsi tra voi e questa... uhm, erba?
- L'ho trattata con il Metamorphizer della signorina Francis, signore.
- Assurdo - commentò seccamente il giudice Robinson.
- Diteci cos'è questa roba - disse Miller.
- Non bofonchiate - ordinò il giudice Robinson.
- Mi spiace, signori, ma non so esattamente cosa sia. Questo dovete chiederlo. alla signorina Francis. Però...
Il senatore Jones mi interruppe, - Volete dire che avete trattato con sostanze chimiche sconosciute un prato non vostro? - mi chiese duramente.
- Ecco... vedete, senatore...
- Agite abitualmente in modo così irresponsabile?
- Senatore, io...
- Non sapete che ogni azione ha delle conseguenze? In che razza di mondo vivremmo se tutti andassero attorno pasticciando con cose che non conoscono?
- Non bofonchiate - mi ricordò il giudice Robinson.
Cominciavo a sentirmi alquanto giù, e riuscii soltanto a dire:
- Ma io ho agito in buona fede, signori... - A questo punto Miller disse che potevo andare, avendo io dato tutte le informazioni di cui ero in possesso.
- Verrete richiamato - ringhiò il pubblico ministero, Smith.
- Josephine Spencer Francis.
La Francis sembrava molto a suo agio: si sedette comodamente e osservò con interesse le sei facce che la fissavano.
La commissione ricambiò il suo sguardo in modo diverso: il pubblico ministero le sorrise con cortesia; il giudice Robinson sembrò inacidirsi ancora di più e disse, sottovoce ma non tanto:
- Donna, danno. - Il senatore Jones si inchinò leggermente; il deputato Brown la osservò freddamente; Henry Miller sporse le labbra, divertito; il dottor Johnson la fissò con repulsione.
Il senatore Jones s'inchinò ancora e le chiese come si chiamava. Poi intervenne Miller. - La vostra occupazione, signorina?
Ingegnere agrostologico specializzato nella ricerca chimica.
- Cosa? Cosa? - Il giudice Robinson riuscì a condensare nel semplice gesto di portarsi una mano all'orecchio diffidenza verso la scienza, sfiducia verso le donne, condanna verso il mondo moderno e la Francis in particolare. Lei ripeté senza scomporsi.
- Cosa c'entra l'astrologia con l'erba? Fate gli oroscopi, voi?
- Agrostologia - mormorò il dottor Johnson rivolto al soffitto.
- Volete spiegarvi in termini più semplici? - chiese Smith.
- I regolamenti di pubblica sicurezza prevedono un'ammenda per gli indovini girovaghi - intervenne il giudice Robinson.
- Ho dedicato la mia vita allo studio delle reazioni delle piante a varie sostanze, nonché degli effetti che certi composti chimici esercitano sulla crescita, sullo sviluppo e sul metabolismo dei vegetali.
Il giudice Robinson tolse la mano dall'orecchio e si grattò il cranio, irritato. Il deputato Brown intervenne: - Troppe chiacchiere sulla reazione. - Il dottor Johnson osservava attentamente il muro; il senatore Jones tagliò la testa al toro: - Vi occupate di chimica applicata all'agricoltura.
La Francis gli sorrise amabilmente. - L'agricoltura è un campo molto vasto; io ne coltivo solo un pezzetto.
Il pubblico ministero Smith si protese, interessato. - Presso quale università vi siete laureata?
Lei si accomodò meglio, più cilindrica che mai. - Nessuna - affermò con baldanza.
- Eh? ...bofonchiate!
- Temo di non aver capito la risposta, signora - disse il senatore Jones.
- Non ho né lauree né diplomi, e non ho sprecato un secondo della mia vita in università, accademie, scuole di specializzazione né in nessun'altra istituzione ufficiale. A me va bene la laurea di Bacone, di Darwin, di Lavoisier, di Linneo e di Lamarck, e cioè nessuna laurea. Io indago, signori, mi pongo delle domande: non mi limito ad accarezzare insieme le lettere dell'alfabeto secondo il mio capriccio in modo che, comunque, non significhino mai niente.
Il senatore Jones si tolse gli occhiali, li pulì, fece per rimetterseli al contrario e infine si arrese. - Le vostre affermazioni sono un po' insolite, signorina, uhm, Francis.
- Io non faccio affermazioni: presento dati di fatto.
- Potete essere perseguita per vilipendio, signorina Harrumph - la ammonì il giudice Robinson.
Il dottor Johnson disse seccamente: - Non dite assurdità, signora. Perfino un boscaiolo ha un rispetto maggiore per la scienza.
- Esercitare senza titolo comporta sanzioni legali - commentò il deputato Brown.
Il dottor Johnson le chiese con aria di sufficienza: - E quale sarebbe la formula magica che ha fatto crescere l'erba?
La Francis nominò rapidamente un elenco di componenti: così rapidamente, per la verità, che solo lo stenografo ci capì qualcosa. Io sentii solo otto o nove nomi, sebbene fossi seduto a non più di un metro e mezzo da lei. Magnesio, iodio, carbonio, azoto, idrogeno, elio, potassio, zolfo, ossigeno...
Il dottor Johnson sembrava conoscere la formula a menadito, come se l'avesse studiata sui banchi delle elementari. Intervenne il senatore Jones, - E quali effetti vi aspettavate da questo insolito agglomerato di elementi?
La Francis gli disse quello che aveva detto a me in precedenza. Il dottor Johnson sorrise. - Un vero uomo di scienza - affermò, - uno che ha faticato per anni per raggiungere quei titoli che voi affettate di disprezzare, assorbe col sapere anche l'amore altruistico per l'umanità: e mai avrebbe commesso un errore tanto grossolano come quello in cui vi ha spinto la vostra ignoranza, nonché il fatto che il vostro sesso vi rende probabilmente inadatta a certe attività intellettuali. Se infatti aveste condiviso con altri il vostro lavoro questa catastrofe, che è già costata al paese milioni di dollari, non sarebbe avvenuta.
Tutti sembrarono estremamente compiaciuti, e il dottor Johnson più di tutti. Poi la Francis prese la parola.
- Io non so, dottore, dove vengano praticati gli ideali tanto commoventi che mi avete or ora descritto. Forse dalle grandi fondazioni scientifiche, se si contendono a suon di milioni gli ingegni migliori, come se fossero giocatori di baseball? O forse nei laboratori delle grandi industrie, dove si fa di tutto per dimenticare le scoperte che ogni giorno vi si fanno allo scopo di evitare costosi ammodernamenti delle attrezzature? Oppure in un campo vicino al mio, nella ricerca chimica, in cui certe scoperte vengono gelosamente tenute segrete per costituire trust internazionali che strozzano la produzione aumentando i prezzi e sfruttando le tensioni tra un paese e l'altro?
Il deputato Brown si alzò in piedi e pacatamente disse: - Questa donna è un agente pagato dall'internazionale comunista. Chiedo che il comitato si rifiuti di ascoltare altra propaganda.
Il signor Miller con un gesto della mano espresse totale identità di vedute col deputato e, nel contempo, si scusò per essere costretto ad interrogare ulteriormente la testimone, cui chiese seccamente: - E quali passi intendete intraprendere per rimediare a quello che avete compiuto?
- Per ora, nessuno. Ma dal momento in cui ho saputo dell'inconveniente ho dedicato tutti i miei sforzi al tentativo di capovolgere l'azione del Metamorphizer e di sviluppare una formula che inibisca la crescita dell'erba. Non so se avrò successo o meno, ma vi assicuro che farò tutto il possibile.
I membri del comitato conferirono tra di loro. Infine il senatore Jones parlò in modo grave e misurato. - E abitudine, in questo tipo di udienze, ringraziare il testimone per la sua cooperazione: ma questa forma di cortesia non è applicabile a voi, signora. Mi sembra infatti che voi vi siate comportata da pessima cittadina, opponendovi, nella vostra arroganza, a tutte le autorità costituite. In questo modo, signora, avete provocato la morte di molti uomini, il fior fiore della gioventù di questo stato, che hanno dato la loro vita nel generoso tentativo di distruggere quello che la vostra ignoranza ha creato.
- Senatore - ribatté la Francis, - voi mi accusate di un crimine, o come minimo di follia criminale: queste accuse sono nel contempo vere e false. Sono stata sciocca, lo ammetto: ma non perché ho disprezzato le costrizioni e la falsità del mondo accademico. L'autorità cui mi sono ribellata non è quella dei santoni della scienza, i cui comici errori vengono perpetuati per generazioni, come avvenne per Pasteur, o nascosti, come avvenne per Lister: e tutto questo solo per salvaguardare interessi poco puliti. L'autorità che io, nella mia arroganza, come avete detto, ho sfidato, è un'autorità più alta: quella che un tempo i veri scienziati chiamavano, non orgogliosamente "conoscenza" tout court, ma con umile verità "filosofia naturale". Questa autorità è quello che i teologi chiamano "volontà di Dio"; altri ricorrono ad altri nomi: forza vitale, principio immateriale, inconscio collettivo. È questa la mia colpa, di aver negato, similmente a quei robot accademici che tanto riverite, quell'autorità e, di conseguenza, di aver deposto un dio e di aver messo al suo posto centinaia di idoli. Poiché non volevamo più stare sottomessi alla forza morale, ci buttammo in bocca, invece (e chiamammo questo tradimento rifiuto della metafisica) alle forze economiche, politiche, sociali; e infine, poiché non ci potevamo più soddisfare solo delle nostre meditazioni, ci siamo sottomessi alla bramosia di fama, di ricchezze, di comoda irresponsabilità, di tradimento ipocrita dei nostri simili.
"Nel clima controrivoluzionario del diciannovesimo secolo abbiamo addirittura ripudiato la nozione stessa di speculazione, che divenne un concetto di dubbia fama, affine alla metafisica. Non ci siamo accontenta ti di bandirne il nome: ne abbiamo anche messo al bando le modalità di funzionamento, dedicandoci non più all'uso delle menti, ma delle mani, e con tale inverecondo entusiasmo da muovere a schifo anche il più incallito contadino carpatico. Abbiamo estirpato le ghiandole salivari dei cani per vedere se sbavavano io stesso; abbiamo tagliato la coda dei topi per vedere se i loro pro pronipoti non ne ereditavano per caso questa mutilazione. Abbiamo decapitato, evirato, nutrito malamente e avvelenato poveri roditori che non odiavamo al solo scopo di far funzionare complicate apparecchiature scientifiche.
"Anche questi passatempi non bastavano a soddisfare il nostro onnivoro appetito. Qualcuno un po' più stupido, un po' meno dotato di fantasia, alla fine inventò quello che si chiama esperimento di controllo, che significa, se la teoria si è dimostrata esatta, condannare a morte senza processo metà dei soggetti.
"Eccoli, i miei peccati: avere disprezzato i fini accademici senza disprezzarne i mezzi; aver ripudiato l'idiozia dei professori senza usare il mio cervello. Poiché ero troppo orgogliosa per inchinarmi a un istituto di ricerca o a una multinazionale, ho dimenticato una cosa essenziale: di seguire la volontà di Dio, sostituendola con quella che credevo la mia. Non era così. Era mancanza di coraggio, autocompiacimento, dubbio, fumosità, equivoci romantici. In una parola, era la mancanza di scopi e la falsità del diciannovesimo secolo che rientravano dalla finestra; e la mia follia è consistita nel non rendermene conto. Mi sono illusa, ho intrapreso azioni inconseguenti, ho seguito false strade. Condannatemi per questi crimini. Sono colpevole".
Il pubblico ministero Smith disse acidamente: - Non siamo né nello studio di uno psichiatra né in un confessionale, e neppure in tribunale. Suggerisco che la teste venga congedata e che il suo ultimo, isterico intervento venga cancellato dal verbale.
- E così sia fatto - stabilì il senatore Jones. - E ora, signori, la seduta è tolta.

Capitolo XVIII

Il trionfo dell'Uomo - Parte I

Per cinque giorni continuarono le sedute della commissione incaricata di condurre un'indagine sulla Vegetazione Pericolosa. Le Ffacasé era sempre più soddisfatto dello sviluppo delle indagini, cui dava molto rilievo sulle colonne dell'"Intelligencer". Si spinse addirittura al punto di darmi dello stupido senza altri aggettivi, il che in lui indicava il massimo del buonumore.
Durante i lavori della commissione l'erba riuscì finalmente a invadere Hollywood Boulevard, sconfiggendo tutti gli sforzi per tenerla indietro. Né l'acciaio più affilato, né il fuoco, né qualsiasi altra sostanza chimica poteva ormai attaccarla. Neanche il filo d'erba più giovane poteva essere tagliato se non a prezzo di sforzi incredibili, poiché avanzando l'erba era diventata molto più dura e compatta (a causa della sua dieta onnivora, sostenevano alcuni; per il fatto che poteva metabolizzare l'azoto atmosferico, credevano altri) e aveva assunto una consistenza gommosa, così da rialzarsi indenne dopo ogni attacco.
Uno degli aspetti più inquietanti dell'avanzata dell'erba era la variabilità e l'imprevedibilità della crescita. Verso ovest si era estesa sì e no per cinque isolati oltre la casa dei Dinkman, mentre a sud aveva ingoiato il Santa Monica Boulevard e avanzava spedita verso Melrose. Le numerose misurazioni davano valori sempre diversi: certi giorni si espandeva alla velocità di trenta centimetri all'ora; certi altri inghiottiva un intero isolato dall'alba al tramonto.
Si fa in fretta a dire "l'erba invase Hollywood Boulevard" è semplice come dire "le nostre truppe avanzano" o "l'uomo venne impiccato all'alba". Ma ora, scrivendo queste parole quasi una generazione più tardi, circondato da dolci colline, da ruscelli tranquilli e da grandi prati pacifici e domestici, se chiudo gli occhi vedo ancora l'immenso ghiacciaio verde colare giù per le strade laterali, arrampicarsi sui tetti più bassi, e rovesciarsi con l'impeto di una cascata sull'arteria affollata.
Le proteste, ora, salivano alle stelle: i fatti precedenti non erano che inconvenienti, mentre questo era il disastro. In effetti, mai la distruzione di qualche monumento famoso sollevò tanto clamore quanto la cancellazione delle impronte che gli attori famosi avevano lasciato sul cemento.
Si riprovarono tutti i mezzi adottati in precedenza più un' infinità di nuovi: pareva che l'uomo non volesse ammettere di venire sconfitto da una pianta senza cervello. L'uomo della strada non riusciva a capire perché mai le armi che si erano dimostrate tanto efficaci in Normandia e a Tarawa risultassero inefficaci contro un vegetale. Forse erano residuati bellici? O forse gli uomini addetti alla lotta contro l'erba non erano che stupide reclute in licenza?
Impiegarono carri armati muniti di tutti gli attrezzi immaginabili, dall'aratro rotante a congegni simili a ventilatori dalle lame affilatissime (questi ultimi non fecero altro che riempire aria di frammenti di stoloni, ripetendo la faccenda dell'esplosione). Impiegarono i lanciafiamme (quelli militari, stavolta, non quei giocattoli da giardiniere che avevano usato in principio), ordigni capaci di ridurre un uomo a una crosta carbonizzata in un batter d'occhio: la linfa evaporava crepitando, l'erba si accartocciava, si carbonizzava lasciando un intrico di stoloni rinsecchiti. E contro questo muro il fuoco risultava inefficace: le dure membrane cellulari non cedevano, la rete d'acciaio non si sfondava. Comunque, forse almeno una piccola battaglia era vinta: no, perché subito dietro la zona bruciata l'erba cresceva, cresceva come l'onda di un maremoto. Sempre più in alto: finché, incapace di sostenersi, rovinava a terra seppellendo i suoi tormentatori.
Sembrava ridicolo che una città venisse attaccata da un po' d'erba: sembrava tanto innocente e ridicola quest'erba che cresceva sul cemento. Non si riusciva a credere che questi fili d'erba dall'apparenza tanto fragile riuscissero a resistere alle scarpe che incuranti li calpestavano; chi avrebbe mai creduto che fossero capaci di tener testa a tutto l'arsenale militare e a tutti gli erbicidi dell'umanità? Fu proprio questa ingannevole fragilità che distrusse il morale di tanta gente.
In un articolo dell'"Intelligencer" lessi una volta un nome noto: era uno di quelli che mi avevano sgarbatamente respinto quando avevo offerto loro la possibilità di trattare il loro prato con il Metamorphizer. Questi, prima di suicidarsi, aveva lasciato un messaggio incoerente: "Piccioni nell'erba, acerba. Troppi piccioni, troppa erba. I piccioni sono colombe, ma Noè ha liberato un corvo. Le contraddizioni. Le rose e le viole sono blu. L'erba è verde, e io sono fatto: fatto, matto, mentecatto. I ragazzi si divertono". Dopo aver scritto questo biglietto, l'uomo, di fronte ai soldati attoniti e impotenti, camminò dritto nell'erba e scomparve.

Capitolo XIX

Ho detto che Le Ffacasé aveva alquanto attenuato la brutalità con cui era solito trattarmi: ma il suo favore non si spinse al punto di pubblicare quello che scrivevo. Sotto il mio nome continuava a uscire la roba che scriveva Gootes. Questa soluzione, invece di lasciarmi più libero, fece sì che mi attaccassi indissolubilmente al giornalista, che sfrecciava infaticabile da uno scienziato a un uomo politico, da stolone a rizoma, dall'ufficio alla strada. Conoscevo ormai tutto il suo repertorio di trucchi e di buffonate fino all'ultimo sbadiglio.
Più di tutto mi davano noia le sue abitudini. Mai arrivava in ufficio in orario o smontava dopo le otto ore. Non aveva il minimo ritegno a buttarmi giù dal letto ad ogni ora del giorno e della notte per farsi accompagnare nei posti più strani. - Bertie, vecchio dormiglione, l'erba sta bussando alle porte della NBC.
- Per forza. Ieri era già in Vine Street. Sarebbe stranissimo che si fermasse ad ammirare gli studi cinematografici.
Il governatore dichiarò la legge marziale in tutta la contea e ordinò l'evacuazione di una striscia larga otto chilometri tutto intorno all'erba. Quando si seppe il motivo di questa evacuazione in grande stile, le proteste furono enormi, perché la Guardia Nazionale aveva in mente niente di meno che un bombardamento a tappeto con il napalm di tutta la zona: la mazza che aveva ridotto le città d'Europa a una distesa di rovine avrebbe schiacciato anche questo nuovo invasore. Su questo anche il più strenuo difensore della proprietà privata era d'accordo: ma che gusto c'era a distruggere il nemico sacrificando i propri beni? No, no! Che il governatore faccia quello che vuole per distruggere l'erba, e in fretta, purché le nostre case rimangano in piedi per permetterci di goderci la vita quando questa, inevitabilmente, sarà ritornata normale. Tanto frenetiche furono le proteste che la Corte Suprema vietò al governo di procedere al bombardamento, anche se l'evacuazione dovette continuare.
Intanto l'erba, per niente intimorita da questi piani, andava avanti. Attraverso il Cahuenga Pass raggiunse,la fertile vallata di San Fernando. A velocità costante inghiottì una collina dopo l'altra masticando cespugli, piante grasse, querce, sicomori, manzanita, con la stessa facilità con cui sventrava case e pavimenti. Entrò in Griffith Park facendo sparire il planetario, Monte Hollywood e Fern Dell in quattro bocconi e raggiunse il fiume di Los Angeles, dalle sponde ormai ricoperte di cemento. Qui era rimasta qualche pozza affinché i turisti avessero qualcosa di cui ridere durante l'estate: l'erba le prosciugò come una mucca assetata beve una pozzanghera. Poi saltò il fiume a piè pari e crebbe a velocità sempre maggiore lungo le due rive.
L'erba intasò i pozzi, buttò giù i piloni delle linee elettriche e telefoniche; s'incuneò nelle giunture dei metanodotti provocando enormi fughe di gas. Poche settimane dopo la mia unica applicazione del Metamorphizer, quella parte di Los Angeles nota col nome di Hollywood era diventata un'unica, solida massa di erbadiavolo.
Davanti all'erba non si poteva protestare e rifiutare di evacuare come molti avevano fatto con l'ordine del governatore: decine di migliaia di persone fuggirono di fronte al mare d'erba, intasarono tutte le autostrade e per qualche giorno la benzina semplicemente scomparve dal mercato. Camion e autobus rimasero fermi. La circolazione era già difficile per la necessità di girare intorno alle zone occupate dall'erba, e quest'ultimo colpo portò a un collasso quasi completo. Il valore degli immobili cominciò a scendere vertiginosamente: si poteva comprare una casa per un boccone di pane, un palazzo nel centro per un piatto di spaghetti, un albergo per un pollo arrosto.
Le immobiliari cercarono di disfarsi del loro patrimonio prima che facesse la fine del più alto grattacielo di Hollywood: in un primo tempo l'erba l'aveva circondato nella sua corsa verso nuove conquiste, lasciando il monolito nudo e solitario; poi aveva cominciato ad avventurarsi lungo i suoi fianchi lisci; infine, si era aperta la strada tra le pareti massicce e aveva invaso il pianterreno con un mare di germogli ondeggianti. Si era arrampicata come edera su per i muri, abbarbicandosi, ricadendo, crescendo sui corpi dei propri caduti, un piano dopo l'altro. Alla fine, dell'orgoglioso edificio non era rimasto altro che un solitario obelisco, ammantato di verde su fino all'asta della bandiera, in cima alla quale ondeggiava un ultimo filo d'erba ancora proteso verso il cielo.
Terreni fabbricabili, stazioni di servizio, palazzi: tutto era invaso dall'erba avida, che si protendeva a mezzaluna tutt'intorno alla città. A nord e a sudest, due acquedotti impedivano al deserto di reclamare lo spazio che la città gli aveva rubato. Ora il deserto aveva un alleato: l'erba sembrava evitare la periferia puntando verso gli acquedotti.
Quando non osservavo l'erba, stavo soprattutto in ufficio. Ormai scrivevo per parecchi settimanali che, sebbene violentassero i miei articoli con mano rozza e pesante, tuttavia non avevano osato oltraggiarmi come Le Ffacasé, il quale faceva usurpare tuttora il mio nome da un altro uomo. Comunque, essendo formalmente alle dipendenze del giornale, nessuno faceva obiezioni se mi servivo di una macchina da scrivere e di cancelleria varia.
- La maledizione di Tutankamen ricada sul capo dell'uomo malvagio che è a capo dell'organizzazione - disse Gootes con voce cavernosa. - Il mostro ha tessuto la tela: noi siamo chiamati, o Bertie.
Rassegnato, smisi e lo seguii nell'ufficio del direttore. Le Ffacasé non ci salutò, ma ci rivolse ruggendo una domanda: - Dov'è? Dov'è quell'egomaniaco, quel pervertito dall'indecente mancanza di puntualità?
- Ma chi? - chiese Gootes.
Ignorandolo, Le Ffacasé mi parlò quasi con bonomia. - Weener, siete un uomo fortunato che sta per compiere un'esperienza senza eguali. Questa occasione non vi si offre per vostro merito: tuttavia, poiché siete, per caso sfortunato, dipendente di questo giornale, esso intende conferirvi l'onore di essere un nuovo Cristoforo Colombo. Voi, Weener, malgrado il vostro scarso valore, avrete il privilegio di mettere piede, per primo, su una terra inviolata.
Non potevo far altro che starmene zitto cercando di far vedere che apprezzavo quell'onore.
- Sì, proprio voi, Weener. Insieme a questo scribacchino di provincia, e a qualche rifiuto umano che si spaccia per cameraman; nonché un gregge di pecore. Tutti voi, uomini e animali, verrete paracadutati sull'erba questo pomeriggio.
Si leccò le labbra. - Già vedo i titoli di domani: "L'uomo che ha provocato la catastrofe ritorna sul luogo del delitto". Nel caso doveste tornare, le vostre impressioni (scritte da Gootes, come al solito) raddoppieranno di valore, Se invece, come è prevedibile, questa avventura giungerà alla sua logica conclusione, l'"Intelligencer" vi fornirà, gratis, un bel necrologio. Ora fuori dai piedi.

Capitolo XX

Il cameraman arrivò ansimando con dieci minuti di ritardo. Si chiamava Rafe Slafe (un'improbabile combinazione di sillabe, lo so) ed era tanto paffuto e rotondetto che, sebbene non sorridesse mai, ci si immaginava di vedere sempre un sorriso stampato su quei lineamenti giocosi.
- Ah, Rafello muchacho, dammi l'abrazo. Como va usted, compañero? - lo salutò Gootes.
Slafe non si degnò di rispondere, scostando Gootes con una mano mentre con l'altra si lisciava i baffi radi. Dopo aver provato tutti i sedili, che erano assolutamente identici, ne scelse uno e cominciò ad ammucchiarci vicino il suo equipaggiamento, che era vario e ingombrante. Finalmente si sedette, con l'espressione di chi ha appena depositato una fortuna in una banca di dubbia fama.
L'aereo da bombardamento puzzava esattamente di quello che era diventato: una stalla. Dieci pecore e una capra solitaria erano allineate, legate, lungo le pareti. Le pecore belavano in continuazione, e la capra osservava il mondo con espressione cinica: dalle bestie si levava un sentore d'ammoniaca che lo strame di cui era ricoperto il pavimento non riusciva ad assorbire.
Mi dimenticai degli altri passeggeri quando l'aereo cominciò a muoversi: prima che me ne accorgessi era già in aria. In basso, vedevo già il fitto reticolo delle strade interrotto dalla gran massa verde.
La massa divenne sempre più grande, fino a che non si vide altro: un pascolo sterminato ingigantito fino all'inverosimile; un prato, in teoria, ma minaccioso per le dimensioni e per il posto dove era cresciuto.
Raggiunto il centro dell'estensione, ancora riconoscibile per una specie di collina tondeggiante, il pilota disse: - Voleremo in cerchio finché non sarete saltati tutti: prima gli animali, poi l'equipaggiamento e infine gli uomini; È chiaro?
Io avrei volentieri fatto a meno del dubbio onore di porre piede per primo sull'erba, ma l'equipaggio evidentemente aveva i suoi ordini: mi batterono cortesemente sulla spalla (immagino che anche i secondini siano cortesi quando, all'alba, vengono a prendere il condannato a morte), controllarono il mio paracadute e mi ripeterono verbalmente le istruzioni che avevo già letto. Non so se contai fino a sei, sessanta o seicento prima di tirare la cordicella. Comunque, non dovevo essermi sbagliato di molto, perché, sebbene sentissi uno strappo da togliere il fiato, il paracadute si aprì e scesi normalmente. Atterrai in tutta sicurezza a pochi metri del montone, subito dietro i quarti posteriori di una pecora.
Ricordo ancora con una vivezza incredibile le sensazioni che ebbi quando per la prima volta toccai il cuore dell'erba: dire estasi è dire poco. Soffice, sì era soffice, ma elastica, come i prati meglio curati. Non si pensava a qualcosa di solido, di materiale: semmai, a nubi sospese nel cielo. Ero atterrato toccando l'erba con i piedi: poi, in tutta naturalezza, mi inginocchiai e il mio corpo, attratto da una forza diversa dalla gravità, cadde in avanti, completamente rilassato, fino a che seppellii la faccia tra le cime fitte dell'erba; le mie braccia si stesero ad abbracciare la maggiore estensione possibile di quella superficie lussureggiante.
Mi sembrava di star bene, meravigliosamente bene; dopo neanche mezzo secondo trascorso sdraiato sull'erba saltai in piedi. In preda a una sensazione di euforia assolutamente insorta in me, staccai il paracadute e cominciai a saltare e a ballare sull'erba. Il montone mi guardava perplesso attraverso le sue pupille rettangolari, e non si unì alle mie capriole. Ma la sua indifferenza non mi toccava: credo che arrivai addirittura a mettermi a cantare e a urlare con quanto fiato avevo in gola.
La vista di Slafe, che scendeva riprendendo solennemente l'avvenimento, non mi fece passare quella specie di ubriacatura, ma mi spinse a comportarmi in modo più convenzionale, Non credo che lui ne risentisse quanto me: infatti, la sua faccia ingannevolmente affabile non mutò espressione mentre puntava la cinepresa da tutte le parti con frigida efficienza.
Gootes invece si comportò come mi ero comportato io: anche lui si mise a cantare e a far capriole, e il suo repertorio di buffonate mi si mostrò in tutta la sua estensione. - Questa è la terra, la vecchia terra in persona! - gridava. - Viva la terra! In alto i cuori!
Credo che passammo più di un'ora in questo modo; alla fine, ci calmammo abbastanza da osservare quello che ci circondava. Allora tirammo fuori il nostro equipaggiamento nonostante che Gootes, ancora abbastanza su di giri, si divertisse a far scomparire e ricomparire le cose. Poi misurammo o, piuttosto, Slafe misurò temperatura, pressione e altitudine, nonché la direzione e la forza del vento.
Avevamo portato anche telescopio e binocolo: quando li usammo scoprimmo con sorpresa che ci trovavamo nel mezzo di una depressione larga sessanta o settanta metri. La vegetazione formava un orizzonte che ci permetteva di vedere soltanto il cielo, mentre io avrei giurato che eravamo atterrati su una superficie pianeggiante, o addirittura arrotondata. Come diavolo facevamo a trovarci in una conca? Forse l'erba ondeggiava come il mare cui assomigliava? Oppure il nostro peso ci faceva sprofondare in un letto morbido e traditore?
Preso dal panico, cominciai a correre freneticamente cercando di risalire gli orli del catino in cui ci trovavamo. Come ho detto, la depressione non doveva avere un diametro superiore ai settanta metri: ma, dopo aver corso un bel po', mi resi conto che l'orlo della depressione distava ancora una trentina di metri. Gootes corse in un'altra direzione e ottenne lo stesso risultato, e i suoi movimenti scomposti indicavano che si rendeva perfettamente conto della pericolosa situazione in cui ci trovavamo. Soltanto Slafe sembrava tranquillo: ora stava inquadrando l'orizzonte d'erba.
I miei sforzi per uscire da quella prigione vegetale si fecero isterici. Forse era colpa della paura, ma ora mi sembrava che l'erba non si limitasse più ad opporre una resistenza passiva: gli steli mi avvinghiavano i polpacci in verdi spirali; la morbida superficie diventava all'improvviso cedevole, in modo che talvolta una gamba vi sprofondava fino all'inguine. Quando cadevo, l'erba cercava di trattenermi avviticchiandosi al collo, alle braccia; ora non era più tenera, ma dura e tagliente, e soffocava le grida d'aiuto, Alla fine, scoppiai in lacrime come un bambino, convinto che sarei morto lì, annegato in un mare innaturale.
Ero disperato a tal punto che smisi di dibattermi e giacqui immobile, in attesa della morte, piangendo piano: allora mi accorsi che l'erba stava allentando la sua stretta, e che non affondavo più. Mi rialzai facilmente, ma ero talmente scosso che non pensavo più ad andare avanti; mi limitai a guardarmi attorno, meravigliato di essere ancora vivo.
- Erba non volere tu andare avanti, eh? - Anche Gootes aveva rinunciato a lottare con l'erbadiavolo. - Lei non piacere tu camminare.
- Non è il momento di scherzare, questo - dissi freddamente.
- È adattissimo, invece. Chi fa il disinvolto in un modo, chi nell'altro. Guarda Rafe, ad esempio. A proposito, scommetto che W. R. ci sta osservando con un telescopio o un periscopio o forse uno spettroscopio, Vedrai che i soccorsi arriveranno dieci minuti troppo tardi.
Guardai speranzoso il cielo vuoto: naturalmente, i soccorsi sarebbero arrivati da un momento all'altro!
L'operatore non sembrava affatto preoccupato e continuava a riprendere tutto da tutte le angolature, inclinando la cinepresa secondo le inquadrature più bizzarre. Con orrore, mi accorsi all'improvviso che la depressione era grande quanto prima, ma che la pendenza era aumentata: ora eravamo circondati da muri d'erba quasi verticali, e mi sembrava di vedere il cielo come dal fondo di un pozzo.
Stavamo scivolando, uomini e animali egualmente impotenti, in fondo a un sacco, come gattini. che bisogna annegare. Fortunatamente l'elicottero arrivò in un momento in cui avevamo ripreso il controllo dei nostri nervi, perché in caso contrario non so se ce l'avremmo fatta. Comunque, il pilota ci vide e ci buttò una scala di corda.
- Salvati dalla sega circolare mentre il treno espresso sfrecciava tuonando sul binario accanto e l'acqua già raggiungeva la bocca - disse Gootes. - W,R, ha un senso del tempo maledettamente melodrammatico.
Il più vicino alla scala era Slafe, ma questi, gesticolando furiosamente, continuò a riprendere, e allora mi ci arrampicai io. L'elicottero ondeggiò, si abbassò bruscamente: la scala cominciò a oscillare e a girare su se stessa. Le mani mi facevano male per la forza con cui stringevo le funi, le ginocchia mi tremavano, ero in un bagno di sudore gelido; ma, nonostante tutto, ero estremamente sollevato.
Il rombo dell'elicottero si faceva sempre più vicino; alla fine, con un ultimo sforzo disperato, mi buttai dentro l'abitacolo. Giacqui lì per un po', esausto, fissando stordito ogni bullone, saldatura, ogni graffio sul metallo: erano tutte cose artificiali, prodotte da una catena di montaggio, e non spaventosi prodotti della natura.
Poi, ricordandomi dei miei compagni, guardai giù. I muri d'erba si alzavano sotto di noi, quasi a portata di mano. Rabbrividii vedendo che molto più in basso, in fondo a un cannocchiale rovesciato, la scala penzolava accanto a Slafe.
DÌ nuovo l'operatore si rifiutava di salire, e vidi Gootes che discuteva con lui. Alla fine perse la pazienza, l'afferrò con una forza insospettata e Io issò di peso sui primi gradini della scala di corda. Alla fine Slafe sembrò rassegnarsi, ma vidi che indicava preoccupato la sua attrezzatura che ancora giaceva sull'erba. Gootes annuì con forza e gli fece segno di salire.
Ancora oggi, se chiudo gli occhi, rivedo quello che accadde poi, in ogni particolare, come al rallentatore. Sentii che Slafe saliva a bordo; vidi i riflessi del sole sull'erba che digradava verso la città lontana. Ma non brillava il sole in fondo al pozzo dove Gootes si muoveva lento e impacciato, o almeno così mi sembrava. Era già scesa la sera, laggiù, e telepaticamente 'lo incitai a fare in fretta, in fretta...
E poi i muri d'erba crollarono. Non lentamente né all'improvviso, senza drammi o squilli di tromba. I muri si riunirono silenziosamente e con naturalezza, come due onde che s'incontrano nel mare, ma senza scompigli o fragori. Si chiusero come una trappola; e ora la scala di corda s'immergeva in un mare d'erba senza increspature.
Non saprei dire se per colpa del pilota o dell'erba, ma il fatto è che la scala di corda si strappò, si staccò dall'elicottero e cadde di sotto. E lì rimase, sull'erba senza increspature, unico punto di riferimento, inutile e ridicolo ammasso di funi e di legno, patetico manufatto su un impassibile ammasso di vegetazione.

Capitolo XXI

Le Ffacasé spense il registratore quando entrai. Weener, voi rubate i soldi di questo giornale con la scusa di lavorare per noi. La decisione del fato di salvare voi e di perdere Gootes è insondabile, seppure discutibile; ma sebbene l'umanità non abbia perso proprio niente con la sua morte, lui almeno si sforzava di fare qualcosa per pagarsi il pane che mangiava.
- Ma...
- Imbecille integrale! Abbiate almeno la prudenza, se non l'intelligenza o la cortesia, di tacere quando qualcuno vi parla. Gootes era un farabutto, un delinquente, un truffatore, un fannullone, un uomo senza gusto né eleganza né cultura. Ma non avrebbe mai potuto, neppure impiegandoci dieci vite e tutte le sue energie, diventare un idiota tanto perfetto e immacolato quale voi siete dalla nascita.
Prese di nuovo il microfono e cominciò a dettare con precisione e senza esitazioni, come se leggesse un testo scritto.
- Oggi, con la morte di Jacson Gootes, il "Daily Intelligencer" perde un figlio. È costumanza, in queste tristi occasioni, soffermarsi un poco e meditare... Jacson Gootes era un giornalista di eccezionale probità, di acuta intelligenza, di energia infaticabile. Egli accostava all'operosità e alla serietà del lavoro un umorismo solare ma pensoso. Amato da tutti i suoi colleghi, nessuno piange la sua morte con maggiore sincerità del direttore... Ma, sebbene l'Intelligencer' abbia subito una grande perdita, il giornalismo americano ha dato un'altra giovane vita alla patria. Egli è morto non nel corso di un'impresa azzardata e bizzarra, compiuta per sbalordire i lettori, ma, con freddezza e serenità, come un soldato che compie fino in fondo il proprio dovere. Più che un eroe, egli era un buon giornalista. W. R. L.
Avevo gli occhi gonfi di lacrime: sotto la rude scorza di quell'uomo doveva battere un cuore paterno e affettuoso. Le apparenze ingannano, mi andavo dicendo, e mi proponevo di non risentirmi mai più per qualche parola apparentemente u,i po' dura che gli dovesse scappare.
- Svegliatevi, campione d'imbecillità, e smettete di sognare a occhi aperti. È finito il tempo in cui potevate vivere della generosità di questo giornale da quell'accattone che siete. L'uomo che ha dato inizio a tutto il pasticcio non ci serve più, adesso: l'affare è diventato troppo serio. Basta riposare sugli allori: è necessario che vi trasformiate in quello che la vostra natura maggiormente ripugna, e cioè in un individuo utile alla società. Farò di voi un giornalista, Weener, anche a costo di infilarvi nella testa tutti i piombi dell'"Intelligencer". Voi vi occuperete dell'erba come prima, e farete in modo che io riceva articoli senza un solo avverbio o aggettivo, non contenenti altro che sostantivi, verbi, preposizioni e congiunzioni, e fatti nudi e crudi, espressi col minor numerò di parole compatibile con le regole grammaticali. Farete questo ogni giorno, Weener, sotto pena di squartamento immediato.
Ero convinto che, sotto quelle male parole, il vecchio si fosse finalmente reso conto delle mie capacità: infatti, praticamente mi aveva promosso al rango di cronista. Osai allora proporgli di riammettermi allo stipendio intero; ma questo innocente suggerimento provocò un torrente tale di improperi che mi affrettai ad andarmene, temendo che stesse finalmente per avere quel colpo apoplettico che Gootes aveva auspicato.

Capitolo XXII

Citazione da "Time", 10 agosto, a proposito dell'avanzata dell'erba: "La morte, la settimana scorsa, ha colpito Los Angeles. La metropoli del sud-ovest (pop. 3.091,910) è morta senza grazia e senza dignità, per lento dissanguamento. È rimasto un guscio vuoto: le periferie e le spiagge che si estendono a sud e a est, ma lo spirito se ne è andato: inghiottito, come Giona dalla balena, dall'erba mutata. È rimasto al suo posto W. (per William) R. (per Rufus) Le Ffacasé (pronunciato L'Fass-ah-sé), prolisso e noto direttore del 'Daily Intelligencer'. Il giornale continuerà a uscire fino a quando anche l'ultima macchina non si fermerà".
Sotto la rubrica Religione, nello stesso numero di "Time" appariva questo corsivo: "Gli abitanti di Los Angeles, terrorizzati dall'avanzata del Cynodon Dactylon (v. pag. 9) che si accinge a distruggere la loro città, hanno anche altre preoccupazioni. Infatti, la settimana scorsa, Fratello Paul (che in realtà si chiama Algernon Knught Mood) ha annunciato per radio l'imminenza del Secondo Avvento, che dovrebbe aver luogo nel bel mezzo dell'erba strangolatrice. L'agente che ha determinato la fine della terza città degli Stati Uniti è per costui e i suoi seguaci portatore di speranza e di grazia. Vendete tutti i vostri averi ha detto questo predicatore radiofonico, correte a raggiungere il vostro Salvatore, che in questo momento sta radunando i suoi discepoli più veri nel mezzo dell'erba. Non temete, poiché Egli vi sosterrà e vi conforterà nel folto, attraverso il quale gli increduli non potranno passare. È stato necessario ricorrere alla forza per trattenere innumerevoli fanatici dal suicidio; innumerevoli altri sono scomparsi beati tra il Cynodon Dactylon. Fratello Paul non è tra questi".
Sotto la rubrica "Gente": "Dalla Contea di San Diego, dove il signor Adam Dinkman e consorte si sono rifugiati: 'Il governo ci deve indennizzare' dice la signora Dinkman; 'è spaventoso' commenta il marito'.
Decisi di mandar loro un po' di denaro, non appena me lo fossi potuto permettere. Presi un appunto per ricordarmelo e poi uscii a prendere la macchina. Bisognava che guardassi l'erba ancora una volta prima di scrivere un articolo per un tipo tanto difficile come il mio direttore.
Attraversai il Tunnel della Seconda Strada e poi presi per Beverly Boulevard. I pochi negozi rimasti aperti erano vuoti; i bottegai, sulla soglia, guardavano verso occidente per assicurarsi che l'erba non fosse ancora in vista. Ma la maggior parte dei negozi erano chiusi, le vetrine infrante, le insegne già sbiadite. I marciapiedi traboccavano di spazzatura: cartaccia, scatoloni sfasciati, scarpe spaiate. I bidoni delle immondizie, invece di starsene pudicamente rintanati nei vicoli o ordinatamente allineati lungo le cordonature, avevano sguaiatamente riversato il loro contenuto per terra. Cani e gatti, abbandonati dai loro padroni, soffiavano e ringhiavano, disputandosi qualche avanzo.

