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Utopia & Dystopia
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NAZIONALSOCIALISMO ESOTERICO - Marco Dolcetta

0 - Premessa / I - Lutero, la rosacroce e lo spirito tedesco / II - L'esoterismo europeo nel passaggio dal secolo XIX al secolo XX / III - Da rudolf steiner ad aleister crowley / IV - La costruzione del pensiero antisemita / V - L'esoterismo tedesco prima del reich / VI - La cristianizzazione dello spirito tedesco / VII - L'interpretazione nazionalsocialista di nietzsche / VIII - Verso un nuovo paganesimo / IX - Le società segrete preparano l'avvento al nazionalsocialismo / X - Karl haushofer e la geopolitica / XI - Rudolf von sebottendorf e il muftì husseini / XII - L'ostilità del duce verso julius evola / XIII - Le SS e shamballa / XIV - L'induismo filonazista / XV - Le origini della razza e l'ideologia segreta / XVI - 1935 le origini delle SS ahnenerbe / XVII - La vita a wewelsburg / XVIII - La struttura iniziatica delle ahnenerbe / XIX - Le altre anime delle ahnenerbe / XX - Tibet, india e radici esoteriche del nazionalsocialismo / XXI - Friedrich hielscher / XXII - La produzione editorialie dell'ordine / XXIII - Le iniziazioni, cerimonie di adesione e partecipazione ai riti del nazionalsocialismo / XXIV - Hitler come guida religiosa / XXV - E hitler disse «si continua a combattere per l'uomo che verrà» / XXVI - Le ahnenerbe dopo il nazionalsocialismo / XXVII - Dai «documents massoniques» / XXVIII - Intervista a miguel serrano / XXIX - Esicasmo / XXX - La formazione politico-militare della nuova europa del capitano SS leale martelli / XXXI - Documentazione tratta dalla missione in cina, gobi, tibet ed india / XXXII - Dal rapporto riservato di ernst schäfer a weistnor, a seguito della sua missione in tibet

«Gli unici che resteranno per sempre, gli immortali nel mondo fisico, e che sono destinati ciclicamente a riapparire, saranno coloro che durante la loro esistenza hanno amato, rispettato e onorato la Madre Terribile, quelli che hanno con Lei scambiato affetto e trasformato in altro la pietà della Sua natura divina sotto le apparenze umane. Lo scambio avviene nello sguardo che, pieno di energie di desiderio, dà reciproca forza e illuminazione. Così nella luce ci si unisce, immortali». [Traduzione di un testo induista apparso nel 1938 in un manuale ad uso interno della SS Anhenerbe]

Premessa

Il paganesimo classico conosceva la distinzione fra la religiosità popolare, basata sulle consuetudini locali e accessibile a tutta la popolazione, e il culto misterico, accessibile ai soli iniziati e in grado di rivelare loro le verità metafisiche sulla natura ultima dell'essere.
La natura di una dottrina elitaria, non raggiungibile mediante lo studio dei libri, ma attingibile soltanto tramite una iniziazione conferita da maestro a discepolo, fa parte del patrimonio tradizionale della religiosità germanico ed è riscontrabile presso altre civiltà appartenenti al medesimo ceppo, come ad esempio quella indiana e quella iranica. La decadenza delle varie forme di civiltà comporta sempre, come osservato da Oswald Spengler ne Il tramonto dell'Occidente, una diffusione su vasta scala di ciò che era originariamente prerogativa esclusiva delle élite. Il caso più tipico, per fare un esempio, è quello dell'imbalsamazione praticata nella civiltà egizia: da prerogativa riservata al solo Faraone, questo rito venne poi esteso agli altri membri della famiglia reale, ai notabili, agli alti funzionari, e infine a tutti coloro che erano in grado di pagarne i costi. Lo stesso si può dire della ritualità misterica, divenuta in periodo ellenistico accessibile a vasti strati della popolazione, non soltanto greca, ma anche romana e barbara.
Intorno al secolo I d. C., con la predicazione di Paolo di Tarso in Asia Minore e in Europa, l'equilibrio religioso del mondo ellenistico venne sconvolto. Il Cristianesimo, nato come una delle tante correnti dell'Ebraismo rabbinico, veniva ora presentato come religione universale, in grado di guidare alla salvezza ogni uomo, a prescindere dalla sua origine, dal suo ceto sociale e dalla sua appartenenza etnica. Diffondendosi in un ambiente di lingua e cultura greca, il messaggio cristiano venne letto da alcuni in un contesto ispirato alla soteriologia ellenica. Da qui lo Gnosticismo.
Le varie sette gnostiche, come i Marcioniti, i Valentiniani e i Carpocratici, pur professando dottrine molto diverse le une dalle altre e a noi note soltanto indirettamente, erano accomunate dalla tendenza a leggere il ruolo di Gesù come analogo a quello degli «eoni salvifici» della tradizione ario-indoeuropea, assimilandolo di fatto al Kalkin Avatara induista, al Maitreya buddhista, al Saoyant zoroastriano, a Dioniso Zagreo, ad Apollonio di Tiana, ecc.

Lo Gnosticismo
Con il termine Gnosticismo si designa complessivamente un gruppo di dottrine e di sette, fiorite tra i secoli II e III d. C. nell'ambiente religioso-culturale di Alessandria d'Egitto, derivate dalla fusione dei sincretismo orientale e delle dottrine ellenistiche con il Cristianesimo. Sebbene diverse nella forma (gnosi volgare e gnosi dotta), tutte le dottrine gnostiche avevano come fondamento comune il principio della gnosi, cioè la conoscenza assoluta concessa dal rivelatore celeste a piccoli gruppi di eletti e di iniziati, considerata unico fondamento di garanzia e di salvezza per l'uomo caduto prigioniero nel mondo della materia. Gli gnostici erano concordi nel professare l'affermazione di un sistema di entità emanate e mediatrici (eoni), la condanna della materia e la dottrina di un salvatore celeste fonte di gnosi, unanimemente riconosciuto nel Cristo, la cui incarnazione era ritenuta apparente (alieno dalle contingenze terrene, il rivelatore non si incarna, docetismo). Poiché la luce salvifica non era destinata a tutti gli uomini ma solo agli eletti predisposti a ricevere la gnosi, capitava spesso che in alcuni ambienti gnostici si assumessero atteggiamenti di libera condotta tali da attirare da parte cristiana accuse di vero e proprio libertinismo. Già ritenuto un insieme di eresie nell'ambiente del Cristianesimo, lo Gnosticismo è stato poi riportato a origini caldaiche, ma sembra assai più probabile che esso sia sorto indipendentemente dal Cristianesimo in Siria, Mesopotamia ed Egitto riprendendo e sviluppando dottrine segrete del giudaismo tardivo.

Secondo gli gnostici l'anima umana, per natura luminosa e spirituale, si trova inviluppata nei meandri della materia ed essendo congiunta al corpo, tende ad identificarsi con esso, dimentica delle proprie origini e del proprio rango. Il Salvatore, in quanto apportatore della conoscenza liberante (sophia o gnosis), è in grado di aiutare l'anima dell'iniziato nel suo processo di catarsi, di scioglierla dai vincoli della materia e di ricondurla alla sua libertà primigenia. Marcione, in particolare, contrappone Gesù, manifestazione del Dio della luce, al Demiurgo, entità malefica identificata con lo Jahvè dell'Antico Testamento, creatore del mondo e quindi responsabile dell'aver contaminato l'universo spirituale, il pleroma, con l'elemento materiale e corporeo. L'ortodossia cattolica reagì in modo quantomai risoluto contro questa interpretazione della missione del Cristo, e vide in essa nient altro che una rinascita della misteriosofia pagana.
I Padri della Chiesa, fra i quali Ireneo di Lione e Clemente Alessandrino, dedicarono alla confutazione dello Gnosticismo gran parte delle loro opere, ed è grazie ad esse che le dottrine delle scuole gnostiche ci sono note. Contrariamente alla nozione di una conoscenza esoterica che salva e trasforma, i Padri greci e latini ribadivano la nozione di un Messia che non fa distinzione fra iniziati e profani, e che espia per l'intera umanità, non per una classe di eletti. Tutti possono attingere alla salvezza, non per via di una conoscenza tramandata da maestro a discepolo ma mediante la fede e la sottomissione all'autorità ecclesiastica. L'idea di una conoscenza salvifica viene anzi presentata come diabolica, e ricollegata alle parole di Lucifero ad Adamo ed Eva: «Sarete come Dio, avendo la conoscenza del Bene e del Male». Questa presa di posizione troncò sul nascere la possibilità di un esoterismo cristiano, e nell'Europa Occidentale ogni tentativo di far rinascere la conoscenza esoterica assumerà da subito i caratteri dell'eresia e verrà aspramente combattuto. A titolo d'esempio valga la vicenda dei Catari, assimilabili agli antichi gnostici nella pretesa di possedere una conoscenza trascendente rispetto a quella propria agli uomini di Chiesa, e trasmissibile non già da sacerdote a fedele mediante i Sacramenti, ma da «perfetto» a «postulante» tramite il rito del consolamentum.