Capitolo XXIII

Vedendo la mia macchina, qualche pedone solitario carico di fardelli alzava implorante il pollice; tuttavia, sapendo cosa può fare la disperazione e non volendo essere derubato dell'automobile, ogni volta premevo l'acceleratore e tiravo diritto. Ma al Tempie, vicino a Rampart, una bella donna che, incomprensibilmente poiché si era appena a metà ottobre, indossava una pelliccia trascinando due valigie con le mani guantate, mi si mise in mezzo alla strada.
Mi fermai col radiatore a pochi centimetri da lei. Un cappellino con veletta le nascondeva gli occhi; la bocca aveva un' espressione di collera. Temendo di essere caduto in qualche trappola, tolsi furtivamente le chiavi e me le infilai in tasca. Poi scesi.
- Scusatemi, signorina. Posso esservi utile?
Mi scrutò attraverso le palpebre pesantemente truccate. Io me ne stavo lì immobile, a disagio sotto quello sguardo indagatore; a un certo punto mi ricordai del cappello e me lo tolsi con un goffo inchino. Lei annuì e spinse le due valigie verso di me. Non sapendo cosa fare d'altro, le presi; la donna si lisciò i guanti e senza esitare si accostò alla portiera.
- Volete che vi porti da qualche parte, signorina?
Chinò la testa di una frazione di centimetro e rimase immobile, la mano sulla maniglia, in attesa che le aprissi la portiera. Mi sentivo ridicolo: misi le valigie (belle valigie, costose) nel portabagagli in tutta fretta; poi mi resi ulteriormente ridicolo perché non trovavo più le chiavi.
Guidavo lentamente, lanciando ogni tanto un'occhiata furtiva al profilo di lei. Aveva le guance lisce come quelle di una bambola di porcellana; il naso era di una bellezza raffinata e antica, come quello di una statua; la bocca era dolcemente sinuosa ma ferma. Non ero mai stato vicino a una donna così affascinante. Arrivato in centro mi diressi automaticamente verso l'"Intelligencer"; ma poi ci ripensai, e svoltai a sinistra, oltre Macy Street.
M'invischiai nel lento traffico diretto verso est: percorsi un isolato in seconda; poi mi fermai e aspettai di avere un tre metri liberi davanti a me prima di ripartire e fermarmi subito dopo.
- Ah, sì - dissi esitando. - Voi... voglio dire, volete andare in qualche posto in particolare?
Annuì, senza guardarmi; e, per la prima volta, parlò.
- Yuma - disse.
- Yuma in Arizona? - Colto dal panico esaminai mentalmente il contenuto del mio portafogli, Quaranta dollari... no, trenta. Abbastanza per andare fino a Yuma? Forse. Avrei potuto telegrafare al giornale che mi mandassero un po' di soldi. Meglio tornare in ufficio e chiedere un anticipo sulla paga della settimana ventura? Cosa impossibile, a detta di più di un giornalista deluso. Dio mio, pensai, la perderò.
A qualunque costo bisognava che la portassi più in là che potevo: non dovevo lasciarmela scappare per nessun motivo. Avendo preso questa decisione, risolsi a questo punto di muovermi in fretta, perché stavo consumando benzina senza andare in nessun posto. Svoltai non appena ne ebbi la possibilità e andai a velocità normale, evitando la città e te autostrade.
Lei continuava a non dire niente. Finalmente, passando accanto a un boschetto di aranci che mostravano già i frutti dorati, mi avventurai a prendere l'iniziativa. - Mi chiamo Albert Weener. Bert. E... uhm... voi, come vi chiamate?
- Non è necessario - disse lei sempre guardando davanti a sé.
Dopo qualche chilometro ci riprovai. - Abitate... abitavate a Los Angeles?
La donna scosse la testa con impazienza.
Che diavolo, ma guarda un po', pensai. E poi: poveretta, dev'essere sconvolta. Ha perso casa e famiglia, forse. Niente denaro. Ridotta alla fame. Va a est, umiliata, a rifarsi una vita con l'aiuto riluttante di parenti poco entusiasti. Ma su di me può contare, non posso abbandonarla. Devo rompere il ghiaccio, perdonando il suo naturale orgoglio, e offrirle i miei servigi.
- Lavoro per il Daily Intelligencer - dissi. - Sono quello che per primo ha camminato sull'erba.
Mi ricordai della radio, l'accesi. Un complesso suonava la canzone di moda, "Verde come l'erba".
- Oh, no.
Un'ora dopo suggerii di fermarci a mangiare qualcosa. Lei scosse la testa. - Ma è tardi - dissi. - Tra poco dovremo fermarci per dormire.
Alzò la mano sinistra in un cenno imperioso. - Guiderete tutta la notte.
Questo avrebbe senza dubbio risolto i miei problemi finanziari, ma stranamente il suo rifiuto del cibo mi seccò più dei suoi modi. - Io devo mangiare, anche se voi non avete fame. Ecco, ci fermeremo qui.
Mi fermai vicino a un bar lungo la strada. - Non volete cambiare idea e prendere qualcosa? Un caffè, almeno.
- No.
Entrai infuriato e mangiai. Ma chi diavolo credeva di essere? Mi trattava come se fossi il suo autista. Finii di mangiare e mi avviai con passo deciso verso la macchina. Lei era seduta rigida, guardando davanti a sé.
- Sentite... - cominciai.
Lei mi ignorò. Accesi il motore e partii.
Istupidito dalla mancanza di sonno e offeso dal suo silenzio, feci colazione con paste vecchie e caffè rancido. La mia compagna sembrava invece aver trascorso una buona notte di sonno, aver fatto un bel bagno e una ottima colazione.
La strada serpeggiava attraverso grandi dune sabbiose, che non so perché mi facevano pensare all'erba. Allora accesi la radio per sentire che progressi aveva fatto l'erba durante la notte. - Kfkfkk - squittì l'altoparlante.
- Per favore - disse lei.
Continuai a guidare senza dir niente. Alla fine le dune finirono e ricominciò il deserto. - Tra poco saremo a Yuma. Volete dirmi il vostro nome?
- Non ha importanza - rispose lei.
- A me importa. Voglio sapere come si chiama la bella donna che ha portato da Los Angeles a Yuma.
Lei scosse la testa, irritata.
- D'accordo. Siamo a Yuma. Dove volete scendere?
- Qui.
- Qui, in mezzo alla strada?
Lei annuì. La guardai perplesso, ma non si voltò. Allora mi fermai, scesi, presi le valigie e le deposi sull'asfalto, aprii la portiera. La donna scese, si lisciò i guanti, si rassettò la veletta, si tolse un microscopico granello di polvere dal vestito e prese le valigie.
- Posso... posso portarcele io?
Non si degnò neppure di fare di no con la testa, e cominciò a camminare decisa nella direzione dalla quale eravamo venuti. Sbalordito la osservai per un minuto buono, poi entrai in macchina e, tenendola d'occhio dallo specchietto, tentai di fare una curva a U: cosa non facile, perché la strada era molto affollata. Quando ci riuscii, lei era scomparsa.

Capitolo XXIV

Il telegramma che avevo spedito da Yuma chiedendo i soldi necessari per ritornare ottenne la seguente ridicola risposta: "Weener sconosciuto stop Intelligencer non est istituto beneficenza stop Digiunate stop". L'avarizia di Le Ffacasé mi costrinse dunque a un viaggio di ritorno molto spiacevole, contrassegnato, a mo' di pietre miliari, dai miei pochi beni di un qualche valore che disseminai tra benzinai sospettosi e avidi.
Se, solo tre giorni prima, Beverly Boulevard mi era sembrato deserto e deprimente, cosa avrei dovuto dire ora? Le strade erano popolate solo da automobili abbandonate per mancanza di carburante o per qualche guasto. I tram immobili sembravano carcasse d'elefante. I grattacieli trasudavano una sensazione d'abbandono, come se il fatto di non essere più abitati li rendesse più opachi e meno brillanti.
C'erano tracce evidenti di saccheggio: forse non tanto per avidità quanto per quell'impulso che scatta negli esseri umani non appena questi si accorgono che le regole del vivere comune sono venute meno. Qua e là qualche negozio sventrato aveva disseminato la strada di mercanzie varie. Non erano molti, però: probabilmente la difficoltà di portar via il bottino, data la scarsità di mezzi di trasporto, aveva funzionato da deterrente, In un modo o nell'altro, dunque, il crimine non rende.
C'era poca gente in giro, e questa poca si divideva in due categorie: quelli che camminavano in fretta, tutti presi da qualche loro obiettivo, sempre con qualcosa in mano, un fascio di fogli, una cartella, un pacco; e quelli che si muovevano lentamente, senza scopo, istupiditi, inciampando nei marciapiedi, guardando con occhi smarriti il verde che già si intravedeva in fondo a certe strade.
In ufficio trovai solo gente del primo tipo. Le Ffacasé, per la prima volta a memoria d'uomo, era emerso dal suo sancta sanctorum e, senza colletto, la tabacchiera in mano, dirigeva napoleonicamente le operazioni di trasloco. Era freddo e efficiente, e sembrava conoscere alla perfezione tutto quello che c'era nell'intero edificio. Mi accolse senza rimproverarmi né salutarmi; anzi, senza neppure guardarmi si accorse della mia presenza, non so come, e disse: - Weener, se avete terminato le vostre oziose peregrinazioni, prendete i due schedari contrassegnati E uno nove due cinque e E uno nove due sei e portateli a Pomona. Se perderete una sola scheda, la vostra miserabile carcassa verrà attaccata a quattro trattori. Non tornate qui, ma cercate di rimediare l'offesa che la vostra esistenza arreca all'umanità intervistando la Francis. Intervistate lei, non voi. Poi o mi riportate una storia, ragionevole e concisa, oppure ponete termine ai vostri inutili giorni. Potete addebitare al giornale il costo dell'arma che userete.
- Non ho la minima idea di dove sia la Francis.
Lui fiutò un po' di tabacco, diede ordini a quattro o cinque persone. - Non sono il direttore di una scuola di giornalismo, io - disse. - E se Io fossi avrei un berretto con le orecchie d'asino che terrei esclusivamente per vostro uso personale. Anche l'ultimo dei fattorini non mi avrebbe dato una risposta tanto idiota. Trovate la Francis e intervistatela. Io ho da fare. Fuori di qui e attenzione a quegli schedari, se tenete a quel cadavere che probabilmente ritenete l'involucro della vostra improbabile anima.
Mi seccava dover portar giù quelle pesanti cassettiere metalliche per quattro rampe di scale; tuttavia, ci sono lavori che non si possono evitare nelle situazioni di emergenza. Inoltre, Le Ffacasé era vecchio, e dovevo rispettare la sua debolezza anche a costo di umiliarmi nel lavoro manuale.
Dopo aver portato gli archivi a destinazione, mi misi controvoglia in cerca della Francis. Era praticamente impossibile trovare una persona nella città quasi deserta e disorganizzata, ma la fortuna venne in soccorso della mia intelligente perseveranza. Venni a sapere che solo il giorno prima la Francis aveva dovuto affrontare un gruppo di scalmanati che la consideravano la causa delle loro sventure. Riuscii infine a trovarla, a non più di quindici chilometri dalla nuova sede temporanea dell'"Intelligencer".
Ora aveva il laboratorio in un pollaio abbandonato che ricordava molto la cucina d'una volta. Mi accolse con allegria. Aveva i capelli pieni di ragnatele. - Non ho segreti redditizi da commerciare, Weener. State perdendo il vostro tempo.
- Non faccio più il venditore, signorina. Lavoro per il "Daily Intelligencer". Vorremmo sapere come vanno le vostre ricerche: avete trovato un... antidoto?
- A sentirvi, sembra che il Cynodon Dactylon sia un veleno. Ho, comunque, scoperto una cosa importante, - E mi indicò una fila di vasi da fiori in cui cresceva un'erbetta alta sì e no quattro o cinque centimetri. - Cynodon Dactylon nato dai semi dell'erba trattata. Non ha ereditato la capacità di nutrirsi di qualunque sostanza. Questo dimostra che la mutazione si riproduce solo attraverso gli stoloni o i rizomi, e non per seme. Vale a dire, solo la pianta originale, che presumibilmente non è immortale, è mutata. Quest'erba, invece, è assolutamente normale.
- Ma allora - esclamai colpito da un'improvvisa illuminazione, - non ci resta che aspettare che la pianta muoia!
- O che incontri qualche ostacolo insuperabile.
La mia fiducia negli ostacoli era alquanto scossa. - Quando credete che la pianta morirà?
Mi guardò con espressione grave, - Tra un migliaio d'anni, forse.
Il mio entusiasmo si spense. Ma quando me ne fui andato mi ricordai che certe persone guardano solo il lato oscuro delle cose e che essere ottimisti non costa più energie che essere pessimisti. Dunque, se la Francis pensava che l'erba potesse morire tra mille anni, io ero libero di credere che sarebbe morta anche la settimana ventura. Rincuorato da queste riflessioni filosofiche, valide quanto quelle scritte nei libri, scrissi il mio articolo rispettando scrupolosamente le assurde imposizioni del mio editore. Il giorno dopo apparve in forma quasi riconoscibile sotto il titolo "L'erba mutata morirà presto, dice la sua creatrice".

Capitolo XXV

Pomona era congestionata fino all'impossibile. l'"Intelligencer" aveva la redazione sopra la tipografia di un gazzettino locale: la testata presentava, in caratteri minuti, la seguente aggiunta: "E Post-Telegraph di Pomona".
In questo spazio ridotto si accalcava tutta la redazione e tutti gli archivi del giornale della grande metropoli, e la confusione impediva ogni attività organizzata. Inoltre, i treni non avevano più orario, e l'arrivo della posta non era più una certezza, ma un'eventualità imprevedibile. Per questo motivo, ritornato dall'intervista con la Francis, scopersi di aver ricevuto il pagamento di certi miei articoli scritti molte settimane prima per il "Settimanale dei Ruminanti" e "L'Alveare".
Forse fu a causa dell'atmosfera di provvisorietà che ricordava quella di una cittadina di frontiera, o forse perché nello stesso giorno ricevetti la mia paga settimanale; comunque fosse, colto da un impulso inarrestabile, presi i miei assegni e li portai nella bottega di un barbiere, ora sede di una nota agenzia di borsa di Los Angeles. Porsi gli assegni a un tipo dall'aria preoccupata, troppo taciturno per essere il barbiere, e mormorai: - Vorrei comprare tutte le azioni della Pemmican e Alimenti Concentrati, Inc. che posso acquistare con questi soldi.
Non era certo l'investimento cui potesse pensare una mente ragionevole, ma la più azzardata delle speculazioni. Ritornai alla scrivania che condividevo con altri dieci colleghi, rimpiangendo le cose che avrei potuto comprare con quel denaro e rimproverandomi la mia stupida audacia.
Intanto, gli eventi si susseguivano sempre più in fretta: l'ultimo dei dipendenti del giornale aveva appena lasciato la vecchia redazione che l'erba chiuse le sue mascelle sulla città, inghiottendosi miliardi di dollari.
Sotto lo stimolo della ricompensa offerta tempo prima dal giornale, arrivò, una nuova ondata di proposte per sconfiggere l'erba. Si andava dall'emigrazione in massa su Marte a enormi lenti in orbita intorno alla Terra che avrebbero bruciato l'invasore; dallo scavo di un ampio canale tra la baia di San Francisco e il fiume Colorado all'oscuramento dell'erba, da effettuarsi a mezzo di onde radio, in modo che senza luce solare la sintesi clorofilliana fosse impossibile, Altri suggerirono di trattare col Metamorphizer altri tipi di piante (bambù, ad esempio) nella speranza che i due giganti, lottando tra loro, si facessero fuori a vicenda. Altri ancora suggerivano di isolare l'erba con un enorme muro di cemento. La Grande Muraglia cinese era l'unica opera umana che fosse visibile dalla Luna; forse che gli Americani si sarebbero lasciati battere dalla Cina Rossa? Un muro di cemento alto solo due chilometri e mezzo e spesso un chilometro sarebbe stato visto fin da Venere (ammesso che i venusiani abbiano gli stessi vizi dei terrestri), e non sarebbe costato più di una guerra locale. Una variante di questo progetto prevedeva di seppellire l'erba sotto una coltre di cemento misto a sabbia gettata da aeroplani; di lì a qualche mese le piogge avrebbero murato l'erba in una tomba impenetrabile.
Ma la proposta più comune era di usare il sale, come sapeva chiunque avesse mai messo piede in un campo o in un giardino. "Ammazza qualunque cosa" scriveva un contadino di Imperial Valley. "Il suo effetto letale sulla vita vegetale è istantaneo" concordava una stella cinematografica, un tempo residente a Beverly Hills. "So che non c'è niente come il sale per uccidere le erbe" si leggeva tra l'altro in una logorroica lettera scritta su numerosi fogli di quaderno. "Nel giugno del 1927 o 28, non ricordo esattamente; forse era il 1929, lasciai accidentalmente cadere del sale su un bel ciuffo di piantaggine..."
Si propose di spruzzare l'erba dall'alto, di scavare un tunnel da riempire di acqua salata, di bombardare l'erba con shrapnel caricati a sale, di isolare i territori invasi con un'ampia striscia di sale. Tutti costoro sostenevano che, nel caso in cui il sale non avesse funzionato, non si sarebbe perso altro che pochi milioni di tonnellate di una sostanza poco costosa.
C'era però una fazione ferocemente antisale che derideva queste ottimistiche speranze. La signorina Francis, sostenevano costoro, che dell'erba ne sapeva più di chiunque altro, aveva detto che la pianta era in grado di metabolizzare qualunque cosa. Anche il sale era qualunque cosa, no? Quei fanatici sostenitori del sale si proponevano dunque di offrire all'erbadiavolo altro nutrimento! I sostenitori del sale ribattevano che non c'era nessuna prova che l'erba metabolizzasse davvero qualsiasi cosa; e inoltre, chi aveva detto che il Metamorphizer modificava il metabolismo: forse produceva soltanto una forma di gigantismo vegetale.
In principio, l'"Intelligencer" fu violentemente antisale. "C'è dunque un Catone americano" scriveva Le Ffacasé, "che osa chiedere che l'ignominia definitiva subita da Cartagine venga inferta non su territorio nemico, ma alla nostra propria terra?" Ma poco dopo questo editoriale, apparso col titolo "Cartagine, California", il giornale passò a sostenere la posizione opposta con un altro editoriale, questa volta intitolato "La moglie di Lot".
Le Figlie della Rivoluzione Americana si dichiararono apertamente pro-sale, e si rifiutarono di concedere la Constitution Hall per una manifestazione anti-sale. I produttori di sale d'America si riunirono in assemblea e s'impegnarono a fornire tutto il sale necessario a prezza di costo.
A questo punto, gli anti-sale ricevettero il colpo mortale che la loro posizione reazionaria e oscurantista meritava. Tutta la gente rispettabile prese posizione a favore del sale, e il governo naturalmente li appoggiò. Si stabilì di isolare l'erba in una sacca delimitata dal Pacifico da un lato e da una striscia larga trenta chilometri, cosparsa di sale, dall'altro. Il trionfo dei pro-sale conobbe episodi poco sportivi; gli anti-sale, demoralizzati e ridotti a un pugno di fanatici intrattabili, brontolarono minacciosi di aspettare e vedere, che tutti se ne sarebbero pentiti.

Capitolo XXVI

Si dovette poi definire nel dettaglio il percorso della fascia salata larga trenta chilometri, e ne seguirono controversie, proteste e denunce infinite. Città e paesi ricorsero a ogni mezzo perché rimanessero al di qua della fascia. Certi allevatori presero a fucilate i geometri incaricati delle rilevazioni; i contadini e i proprietari d'immobili lottarono con le unghie e con i denti affinché la loro proprietà non venisse ricoperta di sale. Secondo il piano originale, la fascia salata doveva avere un percorso rigidamente geometrico; alla fine si snodò come un nastro da macchina da scrivere finito tra le zampe di un gatto: evitando non solo gli ostacoli naturali, ma anche le terre di coloro che conoscevano le persone giuste.
Le saline lavoravano ventiquattrore al giorno, in tre turni; una colonna interminabile di autocarri portava il sale fino agli aeroporti: tutte le altre merci vennero buttate da parte, a marcire o a andare in malora. Tutti i mezzi di trasporto vennero caricati di sale.
Non solo l'impresa era gigantesca, ma bisognava fare i conti con gli impedimenti, le strozzature, le deviazioni causate dall'erba. Ma il popolo si era ormai levato, e combatteva la battaglia del sale con lo stesso patriottismo di una guerra vera e propria.
Invece, quando finalmente cominciarono a buttare il sale dagli aerei non ci fu proprio niente da vedere. Costretto dal capriccio di Le Ffacasé, dovetti assistere all'operazione, dall'aereo naturalmente, il primo giorno. Un'esperienza molto monotona, che consisteva nel passare e ripassare sulla stessa zona, avanti e indietro. Cioè, sarebbe stata monotona se non fosse stata pericolosa: infatti, per poter spargere il sale in uno strato spesso e uniforme bisognava volare basso, quasi raso terra. Se l'esperienza col paracadute mi aveva scosso, questa di volare a velocità spaventosa dritto contro una collina o un albero o un pilone della luce per innalzarsi all'ultimissimo secondo mi fece venire i capelli bianchi e mi avviò verso una vecchiaia precoce.
Scrissi l'articolo, ma mi fu impossibile renderlo pittoresco o comunque interessante; e anche il direttore o chi per lui trovò il compito irrealizzabile perché sotto il titolo a nove colonne, enorme, SPARSO IL SALE, non riuscì a trovare abbastanza materiale se non per due o tre striminzite colonne in prima pagina.
Per settimane e settimane si sparse il sale, e l'erba si affrettò in avanti quasi ansiosa di incontrarlo. A sud, invase Long Beach e Seal Beach; a est, inghiottì Puente e Monrovia; a nord-est divorò Lancaster, Simi e Piru. Verso nord la crescita era più lenta: quando lasciammo Pomona e ci trasferimmo a San Bernardino, l'erba era appena arrivata a Calabasas e a Malibu.
Comunque la migrazione verso l'ovest cambiò improvvisamente direzione. Il valore dei terreni a ovest delle Montagne Rocciose scese praticamente a zero, e le ricche fattorie delle grandi pianure giunsero a valere quanto un secolo prima: dopo tutte le esperienze fallite, la gente non si fidava molto neanche del sale.
A vedersi, però, la fascia salata era davvero impressionante: dopo appena due mesi dall'inizio era come un fiume immenso, bianco, scintillante, che scorreva sopra i deserti, lambiva le montagne, ricopriva fertili campi serpeggiando maestosamente. La nazione aspettava, inquieta, mentre l'erba si avvicinava sempre di più alla barriera. Mi piacerebbe dire, a questo punto, che ci fu uno scontro drammatico, una battaglia titanica tra rulli di tamburi, squilli di fanfare, lampi lividi. La realtà fu diversa.
Per l'occasione mi trovavo, insieme ad altri giornalisti, in un pallone frenato. Considero questo ridicolo ritrovato la più scomoda e la meno dignitosa delle invenzioni. Pieno di crampi, col mal di mare, violentemente a disagio (so che non dovrei dirlo, ma le attrezzature per soddisfare i bisogni naturali erano penosamente inadeguate), ondeggiavo e oscillavo in una minuscola cesta, gelato, accecato dal riverbero del sale, sbattuto qua e là a ogni bava di vento e globalmente disgustato dall'inutilità di quello che stavo facendo. Il binocolo mi diceva che il momento era vicino; ma, più che altro, mi sentivo stanco e stufo.
Finalmente l'erba incontrò il sale. I germogli, lunghissimi ma stranamente piatti visti dall'alto, si fecero avanti. Il sale sembrava a loro un terreno come un altro, un po' nudo forse, ma simile al cemento, alla pietra, alla sabbia o alle altre centinaia di ostacoli che avevano già sconfitto. Senza esitare gli stoloni si avvicinarono, crebbero sul sale per mezzo metro, un metro, due metri, tre metri. Non rallentarono affatto, neanche si accorsero dell'ostacolo.
Dietro questi primi avamposti venivano le truppe di rinforzo, più alte; più lontano, il grosso dell'esercito d'erba oscurava l'orizzonte, gigantesco, minaccioso, possente: sembrava incitare le pattuglie all'avanguardia, chiedendo affamato spazio, sempre più spazio.
Ma i germogli, percorsi pochi metri sul sale, si fermarono. Gli osservatori esperti come me non si scomposero, perché l'erba faceva sempre così quando incontrava ostacoli sconosciuti, c questo momento di esitazione le serviva di solito per cambiare tattica; e così avvenne ora. Una seconda schiera si fece avanti, montando sopra i germogli fermi, e poi una terza, e così via finché un muro vivente si innalzò sul sale, gettando un'ombra minacciosa lunga centinaia di metri. Poi,' usando la solita tattica finora sempre vittoriosa, l'erba si abbatté in avanti per creare una testa di ponte.
Il giorno successivo i nuovi stoloni emersero dalla massa di erba rovesciata: ma si trattava di fili più corti che avanzavano più lentamente, esitando, come se fossero feriti. Le dita dell'erba si estesero indagatrici; le riserve si fecero sotto, s'innalzarono verso il cielo: di nuovo la massa d'erba cadde sul sale. Ma si trattò di un balzo molto meno lungo del consueto. Non c'era più dubbio, ormai: l'avanzata dell'erba era rallentata, quasi bloccata. Il sale funzionava.
Dappertutto, lungo la fascia, la storia era la stessa. L'erba avanzava con orgogliosa sicurezza, inghiottiva grandi tratti di sale che via via si facevano sempre più piccoli, fino a che l'avanzata si fermava. L'erba che cresceva direttamente sul sale perdeva quel verde brillante così caratteristico, si spelacchiava, diventava grigia, marrone, gialla: simile a un normale prato trascurato.
L'area isolata col sale si riempì d'erba che cresceva fitta fitta. L'erba ogni tanto faceva una puntata contro il sale, ma ogni sortita venne respinta. Le mura della bianca fortezza, appena appena intaccate, si ergevano vittoriose, senza cedere il passo all'invasore. I programmi radiofonici s'interruppero per far sentire la voce tremante dell'annunciatore che dava la lieta novella. Anche i giornali più conservatori tirarono fuori i caratteri più vistosi per l'edizione straordinaria: L'ERBA SI È FERMATA!

Capitolo XXVII

Il presidente degli Stati Uniti proclamò una giornata di festa nazionale per celebrare lo scampato pericolo. In tutte le grandi città la gente si abbandonò alla frenesia più scatenata. Le donne vennero violentate per strada, le banche vennero saccheggiate, migliaia di vetrine infrante, milioni di uomini versarono lacrime a 45°. Tanti furono i rotoli di carta che s'impiegarono a Brooklyn per i festeggiamenti, che mezza città rimase impraticabile per alcuni giorni; anche i paesini più abbandonati rimisero spontaneamente in vigore l'antica usanza americana di sradicare una baracca e di issarla sul campanile in segno di giubilo.
Anch'io avevo i miei motivi personali di giubilo. Fu una cosa tanto irreale e di sogno, che per molti giorni non riuscii a credere che mi fosse capitata davvero, Cominciò con una serie di telefonate con cui, in modo un po' agitato, un'agenzia di borsa richiedeva la mia immediata presenza; tuttavia, a causa dei miei impegni, per un po' non ne seppi niente. Ero tanto preso dalla vittoria sull'erba da non dare peso alla cosa, finché le continue telefonate mi indussero ad andarci.
Mi accolse un uomo di mezz'età, il collo ricoperto di capelli malaticci che avevano già abbandonato gran parte del cranio calvo. Indossava un dignitoso abito scuro solo un po' spiegazzato, aveva il colletto storto e il labbro superiore bagnato di sudore. - Il signor Weener? Oh, grazie a Dio, grazie a Dio. - Così mi accolse.
Completamente disorientato, lo seguii nel suo ufficio. - Ricordate di averci commissionato... eravamo ancora a Pomona... l'acquisto di alcune azioni della Pemmican e Alimenti Concentrati, Inc.?
Per dire la verità, non è che me ne fossi dimenticato: mi ero limitato a relegare il ricordo dell'avvenimento in una parte poco frequentata della mia mente. Comunque, risposi di sì.
- Senza dubbio ora vorrete venderle. Ne ricavereste un buon profitto.
Aha, pensai, evidentemente le Pemmican sono salite oltre il solito 1/8. Probabilmente ora sono ricco, e quest'uomo sta cercando di derubarmi dei frutti della mia preveggenza. - Ma le avete comprate, le azioni?
- Ma certamente, signor Weener - rispose lui in tono offeso.
- Bene. Allora le ritirerò immediatamente.
Tirò fuori un fazzoletto con cui si asciugò la fronte e il labbro superiore. - Signor Weener - continuò in tono di grande serietà, - sono autorizzato a offrirvi sei volte, dico sei volte, l'ammontare del vostro investimento. È un bel guadagno.
Questo lo diceva lui. - Le ritirerò subito - insistetti.
- E senza la percentuale dovuta all'agenzia - aggiunse, nel tono di chi fa una concessione incredibile.
Io scossi la testa.
- Signor Weener, sono autorizzato a farvi un'offerta incredibile. Il consiglio d'amministrazione della Pemmican non solo vi offre sei volte l'ammontare del vostro investimento, ma anche il quarantanove per cento dell'intero pacchetto azionario. Si tratta di un'occasione meravigliosa, e io in tutta franchezza vi consiglio di non lasciarcela scappare.
Premetti le palme contro la sedia. Io, Albert Weener, ero ormai un capitalista. I soldi già non mi dicevano più niente, poiché non si trattava che di qualche migliaio di dollari: ero una persona importante, perché evidentemente ora possedevo la quota di maggioranza di una società, anche se sonnolenta e moribonda. Automaticamente, ripetei: - Le ritirerò subito.
L'agente di borsa si strinse nelle spalle, rassegnato. - Siete una persona intelligente. Devo confessarvi la verità: avete comprato un numero di azioni della Pemmican superiore a quelle esistenti; non solo siete proprietario della società, immobili, macchine, scorte e tutto quanto, ma siete anche creditore nei confronti della società. E poi, signor Weener, a seguito di una serie di sventurati accidenti dovuti alla confusione dei tempi, c'è un'altra cosa: la nostra agenzia, i nostri corrispondenti di New York nonché i precedenti titolari della Pemmican hanno, ehm, i tempi, capite, hanno violato i regolamenti della Commissione di Controllo. Possiamo solo sperare nella vostra comprensione.
Accantonai l'argomento con magnanimità. - Dove si trovano le mie proprietà?
- Credo che la Pemmican abbia un ufficio a New York.
- Sì, ma la fabbrica, lo stabilimento? Dov'è che si fa il prodotto?
- A quanto mi risulta, la produzione è ferma dal millenovecentodiciannove. Comunque, deve esistere una fabbrica da qualche parte del New Jersey. Dovrò informarmi.
I miei sogni di ricchezza cominciarono a svanire: cominciavo a capire cos'era successo, e i sospetti provocati dall'insolito comportamento dell'agente di borsa prendevano corpo. Evidentemente la società era finita in mano a persone poco scrupolose che speculavano sulla piccola ma costante oscillazione del titolo per raddoppiare, ogni due anni, il loro capitale, senza prendersi il disturbo di fare andare la fabbrica. Un piccolo racket fatto e finito che, se scoperto, avrebbe dato loro un mare di guai. Soltanto la mia audacia irrazionale aveva scosso la routine.
Ma... mi avevano offerto parecchie migliaia di dollari, evidentemente in contanti. Fosse defunto o meno, l'affare evidentemente valeva almeno questa cifra. E se erano riusciti a procurarsi dei profitti, allora anch'io avrei potuto fare lo stesso. Dopo tutto, avevo raggiunto l'indipendenza economica.
Inoltre, a parte l'imbarazzante ma facilmente rimediabile particolare che ero sprovvisto di liquidi, ero anche libero da Le Ffacasé e dall'"Intelligencer". - Signor Blank - dissi, - mi occorre un po' di liquido per le mie spese immediate.
Sapevo che sareste stato ragionevole, signor Weener. Vi preparo l'assegno immediatamente.
- Non mi avete capito. Non ho intenzione di cedere nemmeno un'azione.
- Ah?
- No.
- Signor Weener, io non sono ricco. E da quando è cominciata questa storia dell'erba vi assicuro che non ho guadagnato più di un operaio. Meno di un operaio.
- Mi serve un migliaio di dollari. Siate tanto gentile da compilarmi un assegno.
- Signor Weener, come faccio a essere sicuro che questa non diventi una... una abitudine?
Mi rizzai di scatto, indignato. - Signor Blank, nessuno ha mai messo in dubbio la mia integrità prima d'ora. Quando dico che mille dollari sono tutto quello di cui ho bisogno, intendo dire esattamente questo. Mettere in dubbio la mia parola...
A malincuore, il signor Blank fece l'assegno.

Capitolo XXVIII

Quando si pensava che l'erba fosse invincibile, la signorina Francis, scopritrice della sostanza che aveva dato inizio all'invasione, godeva del rispetto universale: a denti stretti, ma la gente la rispettava. Chi aveva perso la casa naturalmente la odiava e, dimenticando il naturale rispetto per il sesso debole, l'avrebbe, potendo, linciata volentieri. Alcuni, il senatore Tones, ad esempio, la trovavano istintivamente antipatica; altri, come il dottor Johnson, la detestavano; nessuno, però, la prendeva alla leggera.
Quando il sale fermò l'erba, subito la Francis divenne oggetto della derisione universale e il bersaglio di innumerevoli contumelie. Poiché aveva affermato che l'erba era in grado di metabolizzare qualunque cosa, mentre invece si era dimostrata incapace di assorbire il sale, significava che lei era un'ignorante, una ciarlatana, una pazza da rinchiudere, che aveva distrutto la California meridionale per certi suoi oscuri interessi. La vittoria sull'erba divenne la vittoria sulla signorina Francis, la vittoria dell'uomo comune sull'intellettuale.
Con una rapidità incredibile si ritornò a una normalità apparente quando l'invasione dell'erba fu fermata. Le guardie del sale, un corpo scelto dalla disciplina di ferro, vigilavano giorno e notte per mantenere intatta la barriera sorvegliando ogni fenomeno di erosione o di scioglimento.
Uno dei primi frutti della vittoria fu che si costruì una grande città sulla riva est del Salton Sea. Gli speculatori fuggiti da Los Angeles trovarono che le montagne vicine erano proprio l'ideale, e costruirono immense periferie dai nomi romantici.
L'"Intelligencer" emigrò a Nuova Los Angeles non appena si riuscì a piantare una tenda abbastanza grande da accogliere le rotative. Ma io non lo seguii. "Da quando l'erba è stata fermata, sembra che anche altre anomalie possano venire rettificate, La vostra utilità per questo giornale, da sempre discutibile, è ora nulla. Da questo momento i vostri supposti servigi non sono più richiesti, W. R. L.

Capitolo XXIX

Il trionfo dell'Uomo - Parte II

Tutto quello che mi ero immaginato durante la mia conversazione con l'agente di borsa si rivelò fin troppo esatto. La Pemmican e Alimenti Concentrati, Inc., era solo un indirizzo presso uno degli edifici più fatiscenti di Manhattan. La fabbrica, grande quanto una villetta unifamiliare, era un rudere dai vetri rotti: solo il fatto di essere costruita in solidi mattoni l'aveva salvata dalla demolizione totale ad opera delle bande di ragazzi.
Tutta la baracca era di proprietà (fino alla mia fortunata speculazione, cioè) di un certo Button Gwynnet Fles. A vederlo sembrava lo yankee dei film, taciturno e portato all'azione risolutiva, un po' curvo ma dagli occhi penetranti: ci si aspettava che masticasse una paglia tra le labbra sottili. Ma l'aspetto era solo il frutto di un meccanismo di difesa: in realtà si trattava di un essere innocuo, ingenuo e disarmato che» una volta imparato il meccanismo della truffa, si era limitato a lasciarlo in funzione anima e corpo. Era, come me, scapolo; e mi disarmò offrendomi di ospitarmi fino a quando non avessi trovato una sistemazione più definitiva.
Il povero diavolo era completamente alla mia mercé e io non solo rinunciai, generosamente, a strizzarlo ulteriormente, ma lo nominai vicepresidente della nuova azienda permettendogli di ricomprare una parte delle azioni.
Il boom aveva fatto balzare le nostre azioni alla quota assolutamente anormale di mezzo centesimo di dollaro per azione. Allora inondammo gli agenti di borsa di offerte di vendita, diffondendo poi voci, per niente esagerate, tra l'altro, sulla disastrosa situazione della ditta e ricomprandole quando il titolo si assestò sulle quotazioni normali, e cioè 1/16 di cent ad azione.
Comunque non avevo intenzione di limitarmi ad approfittare passivamente della situazione. Spero di essere un uomo animato dall'ideale: infatti, con gli occhi della mente vedevo la Pemmican trasformata in un'industria attiva e florida. Proprio il fatto che fosse con un piede nella fossa era la mia carta migliore; partendo dagli scarti e lavorando con niente avrei costruito un'azienda solida e redditizia. Una moda recente erano le visite turistiche all'erba. Dopo l'incidente di Gootes, il paracadute era stato messo al bando, e allora qualcuno ebbe l'astuta idea di usare le racchette da neve: e su questi goffi aggeggi i turisti arrancavano sbuffando sull'invasore ormai inoffensivo. Il mio programma, come spiegai a Fles, era di rimettere in funzione la fabbrica e di venderne il prodotto ai gitanti. Questi accolsero volentieri il pemmican, ad alto contenuto proteinico e poco ingombrante; il mio prodotto ben presto sostituì il cioccolato, antigienico e sporche vole. I profitti non c'erano, ma non eravamo nemmeno in perdita; inoltre ora la fabbrica funzionava davvero, cosicché nessuno ci poteva accusare di vendere le azioni di una società inesistente.
New York mi piaceva: si accordava bene con il mio temperamento fino a chiedermi come avessi fatto a stare lontano dalla capitale del mondo per tutti quegli anni, Datemi Madison Avenue ogni giorno, e potrete tenervi Punta Lobos nonché tutta l'architettura funzionale. Infine avevo trovato la mia casa più vera: vedevo davanti a me, lento ma sicuro, un futuro di ricchezza e di rispettabilità. I giorni bui di Le Ffacasé e della Francis erano ormai dimenticati, e pensavo all'erba solo in quanto ci permetteva di vendere il nostro eccellente pemmican.

Capitolo XXX

La fascia di sale resisteva: là dove le piogge invernali la scioglievano si riversavano nuove tonnellate di sale. L'erba era sotto costante osservazione, e non avanzava più; addirittura, forse stava indietreggiando un pochino, ai bordi. Ma la massa rimaneva, enorme e ostinata; la maggior parte della gente pensava che prima o poi avrebbe finito per esaurirsi da sé, o morire sotto una spessa coltre di sale.
Dunque non mi preoccupai molto, come tutti, del resto, quando lessi sul giornale la seguente nota di cronaca.
"San Diego, 7 marzo. La cittadina è oggi inquieta per la scoperta di erbadiavolo mutata che cresce in uno dei parchi pubblici, Essa è alta un metro e venti e resiste a tutti gli sforzi fatti per estirparla: non si può fare a meno di pensare alla catastrofe che ha distrutto Los Angeles due anni fa. Ma gli scienziati sono ottimisti: essi affermano che la mutazione non è trasmissibile per seme, e che è impossibile che qualche frammento di rizoma o stolone sia riuscito a superare la invalicabile barriera salina che circonda la zona dove una volta sorgeva Los Angeles".
Io ero anche più ottimista degli scienziati, perché avevo visto dalla Francis le piantine germogliate dai semi dell'erbadiavolo mutata. Non più di una bizzarria, stavolta, commentai tra me, e dimenticai subito la cosa.
O, meglio, l'avrei dimenticata se un'ora dopo non avessi ricevuto il seguente telegramma: "Tornate immediatamente stop Vostre impressioni su nuova erba utilizzabili stop Le Ffacasé".
Se questa nuova erba era simile alla prima, le nostre vendite di pemmican ai turisti sarebbero scese a zero. Dunque risposi: "Voglio il doppio stop Arrivo immediatamente stop Weener". Il giorno dopo rullavo sulla pista del nuovo, magnifico aeroporto di Nuova Los Angeles.
Non avevo fretta di andare al giornale. In tassì andai alla sede dell'Alpinisti Americani, Inc., dove trovai un clima di evidente preoccupazione. Non avrebbero fatto altre ordinazioni di pemmican fino a che la situazione non si fosse chiarita. Me ne andai pensieroso. Infine telegrafai a Fles di vendere il maggior numero di azioni possibile, perché anche se la minaccia non era reale di lì a poco la borsa sarebbe andata giù. Poi andai all'"Intelligencer".
L'ufficio del direttore era esattamente identico a quello di prima, anche nel particolare delle lettere scolorite sul vetro; lui era seduto come al solito sotto le sue vignette satiriche. Cominciò a parlare con un tono di voce tranquillo, quasi gentile» annusando tabacco tra una frase e l'altra; ma poco a poco cominciò a scaldarsi in un crescendo dall'effetto molto artistico.
- Ah, Weener. Come direste voi col vostro inimitabile stile, è molto difficile liberarsi dalle cacche che vi si attaccano alle scarpe. Non posso dire "canis revertit ad suam vomitem", poiché qui il rapporto è invertito: semmai, è il vomito che ritorna al cane. Ah, Weener, la mia fede nella depravità umana esce irrobustita dal vedervi ancora una volta nei paraggi, cercando di usare su di me i vostri piccoli trucchi da cantante confidenziale. Darò ordine di mettere sotto chiave a tripla mandata gli spiccioli, di contare con la massima diligenza le banconote, di osservare tutti gli assegni per scoprire goffi tentativi di falsificazione. Bentornato all'"Intelligencer", e siate grato agli errori della natura, poiché da essi traete il sostentamento nonché l'esistenza. Ma basta con gli amichevoli conversari. Rimuovete quella vostra decrepita carcassa dalla mia vista e filate a San Diego. Non è che un gesto vano, lo so: non mi aspetto che dalla vostra penna goffa e sterile escano parole coerenti; ma, mentre sono sufficientemente simile a voi da ingannare i lettori facendo loro credere che voi avete scritto ciò che essi leggono, non sono abbastanza mascalzone per farlo senza che voi visitiate la scena delle vostre presunte osservazioni. Andate: e senza passare dal cassiere; ha l'ordine ferreo di non darvi neppure un cent.
Gelosia, io pensavo, nient'altro che gelosia: prima delle mie capacità letterarie, e ora perché sono autonomo dai suoi folli capricci.
In fondo al cuore ero già convinto che la nuova erba fosse esattamente come quella vecchia, e mi bastò un'occhiata al parco ormai invaso perché la mia convinzione ricevesse conferma.
La prima domanda che si posero coloro che erano abbastanza calmi da pensare prima di lasciarsi prendere dal panico fu questa: come aveva fatto l'erba a superare il sale? Senza dubbio la voracità della pianta trattata non era stata ereditata; era cosa altrettanto incontrovertibile che, chissà come, era sopravvenuta un'altra mutazione, e ora ogni vento che soffiava sulla distesa d'erba si caricava di semi non più innocui, ma che recavano in sé l'embrione dell'erba distruttrice.
Il terrore corse davanti all'erba come un incendio di prateria. La borsa crollò, e io mi congratulai con me stesso per aver dato ordine di vendere. Poi la borsa addirittura chiuse; poi anche le banche. Tutto il mondo degli affari si bloccò. Le grandi industrie chiusero anch'esse; il baratto divenne il sistema corrente per effettuare scambi commerciali. Per la prima volta in tre quarti di secolo i contadini si trovarono a cavallo, potendo scambiare uova, latte, grano, granoturco con qualsiasi altra cosa, e alle loro condizioni. Fortunatamente per gli abitanti delle città» il contadino mostrava un appetito insaziabile: automobili, pellicce, gioielli, collezioni del "National Geographic", quadri, mobili d'epoca lasciarono i lussuosi appartamenti cittadini e si trasferirono in campagna, mentre al loro posto arrivavano bistecche, burro, patate. La macchina complessa del credito e della moneta crollò dall'alba al tramonto.
Costretto a trasferirsi di nuovo, Le Ffacasé sapeva pagare tutto quanto ai suoi dipendenti pagandoli con cambiali con la scusa che non c'era più denaro. Io mi resi conto che una nave che affonda non ha futuro, e avevo una gran voglia di tornare nel centro delle cose. Fles mi aveva scritto che le grandi scorte di pemmican che si erano accumulate per mancanza di ordini ora si vendevano a peso d'oro. Allora separai, ancora una volta, le sorti mie da quelle dell'"Intelligencer".
Non era pensabile che il paese andasse a rotoli in quel modo. Il governo nazionalizzò le banche e le ferrovie. Le case vuote vennero espropriate. I prezzi vennero calmierati, e i contadini costretti a pagare le tasse in natura. Tuttavia un gran numero di fabbriche non riaprì i battenti, Certe merci, scarse anche prima, scomparvero completamente dal mercato. Nello stesso tempo, la gente cadde in preda ad uno spirito dissacratorio e eversivo che la spinse a disprezzare persino i più sacri simboli della proprietà. L'erba stava arrivando: che senso aveva continuare a pagare le rate dell'ipoteca? L'erba stava arrivando: perché strozzarsi a risparmiare per depositare carta straccia in una banca traballante?
I grandi lavori pubblici non servirono a molto. Il numero delle morti per fame cominciò a crescere; qualche debole sciopero nelle poche industrie che ancora funzionavano venne stroncato da folle di crumiri affamati. Immensi disordini scoppiarono a New York e a Detroit; fortunatamente, la polizia era ben nutrita.
Tutte le religioni riacquistarono una popolarità immensa: la gente, troppo povera anche per permettersi un cinema di periferia, si accontentava di affollare le chiese. Fratello Paul, ora su un programma a diffusione nazionale, esortava ancora una volta la gente ad incontrare il Salvatore nell'erba. Ci furono tumulti per farlo tacere; i pastori meno estremisti gli davano la colpa di far aumentare continuamente la percentuale dei suicidi. Ma il governo non fece niente, forse perché riteneva più economico che la popolazione in eccesso andasse incontro a una morte estatica piuttosto che darle da mangiare.
Dal punto di vista della geografia politica, gli Stati Uniti non avevano perso un metro quadro di territorio. Le statistiche dicevano che la popolazione era la stessa di prima. L'erba aveva distrutto meno di un decimo della ricchezza della nazione, e occupato non più di un sesto del suo territorio, ma era riuscita a fare quello che né le guerre né le crisi economiche erano riuscite a fare: aveva gettato il paese al livello più basso della sua storia, a una disperazione sconosciuta anche ai tempi bui di Valley Forge.
A questo punto, il soviet supremo dell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche dichiarò che esisteva uno stato di guerra (senza che fosse stata intrapresa un'azione militare da nessuna delle due parti) tra gli Stati Uniti d'America e l'Unione Sovietica.