I Templari
L'Ordine religioso-militare dei Templari fu istituito nel secolo XII per garantire la sicurezza dei pellegrini in visita a Gerusalemme. Nel 1118 i cavalieri francesi Hugh de Payns e Geoffroy de Saint-Omer (molto probabilmente già membri del Priorato di Sion o della Rosacroce) avevano fondato, assecondando il volere di San Bernardo da Chiaravalle, l'Ordine dei Poveri Cavalieri di Cristo proprio con lo scopo di tutelare i pellegrini che si recavano in Terra Santa. Ospitati da Baldovino II, Re Latino di Gerusalemme, in un'ala del palazzo reale sorto sulle rovine dell'antico Tempio, ai due cavalieri e al loro Ordine venne attribuito il nuovo nome di Templari. Al ritorno in Francia, il Concilio di Troyes (1128) sancì ufficialmente le regole dell'Ordine: i Templari facevano voto di castità, obbedienza e povertà, vestivano una cappa bianca con una croce rossa, erano suddivisi in Cavalieri, Cappellani, Sergenti, Artigiani e dipendevano direttamente dal Papa. Successivamente all'Ordine aderirono molti nobili e così i Templari divennero anche una potenza economica: dopo la fine delle Crociate, dediti ormai a numerose attività economiche, e accusati persino di prestito a usura, avevano accumulato immense ricchezze, tanto da diventare una minaccia sia per l'Impero sia per il Papato. Nel 1307 vennero accusati di eresia e immoralità da Filippo il Bello (con il tacito consenso di papa Clemente V) e nel 1314, soppresso l'Ordine, condannati alla confisca dei beni e al rogo. Alcune fonti riportano che fin dall'inizio i Templari avrebbero costituito un Ordine di carattere iniziatico. Tra le gesta loro attribuite vi è il recupero dell'Arca dell'Alleanza dal Tempio di Gerusalemme, la codificazione dei segreti costruttivi delle cattedrali gotiche e quello delle carte segrete che indicavano la rotta per le Americhe e la difesa del Sacro Graal. Una parte delle fonti ritiene inoltre che i riti e segreti iniziatici dell'Ordine sarebbero alla base di fondazione della moderna Massoneria.

L'epoca delle Crociate vedrà sorgere un nuovo orientamento esoterico, anch'esso represso nel sangue. Il Sovrano Ordine Militare dei Cavalieri di Gerusalemme, generalmente noto come Ordine del Tempio, era originariamente una congregazione di monaci armati, incaricati di proteggere i pellegrini europei che si recavano a far visita al Santo Sepolcro. Stanziatisi a Gerusalemme, i Cavalieri del Tempio posero la loro sede centrale nella Cupola della Roccia (o Moschea di Omar), cioè nel sito in cui anticamente sorgeva il Tempio di Salomone (di qui la denominazione di Templari). Avendo trascorso alcuni anni in Medio Oriente, i Templari vennero a contatto con l'Ordine iniziatico islamico degli Ismailiti, e svilupparono tendenze gnostiche sempre più marcate, fornendo così al Re di Francia Filippo il Bello ed al Papa l'occasione per un'accusa di eresia, che portò alla condanna a morte dei principali cavalieri, allo scioglimento dell'Ordine e all'incamerazione da parte della corona di Francia dei suoi ingenti tesori. Vedremo in seguito come la principale fra le organizzazioni esoteriche dell'epoca moderna, la Massoneria, s'ispirerà all'Ordine del Tempio, tanto da ricollegare ad esso le sue origini.
In epoca rinascimentale, il fiorire degli studi umanistici portò alla formazione di un circolo di studiosi dell'esoterismo presso la corte fiorentina di Lorenzo il Magnifico. Filosofi come Marsilio Ficino, Pico della Mirandola e Gemistio Pletone coltivarono gli studi di lingua ebraica e si dedicarono a tradurre in latino i testi dell'esoterismo ebraico (Kabalah), nella certezza che la conoscenza esoterica potesse portare ad un superamento dei vincoli confessionali ed alla conciliazione fra i dogmi dell'Ebraismo e del Cristianesimo. Essi giunsero persino a sottoporre al Papa il frutto delle loro ricerche, ma furono costretti a rendersi conto che gli ambienti ecclesiastici erano risolutamente contrari al loro orientamento.

Capitolo I - Lutero, la Rosacroce e lo spirito tedesco

Fig. 1. Copertina dell'opuscolo di Dieter Schwarz, "La Massoneria: Visione del mondo, organizzazione e politica". Con una prefazione del Capo della polizia di Sicurezza e dell'ufficio Centrale di sicurezza delle SS, Gruppenführer Reinhard Heydrich, Berlino, Ufficio editoriale centrale della NSADP, 1938.