Capitolo XXXI

Dapprima la gente era incredula. Ma come, l'Empire State Building, il grattacielo della Palmolive e il Mark Hopkins, ancora in piedi? Soltanto quando i commentatori della radio ricordarono loro l'accordo secondo il quale tutti i velivoli più pesanti dell'aria erano stati messi al bando, missili balistici compresi, la gente tirò un respiro di sollievo. Naturalmente! Ma Stati Uniti e Unione Sovietica erano nazioni d'onore, e piuttosto che tradire la parola data avrebbero sopportato le ferite di cento guerre. Al panico succedette il sollievo: per la prima volta apparve un poco dell'antico spirito americano. Non che ci fosse ressa agli uffici di reclutamento, ma il sorteggio funzionò discretamente, tranne che nell'estremo Ovest, e bastò questa forma di mobilitazione.
L'avvento dell'erba non aveva esaurito né sbilanciato le risorse della nazione in modo definitivo, ma aveva sconvolto i sensibili organi dell'economia nazionale, Questo era tollerabile da una nazione malata (e l'erba l'aveva fatta ammalare), ma solo in tempo di pace. Ma, si sa, "la guerra è la salute degli stati", e il presidente si mosse in fretta. Tutte le grandi industrie vennero immediatamente nazionalizzate, insieme alle miniere e ai mezzi di trasporto.
In quest'orgia socialistica io fui fortunato: la Pemmican e Alimenti Concentrati, Inc., venne lasciata nelle mani dell'iniziativa privata. Anzi, di più: la mia azienda era riuscita a stare fuori dall'intrico dei controlli burocratici che gravavano sulla maggior parte delle altre. L'occasione, da lungo tempo cercata e, ritengo, non immeritata, stava davanti a me pronta a lasciarsi afferrare.
Mi sembrava che, vista l'ora drammatica per la patria, mi potessi rendere più utile alla causa comune diventando fornitore dell'esercito. Si potrebbe pensare che un desiderio tanto patriottico e altruistico dovesse essere di facile realizzazione e, nella mia innocenza, lo pensai. Cominciai immediatamente a intervistare innumerevoli ufficiali della sussistenza nel tentativo di conseguire questo nobile obiettivo. Bisognava che parlassi con un certo Brigadier Generale Thario, ma dopo aver sprecato ore e giorni preziosi non mi ero avvicinato a lui di un passo. Avevo riempito tanti di quegli appositi moduli specificando la natura del mio prodotto tante di quelle volte che cominciavo a preoccuparmi che la mia mano si rifiutasse ormai di scrivere alcunché di diverso.
Temo di aver alquanto alzato la voce esprimendo la mia esasperazione alla segretaria. Penso che la ragazza, forse un po' spaventata, abbia premuto qualche bottone nascosto sotto la scrivania. La porta dietro di lei si aprì, e si affacciò un signore dalla faccia rosa e dai baffi bianchi. La giacca dell'uniforme era troppo stretta sulla pancia; la pelata era abbronzata e lucida.
- Cosa c'è? Che diavolo sta succedendo qui?
Vidi che aveva una stelletta. - Il generale Thario?
Si nascose i baffi con un dito rosa come la sua faccia. - Sì, sì. Ma dovete avere un appuntamento per parlare con me. È la regola, sapete. Dovete avere un appuntamento.
- Generale Thario - insistetti con fermezza, - apprezzo moltissimo il vostro punto di vista, ma sono giorni e giorni che cerco di ottenere un appuntamento per parlare con voi, e ogni volta sono stato impedito da quello che non posso definire che scartoffie. Scartoffie.
I suoi occhi si mossero rapidi per la stanza, cercando una via d'uscita. - So come vi sentite. Sì, lo so. Orribile. Io annego nelle scartoffie, chiuso qui dentro. Ci soffoco. - Si schiarì la gola come per liberarla da una garrota, - Ma, uh, accidenti, signor...
- Weener, Albert Weener. Presidente della Pemmican e Alimenti Concentrati, Inc.
- Be', vedete, signor Weener... un uomo nella vostra posizione... apprezzerà un certo grado di routine... assolutamente necessaria... tiene lontani gli scocciatori, altrimenti ci annegherei dentro... ci annegherei, capite... la guerra... dovete scusarmi adesso... terribilmente occupato... felice di avervi conosciuto...
Inghiottendosi il resto della frase e mettendosi una mano davanti alla bocca, quasi a impedire di rigurgitare la fine senza volerlo, fece per rientrare nel suo ufficio.
- Un momento, generale. Mettetevi nei miei panni. Io fin dall'inizio ho stabilito la mia identità e il mio scopo. Per me non voglio niente; sono qui per compiere un dovere patriottico. Sicuramente la routine cui accennavate è abbastanza flessibile da permettere che io parli con voi per cinque minuti.
- So come vi sentite.,, anch'io vorrei essere fuori, sul campo di battaglia... non sono un soldato da tavolino, io... un mucchio di stupidaggini, ecco cos'è la routine...
Una volta nel suo ufficio, gli spiegai che tipo di contratto avevo in mente e gli assicurai che ero in grado di rispettare tutte le specificazioni per cui m'impegnavo. Ma mi rendevo conto che i suoi interessi erano diversi dalle specificazioni da osservare per produrre buone razioni da combattimento. Interrompendo di quando in quando l'accurato esame delle sue ginocchia prese a chiedermi in modo ellittico e indiretto, praticamente senza farmi domande verbali, quanti operai avessi, se avevo un direttore tecnico, se ne ero soddisfatto, se la conoscenza della chimica era condizione indispensabile per produrre concentrati alimentari.
Tuttavia mi sembrò molto amichevole e affabile e, poiché Fles mi aveva più volte detto che quello era il modo giusto di trattare gli ufficiali, lo invitai a pranzo. Lui accettò subito, e disse alla sua segretaria di telefonare a sua moglie che non lo aspettasse. Io estesi immediatamente l'invito anche alla signora Thario, ma lui scosse la testa borbottando: - Cose da uomini, signor Weener, cose da uomini.
La Washington del tempo di guerra era impraticabile come al solito, e fu impossibile trovare un tassì. Andammo dunque a piedi, e mi sembrò che il generale fosse molto soddisfatto della cosa. Anzi, mi parve che ci provasse un gran gusto nel restituire il saluto col massimo puntiglio ogni volta che incontravamo un militare. Passammo a un certo punto accanto a una delle taverne più frequentate della capitale, e notai una lievissima esitazione nel suo passo.
Io non sono uno che beve: mi limito di tanto in tanto a farmi un boccale di birra, e solo perché la birra contiene lievito. Tuttavia non sono certo un puritano o un astemio, e così gli chiesi se voleva un aperitivo.
- Be', ora che ne parlate, signor Weener... hum... il fatto è che... be', sì, certo.
Mentre io mi limitavo alla mia bevanda medicinale, il generale si lanciò in una sorprendente incursione alcolica. Come ho accennato, sembrava un uomo non eccessivamente brillante, per non dire addirittura timido. Ma, seduto davanti all'ampio bancone di mogano del bar, tutte le inibizioni, le convenzioni, le repressioni che gli erano state inculcate volarono via come foglie al vento. Cominciò a urlare ordini al barista, che mi sembrò lo conoscesse già, come se stesse rivolgendosi a un corpo di truppe indisciplinate.
Non solo il generale Thario bevette una quantità incredibile di liquori, ma infranse ogni regola che io conoscessi in fatto di bere. Cominciò con un bicchierino, metà cognac e metà whisky canadese. Seguì un grosso tumbler ("dodici once, sapete, mica quei cosini da otto once. Non si scherza con questa roba, sapete) di champagne in cui il barista, seguendo attentamente le sue istruzioni, versò due bicchierini di rum cubano. Poi si asciugò le labbra con un fazzoletto che si era tolto dalla manica e affrontò con aria grave una combinazione di Bénédictine e di tequila. Più beveva, e più si esprimeva con frasi lunghe, complesse, coerenti. L'aria infelice scomparve, la pancia andò in dentro, il petto in fuori, e io notai per la prima volta la fila di nastrini che confermavano la sua affermazione di non essere un soldato da tavolino.
Bevendo curaçao misto a calvados propose che sarebbe stato preferibile mangiare qualcosa lì piuttosto che lasciare quel comodo posticino. - Il fatto è, signor Weener... Albert, se...
- Ma certo, generale.
- Il fatto è, Albert, che io ho dedicato la mia vita sventurata a due arti: l'arte militare e l'arte potatoria. Come avrete notato, la maggior parte degli esseri che si trovano dalla parte sbagliata del banco adottano l'uno o l'altro di due comportamenti, entrambi sbagliati: o considerano il bere come se, mischiando i liquori, volessero imitare gli intrugli di un cuoco francese; e dunque uno spruzzo d'amaro, una goccia d'arancio, un'oliva, una ciliegina, una cipollina tolta abusivamente dal vassoio degli antipasti, una scorza di limone, un po' di menta, una zolletta di zucchero e un goccio di whisky. Oppure cadono nell'eccesso opposto, quello della volgarità, e buttano giù qualsiasi cosa venga loro data. Io sono convinto che le migliori combinazioni di liquori siano quelle semplici, contenenti cioè non più di due ingredienti, ma nobili: ossia, bevibili ciascuno anche separatamente.
Sollevò il bicchiere contenente l'ultima bevanda, composta da brandy e arrak. - Senza dubbio avrete notato che i miei gusti sono per così dire ecumenici: spaziano per tutta la gamma del bevibile, dall'usquebaugh al sake. Ma, in occasione dell'attuale conflitto, ho cancellato la vodka per evidenti motivi di patriottismo.
Sebbene fossi molto colpito dal suo modo di bere, il generale Thario mi piaceva: ma cominciavo a diventare impaziente di discutere la questione delle forniture militari di pemmican. Ogni volta che cercavo di deviare la conversazione su questo argomento, il generale lo metteva da parte con un gesto grandioso. - Ecco il pranzo - mi disse quando i camerieri portarono i cibi. - Sì: nessuna bevuta è completa senza il contorno di un po' di cibo adatto. Cibarsi, ma con moderazione. E ricordate le mie parole, Albert, l'uomo che mangia a stomaco vuoto si scava la fossa con i denti.
"Ho visto che avete avuto un moto di sorpresa, Albert, quando ho definito sventurata la mia vita: ma si tratta di un aggettivo scelto a ragion veduta. La mia vita è stata orrendamente sventurata. Io provengo da una famiglia di militari: non c'è guerra combattuta da questo paese che non abbia visto un Thario in prima fila. - Così dicendo, vuotò il bicchiere. - Le mie sventure, come quelle di Tristram Shandy, sono iniziate prima che io nascessi. Mio padre era uno studioso, più portato a sognare le imprese dei grandi condottieri che a diventare condottiero lui stesso. Non lo biasimo per questo: l'esercito è strutturato in modo da incoraggiare le fantasie. Tuttavia ciò ebbe gravi conseguenze per me. Mi battezzò con i nomi dei suoi eroi preferiti, e cioè Stuart Hannibal Ireton Thario: ed era così lontano dalla volgarità del mondo che solo quando le mie iniziali vennero per la prima volta stampigliate su una valigia si accorse di quant'era infelice la combinazione delle mie iniziali1. Hannibal e Ireton vennero immediatamente soppressi in nome della decenza; tuttavia a West Point i miei compagni deformarono il mio nome in Lothario, dandogli così una sfumatura estranea alla mia natura. Superai queste due prove solo per incontrarne una terza. Ireton rimase nascosto, ma Hannibal non ne poté più e saltò fuori. Allora, quando durante la guerra ebbi la sfortuna di comandare una compagnia che venne decimata - e qui la sua mano lisciò i nastrini che gli ornavano il petto - gli uomini cominciarono a chiamarmi, dietro le spalle, Cannibal Thario.
"Di una cosa sola sono certo: mio figlio non dovrà soffrire quello che ho sofferto io. Non l'ho mandato a West Point, affinché non debba conquistarsi le decorazioni sul campo del valore per poi essere mandato dietro una scrivania, cosa assai poco militaresca. Ho interrotto la tradizione e non l'ho avviato alla carriera militare; di proposito, come quando, pensieroso più del suo benessere che di qualche sciocca solleticazione del mio amor proprio, l'ho chiamato col nome più semplice che si possa immaginare.
- Come si chiama vostro figlio? - fui costretto a chiedergli.
- George - rispose con orgoglio, - George Thario. Non esiste un soprannome per George, che io sappia.
- E ora non è sotto le armi?
- No, e non voglio che ci vada. - La faccia rosa del generale assunse una sfumatura più accesa. - Il paese è pieno di teste di legno e di inutili arnesi come me: un'ottima carne da cannone. Che vadano a farsi ammazzare. A me starebbe benissimo: solo che un capo di stato maggiore cretino mi ha messo dietro una scrivania, compito al quale sono più inadatto che a dirigere un'accademia per signore. Ma non voglio che un ragazzo fine e sensibile come George, un musicista di talento come mio figlio debba sopportare le brutali crudeltà del campo di battaglia o del centro d'addestramento.
- Ma il sorteggio, il servizio militare obbligatorio...
- Se George lavorasse per un'industria essenziale... diciamo per un'industria che lavora su commessa militare nel campo, ad esempio, alimentare...
- Sarò felicissimo di fare la conoscenza di vostro figlio. È da un po' di tempo che sto cercando un manager che mi dia affidamento...
- Credo, che George potrebbe prendere in considerazione una offerta di questo genere - disse il generale Thario osservando il suo bicchiere controluce. - Gli dirò di passare da voi domani.

Capitolo XXXII

Avevo i miei dubbi che dopo tutti quei liquori si sarebbe ricordato di mandarmi suo figlio; inoltre, non è che il giovanotto, così a distanza, mi avesse fatto un'ottima impressione. Che diavolo poteva farsene la Pemmican di un musicista e un renitente alla leva messo a dirigere la fabbrica, sebbene l'incarico dovesse essere del tutto nominale, proprio non sapevo.
Mi ero rasato, avevo fatto colazione e sbrigato la corrispondenza del giorno: solo allora squillò il telefono e George Thario annunciò che era a mia disposizione.
Era quello che si dice un bel giovanotto. Era cioè grande e grosso e lento, con ciglia vistose, Aveva i capelli corti e non portava cappello; si aggirava per la stanza con le mani nelle tasche della giacca, i pollici fuori, osservandomi con sguardo vago tra nuvolette di fumo di una pipa ricurva. Non avevo mai visto nessuno meno simile a un musicista; cominciai a chiedermi se suo padre non avesse scherzato.
- Non mi piace - annunciò di punto in bianco.
- Cosa non vi piace, signor Thario?
Joe, per voi. Non datemi del signore: sarebbe incongruo con i nostri futuri rapporti. Chiamatemi Joe.
- Credevo che vi chiamaste George.
- Un capriccio di mio padre. Troppo imponente, come nome. Non si può abbreviare, e allora gli amici mi chiamano Joe. Più intimo. Non mi piace l'idea di schivare il servizio militare: denota mancanza di coraggio morale. Dovrei fare l'obiettore di coscienza, ma questo ucciderebbe mia madre. Ora come ora è già sconvolta: dovrei essere in prima linea, dice, e non fa che menarla col suo "dulce et decorum est". Credo che al vecchio non importerebbe niente se mi mettessi a far l'obiettore, ma gli rovinerei la carriera. Così, eccomi ai vostri ordini, signor Weener.
- Sono felice di avervi con noi - risposi alquanto seccamente. Ero sicuro che George Thario si sarebbe rivelato del tutto inutile. Ma scoprii poi di essere stato ingiusto con lui poiché, sebbene non abbia mai nascosto la sua totale mancanza d'interesse nei confronti dei cibi concentrati e dell'ammucchiare denaro in generale, si dimostrò in seguito, quando gli andava di attendere ai suoi doveri, un dipendente fidato e coscienzioso, con due soli difetti: mancava di spirito d'iniziativa e viziava gli operai.
Ma sono corso troppo avanti: quando lo conobbi mi sembrò un essere del tutto inutile a sé e agli altri. Fu dunque con irritazione che accolsi il suo invito di recarmi a casa Thario quel pomeriggio per conoscere sua madre e le sue sorelle. Tuttavia non potevo correre il rischio di offendere nessuno, e così alle quattro in punto bussavo, a Georgetown, a una porta esattamente simile a tutte quelle che si affacciavano sulla strada.
- Io sono Winifred Thario e voi siete l'uomo della gomma da masticare. Cioè no, aspettate un minuto, ci sono, l'uomo dei cibi concentrati. Entrate e scusate la mia scarsa educazione. Sono giovane, sapete, la più giovane tranne Joe, e così tutti mi scusano. - Aveva capelli biondi lunghi e diritti che sembravano senza vita. Anche la sua vivacità suonava falsa; mi mostrò grossi denti bianchi con uno sforzo visibile.
Entrai in soggiorno. Su una poltrona a dondolo sedeva una donna grossa dall'ampio seno: aveva gli stessi capelli morti della figlia e la faccia avvizzita, solo che il biondo dei capelli era temperato da un po' di grigio. La faccia era piena di sottili linee rosse, capillari rotti: senza dubbio, col tempo, le avrebbe avute anche Winifred.
- Ecco Mamà - disse Winifred accentuando l'ultima sillaba.
Mamà inclinò leggermente la testa verso di me, senza nemmeno accennare a un sorriso; nel contempo pose la mano con gesto regale sulla teiera, quasi fosse il globo, simbolo del potere imperiale.
- Felicissimo di conoscervi, signora Thario.
- Ed ecco Constance, la primogenita - continuò Winifred, ignorando l'accoglienza gelida della madre. Constance stava esattamente a metà tra Winifred e sua madre: non ancora ingrigita ma sul punto di esserlo, era priva della vivacità della sorella sebbene mostrasse gli stessi denti bianchi con l'identico sorriso forzato. Si alzò e mi strinse la mano con la stessa indifferenza con cui avrebbe scosso una bambola antipatica.
- E infine - annunciò Winifred con vivacità, - ecco Pauline.
Dire che Pauline Thario era bella sarebbe come dire che l'Everest è alto. In lei sì che i capelli biondi brillavano; i denti erano bianchi e regolari, non troppo grandi come nelle sorelle; e aveva una pelle impeccabile. Era un quadro raffinato posto in una cornice adatta.
E tuttavia... tuttavia il quadro aveva qualcosa di irreale, come una madonna senza bambino. La sua bellezza sembrava priva di vigore, come se le mancasse qualcosa di terreno che la facesse diventare reale. Non mi porse la mano: si limitò a un accenno d'inchino solo un poco meno gelido di quello della madre.
Sedetti sull'orlo di una sedia. - Bisogna che ci raccontiate delle vostre pillole, signor Weener - disse Winifred.
- Pillole?
- Sì, quelle che deve fare Joe - spiegò Constance.
Mamà emise un lungo barrito.
- Senza spina dorsale! - esclamò fissando un punto sopra la mia testa.
- Mamà, la pressione... Mamà ricadde nell'immobilità e Winifred mi chiese: - Siete sposato, signor Weener? Dissi che non lo ero.
- Ecco allora che Pauline ha una possibilità. Signor Weener, vi piacerebbe sposare Pauline?
- Non riuscii che a sorridere imbarazzato. Ma Winifred non aveva ancora finito. - Sono anni che cerchiamo di far sposare Pauline, sapete, È bellissima, ma non ha sex-appeal.
- Meno male. È una cosa volgare - sbuffò la madre.
- Prendete un po' di tè? - chiese Constance.
- Tè! Mi sembra uno che si riempie di coca cola in segreto! Siete americano, signor Uh? - chiese fieramente Mamà.
- Sono nato in California, signora - cercai di rassicurarla.
- Peccato, peccato. Una dannata vergogna - bofonchiò lei.
Fui parzialmente sollevato dall'arrivo di George, che salutò le sorelle con un gesto della mano e si chinò a baciare la madre sulla fronte.
- Eccomi a compiere il mio dovere filiale - disse.
- Ipocrisia. Il tuo dovere è di andare ad arruolarti.
- La pressione - ammonì Constance.
- Vi hanno rovinato del tutto, signor Weener? Non ci badate. C'è qualcosa che non va in tutti i Thario, tranne che nel vecchio. Il sangue si è diluito per i troppi matrimoni tra consanguinei.
- Uh, l'incesto - esclamò Winifred. - Non è affascinante l'incesto, signor Weener? O'Neill e tutto quel tipo di cose?
- Morboso - obiettò Constance.
- Dannate sciocchezze, - brontolò Mamà.
- Latte o limone? - chiese Constance. Mamà, in un impeto d'ospitalità, mi versò una tazzina scarsa.
- Latte, grazie.
- Che possa diventare acido - bofonchiò Mamà; ma versò il latte e passò la tazzina a Constance che la passò a Pauline che me la porse con un grazioso sorriso...
- Non dimenticatevi di Pauline, signor Weener, Potrebbe esservi di grande aiuto quando sarete enormemente ricco e dovrete dare un mucchio di ricevimenti.
- Per favore, Winifred - protestò Constance.
- Ma che vada all'ospizio e tanti saluti - disse Mamà.

Capitolo XXXIII

Non appena ebbi in mano il contratto cominciò la lotta per trovare la manodopera e le materie prime. Anche con tutta l'assistenza del generale Thario era una fatica di Sisifo badare a non infrangere o evadere tutte le restrizioni e i regolamenti. Ma alla fine ce la feci, non prima però di tre purghe di generali russi e di alcuni terremoti nello stato maggiore americano; comunque raddoppiai la capacità della fabbrica del New Jersey e cominciai a trattare l'acquisto di un'altra fabbrica in Florida.
Avevo messo da parte un po' di azioni per il generale. Il trasferimento di proprietà era una cosa delicata per colpa di quei ficcanaso del governo. Chiesi consiglio a suo figlio. - Alberico! - esclamò lui, incomprensibilmente. - Ma mettetele in una busta e speditegliele. Comunque, dell'aspetto finanziario si occupa Mamà.
Avevo troppo da fare a mandare avanti la baracca per occuparmi di cosa dicevano i giornali della guerra. Comunque, la guerra era assolutamente ferma. La Pemmican quotava oramai 38 cent per azione e io mi avviavo, nonostante tutti gli ostacoli che il destino aveva posto sulla mia strada, a godere i frutti della mia previdenza. Per la prima volta nella storia militare, in questa guerra non era ancora stato sparato un solo colpo.
Poco per volta la guerra lasciò le prime pagine, e si trovò accostata alla Ricetta di Oggi e all'oroscopo; ancora una volta la gente cominciò a preoccuparsi dell'erba. Ora si estendeva per un bel tratto: da poco sotto la città di Mazatlan, in Messico, su su lungo la catena delle Montagne Rocciose, fino allo Yukon, in Canada.
Perché diavolo l'erba se ne stesse a ovest delle Montagne Rocciose e non le valicasse invadendo l'intero paese non Io sapeva nessuno: si pensava che forse non amava il freddo, o che l'atmosfera rarefatta inibisse la crescita degli stoloni. Comunque, si estendeva verso est con una tale svogliatezza che i metodi, inefficaci per salvare Los Angeles, ora andavano benissimo e riuscivano a tenerla indietro. Tutti, comunque, erano dispostissimi a cancellare il Far West dalla carta geografica pur che l'erba risparmiasse il resto della nazione.
Così scriveva il generale Thario: "...hanno preso quella strana scienziatessa, quella Francis, e le hanno fatto sputare la formula. Pensano di usarla come arma, ma come e dove non saprei. Esattamente la strategia di un dannato teorico da tavolino..."
Altra lettera del generale Thario: "...vogliono mandare una squadra di uomini scelti in Unione Sovietica, a trattare la steppa con la roba della Francis. Sarebbe meglio che andassero a far saltare per aria il Cremlino: tempo, fatica, uomini buttati via..."
Altra lettera: "...quella stupida storia di mutare l'erba della steppa è finita in niente. I nostri ragazzi si sono comportati bene, naturalmente, e hanno fatto tutto quello che dovevano, ma non è successo niente. O la Francis ha dato loro la formula sbagliata (o forse si è dimenticata quella giusta nella borsetta), oppure quello che ha funzionato in California non funziona in nessun altro posto. La Francis sta cercando di giustificarsi davanti alla commissione militare. Per conto mio, possono fucilarla o nominarla Comandante in capo, che fa lo stesso. Non si può combattere il nemico con gli spruzzatori e le formule chimiche. Bisogna attaccare con la fanteria dalla Siberia.

Capitolo XXXIV

Il conflitto smise di essere inoffensivo quando i sottomarini nemici attaccarono la flotta del Pacifico. Tutti i metodi noti di individuazione del nemico si rivelarono inutili: in pochi giorni la nostra flotta venne ridotta a un quarto. Mai la marina aveva subito una sconfitta di tali proporzioni. Si temeva un'invasione: e, infatti, i Sovietici sbarcarono in California a Cambria, San Simeon e Big Sur.
"...cosa vi dicevo io? Cosa dicevo a tutti? A quest'ora potevamo essere a Mosca: e invece abbiamo pasticciato e aspettato fino ad avere il nemico in casa. Tutto lo stato maggiore dovrebbe andare sotto corte marziale e mandato a studiare le campagne di Shafter e di Wheeler come punizione".
La grafia del generale Thario, sempre così precisa e ordinata, tremolava ora per la violenza del suo sdegno.
Una guerra impalpabile, fatta di macchine e di bottoni, era una cosa; l'invasione del sacro suolo della patria, e da parte di stranieri che non erano nemmeno capaci di parlare inglese, un'altra. Tutte le forze della nazione si radunarono, e, per la prima volta, cominciò a circolare qualcosa di simile all'entusiasmo.
Ma l'erba ci impedì di spazzar via subito gli invasori: sulla costa del Pacifico c'erano pochissime forze, a causa dei problemi logistici. E di queste forze se ne potevano inviare solo una parte nelle zone degli sbarchi, perché si pensava a una finta dei Sovietici. Così il nemico poté prendere terra in tutta tranquillità, e assicurarsi altre teste di ponte a Gorda, Lucia, Morro Bay e Carme!
A est dell'erba tutte le nostre armate aspettavano. La cosa più logica sarebbe stata un bel ponte aereo fino al teatro delle operazioni, ma non era tanto facile. "Se usiamo gli aerei" si sentiva dire in giro, "lo faranno anche i Sovietici; gli aerei vogliono dire bombe; le bombe, la bomba H. Meglio lasciare ai Sovietici la loro posizione di vantaggio che vederci distruggere le nostre città, spazzar via la popolazione, avere figli, forse, con sei teste e dodici braccia per effetto delle radiazioni.
Naturalmente tutti i dirigibili vennero requisiti, e navi cariche di soldati avviate in tutta fretta verso il canale di Panama, senza badare al fatto che, senza flotta, erano estremamente vulnerabili; si cominciò a negoziare col Messico la possibilità di permettere alle nostre truppe di raggiungere un punto a sud dell'erba.
Mentre la confusione regnava sovrana, i Sovietici piano piano si spingevano verso l'interno. L'esercito americano oppose una strenua resistenza ma fu costretto a ritirarsi, e ad attestarsi su un fronte fisso a sud di San Francisco dall'oceano alla Baia, e su uno più fluido tra la baia e l'erba. Nessuno era tranquillo: si temeva che l'apparente scarsa attività del nemico preludesse ad altri sbarchi più a nord.
In questo panorama di desolazione, l'euforia del generale Thario faceva uno strano contrasto. "Almeno quei pazzi mi hanno rimesso nel servizio attivo. Ora comando una brigata della Terza Armata, la migliore di tutte. Non posso dire dove siamo dislocati, tranne che non siamo lontani da una ben nota città famosa per la sua altezza sul livello del mare, e posta in uno stato minerario. Tenete le orecchie aperte: tra poco ci saranno novità.

Capitolo XXXV

E le novità ci furono: combattendo eroicamente, i marines ricacciarono l'invasore e riconquistarono metà dei territori occupati dai Sovietici. Simultaneamente, l'armata a sud di San Francisco respinse il nemico e si congiunse con i marines: ai Sovietici non restava ormai che una testa di ponte simbolica.
Ma tutta l'operazione non fu altro che un'azione di retroguardia. Infatti, così scriveva il generale Thario: Stiamo combattendo sul continente sbagliato". Joe era anche più enfatico: "È una assurdità fare andare impianti costosi come questi. Se la piantassero con questa stupida guerra e tutti se ne tornassero a casa loro, il paese sprofonderebbe nella depressione: allora ci sarebbe una bella rivoluzione e tutto andrebbe per il meglio".
I nuovi sbarchi ad Astoria e Longview, sebbene prevedibili data la scarsa resistenza opposta dai Sovietici alla controffensiva, colsero di sorpresa gli alti comandi. "Mai vi fu una mossa tanto certa" scriveva il generale Thario, "e mai fu fatto tanto poco per prevenirla. Se un imprenditore si comportasse allo stesso modo farebbe bancarotta entro sei mesi". Di chiunque fosse la colpa, le nostre truppe vennero spazzate via e gli invasori occuparono tutto il territorio a ovest dell'erba.
Per spregio ci fecero avere i film in cui si vedevano le loro truppe entrate in Portland e Seattle. Posero il quartier generale a San Francisco e sfilarono in parata, quaranta uomini fianco a fianco, lungo Market Street, ora ribattezzata Krassny Prospekt.
Ma, malgrado le sfilate e le celebrazioni e le 101 cannonate di saluto, più di così non riuscirono a fare: l'enorme distesa di erba mutata li aveva sigillati tra la vegetazione e il mare, in una area che andava riducendosi sempre più.
Venne quindi un altro periodo di stasi, ma con un'atmosfera completamente diversa da prima. Molti, se non tutti, volevano una pace qualsivoglia. Altri cercavano di ignorare la guerra e di vivere come se niente fosse.
Altri ancora sembravano considerare la guerra come una specie di gioco astratto, e costoro inondarono i giornali e il ministero della guerra con centinaia di piani, per lo più assurdamente fantastici, in cui si spiegava per filo e per segno cosa fare per spazzar via un nemico oramai solidamente attestato.
Mentre il pessimismo e l'inerzia erano ormai i soli governanti degli Stati Uniti, gli invasori prendevano energiche misure per consolidare il loro successo. "Ho assistito all'interrogatorio di due spie" scrisse il generale Thario, "e vi dico che il nemico non sta trascurando, a differenza di noi, nemmeno una possibilità. Cosa abbiano in mente non saprei: volare sopra l'erba è escluso, se vogliono salvare la faccia davanti al mondo; e dubito che abbiano intenzione di mettersi a scavare tunnel sotto l'erba. Ma che intendano fare qualcosa è fuori questione".
Giacché i Sovietici non potevano né volare sopra l'erba né passarvi sotto, decisero di camminarci sopra. Evidentemente erano informati delle nostre gite sull'erba con le racchette da neve, e allora fornirono un'intera armata di questi goffi arnesi e diedero l'avanti march; per i rifornimenti impiegarono certi slittoni muniti di sci trainati dagli uomini stessi. Il genio sovietico, si vantò il Cremlino, avrebbe vinto là dove il decadente imperialismo americano aveva fallito.
"È incredibile, addirittura assurdo. Ma almeno loro fanno qualcosa e non se ne stanno seduti a girare i pollici. Per certo i Russi sono grotteschi e inefficienti (quasi come l'esercito italiano nell'ultima guerra). Ma pensateci: mandare un'armata, o più armate, secondo qualcuno, a fare una marcia di mille chilometri sull'erba senza appoggio aereo, senza artiglieria, senza mezzi meccanici. A meno che non abbiano (come sembrava avesse l'esercito italiano) un Bonaparte nascosto da qualche parte, la loro è follia pura senza nessuna possibilità di successo. Ma se fossi più giovane, e non americano, naturalmente, mi piacerebbe andare con loro solo per divertirmi un po' anch'io".
La spedizione era composta esclusivamente di fanti armati con fucili automatici ultimo modello. Secondo il generale Thario non avevano portato neppure le mitragliatrici leggere. Dietro l'erba, le armate americane aspettavano, munite di ogni sorta di armi, convenzionali e no.
Per la prima volta sembrava che la sconfitta dei Sovietici non fosse impossibile; addirittura, che si profilasse la remota possibilità di una vittoria americana.
Poiché non si potevano usare aeroplani, la ricognizione dell'avanzata nemica fu affidata a dirigibili e a palloni. Molti furono abbattuti a fucilate; molti vennero spinti dai venti nelle più improbabili direzioni; ma ne rimasero a sufficienza perché ci facessimo un'idea della rapida disintegrazione dell'esercito invasore.
Le racchette da neve, strumenti abbastanza adatti a una passeggiata di mezz'ora, dopo una settimana di marcia divennero strumenti di tortura. La marea slava che usciva dalle sue basi dell'est, bene inquadrata, i canti di guerra sulle labbra, aveva offerto una vista imponente e preoccupante.
Il primo giorno di marcia andò abbastanza bene, sebbene le truppe avessero percorso solo qualche chilometro. Di notte si accamparono su grandi teli; il mattino la goffa marcia ricominciò. Ma senza gioia: infatti l'erba, durante la notte, era avidamente cresciuta lungo il perimetro dei teli, che per metà vennero abbandonati alla vegetazione.
Il secondo giorno camminarono ancora meno del primo: si vedeva benissimo che gli uomini erano stanchi. Già qualcuno aveva gettato il fucile per marciare più leggero; qualcun altro si era addirittura liberato delle racchette, così che dopo pochi passi rimase inestricabilmente impigliato nell'erba; altri si distendevano sull'erba per non rialzarsi più.
Tuttavia il comando sovietico continuava a inviare truppe fresche dentro l'erba, Forse ispirati dall'esempio americano, presero a rifornire le truppe con i dirigibili; paracadutarono addirittura intere divisioni munite di racchette da neve quasi sul confine orientale dell'erba. Ma quest'ultimo esperimento si rivelò troppo audace: i soldati vennero localizzati e annientati dalla nostra artiglieria.
Il morale dei nemici era comunque abbastanza alto, ma più che con gli americani dovevano ormai fare i conti con l'erba. L'avanzata continuava: sempre più lentamente e pesantemente, con perdite crescenti. Tra i soldati cominciò a serpeggiare l'insoddisfazione, l'ammutinamento, la follia. Alcune unità fecero dietro front, e vennero sterminate dalle truppe che le seguivano; altre si persero nell'erba per sempre. La disintegrazione della grande armata si accelerava, e i rinforzi non riuscivano più a colmare i vuoti.
I soldati non sparavano più ai dirigibili e ai palloni dei nostri: marciavano lentamente, senza speranze, rimanendo talvolta immobili per ore o vagando, barcollanti, senza più direzione. Qualche bandiera bianca cominciò ad alzarsi qua e là quando passava un nostro dirigibile, Alla fine, mesi dopo l'orgogliosa sicurezza della partenza, qualche manipolo di sopravvissuti, mezzi impazziti dalle sofferenze, riuscì a raggiungere le linee americane e ad arrendersi. Era gente spenta e apatica tranne che per una cosa: gettavano urla di terrore alla vista di qualsiasi vegetale; al contrario, quando vedevano un tratto di terra nudo e sterile, un lastrone di roccia, uno spiazzo sabbioso, vi correvano sopra, lo baciavano piangendo in un'incomprensibile frenesia.

Capitolo XXXVI

Ma, per il nemico, la perdita delle sue armate fu solo l'inizio. L'erba si era dimostrata nostra alleata, opponendo una resistenza passiva e inghiottendo gli attaccanti. Ora l'erba si mosse, e contrastò attivamente il nemico. Per mesi, senza che nessuno se ne accorgesse, era avanzata verso nord-ovest, strappando al nemico un chilometro dopo l'altro di territorio occupato. Poi si mosse più in fretta e conquistò la costa su fino al Russian River, il cui nome ora sembrava ancor più ambiguo, e divorò migliaia di chilometri quadrati sottraendoli al nemico. Poi si diresse dritto verso ovest, rendendo le teste di ponte nemiche estremamente precarie.
La borsa andò alle stelle e la nazione impazzì di gioia davanti alla sconfitta dei Sovietici. Nel momento più oscuro ci era venuto il soccorso; dall'esterno sì, ma si trattava pur sempre di una forza sicuramente americana. Si levarono inni in lode dell'erba che, in un accesso di gratitudine, vene dichiarata Parco Nazionale. Il razionamento cominciò ad allentarsi: molte industrie tornarono in mano ai privati. Dio e lo Zio Sam erano imbattibili dopotutto.
I Sovietici erano ormai alla disperazione: abituati a fare la guerra con grandi perdite di uomini, dapprima reagirono alla notizia con stoicismo. Una sconfitta momentanea, pensarono, da superare con truppe fresche. Infine, truppe fresche dopo truppe fresche, si resero conto di aver perso non qualche divisione, ma armate intere: era la sconfitta peggiore della storia. Ora, infatti, erano più deboli degli Americani; non solo, ma l'erba, il nemico che li aveva stremati, stava rapidamente spazzandoli via dal continente americano.
Non vi fu mai un trattato di pace formale, ma le due parti non avevano più voglia di pensare alla guerra, Facendo finta di niente i due paesi tornarono allo status quo.
Il generale Thario poteva scegliere tra andare in pensione e ritornare ad essere, per sempre, colonnello. La vanità, il più amaro dei vizi, lo spinse a chiedere il congedo. Non ebbi nessuna difficoltà a trovargli un posto nella mia organizzazione.
La stessa guerra che aveva portato alla bancarotta tanti imprenditori paurosi o miopi aveva trasformato la Pemmican in uno dei più potenti imperi industriali del paese. L'organizzazione in cui entrava il generale Thario era molto diversa da quella in cui era entrato suo figliò. Possedevo ora quattordici stabilimenti che, simili a una collana di perle, si stendevano da Quebec a Montevideo, e stavo trattando l'apertura di nuove filiali in Europa e in Estremo Oriente. Ero presidente di parecchie importanti società, e i miei beni personali erano tali da costituire ormai una fonte di continua preoccupazione (in fondo, sono sempre rimasto un ragazzo semplice e di poche pretese) richiedendo innumerevoli segretari e intendenti che se ne prendessero cura.
E uno degli aspetti più squallidi della natura umana che la preminenza venga sempre guardata con invidia maliziosa. Proprio per questo è inutile che ora scenda nel dettaglio illustrando le indegne e ridicole accuse che mi vennero mosse da certi pennivendoli irresponsabili. Comunque, forse un altro uomo avrebbe ignorato questi meschini attacchi; ma la mia sensibilità ne risentì e, non essendo consono alla mia dignità replicare personalmente, pensai che sarebbe stato un saggio investimento aggiungere un giornale alle mie proprietà.
Ora, io non sono di certo quel tipo di capitalista che prende un direttore e gli dice cosa deve scrivere. A prova di ciò e a dimostrazione della mia grandezza d'animo, il giornale che scelsi di comprare fu proprio il "Daily Intelligencer", mantenendo in carica il vecchio direttore, e cioè William Rufus Le Ffacasé. L'"Intelligencer" non andava bene, perché non aveva più una sede fissa, Ma, mosso forse dal sentimento, non esitai ad acquistarlo.
Le Ffacasé non si mostrò riluttante a continuare, e verso di me si comportò come se non ci fossimo mai conosciuti prima; io non obiettai, contrariamente a come forse avrebbe fatto qualcun altro di vedute più anguste.
Come editore nominai il generale Thario. Non ho mai saputo a cosa serva un editore, ma pare necessario che ogni giornale ne abbia uno. Di qualunque natura fossero i doveri inerenti alla carica, il generi aveva comunque un mucchio di tempo da dedicare alla Pemmican. Foraggiai giudiziosamente il giornale con qualche finanziamento e ben presto riacquistò gran parte della diffusione che aveva perduto.