Con l'avvento della Riforma protestante in Germania i cultori di scienze esoteriche, quali Johann Gichtel e Cornelio Agrippa, speravano che il dominio del dogmatismo cattolico volgesse al termine perlomeno nei paesi di lingua tedesca, e che ci si trovasse di fronte a nuove opportunità per la rinascita dell'esoterismo. Fu così che in ambiente protestante si diffuse la confraternita dei Rosacroce, basata sulla dottrina delle «nozze mistiche» attribuita a un immaginario fondatore chiamato Christian Rosenkreuz.
In particolare, nella dottrina rosacrociana l'antica pratica dell'alchimia veniva affinata e riportata alla sua originaria funzione di rigenerare la natura dell'essere sino a condurlo a un equilibrio fra la sua natura maschile e quella femminile (da cui la nozione di «nozze mistiche») tale da consentirgli la pienezza delle sue potenzialità divine. I tre elementi principali dell'operazione alchemica, zolfo, mercurio e sale, venivano identificati, rispettivamente, con l'anima (essenza divina), con lo spirito (psiche) e con il corpo. Nel momento in cui, grazie all'alleanza con i principi tedeschi, Lutero riuscì ad affermare la sua dottrina e a fare della Chiesa riformata la religione ufficiale di una vasta parte del territorio tedesco, fu chiaro come il suo dogmatismo fosse omologo a quello delle gerarchie cattoliche e pronto, al pari di esse, a negare ogni valore alle dottrine esoteriche, e a tacciarle di paganesimo ed eresia.

La Rosacroce
Nel 1616 a Kassel, in Germania, circolava un misterioso libello pubblicato anonimamente intitolato Fama fraternitatis. In esso si raccontava la storia di Christian Rosenkreuz, un misterioso adepto che trecento anni prima, dopo essere venuto a conoscenza dei più alti misteri dell'alchimia, della sapienza esoterica e dell'occultismo, avrebbe fondato su questi principi un ordine, la Confraternita della Rosacroce. In realtà gli autori di questo documento furono alcuni intellettuali guidati dal pastore luterano Johann Valentin Andreae (1586-1654) interessato a presentare, sotto il velame esoterico, un ambizioso progetto di riforma politico-religiosa. Dopo la divulgazione di questo opuscolo, una gran quantità di confraternite denominate della Rosacroce furono fondate davvero in Germania, Russia, Polonia e persino in America. La definizione generica Rosacroce (il cui simbolo di matrice esoterica rappresenta l'illuminazione interiore) inglobava diverse dottrine e filosofie, idealmente collegate a vari movimenti esoterici. L'ermetismo egiziano, la gnosi, la cabala ebraica, l'alchimia e l'esoterismo cristiano, riuniti nella dottrina della setta, si proponevano di stabilire una nuova fratellanza cristiana in opposizione al papato e ai gesuiti e si esprimevano attraverso una complessa simbologia e iconografia. Numerose realtà rosacrociane hanno caratterizzato la storia dal secolo XII a oggi (l'ordine dei Rosacroce è infatti ancora attivo), tra cui: la Rosacroce d'Oro (1714) in Germania, l'Ordine cabalistico della Rosacroce (1887) e l'Ordine della Rosacroce del Tempio e del Graal (1890) in Francia,The Ancient Mystical Order Rosae Crucis (1909) in California.

Di fronte a questo orientamento, la Confraternita dei Rosacroce scomparì con la stessa naturalezza con cui era apparsa all'improvviso, mentre i seguaci dell'alchimia e gli ermetisti seguitarono a interessarsi ufficialmente delle semplici trasmutazioni metalliche, occultando il valore iniziatico delle loro dottrine e delle loro pratiche.

Le iniziazioni di mestiere e la Massoneria

Dal Medioevo continuavano tuttavia ad esistere in Europa le cosiddette «iniziazioni di mestiere», vale a dire dei riti di ammissione per entrare a far parte di una corporazione. A differenza di quanto accaduto per altri tipi di iniziazione, l'autorità ecclesiastica si guardò dall'esercitare una qualche forma di censura, giacché l'aspetto di queste iniziazioni era del tutto conforme all'ortodossia, e anzi legato al culto dei santi patroni. Questo genere di iniziazioni era sempre legato all'esercizio di una facoltà pratica (e per questa ragione era detta «di mestiere») e possedeva tante ripartizioni quanti erano gli ambiti in cui l'attività lavorativa si ripartiva. L'iniziato al mestiere si sarebbe distinto dunque dalla massa del popolo, o Quarto Stato, proprio in virtù del fatto che, appartenendo ad una corporazione, avrebbe esercitato un lavoro che costituiva l'attuazione di una tecnica tramandata da tempo immemorabile, e sarebbe vissuto in rapporto di reale fratellanza con tutti i colleghi della medesima confraternita. Le corporazioni di mestiere, alcune delle quali già presenti nel mondo romano in epoca precristiana, rispettavano la consueta tripartizione dei gradi: l'apprendista, il compagno d'arte e il maestro.