Capitolo XXXVII

L'erba, nostra preziosa alleata durante la guerra, sembrava ormai essersi assestata; la si considerava ora come un elemento caratteristico e stabile del territorio nazionale. I botanici facevano presente che il Cynodon Dactylon non aveva mai attecchito nelle zone fredde, e che non si vedeva il motivo per cui l'erba mutata dovesse cambiare le sue abitudini. In verità aveva toccato, in un punto, la tundra artica: ma si riteneva che si trattasse di un'escursione temporanea. La catena delle Montagne Rocciose, con i suoi picchi coperti da nevi perenni, sembrava un ambiente poco adatto all'erba. I pochi semi che superavano i passi trascinati dal vento e che attecchivano nelle grandi pianure venivano di norma isolati con strisce di sale; poi venivano facilmente distrutti col sale stesso o col fuoco. Sembrava proprio che l'erba, soddisfatta del territorio che si era conquistato, si accontentasse di rimanere dov'era.
Soltanto pochi andavano dicendo che l'erba era infinitamente adattabile. Prima, quando sembrava confinata per sempre, era riuscita a produrre semi in grado di trasmettere alle nuove piante la mutazione originale; allo stesso modo, col tempo, avrebbe potuto acclimatarsi a temperature più fredde. La Francis era la più pessimista di tutti: sosteneva che l'erba tra poco sarebbe avanzata di nuovo, e chiedeva che per la lotta contro l'erba venissero stanziate somme pari a quelle spese per la guerra, Come se le tasse non fossero già abbastanza pesanti.
Comunque, il compito di combattere l'erba era ora affidato a un corpo permanente, la Commissione Federale per il Diserbo. L'ente aveva passato i primi sei mesi della sua esistenza a definire esattamente la propria giurisdizione, mentre nei sei mesi successivi si era imbarcato con la Commissione Federale per il Commercio in una lunga bega a proposito di certe ingiunzioni a ditte che avevano appiccicato sui loro prodotti una bella etichetta con l'erbadiavolo, implicando con questo che si trattava di roba energica quanto la pianta rappresentata.
Ma, finita la guerra, uno spirito nuovo sembrò circolare tra i membri della commissione, che emanarono l'inflessibile direttiva secondo la quale ogni gruppo di ricerca al lavoro sull'erba doveva fare da sé, tenendo riservate le informazioni di cui era in possesso: la competizione stimola l'entusiasmo, e la cavalleresca rivalità tra i ricercatori avrebbe ben presto portato a una soluzione. Poi la commissione rivolse la sua attenzione al rallentamento della diffusione dell'erba: si trattava di un fenomeno permanente o temporaneo? Si diede l'avvio alla compilazione di tutte le informazioni in centoquarantasette volumi in folio, una pietra miliare per tutti coloro che in futuro avrebbero voluto accostarsi al problema dell'erba; e, essendo io oramai un'importante personalità con conoscenze anche di prima mano sul soggetto che stava loro a cuore, mi invitarono a visitare (a mie spese) gli avamposti dell'erba affinché potessero trarre giovamento dalle mie osservazioni. Io accolsi volentieri l'invito, perché sarei così potuto entrare in zone vietate ai comuni cittadini: tra l'altro, in quel periodo avevo cominciato a trastullarmi con l'idea di fare entrare l'erba, in un modo o nell'altro, nei miei prodotti alimentari.

Capitolo XXXVIII

Poiché George Thario aveva in vari modi manifestato il bisogno di una vacanza, decisi di portarlo con me. Prima di partire lessi in vari rapporti che molti osservatori avevano notato segni di attività lungo i confini della massa erbosa.
Decisi di non perdere tempo e partimmo subito col mio aeroplano personale. Tenendomi in contatto telefonico con i miei molteplici affari, George e io ci dedicammo esclusivamente all'osservazione dell'erba.
O, meglio, io mi ci dedicai. Il concetto che George aveva della raccolta dei dati era radicalmente diverso dal mio... e da quello di qualunque altro essere intelligente, oserei aggiungere. Infatti se ne stava sdraiato sulla pancia per ore a guardare dentro un binocolo; oppure vagabondava lungo il confine toccando, annusando, guardando: una volta lo vidi addirittura buttarsi a quattro zampe e masticare l'erba, come una pecora.
- Sapete, A. W. - mi chiamava sempre A. W. con una bizzarra intonazione, così che non si capiva se mi chiamava con le mie iniziali in segno di rispetto o per prendermi in giro, - sapete A. W., ora capisco quei tipi che sono andati incontro all'erba. È sublime: una cosa finora mai accaduta in natura. Ho letto una infinità di saggi, di articoli, di rapporti: chi li ha scritti o non ha occhi o ha mentito per la gola. Dicono che i fiori sono di colore marrone sporco: non è vero, sono di un porpora meraviglioso. Avete notato quelle iridescenze che si accendono tra l'erba mossa dal vento? Tutti i colori dello spettro che si stagliano contro quel verde incredibile e meraviglioso.
- Non c'è proprio niente di meraviglioso. Certe volte l'erba è verde davvero, ma qui in alto, dove fa freddo, è identica all'erbadiavolo comune, brutta e sporca.
George sembrò non udirmi, e prosegui con voce sognante: - E il fruscio! Un compositore darebbe quarantanni di vita per poterla riprodurre, la musica dell'erba! Una musica alta e acuta; morbida e mutevole; sinfonie che nascono in questa solitaria grandezza!
Ho già detto che l'erba faceva dei rumori: scricchiolii e schiocchi probabilmente dovuti alla sua prodigiosa velocità di crescita.
Durante il periodo di stasi quei rumori erano cessati e, lì sulle montagne almeno, si sentiva solo il rumore degli steli che, mossi dal vento, si sfregavano l'uno con l'altro. Certe volte il fruscio si trasformava in ululato; certe altre in un suono morbido molto piacevole; più spesso urtava le orecchie con acute note dissonanti.
Comunque mai meritavano gli stravaganti elogi di George; e io credo di essere un uomo sensibile alla bellezza come chiunque altro.
George andava in estasi in modo assurdo, e riempiva con la sua scrittura fitta fitta interi taccuini. Gli diedi un'occhiata, ma per lo più si trattava di assurdità. Poemi senza metro, elenchi di aggettivi, interpretazioni tirate per i capelli del comportamento dell'erba, notazioni musicali che non superavano mai la fase iniziale, ripetitiva e zoppicante.
Eccone un esempio (tratto dal materiale meno caotico): "L'età dei grandi ghiacci scacciò i Cromagnon dalle caverne che anticipavano Cnosso e Tebe e il tempio di Atena sull'Acropoli. Il ghiacciaio del ventesimo secolo scaccia i magnati dalle loro ville di venti stanze negli appartamenti di dieci locali. La perdita era quella di ieri. Whitman.
"Poiché essa è gli animali. Mucche, maiali, cavalli, capre, pecore abbandonati dal padrone, storditi e perplessi; l'orologio con la molla rotta che cammina all'indietro. Gli animali selvatici: daini, antilopi, capre di montagna, che per il terrore cercano un'insicura salvezza in cima alla torre di Babele. Ma non soli.
"Carne e carnivori: volpi, linci, coyote, lupi, puma, scacciati dal ghiaccio che non è ghiaccio. Si fermano un po' per mangiucchiare corteccia, o per accoppiarsi; per succhiare il sangue caldo dalla iugulare.
"Ecco qualche isoletta in cima ai picchi: il mare vegetale è la morte che si avvicina strisciando verso la fine all'inizio. Il domani è dell'uomo ragionevole, della mente vile che manipola cibi e lussurie?
"I rassegnati ruminanti mangiano la loro morte, trasformandola in vita, masticando, digerendo, rimasticando contro un destino inevitabile.
"O gran sapiente, la tua calcolatrice ti dà la risposta: tanti carnivori, tanti erbivori, non si sgarra o è l'estinzione. Così come il profumo del sacrificio di Abele fu più grato alle Sue narici dei frutti di Caino, così è confusa la nostra mente: i conquistatori non hanno conquistato un bel niente.
"L'erba lambisce l'orlo delle nevi: essi mangiano e si accoppiano e si riproducono e vivono nella disperata ignoranza dello splendore della gloria e della morte. Così giustizia è fatta: ma non è ancora giustizia. Chi ieri ha vinto non vince oggi, eppure non è ancora vittima. Chi era vittima ieri non è il vincitore oggi, ma non è più la vittima..."
In questa farragine c'era forse una piccola osservazione ragionevole sulle migrazioni degli ani: mali; se mai ci si poteva fidare di una mente tanto distorta. Io la misi giù in forma più corretta e la incorporai non solo nel mio rapporto alla Commissione per il Diserbo, ma anche negli articoli che inviavo all'"Intelligencer".
Inutile dire che i miei talenti letterari non erano più ignorati, e che quello che scrivevo appariva sul giornale senza che ne venisse cambiata una sola lettera: anzi, i miei articoli comparivano in prima pagina bene inquadrati e profilati.
Non scrivevo che la pura verità, e cioè che l'erba, invece di starsene patrioticamente a dormire come aveva fatto per tutta la durata della guerra (tranne la puntata verso nord per distruggere quanto restava dell'invasore), si era svegliata ed era ancora una volta in marcia. L'erba non era più scolorita, ormai, e la musica divina di George era stata sostituita dagli schiocchi e dagli scricchiolii consueti: anzi, il rumore si faceva più forte a ogni metro guadagnato verso valle, culminando talvolta in tonanti esplosioni.
L'erba si riversò giù per la discesa lunga millecinquecento chilometri del bacino del Mississippi a passo accelerato, e inghiottendo ogni cosa. Ancora una volta i treni e le autostrade che portavano a est rigurgitarono di fuggiaschi.
Poiché i miei affari non mi permettevano di rimanere oltre, andai a New York, ma senza Joe.
- AW, ora come ora non sarei più utile alla Pemmican di un pezzo di vetro dentro un panino al prosciutto. Forse avrei le chiappe appoggiate a una sedia, ma la mia anima sarebbe qui. È Whitman reso visibile e tangibile, AW. "Vieni, morte amabile e rassicurante, tutto in giro ondulata". Inoltre, ora avete il vecchio, che vi sarà più utile di quanto non sarò mai io: a lui gli affari piacciono. E come nell'esercito, con la differenza che non c'è un vecchio generale rincoglionito che gli dica di smetterla proprio quando comincia a divertirsi.

Capitolo XXXIX

Lo scopo principale per cui ero andato a vedere l'erba non era stato, almeno per il momento, raggiunto. Non aveva senso mettersi a fare esperimenti per rendere commestibile l'erba se poi non si poteva impiantare uno stabilimento permanente per lavorarla.
Ma, per quanto immerso negli affari sempre più giganteschi della Pemmican e Industrie Associate, come si chiamava ora l'azienda, non mi riusciva di staccarmi dall'erba. A ogni ora giungevano rapporti sui suoi progressi verso est. Tutti quanti non parlavano altro che della formula della Francis, che lei si era decisa a rivelare: non c'era uomo, donna o bambino che non sognasse di trovare il modo di fermare e distruggere l'erba, diventando così un benefattore dell'umanità.
L'erba non solo non si fermava, ma non rallentava davanti a niente. Lambì le sorgenti del Rio Grande e seguì il corso del fiume fino al golfo del Messico con la velocità del mercurio che scorre dentro un termometro rotto. Si mangiò Colorado, Oklahoma e Kansas; dette un assaggio al fiume Piatte; risparmiò il Gran Lago Salato, che circondò come una massa di detriti circonda una scheggia di diamante.
La perdita dei grandi pascoli del West fece aumentare la richiesta dei nostri cibi concentrati del mille per cento. I prodotti che importavamo dalle nostre fabbriche in Sudamerica erano esentasse: infatti facevamo al nostro paese il servizio umanitario di prevenire una immensa carestia spedendo verso Ovest un vagone dopo l'altro di 'cibi: non mossi da avidità di denaro ma rinunciando ad aumentare i prezzi malgrado la domanda fosse enormemente cresciuta.

Capitolo XL

Circa in questo periodo apparve evidente che Button Gwynnet Fles non era più di nessuna utilità per l'azienda. Aveva una mente limitata, incapace di vedere le cose in una prospettiva mondiale: considerata la nostra grande espansione questa angustia mentale era divenuta un ostacolo intollerabile.
Gli avevo lasciato qualche azione e la carica di segretario per essere in regola con la legge, ma ora avevo bisogno di dipendenti fidati che gestissero le mie altre aziende. Inoltre, ora avevo il generale Thario, che era in grado di assistermi molto meglio. Allora, sforzandomi di superare una certa riluttanza dovuta al mio animo troppo sensibile, fui costretto a silurarlo, e divenni io, in quanto presidente generale della società, presidente del consiglio d'amministrazione.
Devo purtroppo dire che lui accolse questa decisione, presa per il bene dell'azienda, con malagrazia. - Era mia, Weener; voi sapete che era mia, e non ho mosso un dito quando me l'avete rubata: anzi, ho lavorato lealmente e onestamente per voi. No, non sono i soldi, Weener: è l'idea che qualcuno mi sbatta fuori dalla mia azienda. Lasciatemi almeno rimanere nel consiglio d'amministrazione: non vi darò mai grane, ve lo giuro.
Questo atteggiamento, tra lamentoso e servile, mi urtò; inoltre, le necessità della società mi legavano le mani. Poi mi aveva anche dato noia il fatto che parlasse di rubare, quando io ero venuto in possesso della Pemmican con una transazione perfettamente legittima; non solo, ma mi ero anche comportato con grande generosità non denunciando la sua attività truffaldina. E poi la sua baracca non aveva niente a che vedere con l'impero industriale che avevo costruito con le mie sole forze.
Lasciai quindi tutto quanto nelle mani del generale Thario e andai in Europa per estendere ulteriormente le nostre attività. Là trovai una disponibilità a venirmi incontro perfino eccessiva, un servilismo cui, da buon americano, non ero abituato. Gli europei non erano molto ottimisti sul destino dell'America e pensavano che io mi fossi rivolto all'Europa per sfuggire alla catastrofe che minacciava tutto il paese, come del resto aveva già fatto buona parte dei ceti superiori statunitensi. Solo in Inghilterra trovai un po' più di ottimismo: dopotutto, gli inglesi sono un po' come noi.
Tornai in patria il giorno stesso in cui l'erba raggiungeva le sorgenti del Mississippi.

Capitolo XLI

William Rufus Le Ffacasé sorprese me e ogni altro giornalista dando le dimissioni dal "Daily Intelligencer". Quando gli telefonai per dirgli di venire nel mio ufficio per darmi le necessarie spiegazioni, si rifiutò con tono e maniere che non udivo da quando sprecavo il mio talento lavorando per lui. Non sono uomo, io, da impuntarmi per una questione meschina di puntiglio personale: poiché dunque lui non voleva venire da me, andai io da lui.
Mi sorpresi per la terza volta: al posto della famosa spilla di diamanti ora aveva un colletto alto e lucido con una cravatta grande e vistosa. Inoltre, invece della tabacchiera, aveva in mano un pacchetto di sigarette ordinarie.
- Weener - mi salutò trascurando ogni più elementare forma di cortesia, - credevo che non avrei mai più rivisto la vostra faccia insulsa; ma visto che siete qui, con i sacchetti di monete che vi pendono tra le cosce al posto dello scroto, organo di cui siete impossibilitato a far uso, vi dirò che potete prendervi il mio giornale. Il mio giornale, sissignore: poiché malgrado i vostri sozzi intrallazzi, resta pur sempre una mia creatura. Potete prendervelo, dicevo, e infilarvelo a mo' di supposta. Spero che vi buchi gli intestini, Weener, per amore della vostra anima squallida ma immortale. Spero sinceramente che vi strozzi. Metterete certo qualche pennivendolo al mio posto, qualche miserabile leccapiedi: ma il cuore e lo spirito dell'"Intelligencer" vengono via con me.
- Che succede, Bill? Volete più soldi? Non avete che da chiederli. Entro limiti ragionevoli, naturalmente.
Cercò la tabacchiera ma trovò solo le sigarette, che osservò perplesso. - Weener, voi siete al disopra del bene e del male: nel senso che siete il prototipo di tutti i rapinatori, gli assassini, gli stupratori, i falsari, i ricattatori, i tagliagole e i tagliaborse, Ì briganti e i ruffiani, le sanguisughe e i vampiri, i pescicani e gli affamapopolo, gli usurai e i figli di puttana da quando Giacobbe ha fregato suo fratello. I vostri meschini allettamenti non hanno presa su di me: sono troppo vecchio per volere donne o denaro. La sabbia che mi resta è molto poca, e mai più ora potrò leggere l'immortale Hobbes: ma non morirò in una delle vostre sozze gabbie. Eccomi qui, le vostre catene sono cadute: vedete qui davanti a voi un giornalista indipendente, collaboratore della "North American Newspaper Alliance", l'uomo che dedicherà quanto rimane della sua vita a descrivere in prosa nitida e viva l'avanzata dell'erba che strangola il paese, così come voi avete cercato di strangolare me.
Ancora una volta misi da parte ogni sentimento personale. - Se davvero avete deciso, vorrei i vostri articoli per l'"Intelligencer", Bill.
- Signore, potrete continuare a volere finché vi pare.
Non aveva senso mettersi a discutere con un pazzo, e così presi i provvedimenti necessari per sostituirlo seduta stante.

Capitolo XLII

Ormai i due terzi della nazione erano perduti, e centocinquanta milioni di persone si accalcavano nel poco spazio rimasto: inevitabilmente, l'economia cominciò ad andare a rotoli. La disoccupazione dilagava, il denaro non valeva più niente (l'unica moneta che circolava illegalmente era la sterlina), la fame si estendeva sempre di più.
A ogni elezione un partito diverso prendeva il potere: i votanti non volevano altro che qualcuno fermasse l'erba. Poiché nessuno ci riusciva, l'insoddisfazione e la rabbia crescevano di pari passo col panico e col disordine economico e sociale. I messia e i führer spuntavano come funghi. Ogni giorno c'erano tumulti in tutte le città maggiori; in molte zone le bande di briganti sopravvivevano esigendo un tributo da tutti coloro che passavano nel loro territorio.
Il governo tolse la cittadinanza a tutti coloro che erano nati all'estero e dispose che venissero immediatamente deportati nei paesi d'origine. Gli ebrei che risiedevano negli Stati Uniti da meno di tre generazioni vennero rimandati in Israele: tutti gli altri vennero privati dei diritti politici per incoraggiarli ad andarsene, I neri pensarono di emigrare in massa in Africa: il programma si rivelò irrealizzabile perché non c'era denaro con cui pagare il trasporto.
Ma lo sconvolgimento e la disperazione della nazione ebbero una conseguenza inaspettata: il fiorire delle arti. I romanzi uscivano a fiumi dalle rotative; i libri di poesia occuparono uno spazio sempre maggiore nei cataloghi delle case editrici: i poeti senza editore ciclostilavano la loro produzione e la diffondevano tra gli amici; i pittori lavoravano con un entusiasmo non più riscontrato dal Rinascimento, e dipingevano con una rapidità e perfezione incredibili. Tutta la nazione si gettò in braccio alla cultura. In occasione della prima della "Sinfonia dell'Erbadiavolo", di Orpheus Crisodd, una folla enorme ascoltò in silenzio gli altoparlanti che diffondevano la musica all'esterno della Carnegie Hall, piena da scoppiare; quando i corni e i timpani annunciarono il culmine del sesto movimento, la folla pianse.
L'erba agiva anche sulle arti per così dire minori: ogni giorno Superman lottava con successo contro l'invasore: peccato che queste lodevoli imprese fossero confinate nella pagina dei fumetti. Anche Lil Abner aveva il suo da fare con l'erba. Da ogni radio e da ogni giradischi si sentiva il "Blues dell'Erbaverde; fino a che "Da quel piccolo seme è nata l'erba mostruosa" non lo sostituì.
Anche l'architettura e l'edilizia ne furono influenzate, e in un modo estremamente bizzarro: tutti costruivano per l'eternità, anche se l'erba poteva inghiottire i loro sforzi una settimana dopo. A New York si terminò finalmente la cattedrale di San Giovanni e se ne iniziò un' altra dedicata a San Giorgio. Ora si costruivano case pensate per durare anche per i pronipoti, e non solo per attirare i clienti prima che l'intonaco cominciasse a screpolarsi.
Naturalmente, gli uomini di buon senso come me e Stuart Thario non si lasciavano trascinare da questa atmosfera. Noi eravamo ottimisti sul futuro del paese, ed eravamo sicuri che prima o poi si sarebbe trovato un modo per fermare l'erba; tuttavia, per precauzione (quasi per bilanciare il nostro entusiastico patriottismo), facemmo qualche investimento sui mercati europei e affrettammo la costruzione di nuovi stabilimenti un po' dappertutto.

Capitolo XLIII

George Thario era una croce che il generale doveva sopportare, sebbene non parlasse mai di lui se non con il massimo affetto. Viveva come un vagabondo (una istantanea ce lo mostrava con la barba lunga, vestito di una tuta sporca, un braccio intorno alle spalle di una ragazza dall'aspetto poco pulito), sempre ai confini dell'erba. Ecco cosa scriveva da Galena: "L'aquila è dimenticata. Il reietto è accettato: l'aquila di ieri è l'aquila di oggi, l'eroe è uomo e ogni uomo è il proprio eroe. Ero con lui quando morì, e anche quando morì di nuovo; cento chilometri più a sud un'altra aquila viene dimenticata e tutte le praterie, di nuovo verdi, torneranno a essere quelle che erano prima che l'uomo le violasse. O aquila dimenticata. O prateria contaminata. O forche, folla assetata, coltello, torcia e pistola. La contumelia e il provincialismo, la miopia intellettuale: scomparse per sempre; e anche la lungimiranza, l'aquila dimenticata è l'uccello nazionale, il grande che si mescola con ciò che è più grande.
"Ho pronunciato il nome di tutti gli stati, e le sillabe una volta grandi hanno suscitato solo echi silenziosi. Mia sorella, la mia sposa. Andate per sempre; ora i carri dei pionieri non hanno più una pista da seguire, e il Little Big Horn non è che una accozzaglia di sillabe. Abbiamo distrutto quello di cui ci eravamo impossessati: ora siamo distrutti e espropriati.
"Sono costretto a spostarmi ancora. Passo a passo ho riconsegnato la terra che ci siamo presi. Ogni metro perduto rende ciò che ci rimane più prezioso. O terra preziosa, o suolo caro e fruttifero. Le sue zolle sono me: io le mangio, ridatemele; il legame è indissolubile. Anche la terra che se ne è andata è ancora mia, che vi possano riposare le mie ossa: io ho mangiato i suoi frutti e l'ho contrassegnata con la mia impronta.
Tutto questo per dire che l'erba s'era presa l'Illinois, Non posso fare a meno, per una questione di contrasto, di citare quanto diceva Le Ffacasé, sebbene i suoi difetti fossero di tipo esattamente opposto a quelli di George Thario: "È arrivata nel Kentucky, ora, la patria di Abramo Lincoln, sedicesimo presidente degli Stati Uniti, un paese che una volta si stendeva da un oceano all'altro. Sono stato in quel che rimane della patria di Lincoln. I duchi non emigrano, diceva Chesterton. Questo paese è stato colonizzato da uomini poveri e frugali: ora solo i poveri e i frugali non se ne sono ancora andati.
"In effetti, i duchi emigrano: e questo fa aumentare i prezzi in modo tale che ormai è conveniente esportare solo diamanti o la propria pelle. I risparmi di tutta una vita non possono neanche pagare il passaggio in coperta per un bambino di un anno. Inoltre, non esistono navi a sufficienza in tutto il mondo per trasportare duecento milioni di persone. Se non si ferma l'erba, essa, coprendo l'America, coprirà anche gli americani.
"Non ci meraviglia se la nostra gente vive emozioni contraddittorie. Apatia? Certo che c'è apatia. La si scorge nei volti degli assistiti che fanno la coda per un pugno di cibo concentrato. Disperazione? Certo: guardate le rivolte e i saccheggi. Le chiese sovraffollate, la droga e l'alcol che scorrono a fiumi, le orge sessuali pubbliche a Baltimora, Philadelphia, Boston: tutti sintomi di disperazione.
"Forse solo nel profondo sud, ancora protetto dall'ampio corso del Mississippi, c'è qualcosa di simile alla speranza. Qui i signori se ne sono andati, e i poveri bianchi, lasciati soli, si sono chiusi in un languore molle. Qualche nero è fuggito, ma alla maggior parte di loro l'erba non fa paura: hanno sopportato tanto. Ora, per la prima volta dal 1877, ci sono governatori e politici di colore. Fanno leggi come se la vita dovesse durare per sempre: abolita la proprietà terriera, hanno espropriato le grandi piantagioni e le hanno trasformate in cooperative; hanno rimesso in vigore lo Homestead Act del 1862, e ogni cittadino ha diritto ai suoi centosessanta acri. Si deridono queste iniziative, ma esse stanno cambiando la faccia dello stato".
Tutto quello che scriveva Le Ffacasé non solo era spento e senza vita, ma falso e parziale. In effetti, i capitali stavano abbandonando il paese: ma che altro potevamo fare? L'industria in questo clima di demoralizzazione era poco produttiva. Comunque, le fabbriche restavano: quando si fosse trovato il modo di fermare l'erba, saremmo stati felicissimi di riaprirle. Era una cosa logica, così come ora la cosa logica da fare era esportare i capitali. Tra l'altro, le paghe ora negli Stati Uniti erano così basse che sarebbe stato più conveniente adoperare manodopera statunitense che quella, più cara, dell'America Latina o dell'Europa.

Capitolo XLIV

Ora non avevo più una residenza stabile, ma stavo un po' a Rio e un po' a Buenos Aires, un po' a Melbourne e un po' a Manchester. Il generale Thario e famiglia abitavano a Copenhagen per sorvegliare le nostre proprietà europee, estese quanto quelle in America Latina. Ogni volta che tornava negli Stati Uniti andava a trovare suo figlio: impresa non facile, visto che non si sapeva mai dove fosse, e che per andare da est verso ovest bisognava andare controcorrente, in senso opposto ai milioni di profughi che fuggivano l'avanzata dell'erba. Joe aveva sposato la ragazza della fotografia, o comunque si era messo con lei su base permanente (non ho mai saputo bene come stesse la cosa, e i Thario erano deplorevolmente disinvolti nelle cose di questa natura).
La prima neve di quel brutto inverno fermò l'avanzata dell'erba, che rallentò e si fermò prima nell'estremo nord. Ma ora non c'erano più dubbi: il Cynodon Dactylon, una volta tanto sensibile al freddo, si era ricoperto di uno strato protettivo e si era adeguato al gelo e al ghiaccio, andando in ibernazione durante l'inverno e riprendendo a vegetare vigorosamente in primavera.
L'erba si estendeva ora dall'Alaska alla Baia di Hudson, ricoprendo tutto il Manitoba e una parte dell'Ontario. Si era preso il Minnesota, la penisola settentrionale del Michigan, il Wisconsin, una gran fetta dell'Illinois, e era trattenuta solo dal basso corso del Mississippi, da Cairo alla foce. La parte nord-occidentale del Messico era partita, e l'erba si stava muovendo, anche se lentamente, verso il Golfo.
La vita era spaventosa. Malgrado il petrolio del Texas, ancora libero, non c'era carburante a causa dell'impossibilità di trasportarlo. La gente si scaldava bruciando i mobili in stufe improvvisate. I pompieri ebbero molto da fare, quell'inverno: tanto più che non c'era benzina né pneumatici. Enormi incendi spazzarono via Buffalo, Akron, Hartford. Era impossibile ritirare la spazzatura o liberare le strade dalla neve. La rottura degli acquedotti e la mancanza di manutenzione delle fogne provocarono immense epidemie di tifo, di vaiolo, di colera e di peste bubbonica. Malgrado le centinaia di migliaia di morti, l'affollamento era spaventoso: infatti, i profughi, che avevano provvisoriamente trovato rifugio nelle scuole, chiuse ormai da lungo tempo, erano disposti a qualunque sistemazione pur di fuggire da quei lazzaretti.
Non si poteva - più uscire in strada la notte, come nella Londra del sedicesimo secolo. Nelle città maggiori solo qualche lampione qua e là era ancora acceso; nelle città più piccole, non c'era illuminazione stradale. Si verificavano poche rapine compiute da singoli (forse per la paura che qualcun altro potesse privare il rapinatore del suo bottino), ma pullulavano le bande poco numerose e decise, che minacciavano la vita e la proprietà dei cittadini. La gente viveva sul filo del rasoio, e non aveva voglia di stare a discutere: i litigi più banali, che una volta si sarebbero conclusi con qualche ingiuria, ora finivano a colpi di pistola.
Poiché quasi tutti erano costretti all'illegalità per sopravvivere, scomparvero tutte le pene tranne la pena di morte. Gli imputati venivano giudicati in fretta, spesso sui due piedi, e raramente riconosciuti innocenti; le sentenze di morte venivano eseguite al tramonto, per risparmiare le razioni.
Nelle campagne la decadenza non era tanto massiccia. Non c'era benzina o gasolio per il trattore, è vero: ma spesso una batteria attentamente gestita permetteva di ascoltare i notiziari radio. I contadini ormai non dipendevano più dalla città, tranne che per qualche scambio, ed erano diventati del tutto autosufficienti. Si ritornò al sapone fatto con la cenere e il grasso immangiabile, ai giacconi di pelle di coniglio o di voi verone: ma il contadino non soffriva né il freddo né la fame, ed era anche ragionevolmente pulito.
I contadini si preparavano ad affrontare con determinazione un'altra prossima invasione: i milioni di persone che ora stavano nelle città e che ben presto, non potendo più acquistare alimenti concentrati, avrebbero dilagato per le campagne alla ricerca disperata di cibo. I contadini caricarono i fucili, cintarono i campi, vegliarono sul bestiame. Ma il pericolo era stato sopravvalutato: il proletariato urbano, malato e sottonutrito, non ebbe la forza di uscire dalla città. Spinte dalla disperazione, le folle assalirono qualche deposito semi vuoto, ma raramente si avventurarono lontano dai marciapiedi familiari. La fame riempì le strade di morti, mentre i contadini continuavano a mangiare.
Arrivai a New York col volo da Londra verso la metà di gennaio. In Inghilterra non mi ero reso conto di quanto la gente fosse pacifica e obbediente alle leggi, i funzionari cortesi, i facchini servizievoli senza essere servili. Il contrasto con Long Island era enorme. La decadenza era avvenuta poco per volta, ma a chi tornasse in patria dopo qualche tempo sembrava che ci fosse stata una caduta improvvisa, un crollo definitivo.
Tutti erano tesi, sull'orlo dell'isteria. I funzionari della dogana, indifferenti alla posizione sociale dei viaggiatori, o ispezionavano minuziosamente i bagagli o li facevano passare senza nemmeno aprirli. Le strade erano impraticabili a causa delle automobili abbandonate e delle immondizie. Le strade dei Queens erano popolate solo da rottami e da rifiuti: le case guardavano senza vedere dalle finestre rese opache dalla sporcizia. I grandi ponti sopra l'East River stavano andando in rovina, come mostrava qualche cavo qua e là che, troncato, penzolava sopra le acque; attraversarli era pericoloso, ma non c'era altro da fare.
Davanti alla porta del mio albergo una folla di uomini e ragazzi sporchi, vestiti di stracci, mendicava senza dignità il favore di portare i miei bagagli. Il tappeto dell'atrio era sporco e stracciato; nei grandi lampadari metà delle lampadine erano bruciate.
Sebbene l'albergo avesse un suo generatore d'elettricità, gli ascensori non funzionavano e l'acqua calda era razionata. Il copriletto non era pulito, la finestra impolverata, e in bagno c'era un solo asciugamani.
Presi il telefono per protestare, ma non funzionava. Credo che niente come quel silenzio totale mi fece capire che la civiltà che io conoscevo era finita. Il telefono, più dell'automobile, era stato il simbolo del modo di vivere americano, strumento essenziale per ogni transazione, ogni rapporto sociale, ogni storia d'amore. Senza telefono, si tornava non al calesse, ma al carro tirato dai buoi. Rimisi a posto il ricevitore e lo fissai a lungo prima di scendere.

Capitolo XLV

Ero tornato per il mio vecchio progetto: vedere se si poteva mettere l'erba nei miei cibi concentrati. Avevo cambiato idea sul fatto che fosse necessario uno stabilimento fisso vicino all'erba, ma ancora non eravamo riusciti a trovare il modo di rendere l'erba commestibile. Era molto difficile fare esperimenti nei miei laboratori all'estero perché c'erano leggi severissime che proibivano l'importazione dell'erba sotto qualsiasi forma. Tuttavia avevo ancora un minimo di personale nella mia fabbrica di Jacksonville, e dunque ero venuto per mettere insieme un po' di campioni in modo che il laboratorio si potesse mettere subito al lavoro; come si vede, il mio era un compito estremamente delicato.
Oltre a essere illegale, il mio programma non era nemmeno particolarmente vantaggioso sul piano economico: infatti, sebbene gli Stati Uniti fossero il mercato migliore per i nostri concentrati a causa della mancanza di ogni altro cibo, la moneta americana valeva tanto poco (un franco svizzero costava cinque dollari, e una sterlina 250) che non valeva più la pena di continuare a vendervi i nostri prodotti, Tuttavia, essendo io un buon cittadino, non esportavo capitali all'estero: mi accontentavo di comprare tutti i Rembrandt, i Tiziano, i Botticelli o gli El Greco che mi riusciva di trovare; oppure di comprare oro, visto che ormai Fort Knox non era che un inutile mucchio di metallo pesante.
Per prima cosa pensai alla signorina Francis. L'avevo persa di vista, ma il mio staff la rintracciò in una cittadina della Carolina meridionale. Visto che i telegrammi che le avevo mandato erano rimasti senza risposta, non potevo far altro che andare da lei di persona.
Il mio pilota oscillava dalla depressione all'allegria più sfrenata: sospettai che fosse dedito all'alcol. Volammo bassi su binari che correvano fino a sparire all'orizzonte vuoto, su ciminiere spente, su aeroporti dalle piste piene di buche. La terra sembrava verde e ricca: la civiltà industriale che le era stata imposta a forza era svanita lasciando solo lo scheletro dietro di sé.
Atterrammo in un piccolo aeroporto che sembrava in condizioni migliori degli altri. C'era solo un altro aereo, un vero pezzo da museo. Mentre osservavo quell'abbandono, vidi un nero alto venire verso di noi.
- Dove sono i responsabili dell'aeroporto? - gli chiesi con maniere alquanto brusche: infatti, non mi piace essere accolto da dipendenti d'infimo rango.
- Sono io che controllo i voli. Anzi, sono io tutto il personale dell'aeroporto.
Il mio pilota intervenne. - Ragazzo, dove sono i bianchi?
Il nero lo guardò senza battere ciglio. - Credo che in città troverete gente di ogni sfumatura, compresi alcuni del tutto bianchi. Cercate qualcuno in particolare o vi interessa solo la pigmentazione della pelle?
- Senti un po'...
Ritenni consigliabile spegnere sul nascere ogni possibile alterco. Ripensai agli articoli di Le Ffacasé sul profondo sud: evidentemente non erano gonfiati come avevo ritenuto allora, poiché quell'uomo di colore parlava con la sicurezza che deriva dall'autorità. - Cerco una certa signorina Francis, che abita a.,. - e gli dissi l'indirizzo. - Potete trovarmi un tassi o una macchina?
L'uomo sorrise con gravità. - Siamo sprovvisti di questi lussi, attualmente. Ma tra venti minuti c'è l'autobus.
Da molto tempo non ero costretto a subire i fastidi e le perdite di tempo dei mezzi pubblici. - Non c'è molto traffico, all'aeroporto - dissi per prendere tempo.
- Il vostro è il primo aereo che vedo in un mese.
- Mi chiedo come mai teniate aperto il campo.
- Facciamo quello che possiamo per salvare almeno le apparenze della civiltà. La sostanza, purtroppo, è quella che è, e non cambia per sciocchezze come i trasporti, la produzione, la distribuzione, l'istruzione o cosette del genere.
Sorrisi dentro di me. Questi neri, dopotutto, sono proprio come bambini. Mi venne risparmiato di ascoltare altre divagazioni perché arrivò l'autobus, risibile quanto la filosofia di quel nero. Era un veicolo ammaccato e rugginoso, senza motore e trainato da quattro muli dall'aria niente affatto soddisfatta. Mi sedetti cautamente su un sedile disfatto; notai che qualcuno aveva dato una mano di bianco ai cartelli che dicevano "Solo bianchi" e "solo uomini di colore": solo quel tanto di vernice necessario per dimostrare la volontà di cancellare le scritte senza cancellarle davvero.
La presenza della Francis, evidentemente, bastava a rendere ogni sua abitazione, si trattasse di un pollaio, di un appartamento o di un cottage, l'una esattamente simile all'altra. Niente è più sbagliato della credenza secondo la quale i cosiddetti intellettuali abbiano un cervello sveglio: infatti, lei mi accolse dicendo: - Salve, Weener, che c'è questa volta? Vendite o interviste?
Era inconcepibile che una persona non analfabeta non sapesse chi ero. - Né l'uno né l'altro. Sono venuto per farvi un favore.
Per aiutarvi nel vostro lavoro. - Le spiegai le mie intenzioni.
Lei si accovacciò sui talloni e mi guardò con quel suo sguardo inquisitore che ricordavo bene. - Così, avete ricavato qualcosa dal Metamorphizer, dopotutto - disse a sproposito. - Weener, voi siete un tipo coerente; meravigliosamente coerente.
- Vi prego di arrivare al punto, signorina. Ho molto da fare e sono venuto qui solo per parlare con voi. Accettate?
- No.
- No?
- Non credo di poter conciliare le mie ricerche col vostro programma alimentare. Questo non toglie che possa ricorrere a voi perché possiate sostenere una buona causa. Ma non sono ancora pronta, né lo sarò per qualche tempo, per lavorare direttamente sull'erba. Questo verrà in seguito. No, Weener.
Io ero esasperato per aver ceduto all'impulso di fare un favore a quella pazza. Pur non potendo modificare là mia natura caritatevole, mi proposi di essere più cauto per il futuro.
Me ne andai per le strade sonnolente, colpito dalla mancanza di tensione e di ansia così presenti a New York. Evidentemente il profondo sud soffriva di meno per le preoccupanti prospettive del paese; attribuii la cosa a una spensieratezza infantile.
Camminavo assorto nei miei pensieri, a testa bassa. Quando rialzai gli occhi mi trovai di fronte la bella sconosciuta cui avevo dato un passaggio da Los Angeles a Yuma.
Sono certo di aver aperto la bocca, ma non riuscii a spiccicare parola. Lei si stava allontanando in fretta, sola e bellissima. Credo di aver proteso una mano, o di avere fatto un gesto del genere per fermarla, ma non mi vide. Quando mi ripresi, era scomparsa.
Andai ad aspettare l'autobus, chiedendomi se avevo avuto una allucinazione.

Capitolo XLVI

Sapevo, comunque, chi avrebbe potuto sovrintendere alla faccenda dell'erba: George Thario.
Il breve viaggio fino a Indianapolis fu molto noioso, essendo identico al primo. All'arrivo non trovammo nessun nero in vena di fare il filosofo: l'aeroporto era completamente deserto, e io fui sollevato al pensiero che ci rimaneva abbastanza benzina per il viaggio di ritorno.
Trovai Joe in un'immensa camera ammobiliata dal soffitto altissimo. La casa era brutta e grigia, ma la stanza era riscaldata. Per la prima volta da quando ero arrivato in America smisi di avere i brividi. Nel caminetto bruciava un bel fuoco, e una stufa a cherosene puzzava con ostinazione all'altro angolo della stanza. Di fronte alle finestre alte e strette c'era un pianoforte a coda coperto di carte.
Mi accolse quasi con affetto. - Il vecchio pescecane in persona! Lavoratori di tutto il mondo, rimettetevi le vostre catene! A. W., che piacere! E così ben messo e tranquillo, quando tutti sono a pezzi. Ma come fate?
- Guardo il lato positivo delle cose, Joe. Preoccuparsi non serve a niente, e si fa meno fatica a sorridere che a mettere il broncio.
- Hai sentito, Florence?
Non l'avevo notata, entrando: l'originale dell'istantanea se ne stava tranquillamente seduta in un angolo a rammendare una calza. Devo riconoscere che la fotografia non le aveva reso giustizia, perché sebbene avesse indubbiamente un'aria ordinaria e sciatta, seni pesanti e guance rosse e i capelli tinti in un modo incredibile, dava un'impressione di vitalità, di gentilezza e di buon carattere.
- Hai sentito? Devi ricordarmi, quando sono alle prese con un movimento che non mi torna o con un assolo che non lega, che si fa meno fatica a sorridere che a imbronciarsi. Perché mi sono messo a lavorare, A. W.: gli ozi sono cosa del passato. Ricordate la "Sinfonia dell'Erbadiavolo" di Crisodd? Una falsificazione spaventosa, un insulto personale per chiunque abbia visto l'erba da vicino: un cattivo Schoenberg unito a reminiscenze del Wagner più volgare (ammesso che questa non sia una tautologia), con più che un ricordo di "Mi piace moltissimo la rosa" e "Bella bambola". Ma di che vado parlando, A. W., dal momento che siete immune dal virus della cultura? Cosa interessa a voi la sinfonia di Crisodd o la mia sinfonia o qualunque sinfonia? Tranne forse una polifonia di profitti.
- Spero che nessuno mi ritenga un uomo gretto, Joe. Oserei dire che le arti mi interessano quanto a chiunque altro. Ma, sebbene ritenga che la musica sia un'ottima cosa nel posto e nel momento giusto, sono venuto per parlarvi d'altro.
Se volete convincere Joe a venire in Europa con voi siete venuto per niente - disse placidamente Florence. - Ha finito il primo movimento e non lascerà l'erba prima di aver terminato il suo lavoro.
- Voi mi fraintendete, signora Thario. Vorrei fare un'offerta a vostro marito che, lungi dal portarlo lontano dall'erba, lo porterà ancora più vicino ad essa.
- Impossibile - esclamò Joe. Lo guardai più attentamente e vidi che era dimagrito. La carne si era come contratta sulle ossa, e le linee del cranio spiccavano nette. I capelli erano spruzzati di grigio; le dita giocherellavano nervosamente con la barba mal curata. Non sembrava più l'uomo che aveva lasciato il lavoro per correre dietro un'ossessione, e che si era fatto mantenere da quello che gli passava suo padre.
Gli esposi i miei piani per procurarsi campioni di erba. Florence si mise l'ago tra i denti e ispezionò un paio di calze molto ordinarie, Joe si sedette al pianoforte e suonò qualche nota discordante.
- Mi risulta che si facciano molte spedizioni sull'erba - dissi.
- In continuazione - confermò Joe. - C'è un gruppo mandato da Fratello Paul che si chiama Santificazione del Precursore. Dio sa quanti milioni ha rastrellato, quell'uomo: sono tutti equipaggiati con i ritrovati più moderni, sci e slitte, macchine fotografiche, radio e grandi quantità del vostro migliore pemmican. Sono partiti non appena la neve era in grado di reggere il peso di un uomo. Se quest'anno il disgelo arriva in anticipo faranno la fine dei Russi. Poi c'è un gruppo finanziato dal governo, quello inviato dalla Commissione per il Diserbo, che a quanto pare ha finalmente avuto un'idea: quale, non si sa. Ci sono anche gruppi più piccoli: scienziati e pseudoscienziati, o fanatici convinti che sulla neve che copre l'erba vaghino un mucchio di animali; come ci siano arrivati, però, non è chiaro, e allora bisogna che ci vadano per fotografarli o per cacciarli o per mettere trappole; e poi ci sono anche quelli che ci vanno per il gusto di farlo. Ci saremmo andati anche noi se non dovessi finire la mia sinfonia.
- È una sinfonia sull'erba?
- È una sinfonia su suoni accordati tra di loro - e così dicendo batté più forte sui tasti traendone note ancor più discordanti. - O sulla vita, se si vuole parlare come un programma di concerto.
- Se vi uniste a una di queste spedizioni avreste la possibilità di raccogliere nuovo materiale - azzardai.
- Posso trovare nuovo materiale guardando fuori dalla finestra o fissando il mio ombelico o stando seduto sul cesso o tagliandomi un dito. Un compositore, un pittore, uno scrittore può avere bisogno di tutto, ma non di materiale: anzi, di solito è afflitto dall'eccesso di materiale. Può non avere tempo o energia o capacità o uno stomaco che funzioni: ma mai un capolavoro non venne realizzato per mancanza di materiale.
- Tuttavia vi siete legato all'erba.
- Non per prostituirla a quel po' di talento che possiedo, ma perché è la cosa più stupenda del mondo.
- Allora, naturalmente, ci andrete.
- Perché non ci andate voi, A. W.? Fa bene vivere all'aperto per un po'.
Non riuscii né a capire né a scuotere la sua ostinazione; quando me ne andai avevo quasi rinunciato al mio progetto, perché non sapevo chi altri avrei potuto mandare. Una mia partecipazione personale era inimmaginabile: da un pezzo ormai avevo raggiunto una posizione tale per cui simili dettagli andavano delegati ai miei dipendenti.

Capitolo XLVII

Decisi di tornare al mio albergo a piedi. I tassì naturalmente erano scomparsi insieme alla benzina, ma gli uomini più intraprendenti avevano congegnato delle specie di risciò. La notte era chiara e fredda. Da ogni parte il lezzo della città distrutta mi giungeva alle narici.
- Nel nome di Gesù Cristo, amen. Fratello, tu sei salvato? - Vedendo una figura scura staccarsi dal muro avevo pensato subito a una rapina, ma quello strano saluto mi fece ritenere la cosa improbabile.
- Cosa volete?
- Fratello, tu sei cristiano?
Ripresi a camminare; l'uomo si mise al mio fianco. - Non indurire il tuo cuore, miserabile peccatore, ma getta il tuo orgoglio. Non mostrarti grande e potente, poiché i grandi saranno piccoli e i potenti deboli; tra breve sarai pronto per l'Erba. L'Erba è il cibo del Bue, il Bue divino dai sette corni che scenderà sul mondo tra squilli di tromba dopo l'avvento del Precursore.
Sapevo della grande diffusione della pazzia, in quei tempi, e sperai di arrivare sano e salvo in albergo. - Come vi chiamate? - chiesi per prendere tempo.
- Chiamami Fratello Paul, poiché un tempo ero Saul il peccatore; ora sono tuo fratello in Cristo.
- Fratello Paul! Quello che predica per radio?
- Siamo tutti egualmente peccatori davanti a Colui che tutto vede, ed Egli non bada a come gli uomini si chiamano tra di loro. Tutti coloro che hanno trovato Gesù Cristo con l'aiuto di Fratello Paul si chiamano Fratello Paul. Accostati alla misericordia divina, miserabile peccatore, e sii anche tu Fratello Paul.
Pensai che la cosa potesse ingenerare confusione. - La religione mi ha sempre interessato.
- O uomo meschino. Interessato alla vita e interessato alla morte, interessato alla religione e interessato ai piaceri della carne. Abbandona questi interessi che paghi al diavolo in cambio di un'ipoteca sulla tua anima: il tuo Salvatore ti aspetta nel cuore dell'Erba: non rifiutarti di donare a Lui la tua anima preziosa. In questo preciso momento il Precursore viene santificato, e dopo di lui verrà il Bue a mangiare l'Erba, e allora sarà la fine del mondo. Dona a Fratello Paul i tuoi inutili averi terreni e affretta la venuta di quel giorno glorioso. Alleluia!
In altre circostanze, pensai, un uomo così potrebbe diventare un impiegato capace o un piccolo executive. Improvvisamente mi venne un'idea. - Sentite un po', signor,..?
- Fratello Paul. Il mio nome mondano è dimenticato.
- Vorrei parlarvi: venite con me. Basteranno pochi minuti: ho una proposta da farvi.
- Si tratta di qualche allettamento profano per distogliermi dalla retta via?
- Intendo offrire un aiuto materiale alla vostra Chiesa.
- Io non ho Chiesa. Noi siamo veri cristiani, e non riconosciamo nessuna delle istituzioni umane.
- Bene, allora al vostro movimento, comunque vogliate chiamarlo. - Malgrado la sua riluttanza, lo convinsi ad accompagnarmi. Si sedette, a disagio, e io gli spiegai il mio piano per procurarmi un po' d'Erba.
- Che m'importa? Da lungo tempo ho messo da parte le cure terrene: ora perseguo solo la vita dello spirito.
Dev'essere vero, pensai, osservando la sciarpa unta e incrostata di sudiciume, le scarpe rotte, le calze una nera e una marrone. - Ecco allora come faremo: se non volete la ricompensa per organizzare è dirigere la spedizione, vuol dire che la verserò direttamente a Fratello Paul. Tenete presente che ho intenzione di essere generoso.
- Vade retro, Satana - rispose lui scuotendo la testa. Non mi diedi per vinto e cercai ancora di convincerlo.
- Va bene. Parlerò della cosa con Fratello Paul - cedette infine.
- Credevo che le distinzioni umane fossero cosa profana e irrilevante. Non siete voi Fratello Paul?
- Vade retro, Satana - ripeté.
Sono sicuro di aver scelto quell'uomo per una di quelle intuizioni che fanno il vero dirigente. Dire intuizione non è esatto: si tratta piuttosto della capacità di valutare e di classificare gli uomini a colpo d'occhio. Si tratta di una capacità che ho da sempre: mi serviva anche nel ramo vendite, ma si è sviluppata soprattutto quando mi sono dato all'attività che più mi si confaceva.
Anthony Preblesham, questo era il suo nome mondano, non deluse le mie aspettative: dimostrò di essere uno degli uomini più aggressivi che avessi mai assunto. Quella faccenda del Fratello Paul, che mollò quasi subito, serviva solo a inquadrare e a finalizzare la sua enorme energia: e nella Pemmican trovò la sua fede più vera; lo zelo che mostrò per i nostri prodotti fu perfino superiore al fanatismo di quand'era uomo di religione. Non fu per colpa sua che la spedizione che lui guidò non portò a niente.
Tony Preblesham raccolse un po' di Fratelli Paul e, giacché costoro disdegnavano ogni ricompensa materiale, per delicatezza tacque dell'aspetto finanziario della spedizione. Si accamparono sulla neve che ricopriva l'Erba vicino alla ex Springfield, Illinois. Fecero una buca nella neve e scoprirono che l'Erba, per così dire in letargo, aveva perso quella sua consistenza gommosa che ne rendeva così difficile il taglio. Ne raccolsero quindi più di quattro tonnellate, che inviarono nel mio laboratorio in Florida. Per farla breve, il loro lavoro non servì a niente, perché non si riuscì a trovare un metodo pratico per estrarre dall'Erba i suoi principi nutritivi.

Capitolo XLVIII

Tutti aspettavano con estrema preoccupazione l'arrivo della primavera; ma l'Erba, disdegnando gli almanacchi umani, non attese fino allo scioglimento delle nevi: passò d'un balzo il Mississippi, vicino a Natchez, e corse per tutto il Sud come acqua che esce da una botte fracassata. Le nobili riforme dei legislatori neri vennero spazzate via più in fretta di quelle tentate dai loro nonni nel 1877, La fertile terra del tabacco e del cotone aprì le braccia all'Erba; le paludi e i torrenti in piena pomparono linfa nell'esercito verde. L'Erba si estese verso sud e verso est; quando giunse la primavera risalì verso nord e si collegò con le avanguardie provenienti da ovest.
La capitale fu trasferita a Portland, nel Maine. La legge e l'ordine scomparvero. Le grandi bande s'impadronirono delle città e cominciarono a spremerle. I servizi pubblici smisero di funzionare del tutto; quel po' di merci rimaste si potevano avere solo con lo scambio in natura; un'epidemia dopo l'altra ridussero la popolazione in modo che potesse essere contenuta nei nuovi, più angusti confini.
Fratello Paul si moltiplicò all'infinito attraverso i suoi discepoli, che senza interruzione pregavano affinché nessuno opponesse resistenza all'Erba. Le rare apparizioni in pubblico di Madre Joan attiravano folle enormi. Così essa pregava: "Date la vostra anima a Gesù e il vostro corpo all'Erba. Io sono il Precursore: dopo di me verrà il Bue. Rallegratevi, fratelli e sorelle, poiché questa è la fine della sofferenza".
A piedi, raramente con l'aiuto di un cavallo o di un asino, la popolazione in preda al panico si mise in marcia verso nord e verso est. I funzionari di dogana canadesi, ansiosi di applicare le leggi sull'immigrazione con la massima larghezza, vennero spinti da parte. I profughi si sparsero come locuste lungo il corso inferiore del San Lorenzo, divorando ogni bene degli abitanti, I più forti si spinsero nel Labrador deserto e desolato, armati come i loro antenati solo di un'ascia e di un fucile. Questi si spinsero oltre il circolo polare, fin sulla banchisa, alla ricerca di un posto che fosse al sicuro dall'Erba. I biglietti per l'Europa e il Sudamerica balzarono a cifre assolutamente proibitive.
Io chiusi i miei affari, deluso dall'impossibilità di trovare una utilizzazione dell'Erba, ma riservandomi di tornarci sopra in futuro, e disposi affinché lo stabilimento in Florida fosse trasferito a Brazzaville. Rischiai la vita andando ancora una volta nell'interno per convincere Joe a venire via con me. Trovai i Thario in un paesino degli Allegheny, una volta villaggio di vacanze. L'Erba stava proprio sulla cresta di una montagna vicina, sostituendo il profilo accidentato degli Appalachiani con un orizzonte verde più morbido e più sinistro.
Li trovai sereni: Joe era meno sciupato della volta precedente. - Sono a metà del terzo movimento. Ecco qui. - Mi porse una busta. - Questi sono i primi due movimenti. Sono le uniche copie e non posso fidarmi della posta o dei corrieri per spedirli. Se possibile manderò al Vecchio il terzo movimento non appena l'avrò finito; anche il quarto, se faccio in tempo. Comunque, prendete questi; almeno saprò che si sono salvati.
- Joe, Florence! Venite via con me. Potreste continuare a comporre in Europa: in Francia, o in Inghilterra. Il paese ormai è finito, senza speranza: venite via, finché potete.
Florence non disse niente. Joe mi mise la mano sulla spalla per un secondo, e poi la tirò via e cominciò a parlare guardando l'Erba fuori della finestra. - Il generale Herkimer ebbe le gambe troncate nella battaglia di Oriskany. Schierò gli uomini contro una palizzata di tronchi e con un fucile a pietra focaia fece fuoco contro il nemico finché non morì dissanguato. Il Commodoro Lawrence, mortalmente ferito, trovò la forza per dare un unico ordine: resistere. Se finisco la mia sinfonia...
- Quando finirete la sinfonia...- lo corressi.
- Se finirai la tua sinfonia... - disse piano Florence.
- ... questo succederà nel Maine, nel New Hampshire, nel Vermont. - Continuò a parlare in tono sommesso, remoto: - Massachusetts, Rhode Island, Connecticut, New York, New Jersey, Pennsylvania - alzò la voce, - Maryland, Virginia, Carolina, Georgia, Florida...

Capitolo XLIX

"Stati Uniti, 4 luglio. Un ragionevole rispetto per l'opinione mondiale informa il contenuto di questo scritto. Una volta, un piccolo gruppo di contrabbandieri, di mercanti e di piantatori si unirono in un'insurrezione che attirò a sé una quantità tale di canaglie: debitori, carcerati, avventurieri, carrieristi, stranieri, utopisti, idealisti, rivoluzionari, soldati di fortuna e disadattati, da comprendere circa un terzo della popolazione, Dopo sette anni di guerra in cui subirono ogni rovescio, compreso quello di trovarsi di fronte un nemico tiepido, costoro stabilirono 4su questo continente una nuova nazione'. Certe frasi buttate lì nel calore della propaganda vennero prese sul serio e inscritte nel corpo delle leggi fondamentali.
"Il crittogramma è leggibile da destra a sinistra e da sinistra a destra o anche capovolto. Risorse in quantità inimmaginabili, il momento storico per caso propizio, la marea dell'immigrazione che condusse qui il sale della terra, quanto di buono c'era nei principi informatori produssero grandi risultati: un alto obiettivo, il genio creativo, la voglia di esplorare, lo spirito competitivo, l'entusiasmo fraterno. Ma perché continuare, quando il prodotto finale di tutto questo è qui, davanti ai nostri occhi?
"Non è appropriato che una nazione che si era denominata il Paese di Dio, nel senso di una terra fornita con abbondanza dalla natura, trovi la propria fine per volontà di Uno che si è comprensibilmente irritato? Non per porre sul tappeto la questione del giusto o dell'ingiusto, ma per menzionare di sfuggita le foreste spogliate, le praterie consumate, le terre rese infeconde, le pianure sconciate, il carbone, il gas, il petrolio sprecati; il ricco limo del Mississippi costretto a gettarsi senza risultati nel mare infecondo.
"In questo momento rimane una piccola parte, una parte penosamente piccola, degli Stati Uniti. Tra qualche settimana anche questo frammento scomparirà, coperto di verde come tutto il resto, coperto di verde come suole avvenire per le tombe. Per tutto il mondo gli Americani sono dispersi da questa nuova, tremenda diaspora. Per costoro, e per i loro figli, che verranno attentamente educati nelle formalità di un'antica civiltà, non ci può essere né il Quattro di luglio né il Thanksgiving Day; rimarrà solo una festività, che si ripeterà ogni giorno dell'anno: il Giorno della Commemorazione. W. R. L."
Questo fu l'ultimo articolo di colui che una volta fu un grande giornalista. Si ritenne che fosse morto insieme a tutti gli altri. Qualche tempo dopo venni a sapere invece una storia strana, sulla cui autenticità, però, non potrei giurare.
La irriverente profezia di Jackson Gootes si avverò, e Le Ffacasé ritornò in seno alla Chiesa. Divenne addirittura un frate laico, prendendo il voto del silenzio, Per quanto ormai vecchio, rimase nei pressi dell'Erba che non cessava di avanzare, dando tutta l'assistenza e il conforto di cui era capace ai profughi. Si dice anche che sia apparso all'improvviso, muto e sparuto, in un accampamento colpito da una epidemia di tifo, a portare acqua ai febbricitanti, a confortare con lieve tocco i disperati, a pregare in silenzio accanto ai moribondi.

Capitolo L

Quando tornò l'inverno, il Canada chiese a Westminster lo status di colonia della Corona: del Canada di una volta non era rimasto che la provincia di Quebec, la zona sull'Atlantico e una parte dei Territori del Nordovest.
Tutti gli Stati Uniti e metà del Messico erano ormai cancellati dalla carta geografica, Dal Pacifico all'Atlantico, da Nome a Vera Cruz si stendeva un nuovo Mar dei Sargassi fatto di Cynodon Dactylon. Duecento milioni tra uomini, donne e bambini erano stati scacciati dalla loro terra da un'erbaccia.
Non posso dire che gli altri continenti, tranne forse l'Africa, dove risiedevo, non abbiano risentito della scomparsa degli Stati Uniti, Sparita la concorrenza americana, il tempo della vita economica cominciò a rallentare sempre di più. Diminuì la produzione e crebbero i prezzi; i beni di lusso erano prodotti come e più di prima, ma le industrie non riuscivano a raggiungere la produzione di massa dei beni di prima necessità.
L'Unione Sovietica, dopo un' altra rivoluzione, economicamente era insignificante, ma politicamente dava parecchie noie essendo diventata la centrale della Quarta Internazionale. Il paese industriale di punta (carbone e acciaio) era ormai la Germania: ma non esercitava una egemonia trainante, limitandosi a ricoprire giorno per giorno un ruolo che le era toccato per caso; la Gran Bretagna, da sempre sul letto di morte ma mai cadavere, concertava la politica internazionale.
La Consolidated Pemmican e Industrie Affini era diventata una delle massime società mondiali. Compravamo pecore in Australia, bovini, grano e mais in Sudamerica, riso, miglio e uova in Asia, frutta e zucchero in Africa: lavoravamo questi prodotti e li rivendevamo in forma concentrata.
Gli Americani che si erano rifugiati tra i ghiacci non cercavano di vivere, ma di sopravvivere all'Erba. Oltre il circolo polare artico avrebbero forse potuto imparare a vivere come gli Esquimesi: pesci, foche, ogni tanto una balena gentile che si faceva buttare a riva dalle tempeste. Ma sarebbero davvero stati al riparo dall'Erba? La cosa non era certa. Si affollarono nella penisola di Terranova, sperando che il Golfo di San Lorenzo e gli angusti Stretti di Belle Isle li avrebbero protetti. Raggiunsero l'isola di Baffin; si costruirono imbarcazioni rudimentali e arrivarono in Groenlandia. Prima che l'Erba spazzasse via le loro famiglie e i loro compatrioti meno coriacei che si erano fermati nella Nuova Scozia e sull'isola Principe Edoardo, questi pionieri abbandonarono il loro continente d'origine; l'unico risultato fu di sterminare fin l'ultimo degli Eschimesi, che infettarono con le malattie portate con sé.
Nel sud il ritmo era più lento, lo sforzo meno isterico e più filosofico. Quando il peone messicano veniva a sapere che l'Erba era arrivata nel villaggio vicino, raccoglieva le sue poche cose e se ne andava. Da Tampico a Chiapas il paese si muoveva senza fretta verso sud, senza rimpiangere troppo le terre abbandonate, senza eccessivi affollamenti, non trascurando di fare la siesta a mezzogiorno; verso sud, con una rassegnazione al di là della rassegnazione.

Capitolo LI

A questo punto, il resto del mondo decise di dire basta: in tutta fretta si convocò a Londra un Congresso Mondiale per Combattere l'Erba. Dopo un estenuante dibattito e un gran numero di pareri discordanti espressi dagli esperti, si decise di completare lo scavo del canale del Nicaragua e di far saltare tutta la zona tra questo e il Canale di Panama. Si trattava di un'impresa colossale, destinata a costare molti miliardi di sterline e a impiegare un numero vertiginoso di operai, ma le nazioni del mondo si misero finalmente d'accordo. Mentre gli ingegneri organizzavano il lavoro delle ruspe e delle immense masse di operai, tonnellate e tonnellate di esplosivo giunsero a Colon da tutto il mondo. Riluttanti all'inizio, le nazioni alla fine giunsero alla decisione di inviare tutto il materiale bellico obsoleto. Le prigioni si vuotarono per fornire la manodopera; tutti coloro sprovvisti di regolari mezzi di sussistenza vennero ingaggiati forzosamente.
Con miopia incredibile, il Costarica protestò di fronte alla prospettiva di saltare per aria; ma alla fine il buonsenso e la solidarietà internazionale ebbero partita vinta, specialmente alla luce del fatto che si assegnò al Costarica un territorio due volte più grande nell'interno, tra Colombia e Venezuela. È vero che si trattava di una zona poco appetibile, che entrambe le nazioni avevano invano cercato di colonizzare.
Giorno e notte le cariche di esplosivo ad alto potenziale uccisero pesci e tramortirono uccelli in tutta l'America Centrale. Le pianure costiere sprofondarono nel mare, le montagne furono ridotte in polvere: un metro dopo l'altro l'istmo tra America settentrionale e quella meridionale si allargava sempre di più. Ma si avanzava a passo di lumaca in confronto all'Erba dilagante, che ormai aveva raggiunto l'istmo di Tehuantepec: le rovine della civiltà Maya vennero di nuovo sepolte. Quando finalmente le acque del Pacifico e quelle dell'Atlantico si mischiarono nel lago Nicaragua, l'Erba era ormai nello Yucatan, Quando i primi fili d'erba invasero il Guatemala, erano stati demoliti sì e no trenta chilometri del Panama settentrionale e si era appena cominciato a distruggere il Costarica.
Squadriglie di bombardieri polverizzarono l'ultima striscia di terra, e l'Erba fece la sua entrata trionfale nell'Honduras. Gli sterratori demolirono altri trenta chilometri del Panama, e l'Erba completò l'occupazione del Guatemala.
Altri quindici chilometri scomparsi, e l'Erba prese San Salvador. Il canale del Nicaragua fu allargato con la dinamite, e l'Erba seppellì l'Honduras.
Stavano ormai quasi faccia a faccia, separati solo dallo spazio di una povera, piccola Repubblica Banana: da una parte l'Erba, ridicolmente costretta su una striscia di terra che poteva a malapena sostenerne il peso; dall'altra tutte le risorse dell'umanità, ancora nel disperato tentativo di far saltare l'ultimo ponte di terra. Gli sterratori svenivano per la fatica; gli stati del Sudamerica raddoppiarono il loro contributo. Tutte le armi del mondo vennero impiegate per ritardare l'avanzata dell'erba per un giorno, per un'ora.
Ma l'Erba se ne infischiò dell'artiglieria pesante, rise di fronte ai lanciafiamme, e non si accorse neppure delle bombe. Il genio che l'umanità aveva da secoli profuso nell'arte di uccidere il prossimo fece sull'Erba l'effetto che può fare un formicaio su una mandria di elefanti infuriati. L'Erba dilagò sull'ultimo lembo dell'America del nord e si fermò davanti agli ottanta chilometri di acqua salata che ormai la separavano dall'America del sud: in mezzo, si ergeva l'ultima isola di terra.
Sulla costa meridionale, enormi ventilatori superciclonici respingevano tutti i semi che potessero varcare lo stretto: il fragore delle pale rotanti era più assordante di quello delle esplosioni. Anche gli oceani vennero in aiuto: maree immense, forse provocate dal dislivello tra Atlantico e Pacifico, dissolsero vaste fette di terra. L'ultima isola, che in realtà era alquanto grande, divenne una piccola isola; poi, un isolotto. Infine, tra l'Erba e il Sudamerica non si stesero che ottanta chilometri di acqua blu. Su questo braccio di mare i ventilatori soffiavano costantemente per difendere il continente rimasto dal destino toccato al fratello settentrionale.
Questo enorme canale tra i due continenti venne interdetto a tutte le imbarcazioni, che avrebbero potuto trasportare inavvertitamente dei semi. Il continente perduto venne così sigillato. Dal vertice del triangolo rovesciato su su fino all'ampia base di ghiaccio artico, l'Erba si estendeva in un'unica, uniforme prateria: sola erede di tutto il patrimonio di speranze, di sogni, di sofferenze e di vittorie degli uomini e delle donne che una volta avevano abitato quel continente.

Capitolo LII

Guida alla Navigazione nel Pacifico Meridionale

Il mondo accolse la scomparsa dell'America settentrionale senza gioia né rimpianto. Ma con sollievo. Quando si seppe che l'ultimo lembo di terra era stato distrutto e che l'Erba si era fermata, incapace di attraversare l'acqua salata, l'umanità intera emise un sospiro di sollievo quasi udibile. Il mondo era salvo e poteva continuare a badare tranquillamente ai suoi affari, essendo stato diminuito di un sesto.
Mi ricordai dell'osservazione della Francis, quella secondo cui se si taglia una gamba a un uomo gli si crea tutta una mentalità da mutilato. Gli Stati Uniti erano una gamba del mondo, un organismo perennemente afflitto da dolori di crescita in misura tale da riflettersi sul resto del mondo. Ora quell'arto era stato amputato: senza quella fastidiosa appendice la vita sarebbe stata più piacevole e più semplice. Le nazioni debitrici gonfiarono il torace, i paesi industriali si accinsero con entusiasmo a prendersi i mercati che in precedenza erano degli Americani.
Ma dopo questa prima reazione succedette un periodo di romantiche nostalgie per la terra perduta. Tutti gli autori americani vennero ristampati e tradotti ex-novo. I film americani conobbero un revival senza precedenti e innumerevoli rifacimenti. Nei salotti, le conversazioni erano infarcite di espressioni che si ritenevano squisitamente yankee; il largo accento meridionale venne coltivato assiduamente.
Si scrissero grandi romanzi storici sugli Stati Uniti: opere di vastissima diffusione su Daniel Boone, Jim Bridger, Kit Carson. I padri dicevano ai figli che bisognava lavorare duro, poiché ora non esisteva più la terra dove emigrare, il paese dove si poteva diventare ricchi da un giorno all'altro. Invece delle fiabe, i bambini volevano sentire le storie della guerra di secessione e della Grande Depressione; per le strade di Bombay e del Cairo i monelli fischiettavano "Casey Jones".
Ma, accanto a queste romanticherie, si adottò un atteggiamento estremamente pratico nei confronti degli Americani in carne e ossa. I primi espatriati, essendo di solito persone ricche, furono accolti molto bene. Le migliaia che, a bordo di piccole imbarcazioni, dal Canada erano passati in Groenlandia prima, e poi in Islanda e in Europa, scoprirono che le leggi sull'immigrazione adottate dai loro nonni ora si rivolgevano contro di loro.
Costoro, urtati e sorpresi, non riuscivano a capire come una nazione potesse essere tanto miope e senza cuore da rifiutare gente senza più patria. Ma come, dicevano gli emigranti, vi portiamo le nostre conoscenze, le nostre capacità: tutto questo diventerà patrimonio del vostro paese se ci accettate. Gli Americani non riuscivano a capire: loro erano stati gentili con tutti, limitandosi a rifiutare gli indesiderabili.
Gradualmente il mondo si assestò su ritmi rallentati. Gli Americani che, come me, erano stati abbastanza preveggenti da trasportare per tempo la loro attività all'estero, si avvantaggiarono dell'arretratezza dei loro concorrenti, In quel tempo direi che io ero tra i cento uomini più importanti del mondo, Per vendere e confezionare i nostri prodotti ero stato costretto ad acquistare cartiere e grosse partecipazioni nell'industria dell'alluminio e dell'acciaio; di qui alle miniere di stagno, all'industria siderurgica, alle miniere di carbone, alle ferrovie e alla navigazione marittima, all'industria meccanica, non c'era che un passo. La Pemmican, una volta al centro del mio universo economico, non era ora che un puntino all'estrema periferia. Mi allargai dunque verticalmente e orizzontalmente, mostrando ai miei concorrenti che gli Americani, seppure privati dell'America, non avevano perso il loro tradizionale spirito imprenditoriale.

Capitolo LIII

Molti mesi dopo che tutti avevano ormai perso ogni speranza di ricevere notizie di Joe Thario, il generale ricevette, con enorme ritardo, un plico da parte di suo figlio.
Conteneva il terzo movimento della sinfonia e una lettera d'accompagnamento: "Caro padre - Stuart Thario, generale - non finirò questa lettera stanotte; la spedirò insieme alla parte già completata della Prima Sinfonia. L'intero è più grande della somma delle parti, ma c'è un luogo (non in questa vita, ma da qualche parte c'è) per l'imperfetto e l'incompleto. Il grande e il piccolo raggiungono allo stesso modo la pienezza della soddisfazione. Perché in questo caso dovrebbe andare diversamente?
"Ho sempre disprezzato gli ometti che ti dicono che gli accordi d'apertura dell'Opera 67 descrivono il Fato che Bussa alla Porta o il canto del fringuello. Un bambino fa un disegno e ci scrive sotto: 'Questo è un asino'; quando diventa grande dimostra invece che si tratta di un autoritratto traducendo in parole la Sinfonia Jupiter. Detto ciò, mi si permetta di banalizzarmi (solo tra di noi, però) con un po' di storia personale.
"Ho cominciato esprimendo con gli strumenti a corda e gli ottoni le emozioni che ho provato guardando e pensando all'Erba, un po' come Beethoven idealizza in modo distorto la propria giovinezza all'inizio dell'Opera 55; ma, proprio come nessun uomo è un'isola, così non vi è tema che sia isolato dagli altri. C'è un accordo che lega il grande al piccolo: un'unione mistica tra tutte le cose. L'Erba non è un'entità, ma un aspetto. Credevo di scrivere del mio paese, visto con una sorta di snobismo alla rovescia, di altezzosa umiltà, di orgogliosa prosternazione, un po' come uno Smetana perfezionato (sapevi che quand'ero ragazzo sognavo il giorno in cui sarei stato nominato sottotenente?).
Boston, Massachusetts
"Ho interrotto questa lettera per buttar giù un po' del quarto movimento, e ho così perso una settimana preziosa. E naturalmente continuo a pensare che, dopotutto, forse non sono su una falsa traccia, ma che ho preso la strada giusta; esprimere qualcosa significa sempre lottare col dubbio.
"Siamo partiti ieri per destinazione ignota (probabilmente Portsmouth e poi qualche altro posto del Maine), nella speranza di sfuggire al destino fino a che non avrò finito. Mi sembra eccessivamente pomposo continuare a dare spiegazioni. L'Erba, gli Stati Uniti, l'umanità. Dio... di qualunque cosa si scriva, parliamo della stessa cosa.
"Tuttavia vi è un limite alla percezione individuale, e mi pare che quanto mi sta a cuore, almeno da un punto di vista musicale, sia limitato tra il Canada e il Messico, tra l'Atlantico e il Pacifico. Così, a torto o a ragione, anche se accadesse un miracolo e riuscissi a finire in tempo, non potrei andarmene. A poca distanza da qui è morto Vanzetti. Non esiste concetto più infantile dell'espiazione: si tratta di una gratificazione meschina e arbitraria. Così io non mi dichiaro colpevole dell'assassinio di Vanzetti o dei miei molti crimini; chi sono io per giudicare anche me stesso? Ma tutti noi, accusati, giudici e condannati, rimarremo, rimarremo per sempre, indistinguibili gli uni dagli altri. Se è possibile trasporre in musica il requiem dei nostri vizi e delle nostre virtù, la celebrazione del nostro passato e la speranza del nostro futuro, allora il quarto movimento verrà portato a termine. In caso contrario...
Aroostock, Maine
"Secondo i calcoli più accurati ci restano tre giorni. Non credo che riuscirò a finire le sinfonia, ma questa consapevolezza non mi fa più male. Sarebbe bello finirla, proprio come sarebbe bello sedersi su una nuvola fluttuante e godersi coni gelati dal sapore celestiale che non si sciolgono e non saziano mai.
"L'uomo che porterà questa lettera sta aspettando, sempre più impaziente. Devo finire prima che il fatto che mi ritenga malato di mente prevalga sulla promessa che tu lo ricompenserai, e lo faccia fuggire. Tutto il mio amore a Mamà, alle sorelle e a te; i miei omaggi al gran magnate".
Joe

Capitolo LIV

Nello stesso periodo ricevetti una lettera che non so come era riuscita a passare attraverso le mie segretarie.
"Albert Weener,
Savoy Hotel,
Thames Embankment, WC1
Signore, forse ricorderete di avermi fatto un'offerta che ho considerato prematura. Ora la situazione è cambiata. Sono in casa ogni pomeriggio dall'una fino alle sei. Little Bow Street 14, EC3 (terzo piano, sul retro).
Francis"
Malgrado il modo villano in cui mi aveva trattato in occasione del nostro ultimo incontro, la mandai a prendere in tassì. Aveva lo stesso abito grigio che indossava anni prima e la sua faccia era ancora priva di rughe.
- Come state, signorina Francis? Sono lieto che siate tra i fortunati. Oggigiorno, purtroppo, se non si hanno notizie dei vecchi amici li si considera automaticamente scomparsi.
Lei mi guardò come si guarda una conoscenza di cui non si ricorda bene il nome. - Tutta questa gentilezza non può recarvi vantaggi, Weener. Sono qui per chiedervi un favore.
- Sarò lieto di fare per voi tutto quello che è in mio potere.
Tirò fuori uno stuzzicadenti: non più quello d'oro, ma un normale stecchino di legno. - Hum. Ricordate di avermi chiesto di sovrintendere alla raccolta di campioni di Cynodon Dactylon?
- Le circostanze sono molto cambiate da allora.
- Già, è un'abitudine che hanno. Sono sulla buona strada per ottenere qualcosa che possa fermare l'Erba, ma devo fare esperimenti in loco. Il Congresso Mondiale di Controllo mi ha proibito di usare campioni viventi. Non sono in grado di eludere questa proibizione.
- Meglio così. Il Congresso prende decisioni per il bene di tutti.
- Prima untuoso, poi ipocrita.
- Cosa vi aspettate da me?
- Voi avete una schiera di chimici alle vostre dipendenze, tutti con una sfilza di titoli lunga come il mio braccio. Vorrei che me ne prestaste un paio e ci paracadutaste su qualche montagna degli Stati Uniti, al di sopra della linea delle nevi. Li potrei continuare il mio lavoro.
- Oltre a essere illegale, seppure questa osservazione possa apparire ipocrita, un'avventura rischiosa e assurda come quella che vi proponete non è una proposta d'affari seria.
Ritenni conclusa la conversazione e aspettai che se ne andasse. Malgrado il suo sesso e l'illegalità della proposta, sarei stato propenso ad aiutarla se non mi avesse trattato come si trattano gli inferiori. Se davvero fosse riuscita a trovare un'arma contro l'Erba, allora il progetto di rendere l'Erba commestibile, un progetto allettante e appena al di là del fattibile, poteva essere realizzato. I costi della manodopera sarebbero stati minimi...
- Ora come ora la proprietà fondiaria in America non vale niente. Ma se un uomo ricco sapesse in anticipo che l'Erba verrà distrutta...
Con che goffaggine, cercava di fare appello ad una cupidigia che mi era estranea! Come se io fossi uomo da comprare le case della gente solo per fare una sordida speculazione. - Signorina Francis - dissi, - solo per pura generosità e in ricordo dei vecchi tempi prenderò in considerazione la vostra proposta. Spero che sappiate esattamente di che cosa avete bisogno, che tipo di assistenti vi serve e su quale montagna volete essere paracadutata.
- Naturalmente. - Cominciò a elencare un lungo catalogo di cose, sottolineando quello che diceva con bruschi movimenti dello stecchino.
La fermai. - Mettete tutto per iscritto. Vedrò cosa si può fare.
Non appena se ne fu andata presi il telefono e chiamai Tony Preblesham. Dopo il generale Thario, era l'uomo di cui mi fidavo di più. Bisognava che la spedizione venisse tenuta rigorosamente segreta: Preblesham non solo avrebbe tenuto sotto controllo la Francis, evitando che perseguisse eventualmente qualche obiettivo puramente personale, ma avrebbe anche avuto la possibilità di ispezionare tutto il continente.

Capitolo LV

Mr Albert Weener
Queen Elizabeth Hotel,
Perth, Australia, A. C.
Caro signore,
secondo le Vs, pregiate istruzioni il nostro gruppo è partito da Paramaribo il 9 c. m. per Medellin dicendo in giro che si andava a vedere certi possibili giacimenti di stagno. A Medellin ho controllato e mi è stato riferito che squadre di operai con il materiale necessario, con riserve di benzina e gasolio tre volte superiori al fabbisogno, sono state paracadutate sul monte Whitney & Banks Island. Bisogna riconoscere che i ragazzi laggiù sono veramente in gamba. Naturalmente io questo non l'ho detto, ma ho fatto loro un bel discorso promettendo che se avessero lavorato bene li avremmo trasferiti a Rio o a Copenhagen o forse anche a Londra.
"Essendo ogni cosa OK a Medellin, siamo partiti il 12 c. m. dirigendo prima verso sud per ingannare poliziotti troppo curiosi & poi verso ovest non appena fuori vista delle navi di sorveglianza. Poi puntammo verso nord e all'alba giungemmo in vista della terra. Voi potete arricciare il naso davanti a Fratello Paul (& naturalmente egli non ha avuto il vantaggio di un'educazione come la vostra, A. W.) ma quando guardai fuori dall'oblò e vidi nient'altro che erba verde dove dovevano esserci case & alberi & monti, pensai che ero un miserabile peccatore. Ma questo non c'entra.
"La signora professoressa, la signorina Francis voglio dire, & Mr White & Mr Black erano tanto eccitati che non mangiarono niente, ma continuarono a scambiarsi bizzarre osservazioni in una lingua che non conosco. Comunque non credo che dicessero cose sgradevoli sul conto vostro.
"Voi penserete che volare sopra tutto quel verde sia stata una cosa noiosa, ma vi sbagliate. Mi spiace di non poter raccontare a parole come è andata: tutto quello che posso dire è che mi ha fatto pensare ancora una volta all'incontro col mio Creatore.
"Ora che mi viene in mente, anche se non c'entra con quanto stavo dicendo, ho dovuto licenziare il nostro uomo a Paramaribo perché si è messo nei guai con la polizia e dava una brutta immagine della Pemmican. Lui ha detto che l'ha fatto per conto della Ditta, ma io gli ho risposto che voi non volete che si vada contro la legge.
"Abbiamo trovato senza problemi la base dì monte Whitney & voglio dirvi, A. W., che è stato un grande sollievo sbarazzarci degli scienziati, anche se a modo loro è gente in gamba. Certi operai non volevano rimanere lì, anche se l'accordo era questo. Dicevano che erano stanchi della neve e della vista dell'Erba li sotto. Io ho detto che c'era posto solo per quelli di Banks Island e che comunque ora avevano compagnia. Gli ho promesso che li avremmo portati indietro con il prossimo viaggio.
"La Francis e gli altri due hanno cominciato a comportarsi come pazzi: si stringevano la mano e continuavano a dire 'Ci siamo ci siamo', sebbene chiunque tranne un idiota avrebbe pensato che era uno spreco di tempo dire una cosa del genere perché anche un bambino avrebbe visto che c'erano. E, comunque, perché mai qualcuno avrebbe voluto essere lì proprio non saprei.
"Siamo partiti da Whitney il 14 c. m., volando verso sud-ovest. Non si vedeva niente tranne l'Erba, ma il pilota a un certo punto mi ha detto che una volta, lì sotto, c'era Los Angeles. Devo riferire che l'Erba lì è esattamente uguale agli altri posti, sebbene sia la più vecchia. Poi abbiamo puntato verso nord-est per trovare il Gran Lago Salato, secondo le Vs. istruzioni. Mi spiace dover riferire che non lo abbiamo trovato anche se abbiamo volato avanti e indietro per un bel pezzo cercando a vista mentre controllavamo gli strumenti. Il Lago è sommerso dall'Erba.
"Poi ci siamo diretti a est-nord-est, senza vedere niente tranne le cime più alte delle Montagne Rocciose. Sono felice di dire che i Grandi Laghi ci sono ancora, sebbene molto rimpiccioliti; il lago Erie & il lago Ontario erano così piccoli che non li avrei visti se non me li avesse indicati il pilota. Il San Lorenzo è naturalmente scomparso.
"Poi abbiamo seguito una rotta che ci ha portato sopra i grandi laghi canadesi, ma eccetto qualche depressione (o forse palude) più o meno alla latitudine del Gran Lago degli Orsi e del Gran Lago degli Schiavi non c'era niente tranne Erba, Abbiamo passato la notte a Banks Island, e sono felice di dire, sebbene sia stata una notte freddissima e infelice, che sotto la neve non cresceva Erba, La mattina, dopo aver fatto rifornimento, abbiamo imbarcato la ciurma di terra e ci siamo diretti verso casa.
"Ritornato a Whitney, ho trovato tutto OK, anche se non ho potuto vedere la signora professoressa: Mr White e Mr Black hanno detto che aveva da fare.
"Arriverò a Londra per incontrarvi il giorno 1 & allora vi darò ogni ulteriore notizia che possiate desiderare. Fino ad allora rimango,
sinceramente vostro,
A. Preblesham, Vice-presidente inc.to delle Operazioni sul Campo, Cons. Pemm."