Il Compagnonaggio
Il Compagnonaggio, o Companionnage, nacque in Francia nei primi decenni del secolo XIV in seno alle corporazioni professionali iniziatiche e operative. La sua origine era in parte legata ad un rifiuto contro le corporazioni padronali, contro il potere politico che imponeva le tasse e contro la Chiesa che vietava il principio di associazione. Depositari di una tradizione millenaria, maestri d'opera, tagliatori di pietra, artisti, trasportatori, muratori, carpentieri, vetrai e fabbri facevano parte di organizzazioni strutturate in maniera rigorosa secondo una gerarchia ben definita. Condividendo i principi della loro arte, gli operai si perfezionavano assieme ai confratelli dal punto di vista tecnico, sociale, morale e spirituale, operando un controllo sulla diffusione della loro scienza edile tanto serrato da renderla un segreto per gli iniziati e tale da esigere addirittura un sistema di segni convenzionali di riconoscimento. E fu così che la segretezza, l'esclusività, l'obbligo di un'iniziazione, i rituali, il linguaggio in codice conferirono ben presto al Compagnonaggio un'identificazione di carattere esoterico. La stessa terminologia tecnica assumeva significati ermetici: l'architetto era la Divinità, il capomastro il Sacerdote, gli strumenti di lavoro come squadra e compasso divenivano simboli della perfezione del creato e così via. Seguendo la connotazione esoterica dell'ordine, l'origine del Compagnonaggio venne così leggendariamente retrodatata e attribuita da alcuni adepti allo scalpellino israeliano Maitre Jacques impegnato nella costruzione del Tempio di Gerusalemme e da altri a Jaques de Molay, l'ultimo Gran Maestro dei Templari bruciato sul rogo.

Nell'epoca contemporanea molte corporazioni sopravvivono nella Francia meridionale sotto il nome di Compagnonaggio. I riti di iniziazione seguitano ad essere quelli tradizionali, ma di fatto si tratta di una mera sopravvivenza residuale, in quanto l'attività dei Compagnoni si riduce a sagre paesane, feste in costume e simili. Solo la corporazione dei muratori ebbe invece un destino ben diverso, in quanto, dalla prima metà del secolo XVIII, diede vita alla Massoneria moderna, cioè a quella che verrà caratterizzata come la «società segreta» per eccellenza. Con la diffusione della leggenda di Hiram, architetto del Tempio di Salomone che venne ucciso da tre suoi discepoli invidiosi, sepolto sotto la pianta sacra dell'immortalità (acacia) e quindi resuscitato grazie alla sua conoscenza delle «parole sacre», ci si ritrova nuovamente di fronte al mito classico del Salvatore indoeuropeo: colui che riceveva l'iniziazione al grado di Maestro Muratore veniva assimilato a Hiram e, come già accadeva nei misteri egizi e in quelli eleusini, passava attraverso una morte simbolica ad un processo di resurrezione.
Con lo sviluppo della dottrina massonica verrà creato il cosiddetto sistema degli «alti gradi», vale a dire una serie di iniziazioni successive in cui il Maestro rivivificava le dottrine esoteriche dell'antichità. Nell'ambito del Rito Scozzese Antico e Accettato (il più diffuso fra i sistemi di «alti gradi»), il diciottesimo grado e il trentesimo, denominati rispettivamente Cavaliere Rosacroce e Cavaliere Kadosh, venivano incluse nell'esoterismo massonico le dottrine della antica Confraternita Rosacroce e quella dell'Ordine del Tempio. Kadosh in ebraico significa "santo", ma anche "custode del santuario", cioè templare. L'iniziato a questo grado veniva chiamato durante il rito a colpire con un pugnale i simboli della tiara e della corona, vale a dire i simboli delle due istituzioni che erano state all'origine dello scioglimento dei Templari, il Papato e la monarchia.
Con l'avvento dell'Illuminismo e il coinvolgimento della Massoneria - specie di quella latina - nella lotta politica contro l'assolutismo monarchico ed il potere temporale del Papato, il carattere esoterico dell'Ordine passò in secondo piano, e molti massoni decisero di dar vita a nuove organizzazioni, meno interessate alla politica e più rivolte allo studio delle dottrine esoteriche. Nacquero così il movimento degli Eletti Cohen, il Martinismo, la Stretta Osservanza Templare, il Rito Egizio di Memphis e Misraim. La massoneria ufficiale sarà dapprima contenuta e e osteggiata, poi repressa con la forza dal regime nazionalsocialista tedesco e da quello fascista italiano, in quanto associata all'ebraismo internazionale, alle democrazie liberali e a tutto quanto le teorie nazionalsocialiste consideravano sia culturalmente sia razzialmente impuro e contaminato.

Capitolo II - L'esoterismo europeo nel passaggio dal secolo XIX al secolo XX: La Società Teosofica

Fra i movimenti che fiorirono dalla matrice massonica rientra la Società Teosofica, associazione che esercitò un'influenza determinante sulla formazione delle correnti iniziatiche pangermaniste alla base dell'orientamento esoterico in seno al Nazionalsocialismo.
Il termine greco theosophia significa "conoscenza di Dio", ed è stato usato tanto dai filosofi greci che dai Padri della Chiesa anche come sinonimo di teologia. Nell'uso moderno però, esso viene riferito all'insieme delle dottrine insegnate dalla Società Teosofica, organizzazione istituita sul principio del secolo scorso dalla medium Elena Petrovna Blavatsky e dal Colonnello John Olcott, alto dignitario della Massoneria britannica, e successivamente guidata da Alice Bailey e Annie Besant. Il metafisico franco-egiziano René Guénon, uno dei più risoluti critici della moderna Teosofia, ha preferito conservare il significato tradizionale del termine riservando il neologismo teosofìsmo alle dottrine relative alla Società Teosofica: l'opera in cui egli confuta gli insegnamenti della Blavatsky e dei suoi successori prende appunto il nome di Il teosofìsmo, storia di una pseudo-religione. In ogni caso, la Teosofia rappresentò un nuovo grado di sviluppo nel cammino lungo la via del progresso, e il teosofo costituiva l'elemento di transizione fra l'uomo contemporaneo e l'uomo spiritualizzato. Si trattava di una forma molto semplificata di dottrina, in cui confluivano elementi dell'evoluzionismo darwiniano e del superuomo di Nietzsche.
All'inizio della sua carriera, la Blavatsky era soltanto una delle tante medium e sensitive che, sulla base dell'insegnamento di Allan Kardec, affermavano di essere in contatto con il mondo dei defunti grazie a speciali canali di comunicazione fra essi e i viventi. Fra le molte fantasie della Blavatsky vi era quella di essere in contatto con un maestro defunto di nome Maitreya, suo spirito guida, che la incaricava di ricercare la sapienza perduta e di condurre i discepoli a una più elevata forma di coscienza. La Blavatsky nutriva un'istintiva avversione nei confronti delle religioni tradizionali, destinate a essere presto soppiantate dalla spiritualità teosofica, poiché riteneva che, se alla base di ogni religione vi è un insegnamento spirituale, esso viene però sempre soppiantato dall'operato del clero, interessato a trasformare la fede in uno strumento di potere personale. Secondo la sua teoria, con la diffusione della Teosofia questo stato di cose sarebbe cessato in quanto gli adepti potevano conoscere la verità non più sotto forma confessionale, ma in modo diretto tramite i «Maestri Occulti».
La Blavatsky riservava a se stessa la funzione di portavoce dei Maestri, e i suoi diretti collaboratori assunsero ben presto la funzione di un vero e proprio clero teosofico, pronto a scomunicare e colpire con anatemi gli elementi dissidenti. Nei suoi scritti ella accettava tutte le dottrine antiche come autentici veicoli della sapienza primordiale, ma mostrava in modo esplicito di prediligere l'Induismo, religione che storicamente considerava più vicina alla spiritualità delle origini. Questa opzione di fondo sarà alla base di un vivo interesse per l'India, tale da caratterizzare ampi strati della borghesia medio-alta, dapprima europea, quindi nordamericana. Se al giorno d'oggi qualsiasi città occidentale ha almeno un centro di yoga e se parole quali «karma», «reincarnazione», «pranoterapia» sono entrate nel linguaggio comune ciò dipende senz'altro dal ruolo di apertura nei confronti della cultura indiana giocato dalla Società Teosofica.
Ciò nonostante, va comunque detto che le conoscenze della Blavatsky in materia di dottrine indiane erano alquanto grossolane e imperfette, nonostante tendesse a usare molto spesso termini sanscriti. In particolar modo, l'insieme delle dottrine indù veniva esposto in modo quantomai moralistico, e i parametri del puritanesimo vittoriano venivano applicati senza alcuna difficoltà agli antichi abitatori del continente indiano. Dopo la morte della Blavatsky, il livello culturale medio dei teosofi subì comunque un forte incremento, e aderirono all'organizzazione anche orientalisti seri e ricercatori coscienziosi, come l'iridologo Sir John Woodroffe (alias Arthur Avalon, autore dei primi studi occidentali sul tantrismo) e la tibetologa Alexandra David-Neel.