Capitolo LVI

Una volta che ebbi occasione di andare a Copenhagen, trovai ad aspettarmi all'aeroporto non il generale Thario ma Winifred. - Il generale è sconvolto - mi spiegò con la vivacità consueta, - Sono dovuta venire io al suo posto. Forse avrei dovuto mandare Pauline?
La assicurai che ero felicissimo di vederla e mi affrettai a chiedere notizie del generale.
- Be', non è lui, in effetti. È Mamà. È preoccupata per Joe.
Abbassando la voce in segno di rispetto dissi che sicuramente la signora Thario era sconvolta dal dolore e che forse, era poco opportuno che mi presentassi a casa loro.
- Puah! - obiettò Winifred. - Mamà non sa assolutamente cosa sia il dolore. È contentissima che Joe sia finito un po' come Custer, ma è estremamente seccata per la sua musica.
- In che senso? Non riesce a trovare un'orchestra che la esegua?
Nient'affatto. Vuole distruggerla. Che una lunga dinastia di generali e di ammiragli culmini con un compositore è per lei una disgrazia insopportabile, angosciante. Il povero vecchio Stuart in questo momento è a casa a leggerle i suoi passi preferiti di "Vittoria dell'Occidente" per cercare di calmarla.
Ero un po' preoccupato al pensiero di incontrare di nuovo Mamà, ma dalle parole di Winifred mi sembrò di capire che fosse a letto o comunque in camera sua. Purtroppo la trovai in una comoda poltrona accanto al fuoco; accanto a lei, il generale stava leggendo un libro a voce alta.
Strinsi la mano al generale e salutai la signora. - Mi spiace di vedervi non in ottima salute, signora Thario.
- Risparmiatemi queste dannate lacrime di coccodrillo. Dov'è mio figlio?
- Nella sua ultima lettera accennava al fatto che sarebbe rimasto nel nostro continente fino all'ultimo; è però possibile, e forse anche probabile, che sia riuscito a fuggire. Speriamo, signora Thario.
- Questo è il tipo di discorso che si fa alle reclute. Mio figlio è morto. Morto in battaglia. Mio nonno morì allo stesso modo a Chancellorville. Credete che sia una donnetta leccapavimenti per piangere un figlio morto in battaglia?
Stuart Thario le pose una mano sul braccio. - Calma... la pressione... non eccitarti.
- Senza uniforme, però - disse Mamà, e rimase in silenzio.
Ci fu poi un pranzo molto noioso, perché non si poté parlare d'affari a causa della presenza delle signore. Quando il generale e io ci fummo ritirati a bere il caffè (a casa non beveva, e dunque mi mancò la chiarezza derivante dalle sue libagioni) ed eravamo alle prese con cifre e calcoli, Winifred a un certo punto venne a chiamarci.
- Generale! Signor Weener! Venite, presto! Mamà...
Ci affrettammo in soggiorno: per conto mio mi aspettavo che Mamà avesse avuto un infarto, o come minimo uno svenimento. Invece stava ritta in piedi accanto al fuoco, una sciabola da cavalleria sguainata in mano. Si trattava certamente di un ricordo di famiglia, poiché dall'impugnatura pendeva la nappa d'oro dell'Esercito degli Stati Uniti e la lama era macchiata di ruggine: era comunque un'arma pericolosa, e lei l'agitò contro di noi per impedirci di avvicinarci. Nell'altra mano aveva un voluminoso manoscritto: la Prima Sinfonia di George Thario che la madre stava bruciando, una pagina alla volta.
- Quel dannato impostore - diceva. - Quel dannato impostore.
- Harriet - protestò il generale. - Harriet, per favore... l'opera del nostro ragazzo., l'unica copia...
Mama gettò un altro foglio nel fuoco. - ... impostore...
- Harriet - il generale avanzò verso di lei, ma la signora Thario lo minacciò con la lama. - Non puoi bruciare così il lavoro di George... ha dato la sua vita per...
Non avevo molta stima del genio musicale di Joe. E sì che so apprezzare la buona musica, avendo talvolta ascoltato con gran piacere alcuni brani di musica classica. Ma se anche la sinfonia di Joe era solo un'accozzaglia di suoni acuti e discordanti, ritenevo che la distruzione della partitura fosse una brutta cosa; peggio ancora, perché, a parte ogni considerazione di gusto, in quelle circostanze negava tutto ciò che comunemente si associa all'idea di maternità.
- Signora Thario - protestai, - nelle vesti di amico di vostro figlio vi prego di rivedere la vostra decisione.
- Impudente - disse lei puntando la sciabola verso di me. Io indietreggiai involontariamente sebbene mi trovassi già a distanza di sicurezza.
- Dannato impudente! - ripeté gettando un'altra pagina nel fuoco. - Entra in casa mia e con la massima disinvoltura dice "Latte, per favore"! Faccia di bronzo! Ve lo do io il latte, ve lo do! - E qui mosse con violenza la sciabola come per squartarmi.
Sussurrai a Constance, che mi stava vicina, che sua madre aveva indubbiamente perso la ragione, e che bisognava trattenerla anche con la forza. Sfortunatamente le orecchie acute della vecchia colsero il mio suggerimento.
- Ah, e la pazza sarei io, non è così? Sono io che passo la vita a accumulare più soldi di quanti ne posso spendere, vero? Sono io che con la massima indecenza mi immischio nelle cose di chi è migliore di me senza nessun motivo al mondo? Sono io che sono costretta a mangiare solo insalata essendomi rovinata il fegato per accumulare montagne di bistecche che il medico mi proibisce di mangiare? Sono io che faccio morire di fame i miei dipendenti per dare il denaro che ho rubato loro a qualche fondazione che glielo restituirà in minima parte? Sono io che corrompo gli uomini politici affinché facciano delle leggi che altri, pagati da me, s'incaricano di infrangere? Sono io che pago i fascisti e costruisco un monopolio di estensione mondiale? Sono io la pazza, non è vero?
Eccitata dalla sua stessa retorica buttò parecchie pagine nel fuoco in un colpo solo. - Mamma, è tutto quello che ci resta di Joe - cercò di impietosirla Constance. - Mamma, ti prego.
- Non ho mai sentito un cappellano militare dire che l'immortalità è contenuta in un pezzo di carta.
- Ma è un ricordo - disse Winifred.
- Lavoro creativo - bofonchiò il generale.
- Ho dovuto sopportare i dolori del parto solo perché le creazioni degli uomini vengano esaltate a tal punto? Io ho offerto la mia vita, così come mio nonno ha fatto a Chancellorsville. Le menti piccole non possono giudicare, ma io sì. Ho avuto un figlio: questi è un'estensione di me così come lo è questa spada.
Fece un affondo per sottolineare il concetto. - Non esiterò a giudicare mio figlio. Se non è morto in uniforme, almeno non sarà morto nelle vesti di un suonatore di organetto. - Buttò tutto quanto il malloppo nel fuoco, che attizzò con la punta della sciabola.
Lo squillo del telefono interruppe quella spiacevole scenata. Rispose Constance, che conosceva le lingue. - È per voi, signor Weener. Da Rio.
Certamente era Preblesham che mi cercava per qualche questione di routine, ma la telefonata servì a distrarre l'attenzione della vecchia che, accanto al fuoco, mormorava qualcosa di incomprensibile.
La voce di Preblesham era tremula e incorporea. - A. W.? Mi sentite? Vi posso dare un'informazione un tre ore prima della radio e dei giornali, Pronto, mi sentite? Il nostro concorrente più grosso ha comprato il lotto accanto al nostro. Capito, A. W.?
Annuii in silenzio al ricevitore come se potesse vedermi: i miei pensieri correvano vertiginosamente. Avevo capito perfettamente: l'Erba aveva saltato il braccio di mare e ora era libera su un altro continente.

Capitolo LVII

Avevo tre ore per liberarmi di tutte le mie proprietà in Sudamerica prima che il loro valore scendesse a zero. Il telefono di casa Thario era assolutamente inadeguato per affrontare l'emergenza. E anche se fosse stato così, le sortite occasionali di Mamà che brandiva la sciabola avrebbero mandato a monte metà delle nostre comunicazioni, e avremmo dovuto subire le idiosincrasie delle centraliniste europee, che sembravano incapaci di stabilire la comunicazione.
In questa crisi Stuart Thario mostrò tutte le sue qualità militari. Dimenticando i suoi problemi domestici all'ordine di mobilitazione generale, agì con rapidità, decisione e energia. Telefonò all'Hotel Kristian IV e prenotò tutte le camere libere in modo da avere il centralino dell'albergo quasi tutto per noi. Richiamò in servizio Constance e Winifred che avrebbero fatto da segretarie finché non fosse arrivato il suo staff e lasciò Pauline a occuparsi di Mamà: tre quarti d'ora dopo la telefonata di Preblesham ci eravamo saldamente sistemati in albergo.
Mentre si facevano le prime telefonate, gran parte del bar dell'albergo venne disposto su un gran tavolo a portata di mano del generale. Non mi era possibile osservare bene cosa stesse succedendo, perché dovevo impiegare tutte le mie capacità di venditore per convincere invisibili finanzieri che mi trovavo nei guai e che avevano l'occasione di acquistare le mie proprietà sudamericane a un prezzo stracciato; ma con la coda dell'occhio non potei non ammirare il modo in cui Stuart Thario si abbeverava in continuazione, senza perdere tempo.
Mi aspettavo che la notizia si diffondesse da un momento all'altro, ma la rapidità con cui approfittai della informazione di Preblesham confermò il proverbio sull'uccello mattiniero (quello che ha il verme in bocca, sapete); il vantaggio di tre ore si allungò a cinque ore, e quando le agenzie passarono la notizia mi ero liberato di quasi tutte le mie proprietà, ora senza valore, e per di più le avevo rifilate ai miei concorrenti. Inutile dire che non avevo venduto sulla parola, ma che i miei agenti sul posto avevano incassato contanti, assegni o cambiali da ogni acquirente. Solo sulla carta dovetti sopportare qualche perdita insignificante.

Capitolo LVIII

Il mondo accolse la notizia che l'Erba era ormai in Sudamerica con una calma e una filosofia sorprendenti. Perfino gli abitanti dell'America Latina sembravano più interessati a scoprire come avesse fatto l'Erba a saltare il braccio di mare che preoccupati per il destino che minacciava il loro continente. La teoria più comunemente accettata era che i semi dell'erba fossero misteriosamente arrivati dalle Indie Occidentali, sebbene l'Erba non fosse ancora apparsa su nessuna di queste isole; e anche Cuba, in vista delle Florida Keys, fosse ancora al sicuro, protetta dai ventilatori superciclonici. Ma il fatto che l'Erba avesse fatto la sua prima comparsa a Medellin, in Colombia, e non in quel poco che era rimasto del territorio panamense, sembrava dimostrare che non fosse arrivata direttamente dall'America settentrionale.
In un lungo editoriale intitolato "L'umanità ha tradito se stessa?", "La Prensa", di Buenos Aires, così si esprimeva: "Quando il Colosso del Nord cadde sotto un malvagio incantesimo, molti Americani (tranne forse i nostri amici al di là del Rio della Piata) tirarono un sospiro di sollievo. Ora pare che questo sentimento di soddisfazione sia stato prematuro, e che il destino degli Yankee aspetti anche la nostra più antica civiltà. Come ha potuto la lebbra verde contagiare anche il nostro continente? Questo interrogativo tormenta ogni essere umano dall'Antartico ai Caraibi.
"Si è pensato che il cordone sanitario steso tutto intorno all'America del nord non sia stato rispettato. Si ritiene che il continente proibito sia stato visitato e da scienziati mossi dai più alti motivi e da avventurieri spinti dalla cupidigia più bassa. Probabilmente i semi del Cynodon Dactylon sono arrivati tra noi portati proprio da uno di questi viaggi. Non è un mistero per nessuno che gli agenti di un certo capitalista yankee siano spesso partiti per viaggi verso ignota destinazione proprio dal luogo in cui ora predomina la peste verde".
Era una coltellata alle spalle: quel tipo di cose che sono inevitabili per un uomo nella mia posizione. È risaputo che gli abitanti dell'America Latina sono, tra tutti i popoli, i più ingrati verso quanto abbiamo fatto per lo sviluppo del loro paese. Certo: nelle zone più arretrate gli indigeni vivevano di caccia e di pesca; solo il nostro intervento ha permesso loro di lavorare come tutti gli altri e di comprarsi, con le paghe che noi passavamo, pesce salato e cibi in scatola. Fortunatamente l'insinuazione de "La Prensa", certamente ispirata alla più ignobile invidia, non trovò credito, e ben presto l'attenzione si spostò dal problema del perché a quello del come: nella fattispecie, come controllare i progressi dell'Erba verso sud.
Nel bacino delle Amazzoni l'Erba crebbe raggiungendo una altezza mai vista finora: la marea verde s'infranse contro il muro delle Ande così come aveva fatto con le Montagne Rocciose, lasciando liberi solo i picchi più elevati. E s'ingoiò i llanos, le savane e la pampa con la sua crescita lenta ma incessante.
La gente fuggì dall'Erba non secondo una direzione precisa, ma nel modo più indiscriminato e soprattutto verso le coste nel tentativo di abbandonare quella terra condannata.
I nordamericani che già una volta erano sfuggiti all'Erba non si accontentarono di mezze misure: s'imbarcarono su qualsiasi guscio capace di tenere il mare e emigrarono verso i paesi più remoti.

Capitolo LIX

Da un punto di vista cronologico, la mia narrazione è giunta circa a metà. È difficile rendersi conto che solo undici anni sono trascorsi da quando l'Erba ha invaso il Sudamerica; è difficile anche ricostruire questi anni intermedi. Non perché siano stati difficili o sgradevoli, ma perché, nel ricordo, hanno assunto sfumature quasi di sogno: furono anni irreali, elusivi, vaghi, ricchi di tentazioni confuse.
Il Congresso mondiale prendeva periodicamente in considerazione ogni proposta che sembrasse in grado di fermare V Erba.
Sulla cima del monte Whitney la Francis continuava a lavorare. Le paracadutammo nuovi assistenti man mano che i vecchi abbandonavano i picchi e scendevano tra l'Erba nelle crisi depressive, o impazzivano rendendosi conto che, tranne per pochi sopravvissuti che forse ancora resistevano sulle calotte polari erano i soli esseri umani di un emisfero completamente deserto, oppure morivano di semplice nostalgia. Nei laboratori della Pemmican si continuava a ricercare un modo di utilizzare l'Erba; ogni persona facoltosa, morendo, lasciava nel suo testamento ingenti somme per continuare le ricerche di un mezzo per controllare l'Erba, questo è tutto.
La mia partecipazione porta a un argomento che potrebbe riuscire penoso se fossi uomo di natura meschina. Alcuni, chiudendo gli occhi davanti alla realtà dei fatti, mi ritengono responsabile dell'Erba stessa. Ho subito denunce, e folle in tumulto hanno chiesto a gran voce il mio sangue.
Ma basta con questi sgradevoli ricordi. In quel tempo non c'era un solo uomo ricco al mondo che non dovesse a me la conservazione del suo patrimonio. Controllavo più di metà dell'industria dell'acciaio; possedevo la maggior parte dei pozzi di petrolio del mondo; possedevo, direttamente o attraverso società in cui avevo la maggioranza, miniere di carbone, di ferro, di rame, di stagno, di altri minerali.
Le bande di gangster che avevano avuto mano libera negli Stati Uniti erano state spazzate via dall'Erba; certi però erano riusciti a fuggire. Col tempo, sarebbero riuscite a dividere il mondo in innumerevoli feudi. Invece, riuscii a convincere la maggior parte dei capi che il loro benessere e addirittura la loro esistenza erano legati all'esistenza della proprietà privata; il pericolo non erano i loro rivali, ma i fautori del socialismo. Il mio pensiero li convinse: pur non cessando di farsi guerra a vicenda e di mungere il grosso pubblico, sterminarono senza pietà i socialisti e i loro simpatizzanti, non toccando neppure con un dito i beni e gli interessi della Consolidated Pemmican.
Sembrerà strano, ma ho raggiunto la mia attuale, elevatissima posizione non per merito dei miei sforzi per proteggere il mondo dalle nefaste filosofie egualitarie né a causa delle mie vaste e ramificate proprietà. Infatti, cosa tanto più incredibile a causa della lentezza con cui si era evoluto il fenomeno, l'industria non contava più niente, sebbene continuasse a sopravvivere. La preoccupazione principale era il cibo. La perdita delle Americhe aveva dimezzato la produzione di alimenti, ma non il numero della popolazione. L'Unione Socialista era autonoma e tutta chiusa in se stessa; l'Australia, la Nuova Zelanda e le zone coltivate dell'Africa dovevano invece nutrire centinaia di milioni di europei e di asiatici, la cui agricoltura era del tutto insufficiente. Ogni minima riduzione dei raccolti provocava carestie terribili.
A questo punto, la Consolidated Pemmican prese praticamente in mano l'agricoltura mondiale. Utilizzando sottoprodotti o colture che normalmente non valeva la pena di raccogliere, materiali di scarto, sostanze immangiabili senza una appropriata lavorazione, i nostri stabilimenti disseminati in tutto il mondo permettevano alla popolazione mondiale di comprarsi la razione quotidiana di concentrati. Non ero solo l'uomo più ricco e potente del mondo: ero anche la provvidenza e la salvezza dell'umanità.
Si sparse una nuova sensazione di sicurezza: la tensione si trasformò in sonnolenza, il ritmo della vita quotidiana rallentò ulteriormente. Non più ossessionate dalla paura della guerra, le nazioni si rilassarono, riducendo gli armamenti; unico compito delle flotte mondiali era la sorveglianza delle coste dei continenti perduti.
Non c'era più lotta per l'esistenza; le paghe stabilite dalla Consolidated Pemmican erano sufficienti per sopravvivere, e nel limitato orizzonte rimasto all'umanità, la gente si accontentava della sopravvivenza quotidiana. La concorrenza industriale si allentò, scomparve; e con essa scomparvero i sindacati. Erano giorni calmi e tranquilli; anche se i pedanti lamentavano la rapida diffusione dell'analfabetismo, questo avveniva solo perché la natura indolente dell'uomo, essendo assicurato per tutti il minimo vitale, aveva preso il sopravvento. L'uomo non solo aveva perso la superficiale vernice di civiltà e di cultura, ma non era nemmeno più interessato a trasmettere queste caratteristiche ai figli.

Capitolo LX

Non so come rendere bene l'atmosfera dorata e solatia di quel periodo. Non fu un'età eroica: non si compirono grandi imprese, non si eliminarono conflitti insanabili, non si elaborarono filosofie rivoluzionarie. Ma quiete, pace, soddisfazione: ecco gli elementi distintivi di quell'epoca. L'attenzione alla politica e alle altre panacee dell'immaginazione lasciò il posto a interessi più sani: gli sport, i cortei storici, le fiere. L'uomo si accontentò della sua condizione; al posto delle speculazioni inutili e delle filosofie inquietanti si preferì la meditazione tranquilla.
Fino ad allora non mi era riuscito di vivere in un modo consono alla mia posizione; ma i miei affari andavano così bene che perfino Stuart Thario e Tony Preblesham potevano concedersi il lusso dell'ozio, e allora mi apersi anch'io agli aspetti più piacevoli della vita. Naturalmente non avrei potuto fissare la mia residenza permanente altro che in Inghilterra: malgrado le sue stranezze e il suo provincialismo, infatti, questa era la nazione che più si avvicinava alla mia patria.
Comprai la tenuta di un signorotto dell'Hampshire e feci demolire la villa, vecchia e antiquata. La costruzione risaliva al Cinquecento ed era fredda, piena di spifferi e sprovvista anche delle comodità più rudimentali. Per un po' mi trastullai col pensiero di lasciarla in piedi e di farne una specie di museo, costruendo invece per me un'altra residenza in un altro punto della tenuta. Ma quando mi assicurarono che l'architettura del periodo Tudor non aveva poi meriti così eccelsi, e non trovando inoltre un sito adatto alla nuova costruzione, la feci buttare giù.
Convocai poi gli architetti più rinomati: ma fu il mio senso artistico e pratico, come ebbero a riconoscere loro stessi, ad informare i principi generali della costruzione. Spinto dalla nostalgia per il mio Sud, feci costruire un grande bungalow di circa sessanta locali: intonacato e col tetto formato da lastre di ardesia. Poiché l'elemento spagnolo connaturato a questa architettura sarebbe stato fuori posto in Inghilterra, e dunque di cattivo gusto, feci inserire nell'intonaco travi a vista: naturalmente avevano solo una funzione estetica, essendo la struttura della casa in cemento armato.
Era estremamente piacevole e soddisfacente entrare nel soggiorno vasto e comodo, pieno di poltrone superimbottite e divani accoglienti, riscaldato da un impianto centrale estremamente efficiente; oppure usare uno dei bagni attrezzati con quanto di meglio il denaro poteva comprare, E ricordare nel frattempo gli umidi pavimenti di pietra di una volta, il camino gigantesco sporco e inutile, gli stemmi di un'arcaica nobiltà che si accontentava di rabbrividire quando, in una fredda mattina d'inverno, era costretta a soddisfare i bisogni della natura in un gelido casotto esterno pieno di spifferi.
Una residenza tanto vasta e comoda richiedeva servitori, una governante e un maggiordomo che sorvegliasse la loro attività: infatti ho più volte osservato che, quanto più in basso si scende lungo la scala economica, tanto più è necessario assumere qualcuno che abbia una paga un po' più alta affinché sorvegli che lo stipendio pagato venga effettivamente guadagnato.
Non posso dire di essere mai riuscito a distinguere un servitore dall'altro tranne che per il mio cameriere personale e per Burlet, il maggiordomo. Ma un giorno notai un sottogiardiniere dalla faccia stranamente familiare. Si toccò rispettosamente il berretto quando mi avvicinai: ma ebbi l'impressione che si trattasse di un gesto consapevole e forzato.
- È da molto che siete qui, brav'uomo? - gli chiesi mentre cercavo di ricordare.
- Nossignore, circa due settimane.
- Strano: mi sembra di avervi già visto. Come vi chiamate?
- Dinkman - borbottò. - Adam Dinkman.
Quel giardino incredibilmente trascurato, invaso dalle erbacce e costellato di chiazze nude. Le meschine contrattazioni della signora Dinkman per togliere il pane di bocca a un lavoratore che cercava di guadagnarsi da vivere; il suo vile tentativo di rivalersi nei confronti di uno che non aveva nessuna responsabilità della disgrazia che si era abbattuta su di lei. Mi chiesi se lei fosse ancora viva o se fosse morta in un ospizio, tra l'Erba. Il mondo è davvero piccolo, pensai, e quanta strada abbiamo percorso tutti e due da quando ero costretto a subire ogni sorta di umiliazioni pur di mettermi qualcosa nello stomaco e di dormire sotto un tetto.
«Grazie, Dinkman - dissi. E me ne andai.
Chiamai il maggiordomo: gli dissi di dare cento sterline a Dinkman, un piccolo patrimonio per un sottogiardiniere (fui spinto a questo dal senso di solidarietà che si prova per un compatriota), e di licenziarlo. Sebbene Dinkman probabilmente non se ne rendesse conto, gli stavo facendo un enorme favore: un americano con cento sterline in Inghilterra aveva davanti a sé un futuro molto più dignitoso che non quello di servo.
Ripensando a quel periodo, ahimè troppo breve, di pace e di tranquillità non posso fare a meno di sospirare rimpiangendolo. Preceduto e seguito come è da periodi tumultuosi e stressanti, esso emerge nel corso della mia vita come un'isola di sogno e di quiete. C'era solo un'increspatura minima, così minuscola da passare il più delle volte inosservata: una certa sensazione di solitudine. Inevitabile per un uomo nella mia posizione, si dirà: è vero, e inoltre si trattava di un'increspatura tanto impercettibile che è sbagliato parlare di solitudine; direi piuttosto una qualità solitaria della mia vita. Comunque, come molti altri piccoli inconvenienti, si trattava di un difetto che accresceva la perfezione dell'insieme.
Avevo ricchezze, potere, il rispetto del mondo. L'inevitabile distacco dalla massa era temperato da piaceri semplici: la mia tenuta, fonte di inesauribili soddisfazioni; le tracce di feudalesimo che sopravvivevano nella mia gente; inoltre ero bene accetto tra i notabili del posto.
I viaggi a Londra e nelle altre città in cui era necessaria la mia presenza mi offrivano l'occasione di graditi cambiamenti d'ambiente; e inoltre le frequenti visite di conoscenti alle Edere, così si chiamava la mia residenza, mi impedivano di annoiarmi.

Capitolo LXI

Una delle cose che mi piacevano di più era passeggiare per qualche chilometro sulle mie terre. Una volta stavo camminando su un prato punteggiato di violette e di primule, accanto a un ruscello, quando m'imbattei in un individuo rozzamente vestito: teneva tra le mani una lenza e aveva le tasche della giacca rigonfie in modo sospetto. Per un attimo pensai che fosse uno dei miei guardacaccia: ma un'occhiata obliqua e qualche movimento furtivo mi fecero subito pensare al bracconiere.
- Siete sulle mie terre, qui, lo sapete? - chiesi con una certa severità.
- Lo so, capo - ammise subito lui. - Ma non stavo facendo niente di male: guardavo l'acqua e ascoltavo gli uccelli.
- Con una lenza in mano?
- Be', vedete, capo, la porto con me per precauzione. Vedete, quando esco per una gita come questa, per ammirare le bellezze della natura (cosa che, lo riconosco, non avrei il diritto di fare, perché queste bellezze sono sulla terra altrui), mi dico sempre: supponiamo di incontrare qualche gentleman che ha trovato una bella trota grassa in un corso d'acqua, ma che non abbia con sé lenza e amo: cosa c'è di più filantropico che tirare fuori il mio pezzo di spago e offrirglielo? Non è un modo di pensare molto cristiano, capo?.
- Forse; ma cos'è che avete in tasca che ve le gonfia in modo tanto sospetto? Altri arnesi filantropici?
- Puro caso, capo, puro caso. Andando a spasso come faccio io mi tocca guardare dove metto i piedi: e quasi sempre mi capita di trovare due o tre lepri morte, e di quando in quando una pernice o una beccaccia. Morte di morte naturale, si capisce. Bene, cosa potrebbe esserci di più umano che raccogliere questi poveri animali e portarseli a casa per dar loro degna sepoltura?
- Sapete che, malgrado i vari governi laburisti e le strane cose che fa il parlamento, le leggi contro il bracconaggio sono molto severe?
- Bracconaggio, capo? Io non farei mai una cosa simile: io rispetto quello che è vostro proprio come rispetto quello che è mio. Sono sulle vostre terre, questo è vero. Mi piace guardare il cielo, ascoltare il canto dell'allodola, annusare il profumo dei fiori. Ma bracconiere, mai! Davvero, capo, non dovreste giudicare così a prima vista il carattere di una persona.
Mi sembrò un peccato che un tipo tanto in gamba e tanto divertente fosse costretto a vivere una vita tanto precaria. - Vi dirò cosa dovete fare - gli dissi. - Vi darò un biglietto per il mio capoccia, e lui vi assumerà come suo assistente. Trenta scellini alla settimana, credo che paghi.
- Oh, be', grazie, capo. Ma, scusatemi, non voglio questo lavoro. Trenta scellini alla settimana! Cosa me ne farei? Niente, tranne che andare allo "Holly Tree" a sbronzarmi ogni sera. Sto molto meglio adesso: astinenza totale, per così dire. No, no, capo: apprezzo il vostro cuor d'oro, ma io sono contento così, con un po' di pesce e un coniglio in pentola. Perché dovrei diventare un onesto lavoratore insoddisfatto della sua vita?
Il rifiuto della mia offerta bene intenzionata non mi offese affatto. In senso lato, si sarebbe quasi potuto dire che sia io sia lui eravamo entrambi parassiti delle Edere; e non mi avrebbe danneggiato quel po' di cacciagione che uccideva per tenere insieme anima e corpo. Gli diedi un biglietto da far vedere se qualche mio guardacaccia l'avesse sorpreso, e ci separammo in un clima di simpatia reciproca. Da parte mia pensavo che, essendo io Americano, tutti gli uomini, bracconieri e proprietari terrieri, sono nati eguali, non importa quanta strada abbiano fatto nella vita.

Capitolo LXII

Poco dopo, la Francis lasciò monte Whitney e tornò in Inghilterra. La durissima esperienza dell'isolamento totale, che aveva distrutto i suoi assistenti, sembrava non aver prodotto altro effetto su di lei che l'incanutimento e una lieve perdita di peso, la qual cosa le dava un aspetto ingannevolmente fragile, che contrastava con i suoi modi bruschi.
Interpretai il fatto che fosse immune all'agorafobia come un'altra prova della sua pazzia, che era ulteriormente confermata dal suo rifiuto di accettare le limitazioni del suo sesso e dalla sua totale indifferenza alle nostre diversissime condizioni sociali. Con la sua solita mancanza di realismo quella donna dava per scontato che avrei continuato a finanziarla a tempo indeterminato, malgrado il fatto che avessi già speso centinaia di migliaia di sterline senza risultati apprezzabili.
- Ora ci sono davvero, Weener - cercò di convincermi in un tono che non si addiceva affatto a un postulante, - Malgrado gli incompetenti di cui sono circondata, malgrado gli errori e i vicoli ciechi, il lavoro sul monte Whitney è concluso, e con ottimi risultati. Il resto è normale routine di laboratorio: questione di quantità e di metodi d'applicazione.
- Non credo di poter investire altri soldi nel vostro lavoro, signorina Francis.
Lei scoppiò a ridere. - Che diavolo vi succede, Weener? I vostri miliardi non ci sono più? O pensate che qualcuna delle spie che mi avete mandato sia in grado di andare avanti da solo? O forse fate solo schioccare la frusta?
- Io non ho mandato spie e non ho nessuna frusta. Semplicemente non è redditizio investire denaro in esperimenti che non approdano a niente.
- Questo è l'uomo che ha messo in ginocchio l'umanità.
- Mi pare che l'umanità si trovi benissimo in questa posizione.
- Naturalmente, naturalmente: è proprio questa la tragedia. L'umanità è contenta così come un uomo che ha perso una gamba e sta morendo dissanguato è contento di entrare in coma per non sentire il dolore: un coma dal quale forse non uscirà mai più. Chi sei tu, ometto, per ritenerti degno di assistere il paziente?
- Non discuterò oltre con voi, signorina. Se davvero l'obiettivo dei vostri sforzi è l'umanità, non dubito che troverete qualcun altro disposto a finanziarvi.
- Senza dubbio - disse lei, e non ci dicemmo altro.
In seguito diedi ordine di stanziare una cifra considerevole per le ricerche di cui si era occupata la Francis, affidandole però ai suoi precedenti collaboratori. Feci questo non perché convinto dalla sua stiracchiata analogia a base di gambe tagliate, ma per motivi pratici. Il mondo andava benissimo così, ma un'arma efficace contro l'Erba avrebbe reso possibile un suo utilizzo.

Capitolo LXIII

Circa in questo periodo si diffuse una nuova filosofia il cui concetto centrale era che l'Erba fosse in sé una buona cosa; un corollario affermava che il mondo non solo aveva fatto buon uso di una situazione negativa, ma risultava migliorato dalla scomparsa di gran parte dell'emisfero occidentale. L'Erba era lo strumento per cui l'umanità aveva trovato sia i propri limiti sia il proprio orizzonte più vero: ora l'uomo, essendo stato adeguatamente corretto, poteva rivolgersi alle attività che maggiormente gli erano congeniali.
Questa concezione incontrò l'approvazione di molti: grandi educatori la diffusero, gli uomini di stato l'appoggiarono, il Papa scrisse un'enciclica in cui si raccomandava ai fedeli la rassegnazione e la sottomissione. Ma quasi subito questa nuova filosofia venne messa alla prova in modo drammatico.
L'isola di Juan Fernandez, quella di Robinson Crusoe, ora densamente popolata di profughi, a 600 chilometri di distanza dalla costa cilena, venne invasa dall'Erba. La cosa era impossibile. Tutti gli abitanti avevano sperimentato personalmente l'Erba ed erano stati costantemente all'erta. Le navi di guardia pattugliavano l'oceano tra l'isola e il continente; la distanza era tale che era impossibile che i semi fossero stati trasportati dal vento. L'improbabile ipotesi secondo cui i semi sarebbero stati trasportati dagli uccelli marini venne accettata solo perché nessuno era in grado di avanzarne una migliore.
Il Congresso Mondiale non perse tempo con le ipotesi. Sebbene tra l'isola di Juan Fernandez e la terra più vicina a occidente vi fosse una distanza tre volte superiore a quella, tra l'isola e il continente americano, il Congresso prese l'unica isola sulla quale l'Erba avrebbe potuto espandersi ulteriormente, l'isola di Sala-y-Gomez, e la trasformò in una fortezza imprendibile. Non solo le acque costiere erano costantemente pattugliate da imbarcazioni di giorno, e illuminate di notte da potentissimi fari; ma rapidi caccia muniti di mitragliatrici avevano il compito di abbattere qualsiasi volatile nel raggio di mille chilometri.
L'isola venne minata e fatta saltare; dopodiché venne coperta con uno strato di sale spesso ottocento metri. Il mondo, o almeno quella parte di mondo che non aveva accettato la dottrina della sottomissione, stette a guardare col respiro sospeso. Ma le navi pattugliavano un mare vuoto, i riflettori illuminavano solo l'accecante bagliore del sale, gli uccelli migratori non raggiunsero mai la loro destinazione. L'inespugnabile avamposto resisteva. Di nuovo tutti trassero un sospiro di sollievo.
A ottocento chilometri di distanza c'era un'altra isola; Rapa Nui, l'Isola di Pasqua, l'isola dei famosi monoliti. Antropologi e archeologi ancora giungevano per ammirarli: in occasione di una di queste visite si trovò un ciuffo di Erba.
Immediatamente accorsero le navi che facevano la guardia all'isola di Sala-y-Gomez, gli aeroplani portarono immense quantità di sale dall'Australia e tutto il meccanismo del Congresso Mondiale si mise subito in moto. Fu tutto inutile: l'Isola di Pasqua venne invasa; poi toccò all'isola di Ducie, disabitata; quindi fu la volta dell'isola di Pitcairn, patria dei discendenti degli ammutinati del Bounty. Questo ancora prima che si potesse prendere anche la minima precauzione. L'Erba faceva salti di migliaia di chilometri in una corsa a ostacoli mozzafiato.
Le navi andarono a Pitcairn per evacuarne gli abitanti. La maggior parte di quella gente color caffellatte accettò docilmente di partire. Ma l'ultimo Adams e l'ultimo McCoy si rifiutarono. - Già una volta la nostra gente è stata costretta a lasciare Pitcairn, e non ha trovato altro che infelicità. Noi rimarremo sull'isola dove i nostri padri portarono le loro mogli.
L'Erba era inarrestabile: vennero inghiottite le isole Gambier, le Tuamotu e le Marchesi. Tahiti scomparve sotto il manto verde: lo stesso accadde alle isole Cook, alle Samoa e alle Figi. L'Erba balzò a sud e si attestò in Nuova Zelanda; a nord intaccò la Micronesia, Gli australiani, presi dal panico, emigrarono in massa verso il centro del continente, ma senza molta speranza che il deserto avrebbe costituito una valida difesa.
Appena seppi che l'Erba era di nuovo in marcia, il mio primo pensiero fu che forse avevo avuto un po' troppa fretta con la Francis. Non era probabile che quella donna avesse successo là dove i migliori scienziati avevano fallito, ma provavo pietà per lei, così tagliata fuori, e specialmente dopo tutti quegli anni trascorsi sul monte Whitney. Sarebbe stato un atto di pura generosità da parte mia lasciarle l'illusione di contare ancora qualcosa. Dopo tutto, era pur sempre una donna; e io potevo permettermi un gesto cavalleresco anche di fronte alla sua insopportabile arroganza.
Mi spiace dover dire che mi rispose con malagrazia. - Sapevo che alla fine sareste venuto a strisciare perché io vi salvi la pelle.
- Voi interpretate la situazione in modo del tutto erroneo, signorina. Sono venuto qui per uno scambio d'opinioni, non a chiedere favori. Ho piena fiducia nelle mie equipe di ricerca...
- Dio mio, quegli ammazza-cavie! Quei falsificatori di risultati; quegli accoliti in camice bianco del tempio del Sì. Evidentemente valutate la vostra vita e la vostra borsa esattamente quanto valgono se vi affidate a quei commessi di drogheria perché ve le salvino entrambe.
- Non credo che né l'una né l'altro siano in pericolo. Molto prima che l'Erba cominci a preoccuparmi davvero i miei dipendenti avranno trovato il modo per distruggerla.
- Una bella favola per la consolazione di grandi e piccini. Weener, voi mentite. Siete venuto da me perché avete paura, perché siete terrorizzato. Bene, cosa strana, non rifiuterò la vostra munificenza. L'accetterò perché fare il lavoro di Dio è più importante dell'orgoglio e della consapevolezza che una delle cose migliori che il Cynodon Dactylon può fare è di dare degna sepoltura a Albert Weener.
La sua tirata non mi toccò affatto. - Quando siete tornata da Whitney mi avete detto che non c'era che qualche dettaglio da chiarire. Tra quanto tempo sarete in possesso di un mezzo per fermare l'Erba?
Lei scoppiò in una risata, tirò fuori il suo stuzzicadenti e me lo puntò contro. - Andate a mettere la vostra monetina in un'altra macchinetta se volete una risposta a una domanda tanto idiota. Tra quanto tempo? Tra un giorno, un mese, un anno, dieci anni.
- Ma tra dieci anni...
- Proprio così - lei disse, e mise via lo stecchino.

Capitolo LXIV

Telefonai al generale Thario e gli dissi di venire immediatamente per uno scambio di idee, - Generale, dobbiamo guardare avanti e cominciare a preparare i nostri piani.
- Avrete mica paura dell'Erba?
- Non paura. Voglio solo prepararmi. Non mi piace essere sorpreso mentre dormo.
- Bene - disse. - Non si può fare il giochetto del Sudamerica, questa volta.
- No certo. E, inoltre... quello che m'interessa non sono i soldi.
- Via, Albert. Non ditemi che ne avete a sufficienza.
- Non sono questi tempi in cui darsi all'avarizia. Se l'Erba continua a diffondersi... e mi sembra che ormai non ci siano dubbi...
- Questa mattina ha finito di mangiarsi tutta la parte settentrionale della Nuova Zelanda.
- L'ho saputo; comunque, il punto è questo: man mano che l'Erba avanza ci saranno nuove orde di rifugiati...
Di certo il generale era di umore irritabile, quella mattina, perché mi interruppe un'altra volta. - Nuovi mercati per i nostri concentrati.
Forse la mente del vecchio cominciava a svanire? Mi chiesi se tra poco non sarebbe stato necessario sostituirlo, - Generale - dissi con gentilezza, - tranne poche eccezioni questa gente non avrà con sé che denaro senza valore.
- Avranno beni di diversa natura. Manodopera.
- Avete mai visto dei profughi abbastanza preveggenti da portarsi con sé qualcosa di valore? E, per la manodopera, gli oneri sociali sono tali che se diminuiamo le paghe solo di un cent...
- Di un penny - corresse il generale.
- ... di un penny, non faremmo altro che aumentare le tasse che paghiamo.
- Be', sì, forse sono stato troppo frettoloso nel giudizio. Cosa avete in mente, Albert?
- Diminuire la produzione; chiudere le fabbriche sul cammino dell'Erba. Trovare posti ragionevolmente sicuri dove accumulare concentrati e materie prime.
- E le fabbriche?
- Fabbriche più piccole: fabbriche portatili, in pratica.
- Hum. Questo vuol dire fare affari in piccolo.
- Al minuto - confermai.
- E le miniere? Le acciaierie, i campi petroliferi, le fabbriche di aeroplani e di automobili? I cantieri navali?
- Chiuderli tutti senza riguardi per nessuno. Tranne forse qualcosa in Inghilterra.
- In questo caso verrà tutto nazionalizzato.
- Non esiste governo che osi toccare qualcosa di proprietà della Pemmican. Se qualcuno ci si provasse dovrebbe fare i conti con i nostri amici individualisti.
- Volete pagare dei gangster perché rovescino un governo legale?
- In questo caso, non sarebbero più governi legittimi. E, comunque, uno ha il diritto di difendere la sua proprietà.
- Albert - disse il generale in tono lamentoso, - state condannando a morte la civiltà.
- Generale, - risposi io - state dicendo sciocchezze. Un uomo d'affari deve occuparsi dei suoi affari: le astrazioni le lascia ai visionari. Chiuderemo le fabbriche perché fino a quando qualcuno non fermerà l'Erba lavoreremo in perdita. Che siano gli idealisti a preoccuparsi della civiltà.
- Albert, voi sapete perfettamente che oggi non c'è la minima possibilità che qualsiasi attività economica, anche minima, possa funzionare senza di voi. Ripensateci, Albert; vi parlo da vecchio amico, visto che lavoriamo insieme da tanto tempo. Guardate le cose in una prospettiva più larga. E anche se non ci fossero profitti? Ammettiamo pure di lavorare in perdita. Certamente potrete permettervelo in nome dell'umanità.
- Sono disposto a fare la mia parte per l'umanità, generale, e mi ferisce il fatto che proprio voi mi accusiate tanto ingiustamente. Sapete perfettamente che ho devoluto in beneficenza più della metà della mia fortuna.
- Albert, Albert, è proprio necessario che ci sia dell'ipocrisia nei nostri rapporti?
- Non so cosa vogliate dire. So solo di avervi chiamato per concordare un programma specifico, e che voi invece mi parlate della civiltà e vi siete anche permesso d'insultarmi.
Il generale stette zitto a lungo, senza toccare il bicchiere accanto a lui. Non disturbai le sue meditazioni, ma non potei fare a meno di pensare a tutto quello che avevo fatto per lui e per la sua famiglia. Ma è da stupidi aspettarsi gratitudine a questo mondo.
Alla fine il generale ruppe il silenzio, - Io non ho avuto molto successo nella vita, anche se oggi sono quello che si dice un uomo ricco. Immagino che già quando ci siamo conosciuti, a Washington, quando voi cercavate di vendere i prodotti della vostra fabbrichetta, bene, già allora credo che foste un uomo per così dire segnato dal destino. Io però ero troppo preso dal mio senso di colpa per accorgermene. Tutti noi abbiamo il nostro prezzo, Albert: un'altra stella sulle spalline, un titolo nobiliare, la ricchezza, l'ingannevole sicurezza di un figlio... Abbiamo fatta molta strada insieme da allora, Albert: attraverso patteggiamenti non chiarissimi, affari spregiudicati, e certi passaggi oscuri sui quali è meglio non indagare troppo in profondità. Ma ora temo di non poter più andare avanti: bisogna che vi cerchiate qualcun altro con cui uccidere la civiltà.
- Come volete, generale Thario - risposi seccamente.
- Un attimo, non ho ancora finito. Io ho sempre cercato, forse senza riuscirci sempre, di fare il mio dovere. Il mio dovere verso la nazione.,, verso l'esercito... - parlando si emozionava sempre più, - Il mio dovere verso di voi.., verso la Pemmican... rassegno le dimissioni. Bisogna trovare un posto... forse il Sahara.
Si alzò.
- Grazie, generale Thario. Prenderò certamente in considerazione il Sahara: mi sembra il posto ideale in cui situare i nostri depositi.
- Non volete cambiare idea?
Scossi la testa. Non potevo ignorare quello che mi diceva il buonsenso solo per soddisfare i capricci di un vecchio la cui mente non era più limpida come una volta.
- Lo temevo - brontolò. - Lo temevo. Non vi biasimo, Albert. L'uomo è come l'ha fatto il Creatore... o l'ambiente, come dicono i nostri amici socialisti... un uomo segnato: non è colpa vostra... Non sono riuscito, nella vita... Joe (lo chiamavo George, ma è sempre stato Joe) voleva andare a West Point, dopotutto... la Prima Sinfonia bruciata... Sono stato io che l'ho buttata nel fuoco... mi capite, Albert? Sebbene mi sia opposto, la colpa è mia... Cannibale Thario, mi chiamavano.,. sarebbe stato meglio Cronos Thario... le citazioni classiche non si addicono agli allievi ufficiali...
Se ne andò bofonchiando cose incomprensibili. Mi spiacque che un uomo una volta sveglio e vigoroso come il generale fosse ormai ridotto a un vecchio dalla mente confusa.