La Società Teosofica
La Società Teosofica fu fondata a New York il 17 novembre 1875 ad opera di Helena Petrovna Blavatsky e costituita ente morale a Madras, in India, il 3 aprile 1905. Il termine greco theosophia ("conoscenza di Dio"), già usato dai neoplatonici e dai mistici cristiani medievali per indicare la scienza delle cose divine, venne ripreso come fondamento costitutivo della Società, che professava il principio di una sapienza derivante dall'ispirazione o intuizione diretta della Verità. Tre gli scopi principali alla base dei suoi insegnamenti:
1. Formare un nucleo della Fratellanza Universale dell'umanità senza distinzione di razza, credo, sesso, casta o colore.
2. Incoraggiare lo studio delle religioni comparate, della filosofia e della scienza.
3. Investigare le leggi inesplicate della natura e i poteri nascosti dell'uomo.
I seguaci, uniti nel motto «Non vi è religione più alta della Verità», non avevano come vincolo d'unione la professione di una fede comune, ma la ricerca del Vero, considerato come premio da conseguire attraverso lo studio e la riflessione. La Società Teosofica si proponeva di ricondurre l'uomo, prigioniero della nuova visione materialistica e degli ormai consunti dogmi delle chiese cristiane, alle fonti dell'antica sapienza (soprattutto orientale). L'accesso a queste fonti era iniziatico e affidato a esperienze di tipo medianico. Attraverso queste «visioni personali» doveva essere possibile accogliere le rivelazioni di «Maestri Invisibili»: i «Grandi Custodi dell'Umanità» considerati l'origine dell'ispirazione teosofica. Spinta da questo desiderio di conoscenza, la Blavatsky, che aveva manifestato poteri extrasensoriali fin da bambina, intraprese un lungo viaggio in Tibet dove alcuni testi occulti la portarono a conoscere i misteri dell'universo e il corso futuro della storia, così come leggiamo nel suo libro La Dottrina segreta.

Il colonnello Olcott, qualificato esponente del servizio segreto britannico, contribuì in modo determinante alla valorizzazione della colonizzazione dell'India e, conseguentemente, alla diffusione dei principi teosofici. La sede centrale della Società Teosofica venne trasferita a Madras, e presto si avanzò l'idea di formare alcuni selezionati discendenti delle più importanti famiglie brahminiche. Terminato il loro iter formativo, questi brahmini sarebbero stati inviati in Occidente come maestri spirituali, e i teosofi avrebbero avuto a loro disposizione guide in grado di padroneggiare le lingue e la cultura europee. Ciò avrebbe inoltre fornito all'India l'immagine di una potenza coloniale che, lungi dall'imporre con la forza i suoi parametri di vita a una popolazione assoggettata e disprezzata, sapeva invece apprezzare la spiritualità indigena e si dedicava in modo solerte al suo apprendimento. Ai missionari cristiani delle Chiese cattolica e anglicana vennero così ad affiancarsi i missionari della Teosofia: lungi dal voler convertire gli indiani al Cristianesimo, essi si sforzavano di convincerli a essere i portatori di quella che era la madre di tutte le tradizioni spirituali. Ciò fu molto apprezzato dai principali esponenti dell'Induismo, e li indusse a collaborare in molti modi con l'organizzazione.
Prima della creazione di una centrale teosofica, il ceto abbiente dell'India tendeva istintivamente a occidentalizzarsi, mentre la fedeltà alla religione tradizionale era sentita dalle classi popolari, spesso scarsamente alfabetizzate. La Società Teosofica iniziò invece la pubblicazione in inglese dei classici dell'Induismo, e ciò consentì a molti indiani di comprendere quegli stessi testi che, essendo scritti in sanscrito, erano in precedenza accessibili ai soli membri della casta sacerdotale. Lo stesso Mahatma Gandhi, nella sua autobiografia, ricorda come, pur avendo studiato in Inghilterra ed avendovi conseguito la laurea in legge, ignorava quasi tutto dell'Induismo, e se poté per la prima volta leggere la Bhagavad Gita fu per via di una edizione di questo testo curata dalla Società Teosofica.