Capitolo LXV

La defezione del generale fece ricadere una gran mole di lavoro sulle mie spalle. Preblesham era abbastanza bravo, ma non all'altezza delle decisioni più gravi. Chiudere le fabbriche fu meno facile di quanto mi aspettassi: la mentalità militare di Thario sarebbe stata più utile di quella teologica di Preblesham. I dipendenti s'immaginavano, non si sa per quale motivo, che il posto di lavoro fosse proprietà loro, così come miniere e fabbriche erano proprietà mie: e dunque nacquero tumulti che bisognò sedare, e fu la prima volta in tanti anni che si dovette fare una cosa del genere. Addirittura, in certi casi occuparono la fabbrica e cercarono di mandarla avanti loro stessi: ma questi tentativi naufragarono miseramente. Essendo la natura umana quella che è, attribuirono il loro fallimento, invece che all'inefficienza e alla mancanza di spirito imprenditoriale tipiche delle maestranze, al fatto che io controllavo le materie prime o che avevo fatto togliere luce e energia agli stabilimenti occupati: non erano naturalmente altro che poveri alibi cui di solito si ricorre quando si cerca di giustificare il fallimento delle idee più estremiste.
Ma i depositi nel Sahara, come aveva suggerito il generale Thario, furono tutt'altra faccenda: qui il genio di Preblesham si manifestò interamente. Riuscì a portar via dall'Australia tutte le nostre riserve di materie prime senza la minima perdita. Reclutò folle di manodopera con un'efficienza insuperata anche dagli antichi negrieri. Discusse, convinse, diede ordini ventiquattr'ore al giorno: dopo sei mesi avevamo sette depositi, due in Arabia e cinque in Africa, completi di quattro fabbriche ciascuno, e abbastanza concentrati per nutrire tutto il mondo per un anno intero... se, il mondo, cioè, avesse avuto modo di pagare.
In questi sei mesi l'Erba avanzò implacabilmente un passo dopo l'altro.
La parte meridionale della Nuova Zelanda, la Nuova Caledonia, le Salomone e le Marianne vennero inghiottite praticamente in un colpo solo. Poi dilagò sulla Nuova Guinea e andò alla ricerca anche dell'atollo più sperduto delle Indie Orientali, come un gatto acciuffa tutti i topi neonati del nido appena scoperto. Si mangiò un pezzo della costa del Queensland subito dietro la grande barriera corallina. Il giorno dopo era a Townsville; poco dopo invadeva la penisola di Capo York, simile a un dito che l'Australia punta verso le isole abitate da piccoli uomini neri con la testa lanosa.
Gli abitanti di Melbourne, di Sydney, di Brisbane accolsero l'arrivo dell'Erba con fredda determinazione. I preparativi per la partenza erano stati fatti molti mesi prima: fu un'emigrazione estremamente tranquilla e ordinata.
Ma, sotto quella calma apparente, covava una rabbia profonda verso le autorità che non erano riuscite a proteggere la loro terra.
Il Queensland, il Nuovo Galles del Sud, il Victoria e la Tasmania scomparvero. L'Erba spazzò via la parte meridionale del continente come una falce, tagliando l'Australia dal sud e penetrando profondamente nelle regioni occidentali. Sebbene avessimo abbondanti riserve di materie prime a causa della riduzione dell'attività, Preblesham non resistette alla tentazione di comprare immensi greggi di pecore a un penny alla libra e di avviarle poi verso la costa settentrionale, nella speranza di riuscire in qualche modo a imbarcarle.
Peccato che l'affare si rivelò una perdita completa (cosa che del resto io avrei capito immediatamente).

Capitolo LXVI

Il Congresso per la lotta contro l'Erba si riunì in assemblea straordinaria a Budapest e si autodefinì l'organismo esecutivo di un Governo Mondiale, eccettuata naturalmente l'Unione Socialista. Si ordinò a tutti gli scienziati di lasciare qualsiasi cosa stessero facendo per mettersi a disposizione del governo mondiale. Si offrì a chiunque avesse trovato non dico una risposta, ma un'idea che potesse portare alla soluzione del problema dell'Erba una rendita dignitosa, garantita contro ogni eventuale fluttuazione monetaria, Nel frattempo l'Erba s'era mangiata i tre quarti dell'Australia, tutte le Indie Orientali e aveva cominciato ad intaccare le Filippine.
Milioni di indonesiani si imbarcarono su qualunque cosa fosse in grado di stare a galla e si affollarono nelle regioni già sovrappopolate dell'Asia. Come avevo predetto al generale Thario, questi profughi non avevano niente con cui comprarsi i concentrati necessari per sopravvivere; le carestie scoppiate in India e in Cina, essenzialmente a causa dell'arretratezza di questi paesi, fecero strage degli indigeni, per non parlare degli emigrati di recente arrivo.
L'Erba invase la Malesia e il Siam e raggiunse la Cina e la Birmania. All'inizio gli orientali cercarono di resistere difendendo ogni villaggio e ogni casa con falci, pietre, poveri falò alimentati con le misere masserizie, zappe, bastoni e, infine, con le mani nude. Ma le mani nude, non importa quanto numerose, si dimostrarono naturalmente incapaci di fermare il mare verde. E i cinesi e gli indù morti per difendere le loro case non ostacolarono l'avanzata dell'Erba più dei deserti, delle catene montuose o degli oceani.
Si sarebbe potuto paragonare la turba di profughi a un animale dalle gambe deboli e quasi atrofizzate, ma con una gran bocca e uno stomaco ancora più grande. Si muoveva con una lentezza paurosa, strisciando per l'Asia meridionale, trovando poco cibo dove passava e non lasciando niente dietro di sé. Era un animale appena consapevole del nemico che stava fuggendo; la sua unica preoccupazione era la fame.
Quella massa di uomini e di donne sull'orlo della morte per fame (i bambini erano già morti) dapprima mangiavano tutto quello che trovavano nelle case e nei negozi; poi frugarono la terra dei campi alla ricerca di qualche granello dimenticato di riso o di grano; poi divorarono la corteccia degli alberi; infine si gettarono sulle erbacce e sugli escrementi degli animali.
Le suole delle scarpe erano ormai state mangiate da un pezzo; e quasi subito avevano divorato cani, gatti e roditori. Mangiarono le carcasse putrescenti degli animali selvatici; si gettarono sui cadaveri di esseri umani e se ne nutrirono; infine non riuscirono più ad aspettare che la fame fornisse loro i cadaveri, ma uccisero i più deboli e ne divorarono la carne ancor calda.
Mentre il grosso delle popolazioni orientali, in lenta e spaventosa marcia verso l'Occidente, si trovava ancora al di là dell'Himalaya, l'Europa si gettò in un frenetico carnevale per celebrare il proprio destino. Ogni forma di moralità sessuale scomparve, e uomini e donne copularono apertamente per le strade. Gli scarni giornali mal stampati promettevano la soddisfazione dei piaceri più anomali. Nacque un nuovo culto di Priapo, in nome del quale si deflorarono sugli altari innumerevoli vergini. Coloro che avevano ormai superato l'età della concupiscenza carnale si diedero a frequentare messe nere di varia natura (sebbene abbia saputo da uno di costoro che le cerimonie non erano particolarmente eccitanti, e questo perché i fedeli non avevano una fede abbastanza salda per provare il brivido del sacrilegio).
Si assassinava per puro piacere: il cannibalismo, importato dall'Oriente, divenne per T Europa uno sport cui s'indulgeva volentieri. Dopo le orge si prendeva chi s'era stancato prima degli altri e s'iniziava un altro e ben più orrido congresso carnale.
Insieme a quello di Priapo, rifiori il culto di Diana: monasteri e conventi si riempirono. Ma a molti non bastavano i semplici voti di castità: nel corso di cerimonie segrete e sinistre le donne offrivano il fiore della femminilità all'orrendo oltraggio del ferro rovente, dimostrando così di rinunciare per sempre ai piaceri della carne; gli uomini invece si castravano con le proprie mani, gettando nel fuoco la loro virilità.
Non vorrei dare l'impressione che tutti, in un modo o nell'altro, si abbandonassero alla pazzia. Molti, come me, erano del tutto normali e indirizzavano le loro energie solo verso il giorno in cui l'Erba sarebbe scomparsa e la normalità restaurata.
E neppure si pensi che la legge e l'ordine fossero del tutto scomparsi: anzi, moltiplicandosi i crimini, le leggi si facevano sempre più severe, e la pena capitale veniva applicata sempre più spesso.
Ma né la severità con cui venivano applicate le leggi, né T impegno del Governo Mondiale, riuscivano a tenere sotto controllo le ondate di profughi che venivano da Oriente. L'Erba cominciò a spingere verso occidente indiani e cinesi, che a loro volta premevano su mongoli, afgani e persiani. Questi popoli bellicosi per natura, vennero travolti non dalla forza delle armi, ma dalla pura pressione del numero; poi, doppiamente sconfitte dall'arrivo dell'Erba, queste popolazioni rivolsero la loro rabbia verso l'Occidente.
Quando le prime avanguardie di profughi cominciarono a riversarsi in Europa e in Africa Settentrionale, mi congratulai con me stesso per la mia preveggenza: se non avessi chiuso le mie fabbriche queste orde affamate avrebbero divorato le mie proprietà con la stessa mancanza di ritegno con cui avevano saccheggiato i miseri magazzini di Ah Que, di Ram Singh o di Mohammed Ali. La mia principale preoccupazione era ora di conservare intatta l'organizzazione in attesa del giorno in cui si fosse potuto ristabilire un mercato stabile. A questo scopo non licenziai un gran numero di ricercatori (che erano stati esonerati dalla precettazione generale ordinata dal Governo Mondiale, che si era mostrato molto ragionevole) cui affidai il compito di trovare un' arma contro il dilagare dell'Erba: infatti, ora, l'avanzata dell'Erba significava ogni giorno una perdita secca.
Avevo installato la Francis in un laboratorio perfettamente attrezzato situato in una località isolata del Surrey. Essendo vicino alla mia tenuta nello Hampshire, andavo a trovarla quasi ogni giorno: ma, purtroppo, le mie visite non servirono a scuoterla dal letargo in cui pareva essersi immersa.
- Preoccupato, Weener? Il Cynodon Dactylon si mangia oro e banconote, impianti e attrezzate, con la stessa facilità con cui inghiotte quarzo e mica, cadaveri e case abbandonate.
Non potei trattenermi. - Tutto, tranne il sale.
- Già. Il sodio era il punto debole nella formula del Metamorphizer: quando troverò a quale punto debole dell'Erba corrisponde, avrò trovato non l'elemento che le impedisce di crescere, ma quello che l'avvelena.
- Io non sono un chimico, signorina Francis, ma mi pare di aver sentito dire che il numero degli elementi è limitato: un centinaio, direi.
- Proprio così. E per ogni elemento ci sono tre stati: solido, liquido e gassoso. Nonché un numero quasi infinito di combinazioni. Che diavolo c'è? Forse le vostre foche ammaestrate non si comportano bene? Cosa volete da me? Che lo trovino loro il veleno per l'erba.
- Due teste sono meglio di una.
- Assurdo, Due teste di legno sono peggio, di una testa normale, perché ciascuna delle due tende a considerare l'altra come la fonte di ogni saggezza. Batterò l'Erba non appena potrò. E lo farò perché questo è il mio dovere, non perché ami Albert Weener; e non m'importa un accidente se le vostre proprietà si salveranno o meno.

Capitolo LXVII

Preblesham andava in aereo una volta alla settimana in Africa e in Asia Minore: licenziava i dipendenti poco efficienti, controllava che le guardie armate che sorvegliavano i depositi facessero il loro dovere, badava a che le nostre proprietà in Gran Bretagna continuassero a produrre utili. Questa attività era adattissima a lui, perché richiedeva poca immaginazione e molta energia.
Avevo notato già da qualche tempo una certa aria di riservatezza in lui, ma l'avevo attribuita al lavoro eccessivo. Fui perciò molto colpito quando, alla fine di uno dei nostri incontri, mi disse: - Signor Weener, ho intenzione di licenziarmi.
Lo pregai di dirmi cosa c'era che non andava, cosa l'avesse spinto a prendere questa decisione. Gli dissi che sapevo che lavorava troppo, e che aveva bisogno di una lunga vacanza.
- Non è questo. Non si lavora mai troppo. No, signor Weener, non ho bisogno di una vacanza e non sono stanco. Mi ha chiamato una Voce.
- Una voce, Tony? - E cominciai a pensare a tutti gli psicanalisti che conoscevo.
- Una Voce dentro di me - ripeté con convinzione. - Sono un miserabile peccatore: forse Fratello Paul non seguiva la retta via. Ma a quel tempo cercavo di fare la volontà del Signore, e non quella di un uomo non migliore di me: in senso spirituale, s'intende, signor Weener. Ma ora ho udito di nuovo la Voce e bisogna che riprenda la croce. Sento dentro di me la vocazione: devo recarmi presso i nostri fratelli pagani e portar loro la parola di Dio.
- Andare tra quei selvaggi di là della Manica! Vi faranno a pezzi.
- Cristo mi risanerà.
- Tony, ragionate: siete sconvolto, non vi riconosco più.
- Io non sono più io, signor Weener: sono tornato bambino e devo fare la volontà di mio Padre. Sono sconvolto, è vero: sconvolto da una Forza che non mi permette di abbandonare i miei fratelli nelle tenebre del peccato. Devo andare a lavorare la vigna del Signore. Dio vi benedica, signor Weener.
Preblesham che parlava della vigna del Signore! Il generale Thario che diceva che io ero un uomo segnato! Mi chiesi in che razza di mondo rincretinito mi toccasse vivere.
L'abbandono di Preblesham, dopo il generale Thario, gettò sulle mie spalle anche tutto il lavoro di routine. Ora dovevo ispezionare periodicamente i miei depositi e fare viaggi frequenti oltremanica.
Cosa facevano la Francis e la sua equipe profumatamente pagata? Perché non avevo ancora ottenuto nessun risultato in cambio dei soldi che mi succhiavano? L'Erba aveva ormai occupato mezza Asia ed era già giunta nel Turkestan e ancora non si intravvedeva il modo di fermarla. Tra pochi mesi i nostri depositi in Arabia sarebbero stati minacciati. L'unica conclusione possibile era che quei cosiddetti scienziati erano tutti ciarlatani, assolutamente incompetenti ad affrontare una situazione d'emergenza.
L'Europa era un manicomio. Per semplice autodifesa s'erano dovuti condannare a morte tutti gli stranieri: per rappresaglia le orde degli invasori sterminarono intere popolazioni. I contadini non osavano aspettare l'arrivo degli orientali né spostarsi verso ovest, dove avrebbero trovato una morte sicura per mano dei loro vicini una volta tanto amichevoli. Per sopravvivere, si formarono piccole bande che combattevano imparzialmente contro gli uni e gli altri. L'agricoltura venne abbandonata quasi del tutto: la gente viveva di frutti selvatici e di carne umana.
In Africa la situazione non era molto migliore: ricomparvero le guerre tribali e lo schiavismo; i bianchi in Sudafrica sterminarono sistematicamente i neri per prevenire una possibile insurrezione: i kafiri fuggirono verso nord, portando con sé stragi, carestie e pestilenze.

Capitolo LXVIII

Quando dovetti abbandonare i depositi dell'Arabia di fronte all'avanzata dell'Erba mi sembrò che mi si spezzasse il cuore: fatica, abilità, preveggenza non erano servite a niente. E tutto questo per colpa della Francis e di quelli come lei, dannati incompetenti! Mi precipitai sul posto nel disperato tentativo di salvare qualcosa: tutto inutile per la mancanza di aeroplani e di carburante. In occasione di questi viaggi rividi l'Erba dopo tanti anni.
Credo che l'occhio umano non percepisca le cose in sé, ma le raffronti con esperienze precedenti. Avendo inghiottito mezzo mondo, la smisurata onda verde assomigliava al suo antenato californiano così come un brontosauro assomiglia a una lucertola che si scalda al sole su un muro d'orto. Tra l'ocra delle sabbie desertiche e Inazzurro immutabile del cielo c'era una terza fascia di colore, orribilmente fuori di posto: l'onda di un maremoto sarebbe sembrata meno minacciosa e aliena. Pensai alle civiltà morte ricoperte dall'onda: la Battriana, la Partia, gli imperi di Babilonia e di Timor, il Catai, la Cambogia, i domini del Gran Mogol.
L'ultimo rifugio dell'umanità si restringeva ogni giorno di più, come un'isola erosa dalle onde del mare. L'Africa era aggredita su tre fronti: a sud dal Madagascar; nel centro dall'Oceano Indiano e dal Mar Rosso: qui l'Erba trasse nuova forza dalle giungle fumanti dei tropici e crebbe con mostruosa rapidità; sugli altipiani della Rhodesia e dell'Abissinia avanzava invece più lentamente verso le pendici del Kilimangiaro e del Drakensberg. Bisognava fare assolutamente qualcosa, subito, se non volevo perdere anche i depositi africani e rimanere con quel poco che avevo in Gran Bretagna in. attesa di riconquistare Africa e Asia.
In quel tempo l'Erba passò gli Urali e, attraversato l'Atlantico, entrò in Islanda.

Capitolo LXIX

Malgrado la caotica situazione in Europa, non potei fare a meno di fare un ultimo giro d'ispezione. Il pensiero delle mie miniere allagate, degli stabilimenti saccheggiati, delle fabbriche sventrate mi angosciava oltre ogni dire. Le riserve di carburante in Inghilterra erano agli sgoccioli, ma io ne avevo più che a sufficienza da riempire un grande aereo da trasporto. Volammo bassi sulle strade dove l'umanità formicolava simile ai vermi che strisciavano sulla carne putrefatta. Certe città erano vuote, oscenamente nude; altre soffocate dalle torme di profughi.
La Rhur era piena di morti: i pochi sopravvissuti, spinti dalla fame, si tagliavano la gola Pun l'altro. Non c'era un edificio intatto: tutto era stato distrutto con furia cieca.
La Saar era in condizioni poco migliori; le miniere dell'Alsazia del tutto inutilizzabili. La "banlieue" industriale di Parigi era stata rasa al suolo dalla violenza selvaggia del popolaccio; il Belgio era raso al suolo. Mi ero aspettato il disordine, ma non in quella misura. Non volli vedere altro; poi, il pilota mi informò che il carburante cominciava a scarseggiare, e gli ordinai di tornare.
In vista della Manica, non lontano da Calais, i due motori di tribordo si fermarono insieme: il pilota puntò verso un aeroporto che s'intravvedeva sotto di noi. - Pazzo, che fate? - gli gridai.
- L'afflusso della benzina è bloccato. Una riparazione di pochi minuti.
- Non tra questi selvaggi. Ci ammazzeranno immediatamente.
- Non ce la facciamo ad attraversare la Manica, signore. Preferisco rischiare la vita tra esseri umani che tra le acque.
- Io no: riportate in quota l'aeroplano e andiamo avanti.
- Spiacente, signor Weener. Atterrerò qui.
Le mie proteste non riuscirono a smuoverlo. Le mie previsioni si rivelarono corrette: non facemmo in tempo a fermarci che ci trovammo circondati da una torma di uomini emaciati armati di falci e forconi che urlavano e gesticolavano. Era chiarissimo che ci ordinavano, con quei gesti, di uscire dall'aereo. Intanto, forarono le gomme e cominciarono a demolire sistematicamente i motori.
Abbandonati tra i selvaggi. Temetti che non si sarebbero accontentati di sfasciare l'aereo, ma che, vedendoci non ancora sprofondati al loro livello animalesco, avrebbero fatto a pezzi anche noi. Non parlo molto bene il francese ma mi sforzai lo stesso di spiccicare qualche parola a un tipo dall'aria sinistra. Questi mi guardò perplesso per qualche istante, e poi chiamò: - Jean! Jean!
Jean era un uomo dall'aria ancora più sinistra: una cicatrice rossastra gli attraversava la bocca formando come un labbro leporino artificiale. L'individuo parlava un po' d'inglese, - Il vostro aereo è stato confiscato, cittadino.
- Cosa diavolo dite? L'aereo è mio: mia proprietà personale.
- La proprietà privata è abolita nella Repubblica Una e Indivisibile - ribatté Jean. - Siateci grato che vi abbiamo lasciato la vita, cittadino inglese; andate per la vostra strada.
Immagino che la cosa più ragionevole sarebbe stata di seguire il suo consiglio; ma non potei trattenermi dal dirgli: - Non sono inglese, ma americano; anche noi una volta avevamo una repubblica una e indivisibile.
- Circolate, cittadino: la Repubblica non fa distinzioni tra un borghese e l'altro.
Mi guardai attorno cercando il pilota, ma era scomparso. Solo, furibondo, preoccupato a dir poco, mi diressi a piedi verso la costa; ma l'idea di trovarmi solo tra barbari mi spaventava. Inoltre, non ero attrezzato per un'escursione di quel genere.
Tra la paura di finire tra le mani di un altro gruppo di repubblicani, meno orgogliosi e più assetati di sangue, e il male ai piedi, malamente protetti dalle suole sottili, credo di aver percorso solo qualche chilometro quando cadde la notte. Continuai a camminare verso la costa: ansioso, spaventato, affamato, in condizioni non migliori delle migliaia di profughi che in quello stesso momento camminavano verso la stessa direzione.
Quando sorse la luna ebbi l'impressione di trovarmi vicino al mare: e uscendo da una macchia d'alberi vidi, infatti, il riflesso della luna sull'acqua. Ma, cosa spaventosa, non era la Manica; era un fiume, troppo largo perché lo potessi attraversare. Senza dubbio, seguendolo, sarei arrivato al mare, ma chissà quanti chilometri in più avrei dovuto percorrere. Temo di aver ceduto a un momento di debolezza e di essermi buttato per terra, piangendo sul mio destino infelice.
Probabilmente rimasi in quello stato per dieci minuti, o forse venti. Una nuvola nascose la luna; l'aria si fece più fredda. Stavo cercando di trovare la forza necessaria per alzarmi e proseguire (a che scopo poi non sapevo, perché non mi sarei trovato in migliori condizioni su una spiaggia normanna che lì nell'entroterra), quando una mano mi toccò delicatamente una spalla. - Angleterre? - sentii che mi chiedeva qualcuno.
Scattai in piedi. - Inghilterra, sì, Inghilterra. Potete aiutarmi ad andarci?
La luna era sempre coperta, e non riuscivo a vedere la faccia dell'uomo che avevo di fronte. - Inghilterra - disse. - Sì, vi posso aiutare.
Lo seguii. Poco lontano una barchetta a remi era legata a un palo piantato nell'acqua bassa del fiume. Anche così a occhio, nell'oscurità, mi sembrò un'imbarcazione troppo piccola per tenere il mare; comunque, non avevo scelta. Mi sedetti a poppa; l'uomo si mise ai remi e la barca cominciò a discendere il fiume.
La costa francese prima si erse a picco su di noi, poi divenne una massa oscura, infine si ridusse a una vaga presenza, lontano, a malapena percepibile. Mi prese il mal di mare e stetti malissimo, vomitando fuori bordo, quasi a fior d'acqua. L'uomo remava con ritmo costante, instancabile, assolutamente indifferente al rullio e al beccheggio della barchetta sul mare agitato. Negli intervalli di lucidità mi dissi che certo non faceva la traversata per la prima volta. Vomitavo e cadevo in un torpore profondo; mi svegliavo di soprassalto e tornavo a vomitare. La notte era eterna, il vento gelido. Quali ricchezze, mi chiedevo, sarebbero bastate per compensare un uomo che si sottoponeva volontariamente a un tormento simile?
Non so quando smisi di star male: probabilmente quando non ebbi più niente da vomitare. Me ne stetti lì seduto, flaccido e freddo, consapevole solo del rumore ritmico dei remi. Infine, incredibilmente, il cielo non fu più nero, ma grigio. Era proprio l'alba, che mi rivelò le acque agitate della Manica e la barchetta, che era ancora più piccola di quel che mi era sembrato.
Rabbrividii, e non solo di freddo, stavolta: se non fosse stato buio avrei esitato prima di affidare la mia vita a un simile guscio di noce.
La luce del giorno illuminava la faccia della mia guida: vidi il balenio degli occhi, un gran naso a uncino, narici dilatate. Era un uomo dall'età indefinita, più vicino alla vecchiaia che all'età matura, con un berretto rotondo aderente dal quale fuoruscivano due grosse ciocche di capelli grigi. La parte inferiore del viso era coperta da una barba brizzolata.
Mi studiò attentamente. - Voi non siete un uomo povero - mi disse in tono d'accusa. - Come mai avete aspettato tanto?
- Temo abbiate preso un granchio, amico mio - gli dissi con giovialità. - Non sono un profugo: ho la cittadinanza inglese e dunque posso entrare in territorio britannico del tutto legalmente, Ma non importa: vi pagherò quanto volete; purché si tratti di una cifra ragionevole, naturalmente.
- Siete un seguace della ragione, signore?
- Credo che ci troveremmo meglio se tutti prendessero la vita con un po' più di filosofia. Le autorità finiranno per trovare il rimedio di tutti i nostri guai; nel frattempo, la follia e la violenza - e qui feci un gesto in direzione della Francia, - non sono di nessuna utilità.
- Ah - disse lui senza smettere di remare, - dunque saranno gli uomini a risolvere il problema dell'Uomo?
- E chi altri?
- Già, chi altri?
- Ritenete che i nostri problemi possano essere risolti dall'esterno?
L'uomo riuscì a stringersi nelle spalle senza smettere di remare. - Forse la mia scarsa conoscenza dell'inglese non mi permette di capire bene questo termine, dall'esterno. Tutte le forze che conosco esistono dentro di noi.
- Non capisco cosa stia capitando alla gente - dissi. - O si comportano come laggiù - e indicai nuovamente in direzione della Repubblica Una e Indivisibile, - o si danno al misticismo.
- Secondo voi, gli interrogativi che non hanno una risposta immediata sono di tipo mistico?
- Voglio che i miei interrogativi abbiano una risposta qualsiasi.
- Evidentemente siete un tipo che pensa molto.
Mi divertiva parlare di questioni tanto personali con uno sconosciuto. - Ho vissuto solo per molti anni. Naturalmente la mia mente non è stata oziosa.
- Non vi siete sposato?
- No. Non ne ho mai avuto il tempo.
- Ah. - Remò senza dir niente per qualche tempo, - Non ha avuto tempo - ripeté pensieroso.
- Credete che il matrimonio sia importante?
- Un uomo senza figli fa un torto ai suoi genitori.
- Cos'è, un proverbio?
- È solo un'osservazione. Immagino che, visto che non avete avuto il tempo di sposarvi, abbiate dedicato la vostra vita alle opere buone.
- Ho dato lavoro a molti, e ho aiutato i poveri.
- È bene essere caritatevoli.
- Ho dato milioni di dollari in beneficenza.
- Donazioni anonime, naturalmente. Voi dovete essere un uomo molto religioso, signore.
- Sono agnostico. Non so se esiste qualcosa al di sopra di noi.
- Ma sotto di noi ci sono i pesci, che non sanno di nuotare nel mare; sopra di noi gli uccelli, inconsapevoli delle vastità del cielo. I pesci ignorano cosa sia il cielo; gli uccelli non sanno cosa siano le profondità del mare. Anche loro sono agnostici.
- Bene, mi sembra che questo non faccia lord nessun male. I pesci si riproducono, gli uccelli nidificano senza bisogno della metafisica.
- Proprio così: il pesce è contento del suo essere pesce e vive in una felice ignoranza; il dubbio non turba mai il volo degli uccelli.
Il sole emerse dalle acque: davanti a noi si ergevano rupi gessose. Ancora un'ora, calcolai. - Avete scelto uno strano modo di guadagnarvi la vita, amico mio - mi decisi finalmente a dire.
- Alcuni sono legati alla Legge altri hanno bisogno della luce del sole. Forse, proprio come voi, ho commesso qualche grande peccato e cerco di espiarlo in questo modo.
- Non capisco. Io non ho commesso peccati, se ho capito bene il senso di questo concetto teologico.
- Abbiamo sconfinato - mormorò lui. - Abbiamo mentito, rubato, bestemmiato; abbiamo commesso iniquità e ingiustizia...
- Da quando il pensiero razionale ha rifiutato le superstizioni della religione, mezzo secolo fa, abbiamo imparato che il bene e il male sono concetti relativi; in realtà, sono privi di significato.
Per la prima volta l'uomo smise di remare, e la barca beccheggiò pazzamente. - Scusatemi - disse riprendendo la sua fatica. - Volete dire che in certe circostanze il bene diventa male, e viceversa?
- A seconda delle circostanze e dei punti di vista. Quello che è stato benefico ieri può riuscire dannoso oggi.
- Ah. Oggi il verde è verde; ma poteva essere stato giallo ieri, e blu domani.
- Si potrebbe sostenere anche un'affermazione tanto estrema; comunque, non era questo che volevo dire.
- Abbiamo commesso ingiustizia, abbiamo peccato di superbia, abbiamo ucciso e mentito, abbiamo complottato il male, commesso eresia, ci siamo ribellati, abbiamo agito perversamente, abbiamo trasgredito e perseguitato.,.
- Forse voi avrete fatto tutte queste cose - lo interruppi. - Io no. Lungi dal perseguitare, ho sempre creduto e praticato la tolleranza. Vivi e lascia vivere. Non si può rimediare al colore della pelle con cui si è nati.
- Naturalmente, se avessimo potuto avremmo scelto tutti di nascere europei di pelle bianca.
- Chi mai sceglierebbe una condizione negativa di propria volontà?
- Già, chi? Abbiamo perseguitato, siamo stati egoisti e corrotti, abbiamo commesso abomini inenarrabili, ci siamo traviati e abbiamo traviato il nostro prossimo...
Nessuno parlò dopo questa elencazione assolutamente inadatta alla situazione. Con gratitudine osservavo ogni crepa delle bianche alture di Dover.
L'uomo mandò la barca ad arenarsi sulla sabbia di una minuscola spiaggia, chiaramente poco frequentata e forse sconosciuta, Un sentiero appena segnato si arrampicava sulle alture: questo era evidentemente il suo approdo abituale.
La mia guida mise piede a terra, lisciandosi l'unico informe indumento che indossava contro il corpo ossuto. Aveva tirato fuori di tasca un libriccino e mormorava qualcosa di incomprensibile. Di nuovo mi sorpresi pensando all'infaticabile energia di quell'uomo: tutta una notte ai remi contro un mare agitato. E naturalmente non era ancora finita, per lui: c'era ancora il viaggio di ritorno.
Presi il portafoglio e gli porsi due banconote da cento sterline: Albert Weener ha sempre pagato generosamente chi gli ha reso un servigio. - Per voi, amico mio - gli dissi, - E grazie.
- Accetto i vostri ringraziamenti - rispose lui mettendo le mani dietro la schiena e inchinandosi leggermente. Poi si voltò e si mosse verso la barca.
Visto che a quanto pareva non aveva intenzione di accettare la mia ricompensa, mi sentii spinto a insistere. - È un gioco pericoloso, questo di portare la gente avanti e indietro. Immagino che non lo facciate perché vi diverte.
- È un'opera buona.
- Volete dire che lo fate per niente?
- La mia ricompensa è d'altro tipo.
- Ma è stupido. Chiunque voglia entrare illegalmente in Inghilterra sarebbe disposto a darvi qualsiasi cifra.
- Ci sono molti poveri.
- E ve ne sentite responsabile al punto di rischiare la vostra vita?
- Io rappresento solo me stesso: per forza la responsabilità è mia.
- Ma un uomo solo non può fare molto. Oh, non crediate che non capisca il vostro atteggiamento. Anch'io nutro una profonda compassione per questa povera gente: ho dato migliaia di sterline per aiutarli.
- La loro condizione vi tocca il cuore?
- Sì, davvero: mai nella storia vi è stata tanta miseria senza colpa.
- Ah. Per voi si tratta di qualcosa di strano e di patetico.
- Di più, tragico.
- Ma per noi è una vecchia storia.
Spinse la barca nell'acqua. - Una vecchia storia - ripeté.
- Aspettate! Il denaro!
Saltò nella barca e cominciò a remare. Io sventolavo le banconote: una scena ridicola. Ad ogni vogata la barca s'allontanava. - Il denaro! - gridai ancora.
La barca scomparve nelle nebbie della Manica: un altro matto. Mi volsi e cominciai a salire lungo il sentiero.
Quando finalmente riuscii a tornare nella mia tenuta dello Hampshire, stremato e invecchiato di dieci anni, trovai sulla scrivania un messaggio della Francis.
"Per dissipare la vostra più che naturale paura per la sicurezza della preziosissima persona di Albert Weener, credo di aver trovato una formula che funziona. Forse tra qualche settimana potremo cominciare a ricacciare indietro il Cynodon Dactylon".

Capitolo LXX

Il signor Weener ci vede chiaro

Non saprei se per colpa del freddo preso durante quella terribile notte, o per aver contratto qualche malattia che serpeggiava tra i selvaggi del continente, ma quella notte ebbi brividi violenti, febbre alta e mal di testa.
Ebbi anche un po' di delirio; sono sicuro di aver offerto alle mie infermiere più d'una occasione per sghignazzare della debolezza di una persona di non trascurabile importanza quale io ero. - Continuavate a chiedere carta e penna, signor Weener, ed eravate così debole da non poter neanche alzare una mano. Dicevate che volevate scrivere un libro: la storia dell'Erba. Per purgarvi, dicevate. Ma, signor Weener, i medici non prescrivono più purghe: sono fuori moda da prima della Grande Guerra.
Non ho mai apprezzato molto le teorie degli psicologi: sanno troppo di catechismo e di confessionale. Ma da quel poco che ho capito, qualcuno sostiene che dentro di noi c'è una cosa che si chiama inconscio: una specie di serbatoio che contiene ogni sorta di pensieri che non affiorano nella parte cosciente della mente. L'inconscio ha forti desideri, che tendono a manifestarsi quando la mente conscia non è in guardia. Che questa costruzione metafisica sia valida o meno, non saprei: ma mi sembrò che mentre ero malato mi fosse capitato qualcosa del genere. Il mio inconscio, o comunque lo si voglia chiamare, aveva stabilito un proposito ragionevole. Non c'era motivo per cui non avrei dovuto scrivere una storia del genere, utilizzando naturalmente il mio tempo libero.
Ma sia questo progetto di natura letteraria sia la mia convalescenza vennero interrotti dalla notizia della perdita dei miei depositi nel Sahara. Rimasi sorpreso dalla rapidità con cui l'Erba si era aperta la strada in quell'immensa distesa di sabbia e pietre, assolutamente priva d'acqua: ma fin dalla sua prima comparsa l'Erba aveva saputo adattarsi a ogni terreno, a ogni clima. Qualche mese prima, la notizia della catastrofe mi avrebbe fatto sprofondare in una profonda depressione; ora, l'ottimismo della Francis unito alle mie migliori condizioni di salute mi permisero di affrontare la perdita con una certa disinvoltura.
In Europa, erano liberi dall'Erba, per il momento, solo i Paesi Bassi, il Belgio, Francia, Spagna e Portogallo: qui e nelle Isole Britanniche si affollava quanto rimaneva dell'umanità. Era una folla cieca e affamata, impazzita dal terrore: un numero incalcolabile di esseri che lottavano e morivano, caparbiamente attaccati a un'esistenza comunque insopportabile; ma molto più numerosi erano coloro che stavano sotto l'Erba, ora padrona dei nove decimi del pianeta.
Le coste inglesi erano sorvegliate dalle navi: sembrava il 1940. Non saprei di che utilità potesse essere un allarme tempestivo: tuttavia, binocoli e cannocchiali scrutavano instancabili l'orizzonte, giorno e notte, per avvistare i primi segni di quel verde inconfondibile o il primo seme che fosse riuscito a mettere radici in terra inglese.
Le autorità erano al corrente delle previsioni ottimistiche della Francis, ma la notizia non era stata comunicata al pubblico: un'ovvia precauzione contro la possibilità di un'invasione da parte delle folle disperate d'oltremanica. Infatti, se si fosse sparsa la voce che si era trovata un'arma contro l'Erba, le Isole Britanniche sarebbero state prese d'assalto: e allora le riserve alimentari non sarebbero bastate per una settimana, e tutti avremmo condiviso la stessa sorte.
Ma, attraverso vie misteriose, la voce si sparse e rincuorò le nostre popolazioni: bisognava resistere, e aspettare finché la nuova scoperta non fosse stata perfezionata e impiegata, C'erano buone possibilità di fermare l'Erba, così si diceva, prima che questa varcasse il Reno.

Capitolo LXXI

Ma ora cominciava a esserci scarsità di tutto, tranne che di immigranti clandestini. Le riserve di petrolio erano limitate dalla capacità dei depositi. Rimaneva ancora molto cibo, ma si ricorse egualmente a un ferreo razionamento. La gente accettò i sacrifici, confortata dalla speranza che dava loro la scoperta della Francis, che, alla lunga, era merito mio.
Sebbene non mi piacesse affatto la scarsa efficienza della Francis, e mi sforzassi di ignorare gli insulti, le misi a disposizione tutti gli scienziati i tecnici e le apparecchiature scientifiche di cui disponevo; tutta la mia organizzazione di ricerca dipendeva da lei, che era sottoposta solo a un attento controllo di tipo amministrativo. Anche il governo collaborò alla ricerca, e mise a nostra disposizione migliaia e migliaia di uomini che sperimentavano ogni possibile variante sperimentale e ogni possibile modo di trattamento dell'Erba. Era una gara tra l'Erba e gli uomini: non c'era dubbio su chi sarebbe stato il vincitore; l'unico problema era quando e dove l'Erba sarebbe stata fermata.
L'idea di scrivere una storia dell'Erba mi attirava sempre di più: almeno, avrei evitato i dispiaceri quotidiani che mi derivavano dall'occuparmi esclusivamente di una massa di incompetenti. Ritenni opportuno cominciare a tenere un diario: in primo luogo per cominciare a calarmi nell'atmosfera dello scrivere; in secondo luogo, per poter disporre in seguito di appunti precisi e puntuali.

Capitolo LXXII

14 luglio. Pranzo ai Chequers con il P. M. Molto deprimente. Ha detto che la signorina F. dovrebbe essere nazionalizzata. Battuta di cattivo gusto del sottosegretario sul fatto che la nazionalizzazione delle donne si è dimostrata un'operazione fallimentare durante la rivoluzione russa. Non ho risposto niente, ma ho detto al P. M. che avremmo forse potuto dare una data precisa a metà settimana. Parlare a F. domani.
A casa alle 5. I giardinieri battono la fiacca: dappertutto segni di trascuratezza. Ho chiamato S. e gli ho dato una bella lavata di testa; dice che fa quello che può. Ho rimpianto i bei tempi di una volta: Tony Preblesham si sarebbe comportato diversamente. Devo trovare un altro maggiordomo?
Dopopranzo molto noioso. Ho deciso di cominciare il libro e ho buttato giù qualche paragrafo. Mi sembra niente male.
15 luglio. La radio questa mattina ha detto che l'Erba è arrivata alle Ardenne. Significa altri profughi dal continente, perché la guardia costiera può fare ben poco: e allora saremo finiti. Malgrado la notizia, la F. si rifiuta nel modo più preciso di fissare una data.
La signora H. mi dice che K., una delle cameriere, si è messa nei guai con un sottogiardiniere. Ho chiesto alla signora se non rientrava nelle sue mansioni di governante occuparsi di questioni del genere. Ha risposto molto seccata che in condizioni normali sarebbe stata capacissima di prendere in mano la situazione, ma di questi tempi non sapeva se licenziare K. o il sottogiardiniere, o tutti e due, o nessuno dei due. Questo atteggiamento è tipico dell'atmosfera generale di scarsa efficienza e di demoralizzazione. Le ho detto di licenziarli tutti e due e di non seccarmi più con queste banalità. Ho cercato di telefonare al P. M., ma il telefono non funzionava. Un altro sintomo.
Ho scritto per quattro ore di fila, raccontando l'origine dell'Erba. Mi sono sentito molto meglio e ho chiamato H. per dirle di licenziare solo il sottogiardiniere e di mandare la cameriera in ferie. Ho capito che non ha approvato la mia decisione.
16 luglio. Non si sa come, un pazzo è riuscito a penetrare in casa mia, ed è arrivato fin nello studio dove stavo scrivendo. Un tipo dall'aspetto spaventoso mi ha puntato contro una pistola declamando frasi senza senso di tipo sovversivo. Non mi vergogno di confessare che ho avuto paura: non è la prima volta che qualcuno attenta alla mia vita da quando sono diventato un uomo importante. Per fortuna, la mira del pazzo era pessima, e sebbene mi abbia sparato contro quattro colpi, le pallottole si sono tutte infilate nell'intonaco. Poi S., la signora H. e B., sentiti i colpi, sono entrati e l'hanno immobilizzato.
17 luglio. Un po' sconvolto per l'episodio di ieri. Ho deciso di andare a Londra. Lo studio era comunque inutilizzabile perché stanno rifacendo l'intonaco.
18 luglio. Ho avuto un'esperienza spaventosa. Non posso scrivere oltre, per il momento.
Più tardi. Camminavo per Regent Square quando l'ho vista. Era bella e misteriosa come la prima volta. Questa volta non sono rimasto paralizzato e l'ho rincorsa chiamandola, senza preoccuparmi di sembrare ridicolo.
E... poi basta. L'ho rincorsa, ma lei è scomparsa tra la folla. La gente mi guardava incuriosita mentre fendevo la calca, gridando: Aspettate! Aspettate un minuto! Ma lei era scomparsa.
Ancora più tardi. Tornerò alle Edere stanotte stessa. A Londra ho paura dì avere altre allucinazioni.
Se è stata un'allucinazione e non la Bella Sconosciuta in carne e ossa.
19 luglio. L'Erba è arrivata a Lione. La F. ha un nuovo esperimento in programma per domani. Malgrado fossi sconvolto, ho scritto sei pagine. Spaventoso concentrarsi in queste condizioni, ma mi sento soddisfatto, Io domino la mia anima.
S. dice che gli affittuari non pagano più l'affitto. Gli ho detto di sfrattarli.

Capitolo LXXIII

20 luglio. Ho assistito all'esperimento della F. su un campione di vegetazione qualsiasi. Penso che in futuro andrò a vedere solo i risultati: l'operazione di trattamento è stata molto noiosa. Ho scritto quattro pagine ma poi le ho stracciate. S. dice che è impossibile sfrattare gli affittuari morosi. Gli ho chiesto se non c'era più legge in Inghilterra e lui mi ha risposto: "Non molta. Devo cercarmi un altro fattore. Mi dicono che i Thario sono a Londra. L'Erba è arrivata ai Vosgi.
21 luglio. Insolito esito dell'esperimento della F.: tutta la vegetazione è morta. Perché non si decide ad agire direttamente sull'Erba?
23 luglio. L'Erba è giunta a Anversa. Interrogazioni in Parlamento. Se il governo non riesce a spingere la F. all'azione probabilmente cadrà domani. Ho assicurato il P. M. che farò il possibile per spingere la F. Non servirà a niente. Quella donna è pazza; la potrei fare internare in un manicomio in ventiquattr'ore se qualche altro scienziato avesse un minimo di prospettive. Oggi non ho scritto una parola.
25 luglio. Voto di fiducia. Il P. M. ha citato Churchill: "Per quanto riguarda la questione dell'invasione... noi non verremo meno; andremo avanti fino in fondo... difenderemo la nostra isola a qualunque costo. Combatteremo sulle spiagge, nelle città, sulle montagne. Non ci arrenderemo mai". Risultato: il governo ce l'ha fatta per un pelo: 209 a favore, 199 contro, 176 astenuti. Nessuno è soddisfatto dell'esito della votazione.
La signora H. si è rivolta a me molto agitata. Pare che in dispensa non ci sia più chutney, curry e salsa Worcester, e che questi condimenti siano introvabili. Le ho detto che non m'importava.
La signora H. non ha dato peso alle mie parole. "Una casa ben diretta, signor Weener, ha sempre chutney, curry e salsa Worcester". Incredibile il provincialismo di questi inglesi. Io non bevo coca cola né mangio hot dogs o ketchup da più di un anno, eppure non mi lamento.
L'Erba è sull'estuario della Schelda, quasi in vista delle coste britanniche. Oggi non ho scritto niente.
26 luglio. Mi hanno invitato a vedere un film girato in occasione di una ricognizione fatta di recente sul territorio degli Stati Uniti, Veramente commovente. New York si riconosce ancora per le forme strane assunte dall'Erba. Nel porto si vede uno strano ammasso di vegetazione. Qualche donna piangeva.
27 luglio. L'Erba è a Ostenda, in vista della costa.
28 luglio, L'Erba è a Dunquerque.
29 luglio. Con mia sorpresa, stamane F. è venuta alle Edere, una cosa che non aveva fatto mai, È pronta (finalmente!) a fare esperimenti direttamente sull'Erba, e vuole un aereo e carburante. Le ho detto che le nostre risorse sono estremamente limitate e che non si possono sprecare. Si è messa a gridare come una pazza (questa donna diventa veramente pericolosa in casi come questi) e io infine l'ho calmata dicendole, e la cosa è vera solo in parte, che devo rivolgermi alle autorità competenti. Poi l'ho convinta a usare delle imbarcazioni, visto che l'Erba è appena al di là della Manica. Con grande riluttanza ha accettato e se ne è andata brontolando. La mia gioia e il mio sollievo sono guastati dalle arroganti intemperanze di costei. Davvero una donna tanto squilibrata potrà salvare l'umanità?
30 luglio. Ho scritto.
31 luglio. Ho scritto.
4 agosto. È impossibile descrivere con parole quanto sono depresso. L'assicurazione della F. che l'ultimo esperimento le è stato utilissimo e che non prevedeva di vincere l'Erba tanto presto non toglie niente al fatto che le irrorazioni non hanno avuto il minimo effetto sull'Erba che ora cresce sulle spiagge sabbiose di Calais. L'ho accompagnata io stesso con grande rischio personale: le sue giustificazioni, per quanto rivestite di un linguaggio scientifico, non bastano a ripagarmi del tempo perduto.
5 agosto. Oggi è caduto il governo e si parla di una coalizione di unità nazionale, con poteri straordinari attribuiti alla Regina. Tutti sono d'accordo che si tratta di cosa anticostituzionale, ma si farà lo stesso.
Malgrado l'attenta sorveglianza contro l'immigrazione clandestina, la popolazione è diventata tanto numerosa che si sono dovute ridurre ulteriormente le razioni. La signora H. dice che non sa come farà a preparare il prossimo pasto. I contadini, mi dicono, si rifiutano fermamente di consegnare i loro prodotti.
6 agosto. Ho parlato con S. C. Gli ho offerto tutta l'organizzazione che ora fa capo alla F. Gli ho detto che posso esercitare una certa influenza e gli ho promesso il titolo di baronetto o di lord. Lui mi ha risposto così: "Signor Weener, non ho bisogno di allettamenti: sto già facendo del mio meglio. Ma sto seguendo una linea di ricerca completamente diversa da quella seguita dalla signorina Francis. Se dovessi prendere io in mano il suo lavoro a questo punto annullerei tutto quello che ha già fatto e non farei progredire di un millimetro quel che sto facendo io". Se C. non è in grado di sostituire F., allora non lo può fare nessuno. Molto depresso, ma ho scritto ugualmente. Non posso lasciarmi influenzare dagli stati d'animo.

Capitolo LXXIV

7 agosto. La radio ha detto che l'Erba è a Bordeaux e che, in forza delle leggi per la difesa del paese, tutti gli uomini e le donne sono da ritenersi automaticamente sotto le armi: ciascuno sarà individualmente responsabile di dieci metri quadrati del territorio nazionale, che verranno assegnati nominativamente dalle autorità della contea. Ho cercato di parlare con Sir H. C., ma il telefono non funziona.
Ho scritto fino a mezzogiorno. Quante arie si danno gli scrittori di professione: scrivere un libro è facile. Basta avere l'ostinazione dell'uomo d'affari e la pratica del giornalista, e io sono stato entrambe le cose. Poco prima di pranzo è arrivato in bicicletta un poliziotto dall'aria stanca e ci ha assegnato i nostri dieci metri quadrati di territorio. Molto gentilmente, Sir H. C. mi ha assegnato la difesa del mio studio.
8 agosto. L'Erba è a Troyes e a Chàlons. Il fatto che tutti siano stati assegnati alla difesa di un lembo del territorio nazionale ha sollevato il morale della popolazione. Come ho sempre sostenuto, la gente nei momenti di crisi ha bisogno di disciplina: infatti, se si deve pensare alla disciplina non si ha tempo di preoccuparsi per i nostri guai.
Il primo ministro ha fatto un breve discorso alla radio. Ha detto che si tiene in contatto costante con tutti i ricercatori, la Francis compresa. Sono molto seccato che mi abbia scavalcato in questo modo: una scortesia non necessaria.
La servitù è villana e inefficiente. Ne ho parlato alla signora H. e a S.: entrambi hanno riconosciuto che si tratta di cosa deplorevole, ma non sanno che farci. Disturbato da questi fastidi, non ho scritto neanche un rigo.
9 agosto. Notizia meravigliosa: la radio ha detto che la formula antierba verrà perfezionata prima di Natale.
10 agosto. F. dice che l'annuncio è privo di fondamento, e che nessuno, solo minimamente intelligente, potrebbe dire una cosa del genere. "È impossibile avere la sostanza prima di Natale?" le ho chiesto.
"Non è impossibile averla nemmeno domani mattina. Dio buono, Weener, ma non capite? Non sono mica una chiaroveggente".
Forse qualche scienziato di cui non so niente l'ha battuta sul tempo? Se è così, il governo ci fa proprio una figuraccia.
Malgrado tutte queste incertezze ho scritto tre pagine.
11 agosto. Tumulti a Manchester e Birmingham. I demagoghi dicono che se anche la formula antierba sarà pronta prima di Natale, sarà troppo tardi per salvare l'Inghilterra. Evidentemente sono sicuri che la Manica ci sarà di ben poca protezione. Forse cadrà il governo, cosa che non mi turba affatto. Infatti, preferisco l'altro partito.
12 agosto. Dopo un lungo periodo di silenzio radio, si è captata una trasmissione da Cherbourg in cui il governo francese chiede il permesso di venire a Londra.
13 agosto. Si è triplicata la sorveglianza delle coste: una precauzione più contro l'ondata di profughi che contro l'Erba. È stato necessario far fuoco con le mitragliatrici sulle imbarcazioni dei profughi; per autodifesa.
I tumulti nelle Midlands sono cessati: forse perché il governo ha annunciato di aver rifiutato il permesso d'entrata ai membri del governo francese (non ho potuto sapere se erano quelli della Repubblica Una e Indivisibile) e che Natale è il termine più pessimistico per il perfezionamento dell'antierba.
Sono arrivato a scrivere dell'ultima guerra.
14 agosto. Ho parlato oggi con il P. M.: una conversazione molto deprimente. A quanto pare la storia dell'antierba prima di Natale è stato un errore dal principio alla fine, perché nessuno ha mai fatto una promessa del genere. Ora però non ci si può rimangiare la parola, perché non si sa come potrebbe reagire la gente. Comincio a pensare seriamente di spostarmi in Irlanda.
15 agosto. L'Erba è arrivata alle Faroer. La costa francese ne è ricoperta fino alla foce della Senna. Cosa sta facendo la F.? Forse il fallimento dell'ultimo esperimento le ha tolto ogni speranza?
Sono andato in macchina al laboratorio e le ho parlato del trasloco in Irlanda. Si è detta d'accordo che potrebbe essere una saggia precauzione. "Sapete, Weener, quello stupido che ha parlato di Natale potrebbe non essersi sbagliato, dopotutto". Mi è sembrata molto sicura di sé.
Ritornato a casa, ho scritto fino alla perdita degli Stati Uniti. Non sono incline ai sentimentalismi, io, ma spero di vivere fino a rimettere piede nella mia patria.
16 agosto. Nessuna notizia dalla Francia. Forse l'Erba sta rallentando l'avanzata? Scrivo furiosamente.
17 agosto. Ho scritto per dieci ore di fila. Ho deciso di licenziare S., che si rivela un individuo assolutamente incapace. Nessuna notizia dalla Francia, ma c'è una sensazione diffusa d'ottimismo.
18 agosto. Brutte notizie, anzi pessime. L'Erba ha fatto un salto di trecento chilometri, dalle Faroer alle Shetland, e ora siamo minacciati su tre fronti.
Andato a Londra per trovare un posto in Irlanda. Il rappresentante irlandese è un tipo villano e meschino, che mi ha accolto malissimo. Ho dato ordine di chiamare direttamente Dublino non appena verrà ristabilito il contatto telefonico.
19 agosto. Per quanto si sa, la Francia è tutta perduta. Si crede che un frammento di penisola iberica e un po' d'Africa siano ancora liberi dall'Erba. È quasi incredibile pensare che siano morti miliardi di persone e che l'ultima terra libera è l'Inghilterra.
20 agosto. Scuse a profusione da Dublino per il comportamento del suo rappresentante a Londra. Mi hanno offerto una residenza vicino a Kilkenny e tutte le attrezzature scientifiche di cui la F. e i suoi colleghi potessero avere bisogno. L'ho detto a F., che mi ha risposto con un grugnito. Ha detto che vuole una nave attrezzata a laboratorio per lavorare sulla costa francese. La sua richiesta mi ha dato coraggio.
21 agosto. È incredibile l'arroganza e la stupidità della classe operaia: ora si rifiutano di lavorare in cambio di denaro, vogliono solo concentrati. Anche le guardie dei miei magazzini, prima così leali, vogliono essere pagate in concentrati. Prevedo un rapido esaurimento delle nostre scorte, se continua così.
22 agosto. Con tutte le navi di proprietà della Pemmican, non riesco a trovare niente di adatto per la F. Ho quasi deciso di usare il mio yacht personale, il "Sisyphus": si potrebbe usarlo per il trasferimento in Irlanda.
23 agosto. Ho fatto portare il "Sisyphus" a Southampton per le necessarie modifiche. Mi costerà migliaia di tonnellate di prezioso concentrato, nonché il rischio di tenere per settimane l'imbarcazione in un posto pericolosamente in vista. Ma Southampton è risultata più economica di ogni altro cantiere, e mi rifiuto di farmi contagiare dalla codardia che serpeggia tra le masse.
Comunque il morale della gente mi sembra migliorato in quest'ultima settimana; incoraggiante, per uno come me che crede nella dignità della natura umana.
Nessuna notizia sull'avanzata dell'Erba.
25 agosto. Andato in aereo a Kilkenny. Credo che questo sarà l'ultimo viaggio in aereo che farò per molto tempo, perché non ho quasi più carburante. Il posto è più bello che qui nell'Hampshire, ma la residenza è meno comoda. Visto gli irlandesi lavorano ancora in cambio di denaro, ho ordinato grosse modifiche.
26 agosto. Ho ordinato di sospendere tutte le vendite di concentrati. Poiché il denaro non ha più nessun valore, sarebbe da sciocchi dar via per niente il mio capitale più prezioso. Naturalmente è da un pezzo che ho dato ordine di ridurre le vendite a una quantità quasi simbolica, ma ora anche questa modesta quantità potrebbe, col tempo, esaurire le mie risorse. Ho raddoppiato la paga alle guardie (in concentrati, naturalmente) perché ho paura di possibili saccheggi.

Capitolo LXXV

29 agosto. Gli ultimi tre giorni sono stati spaventosi. È cominciato quando un pastore dell'isola di Skye ha trovato un ciuffo d'erba sospetta. Ogni cosa era favorevole all'invasore: l'isolamento del posto, le comunicazioni difficili, la scarsa manodopera disponibile. L'esaurimento delle riserve di carburante ha reso impossibile l'invio del personale per aereo; si è dovuto ricorrere al trasporto con imbarcazioni raffazzonate alla meglio. Fortunatamente sono stati trovati due ventilatori superciclonici finiti per sbaglio a Lochinvar, e sono stati mandati immediatamente sul posto.
Il ciuffo d'Erba è stato distrutto con il fuoco e la dinamite, mentre i ventilatori hanno impedito che i frammenti di stolone ricadessero a terra e mettessero radici. Dopo un periodo di estrema preoccupazione, sembra che ormai questo pericolo sia stato davvero eliminato: il 'ciuffo d'Erba è distrutto.
31 agosto. I lavori sul "Sisyphus" vanno avanti lentamente. Ho deciso di lasciare la mia cabina e di trasformare quella adiacente in studio. Così potrò accompagnare la F. senza smettere di scrivere il mio libro, che procede molto bene. Che soddisfazione il lavoro creativo!
5 settembre. L'Erba ha attaccato di nuovo, e questa volta tutti i tentativi per respingerla sono falliti: ormai si è saldamente attestata sulle Orkney e sulle Ebridi. Orribile pessimismo. Il governo è caduto: 422 voti contro 117. Il mio vecchio amico D. N. è di nuovo al suo posto.
6 settembre, Il "Sisyphus" è quasi a posto. Pranzo agli "Chequers". Il Primo Ministro mi dice di non lasciare l'Inghilterra, perché sarebbe dannoso per il morale della nazione. Gli ho risposto che ci avrei pensato.
7 settembre. La F. mi fa sapere di essere pronta e mi chiede se il "Sisyphus" è pronto a partire. Le ho risposto che tutti i lavori sono finiti, tranne che per le mie due cabine. Ha avuto la sfacciataggine di dire che la cosa non era importante e che sarebbe andata senza di me. Le ho fatto notare che il "Sisyphus" è mio e che non sarebbe partito fino a che anche le mie cabine non fossero pronte.

Capitolo LXXVI

8 settembre. Non andrò in Irlanda, dopotutto. L'Erba è arrivata nell'Ulster.
9 settembre. Gli Irlandesi stanno dilagando in Scozia e nel Galles. Impossibile trattenerli.
10 settembre. Donegal è stata invasa.
12 settembre. Da bordo del "Sisyphus". Ho scritto un numero incredibile di pagine: non capisco come si possa definire lavoro la stesura di un libro. Siamo partiti da Southampton la notte scorsa e ora stiamo incrociando a quattro miglia dalla costa francese. È incredibile: sotto quella coltre verde dall'aspetto tropicale giace il continente europeo, la culla della civiltà. E i corpi di milioni e milioni di esseri umani. Tranne per qualche gabbiano che stridendo s'azzarda verso l'interno e ritorna quasi subito, deluso, l'unica forma di vita è l'Erba.
Mi sono riservato il ponte di poppa: mentre scrivo queste righe mi rendo conto che quello che maggiormente colpisce è il senso di vitalità che emana da questa costa erbosa. Il continente morto è vivo, vivo come mai in precedenza: integralmente vivo: e si muove con milioni di appendici sensibili in ogni direzione. Per la prima volta capisco perché Joe trovava l'Erba bella: ma si può trovare bella una cosa che ha strangolato quasi tutto il mondo?
Più tardi. Stando seduto sul ponte appena oscillante, ho scritto qualche pagina. Ma ora ci avviciniamo alla parte più stretta della Manica, e il mare si fa mosso. Dovrò smettere per un po'.
Ancora più tardi. La F. ha trovato un posto che le sembra adatto, e abbiamo gettato l'ancora. Devo dire che ha gusti molto difficili: un posto è identico all'altro, di questi tempi. Forse ha tirato in lungo per darsi importanza.
La solita routine degli spray, ecc. Solo che questa volta la possibilità di successo ha reso interessanti anche questi preliminari. La F. e i suoi assistenti si sono ritirati subito dopo per non so che conferenza e io ho parlato a lungo con il capitano. Sono quasi le due di notte. Vedremo domani.
13 settembre. Orribile delusione: l'Erba è tale quale come prima. La F. l'ha presa molto tranquillamente. Dice che si deve aspettare ancora dodici ore. Poi lei e A. sono andati in barca tra l'Erba che cresce sui bassi fondali e con grande difficoltà hanno tagliato un po' d'Erba trattata con lo spray. Ho pensato che correre un rischio simile in prima persona non fosse altro che una stupida bravata da parte sua: poteva mandar qualcun altro.
Senza badare al fatto che non mi aveva invitato (villana come al solito), l'ho seguita nella cabina-laboratorio. Ha deposto gli stoloni su un tavolo metallico verniciato di bianco. Non riuscivo a distogliere gli occhi da questi segmenti di Erba. Giacevano sul tavolo non come pezzi di un vegetale, ma come creature stordite pronte ad aggredire una volta ripresi i sensi. Non riuscii a trattenermi e ne presi uno tra le dita: ancora una volta ho sentito quella sensazione morbida, elettrica.
I preparativi della F. erano interminabili. Se segue un rituale tanto inutile e complesso solo per verificare un esperimento non riuscito non mi sorprende affatto che ci metta anni per giungere a qualche risultato. Annoiato, stavo per andarmene quando guardai il filo d'Erba che ancora stringevo tra le dita.
Era appassito, rinsecchito...

Capitolo LXXVII

17 settembre. L'entusiasmo suscitato dal fatto che la formula della F. uccide l'Erba è diminuito dalla constatazione che l'effetto è incompleto: l'Erba muore soltanto quando si recidono gli stoloni trattati.
A quando pare per F. è già moltissimo. I suoi modi verso di me, sempre chiassosi e non improntati al rispetto della mia posizione sociale, sono diventati quasi amichevoli. Per tutto il viaggio di ritorno a Southampton non ha fatto altro che darmi pacche sulla schiena gridando: "È finita, Weener! È finita davvero, adesso!".
"Non è finita affatto" le ho risposto. "La vostra formula non ha il minimo effetto diretto sull'Erba".
"Oh, quello. Quello è niente. Un piccolo problema: è solo questione di tempo".
"Solo questione di tempo". Ma, Dio buono, vi rendete conto che l'Erba s'è già mangiata metà Irlanda? Che siamo circondati da quattro lati?
Ho detto al P. M. di non essere troppo ottimista, e lui ha annuito con solennità. Ma poi la BBC ha trasmesso un comunicato in cui si diceva che la F. aveva distrutto quasi tutta l'Erba della costa francese. Le strade di Londra si riempirono di gente in festa; una folla enorme ha fatto visita al cenotafio cantando "Rule Britannia".
18 settembre. Ho chiesto alla F. cosa vuol dire "questione di tempo". "Non più di quattro o cinque mesi", mi ha risposto.
"In un mese al massimo l'Erba sarà in Inghilterra".
"E lasciate che venga" mi ha risposto cinicamente. "Prenderemo il 'Sisyphus' e finiremo il nostro lavoro in mare".
"Ma nel frattempo moriranno milioni di persone" ho protestato io.
Si è voltata verso di me con... come dire?, con ferocia. "E le centinaia di milioni di morti quando non avete voluto vendere i vostri concentrati ai profughi dell'Asia?"
"Cosa potevo vendere a gente che non aveva niente con cui comprare?"
"E gli altri milioni di morti, quando avete chiuso le vostre fabbriche?"
"Sono forse responsabile io di chi non è in grado di badare a se stesso?"
"Sono forse io il custode di mio fratello?" Se cinquanta milioni di inglesi moriranno perché non posso accelerare le ricerche, la colpa sarà mia. Non cerco di discolparmi accusando qualcun altro o inventando altisonanti banalità. Se l'Erba arriverà prima che io sia pronta, la colpa sarà mia. Nel frattempo, anche se rimarrà vivo un solo essere umano, perfino se quell'essere umano si chiama A. W., io cercherò di salvarlo. Fino a che vi sarà un pezzo di terra libera, lavorerò sulla terra; quando non ci sarà più terra andrò in mare e lì finirò il mio lavoro.
"Volete dire che non c'è speranza di concludere prima che l'Inghilterra sparisca?"
"Non dico questo. È possibile che finisca in tempo per salvare l'Inghilterra, ma bisogna pensare al peggio. E il peggio è essere ricacciati in mare".
Rimasi molto turbato dall'idea di un mondo coperto dall'Erba, con qualche nave qua e là piena di superstiti.
"E quando avremo vinto riconquisteremo le terre perdute un metro dopo l'altro".
Ma questo finale spavaldo non mi rincuorò. Non ho nessuna voglia di riconquistare le terre perdute un metro dopo l'altro; voglio che si salvi almeno un frammento di civiltà.
19 settembre. Non è stata solo F. a pensare al mare come ultimo rifugio. Il mio ufficio londinese è stato letteralmente preso d'assalto da una folla disposta a pagare qualsiasi prezzo pur di affittare una nave. Ho dato ordine di non affittare niente.
20 settembre. L'entusiasmo comincia a calare: la gente si chiede cosa si aspetta per partire alla conquista del continente. La BBC ha parlato per la prima volta della necessità di alcuni perfezionamenti, affermando così implicitamente che l'antierba non funziona. Ho scritto molto.
21 settembre. La signora ti. mi ha parlato con grande dignità. Ha detto che ha saputo che intendo lasciare l'Inghilterra nel caso in cui l'Erba arrivasse. Non chiede niente per sé, inchinandosi ai voleri della Provvidenza, ma vorrebbe che prendessi con me sul "Sisyphus" sua figlia e la sua famiglia. Mi sarebbero di grande utilità, ha aggiunto debolmente.
Le ho detto che avrei tenuto presente la cosa, ma che non e' era pericolo immediato.
22 settembre. L'Erba è sul!' isola di. Man.
23 settembre, Ho ordinato di caricare sul "Sisyphus" tutti i concentrati che può portare:, basteranno per sei mesi.
24 settembre. So da anni che F. è pazza, ma la sua ultima richiesta è talmente folle che non credevo alle mie orecchie. Mi ha chiesto senza mezzi termini che sul "Sisyphus" vengano imbarcate "almeno cinquanta femmine nubili per ripopolare il pianeta dopo la riconquista". Rimessomi dalla sorpresa, ho discusso a lungo con lei. La perdita dell'Inghilterra non era ancora cosa certa.
"Bene. Allora faremo fare ima bella crociera alle ragazze e poi le rimanderemo a casa".
"Abbiamo provviste a sufficienza per sei mesi; con tanti passeggeri a bordo basteranno per meno di tre mesi".
Mi ha risposto con un ricatto brutale: "Senza donne, io non parto".
Se F. fosse un giovanotto invece che una donna già anziana, avrei capito questa aberrazione.
25 settembre. Pare che le nipoti della signora H. siano tra i dodici e i diciotto anni, il che non risolve il problema di trovare altre quarantasette ragazze per obbedire all'ultimatum della F. Ho affidato questo incarico alla signora H.
26 settembre. L'Erba è tornata sull'isola di Skye. Questa volta non è stata respinta.
27 settembre. I ventilatori ciclonici sono stati sistemati da Moray Firth al Firth di Lome. Sono in dubbio se chiedere ai Thario di venire con noi.
28 settembre. L'Erba è ad Aberdeen. Panico in Scozia. I treni non funzionano più.
29 settembre. L'arcivescovo di Canterbury ha proclamato una giornata di digiuno, penitenza e preghiera. L'Erba è a sud del Dee. Chiuse le miniere.
30 settembre. Tutte le imbarcazioni in grado di tenere il mare (e anche molte non in grado) sono state accaparrate. Ho fatto caricare tutti i concentrati che ci rimangono sulle mie navi, ognuna fornita di un equipaggio ridotto. Il "Sisyphus" potrà così rifornirsi. L'operazione è difficile perché i treni non funzionano.
2 ottobre. Ho scritto per quasi dodici ore. La posta non funziona più.
4 ottobre. La signora H. mi chiede se dobbiamo mangiare solo i concentrati ora, che i negozi sono chiusi. Perché no? Ho detto io; lei non ha detto niente.
5 ottobre. L'Erba è a Inverness e nel Pertshire.
6 ottobre. La F. è pronta per un altro esperimento. Essendo impossibile raggiungere la costa scozzese, abbiamo deciso di andare ancora sulla costa francese.
11 ottobre. Insopportabile. Malgrado il pessimismo della F., secondo cui l'antierba sarà trovata quando ormai l'Inghilterra sarà invasa, ho l'impressione che pensi al peggio per scaramanzia. Io sono convinto che fermeremo l'Erba entro una settimana o giù di lì, Ma il lavoro della F. va avanti a un centimetro per volta, e ogni volta bisogna ricominciare da capo.
L'Erba trattata è appassita in ventiquattr'ore: ma poco dopo è stata ricoperta da Erba nuova, viva e vitale. Un risultato del genere all'inizio della lotta contro l'Erba avrebbe avuto un significato; ora è troppo tardi per un'arma tanto debole.
L'antierba deve, come minimo, liberare definitivamente le zone trattate.
Ma la F. si stropiccia le mani e dice: "Siamo sulla strada giusta, no?" Siamo sulla strada giusta da mesi, ma non si arriva da nessuna parte.
12 ottobre. È il Columbus Day.
13 ottobre. Fife e Stirling sono invase. La radio invita alla calma.
14 ottobre. Sono certo che la F. troverà l'antierba oggi o domani.
15 ottobre. La signora H. mi ha annunciato di aver selezionato le cinquanta ragazze, e poi ha aggiunto: "Spero che le troverete soddisfacenti, signore". Per un orribile momento mi sono chiesto se crede che mi stia preparando un harem.
16 ottobre. Ci siamo imbarcati sul "Sisyphus". Il panico comincia a diffondersi in tutta la Gran Bretagna.
L'Erba è alla periferia di Edimburgo.
17 ottobre. Sono arrivato a raccontare l'arrivo dell'Erba in Europa.
Un altro problema. L'equipaggio del "Sisyphus", capitano compreso, vuole portare la moglie con sé. Strano che tutti siano sposati; comunque, non è un viaggio di piacere. Ho detto al capitano che poteva portare con sé sua moglie, ma che avrebbe dovuto cercare di scendere a un compromesso con gli altri: dopotutto, la capacità del "Sisyphus" non è infinita.
18 ottobre. L'Erba è sul Tweed. Il Primo Ministro ha assicurato per radio che l'antierba sarà pronto in settimana, F. era furibonda: mi ha chiesto di controllare meglio i miei uomini politici. Ho risposto senza scaldarmi (la sua rabbia era davvero ridicola) che, essendo, io cittadino americano, non avevo diritto di voto, e che non potevo esercitare nessuna influenza sul P. M. Ma forse questo annuncio prematuro, la farà muovere più in fretta.
I telefoni hanno smesso definitivamente di funzionare.
19 ottobre. Tumulti e saccheggi: cose pochissimo inglesi compiute in modi tipicamente inglesi. Qualche oratore in preda all'isteria ha chiesto alla gente di uccidere tutti i profughi stranieri, o quanto meno di escluderli dalla spartizione del bottino. La gente ha risposto più o meno con le stesse parole: "Non è corretto", "Dividere equamente "Ma come ti chiami: Hitler, per caso?", "Piantala, figliolo, chi credi di essere? Anche Dio onnipotente è straniero, no?". Dopo aver ripassato ben bene gli oratori, si sono dedicati allegramente a spazzar via tutto quello su cui potevano mettere le mani; anche i profughi hanno avuto la loro parte. L'aria dell'Inghilterra deve avere qualità particolari; non si spiegherebbe altrimenti come mai gli inglesi all'estero si comportino in modo tanto diverso che in patria.
Meno male che le riserve della Pemmican sono state imbarcate per tempo.
20 ottobre. Come ho già detto, l'Erba ha attraversato il Tweed ed è entrata nel Northumberland, ma inaspettatamente si è aperto anche un altro fronte: l'Erba è nel Norfolk da Yarmouth a Cromer. La F., il P. M. e io stesso siamo stati impiccati in effige. Impossibile rimanere più a lungo.
21 ottobre. Durham e Suffolk. Parlato con il capitano per vele ausiliarie. A bordo stanotte.
22 ottobre. Ho saputo che i Thario sono riusciti a procurarsi un'imbarcazione insieme ad amici.
Molto sollevato.
Rimandata partenza per sovrintendere al trasloco dei miei beni personali, manoscritto compreso, La F. dice che non è impossibile perfezionare la formula prima che l'Erba arrivi a Londra.
23 ottobre. A bordo del "Sisyphus". Dov'è finito il famoso eroismo degli inglesi? Durante il viaggio per imbarcarmi sono incappato in una folla che si comportava tale e quale i seguaci della Repubblica Una e Indivisibile. Scrivendo, non do molto peso all'episodio, ma posso ritenermi fortunato di essere uscito vivo.
Sono nervoso e tesissimo. Non tornerò alle Edere prima che l'Erba sia stata sconfitta. Sono troppo inquieto per scrivere. Ho passeggiato lungamente sul ponte.
24 ottobre. Sono arrivate le cinquanta ragazze: una cosa da impazzire. Ho dato ordine che rimangano a prua, ma la loro presenza è avvertibile ovunque.
Mi dicono che non c'è più elettricità. L'Erba è nello Yorkshire.
25 ottobre. È arrivata la F. con i suoi scienziati. Ha voluto sapere perché non si partiva subito. Le ho chiesto se sarebbe stato più facile svolgere il suo lavoro in mare. Mi ha risposto stringendosi nelle spalle. Le ho fato notare che solo i topi lasciano la nave che affonda, e che l'Inghilterra non era ancora sconfitta.
"Voi tremate, Weener. I vostri epigrammi sono banali, e siete verde in faccia".
"Non vi aspetterete che io rimanga indifferente agli avvenimenti, signorina?"
"E perché no?" è stata la sua incomprensibile risposta.
L'Erba è giunta nell'Essex e nell'Hertfordshire.. Ho saputo che vi sono almeno altre due navi trasformate in laboratori: sarei contento se battessero la F. sul tempo.
26 ottobre. Ho,dato ordine che le mie navi cariche di provviste aspettino al largo per evitare un abbordaggio da parte della popolazione in preda al panico.
L'Erba è nelle vicinanze di Londra.
27 ottobre. La BBC trasmette da Penzance, in Cornovaglia.

Capitolo LXXVIII

3 novembre. Da bordo del "Sisyphus" al largo dell'isola di Scilly. Gli ultimi giorni dell'Inghilterra sono terminati. L'orrore è stato tanto più grande, perché la BBC ha rinunciato alla sua consueta politica di tranquillizzare la popolazione. Ha invece organizzato una trasmissione incredibile leggendo i messaggi spediti da testimoni oculari con migliaia di piccioni viaggiatori: la fine è stata registrata minuto per minuto. Gli annunciatori hanno dato le notizie come se si trattasse di un normale disastro, magari avvenuto in terre lontane; il tutto, in tono estremamente spassionato e distaccato. I messaggi erano commoventi, compassati, tragici, banali, nobilmente inglesi...
La gente ha sfogato il terrore impotente con la piromania di massa: un edificio dopo l'altro, una città dopo l'altra sono stati dati alle fiamme. Ma, secondo la BBC, non si sono ripetuti i fatti atroci verificatisi in Europa. La furia della folla si è scatenata solo contro gli oggetti inanimati: capolavori presi a calci per le strade e tele sfondate, ma le case sono state accuratamente vuotate dagli abitanti prima di darle alle fiamme.
Ma questi sono stati gli avvenimenti più spettacolari, più pittoreschi. Dietro di essi, comportamenti più banali e più ordinari. Chiese e cappelle affollate di gente in preghiera o in meditazione; la campagna piena di gente che guardava per l'ultima volta il sole, la terra, il cielo; grandi raduni in Hyde Park in cui si è proclamata l'indissolubile fratellanza di tutti gli uomini, anche di fronte all'estinzione della specie.
Comunque, ora l'Inghilterra se ne è andata dopo aver resistito per mille anni a ogni tentativo d'invasione. Da dove siedo tranquillo, aggiornando la mia storia e scrivendo queste righe, posso vedere, confusamente a occhio nudo, ma molto chiaramente col cannocchiale, una striscia verde smeraldo che spicca sul mare d'argento. Le grandi città sono sepolte; le nude brughiere, i bei laghi, i poetici ruscelli, i picchi inospitali, sono tutti ammantati di verde. L'Inghilterra se ne è andata, e con lei il mondo. I pochi esseri umani previdenti che sono fuggiti sul mare, forse qualche sopravvissuto disperso che vaga per i ghiacci dell'Artico o tra i picchi delle Ande e dell'Himalaya, l'equipaggio del "Sisyphus" e delle nostre navi di scorta: ecco quanto rimane dell'umanità, Un pensiero spaventoso.
Più tardi. Rileggendo quanto ho scritto, mi sembra di essere venuto meno ai principi di fondo della mia filosofia. Il mondo è morto, è vero; ma forse, dopotutto, la cosa ha degli aspetti positivi.
Tra pochi giorni ricominceremo tutto da capo, riprendendo la vita da dove l'abbiamo lasciata: perché abbiamo libri e strumenti e uomini istruiti e intelligenti. Cominceremo a costruire un mondo nuovo e migliore appena avremo battuto l'Erba. Questo pensiero mi conforta.
Sottocoperta, la Francis e i suoi collaboratori stanno cercando una soluzione. Dopo l'ultimo esperimento non ci possono essere dubbi sui risultati. Un'ora fa avrei scritto: peccato non essere riusciti prima della vittoria definitiva dell'Erba. Ora comincio a pensare che si è trattato di un ritardo fortunato.
4 novembre. Che senso hanno le date, ora? Bisognerà introdurre un nuovo calendario: Prima dell'Erba e Dopo l'Erba.
5 novembre. Mosso da non so quale istinto morboso, mi ero procurato un contenitore in acciaio inossidabile, munito di galleggianti, per salvare il mio manoscritto e questo diario nel caso in cui accadesse l'irreparabile. L'ho ora qui, accanto a me, sul ponte, come monito contro la disperazione dei deboli. La F. mi ha assicurato che è solo questione di giorni, e forse di ore, perché si possa tornare al nostro elemento naturale.
8 novembre. Un altro esperimento. Il successo è stato quasi completo. La F. è sicura che il prossimo sarà l'ultimo. Non ho più la forza di provare emozioni.
9 novembre. Ho finito la storia dell'Erba. Mi riposerò per qualche giorno dalle mie fatiche letterarie. La F. mi ha annunciato un nuovo esperimento per domani: "L'ultimo, Weener, l'ultimo".
10 novembre. L'esperimento definitivo è rimandato a domani. La F. è assolutamente sicura dell'esito positivo. Ora è sottocoperta a fare gli ultimi preparativi. Per la prima volta provo anch'io la sua sicurezza, sebbene non abbia mai dubitato del successo finale; credo che domani vedremo davvero l'inizio della fine dell'Erba. E pensare che tutto quanto ha avuto inizio nel prato della signora Dinkman: quanta strada abbiamo fatto, il mondo e io, da quel giorno!
Tornerei indietro nel tempo, se potessi? Sembra una domanda assurda, ma è fuor di dubbio che noi, sopravvissuti all'Erba, abbiamo raggiunto una statura morale superiore. Con questo, non intendo riferirmi a niente di mistico o di soprannaturale: solo, abbiamo acquistato una nuova capacità di percepire. Fratello Paul, quel ridicolo ciarlatano, aveva ragione in questo: l'Erba ci ha inflitto una giusta punizione. I peccati dell'umanità sono stati cancellati e completamente espiati.
Più tardi. Siamo fuor di vista della terra: non si vedono altro che cielo e mare, niente di verde.
La vigilia della liberazione; mi passano per la mente ogni sorta di pensieri assurdi e irrilevanti. La bella sconosciuta... La sinfonia di Joe, bruciata da sua madre. Cosa sarà successo a William Rufus Le Ffacasé dopo che ha abbandonato la sua professione per gettarsi in braccio alla superstizione? E alla signora Dinkman? Per qualche incomprensibile ragione sono ossessionato dal pensiero della signora Dinkman.
Vedo gli occhiali a pince-nez malamente agganciati al suo naso. Sento la sua voce lamentosa mentre contratta il prezzo del trattamento del suo prato. Davanti ai miei occhi c'è la stoffa ordinaria del suo goffo vestito. Tutto è così reale che vedo addirittura la trama del tessuto, approssimativa e irregolare.
Ancora più tardi. Sono stato qui seduto immerso in un letargo ebete, provocato senza dubbio dalla mia condizione di sovraffaticamento; comprensibile, visto quello che succederà tra poche ore.
Guardando le commessure delle assi del ponte, ho ripensato a tutto quello che ho scritto nel mio libro, preparandomi per così dire al glorioso e trionfante finale. Ma sono ossessionato dalle allucinazioni. Poco fa vedevo la signora Dinkman, e ora...
E ora, tra tutti gli errori che hanno sopraffatto l'umanità, vedo, ondeggiante, insidioso, insaziabile, vedo un filo d'Erba.
Più tardi. Non ho nemmeno cercato di strappare quel filo verde. Ora è alto circa sette o otto centimetri; la cima sottile ondeggia qua e là: sta cercando un posto dove ancorarsi più saldamente. L'ho toccato, ma non sono riuscito a convincermi a strapparlo.
Sono riuscito a distogliere gli occhi dal filo d'Erba e sono sceso sottocoperta. Sono rimasto a lungo fuori della cabina della F.; sentivo ridere con una nota di trionfo che non avevo mai sentito prima: segno che il successo è certo.
È fuori discussione.
Lo stolone è riuscito ad abbarbicarsi in un'altra commessura.
Le foglie sono verdissime. Si sono aperte nel sole e stanno assorbendo forza per nuovi germogli, Ho messo il mio manoscritto nel contenitore d'acciaio che non ho ancora chiuso: per mettervi anche il diario, se dovesse essere necessario.
Naturalmente questa eventualità è assurda.
Assolutamente assurda.
L'Erba ha trovato un'altra commessura.

FINE