Dopo la Blavatsky, la presidenza di Annie Besant fu improntata sin dal principio sulla dottrina dell'avvento del «maestro atteso», cioè di colui che sarebbe divenuto la guida dell'intero movimento. Ufficialmente si predicava che il maestro fosse già nato, e che si stava aspettando soltanto il segno della sua manifestazione. In realtà la scelta sembrava già stata fatta da alcuni anni: il predestinato era un fanciullo indiano che avrebbe ricevuto il soprannome di Ananda Krishnamurti. Selezionato fin dalla nascita per una posizione di tanto rilievo, venne educato nelle migliori università inglesi, rigidamente separato dalla famiglia e addestrato a professare nei confronti della Besant e degli altri capi della Teosofia un'obbedienza totale e incondizionata. Nel momento in cui fu annunciata la «manifestazione del maestro», milioni di teosofi di tutto il mondo accorsero a Londra per ricevere dalle sue labbra il Verbo della futura umanità. Il successo fu enorme e la Teosofia raggiunse una popolarità mai conosciuta in precedenza. Le cose non andarono però completamente secondo i piani prestabiliti: divenuto adulto, e abituato a essere ossequiato da folle di teosofi adoranti, Krishnamurti rifiutò di continuare a essere un docile giocattolo nelle mani della Besant e iniziò a irridere apertamente coloro che lo veneravano. Sviluppò una sua dottrina, secondo la quale i vincoli del rapporto maestro-discepolo dovevano considerarsi superati e colui che intendeva conseguire l'«illuminazione spirituale» doveva per prima cosa convincersi che non poteva avere alcun maestro all'infuori di se stesso. Nel giro di pochi anni, Krishnamurti ripudiò apertamente ogni legame con la Teosofia, e iniziò a scrivere libri ispirati al suo nuovo pensiero. Quale libero pensatore spirituale, egli negò di essere un maestro e accettò semplicemente di continuare a ricoprire il ruolo di istruttore temporaneo per tutti coloro che avessero voluto trarre giovamento dalla sua esperienza. Per la Teosofia e i suoi seguaci fu un vero colpo: affascinati da Krishnamurti, molti di loro non vollero più saperne della Besant e si aprirono alla nozione di una «ascesi-fai-da-te».
L'interesse per l'India era un dato acquisito per molti intellettuali anglosassoni ma i limiti angusti della Teosofia cominciarono a non bastare: dappertutto si trovavano traduzioni di testi originali indù e documentazioni scientifiche e i libri della Blavatsky vennero considerati superati. La Società Teosofica finì per ridursi al rango di associazione per vecchie signore che, fra un tè e una canasta, si riunivano per parlare di karma, maestri segreti e reincarnazione. Sull'esempio di Krishnamurti molti insegnanti di yoga e maestri d'Induismo compresero che ormai l'Occidente era terreno fecondo per la diffusione delle loro dottrine, e si recarono dapprima in Inghilterra e poi negli Stati Uniti. Grande successo ebbero - nel periodo fra le due guerre - i viaggi di Paramahamsa Yogananda, il cui libro Autobiografìa di uno Yogi riuscì a vendere milioni di copie.
Fu però soltanto nel secondo dopoguerra che ebbe inizio un fenomeno assai diverso: quello di guru indiani che emigrarono in Occidente (per lo più negli Stati Uniti) e vi si stabilirono dando vita ad organizzazioni atte alla diffusione del loro insegnamento. In alcuni casi essi si limitarono a predicare all'estero le stesse dottrine professate in patria, ma in molti altri tesero ad «adattare» l'insegnamento alle mutate condizioni ambientali, dando vita a forme diverse di contaminazione e sincretismo.

Capitolo III - Da Rudolf Steiner ad Aleister Crowley: L'esoterismo apre al Nazionalsocialismo

Prima della sua crisi e del suo ridimensionamento, l'organizzazione teosofica si era espansa sino ad ottenere l'appoggio ufficiale della Corona britannica. Al suo interno si era però verificato un altro evento che la avrebbe notevolmente indebolita, con uno scisma di notevole rilievo: il teosofo svizzero Rudolph Steiner, capo del ramo tedesco del movimento, iniziò a criticare l'eccessiva indofilia della Besant, e contrappose alla Teosofia ufficiale una dottrina che, pur improntata sui medesimi postulati, desse maggiore rilievo alla tradizione occidentale. A partire dagli anni Venti Steiner fondò una nuova organizzazione, chiamata Società Antroposofica, che vide confluire nelle sua fila buona parte dei teosofi dell'Europa continentale.
Con l'avvento al potere di Hitler le divergenze dottrinali fra teosofi ed antroposofi acquisirono connotazioni politiche ben marcate: mentre Steiner divenne da subito un acceso sostenitore del movimento nazionalsocialista, giungendo ad affermare che in Hitler si era incarnata la «luce dell'Arcangelo Michele», i teosofi rafforzarono ancor più i loro vincoli con la Corona inglese, introducendo nelle loro sessioni di preghiera un'invocazione «per la protezione di Giorgio VI, Re e Imperatore».
Dalla sua sede centrale in Svizzera Steiner iniziò a diffondere una visione esoterica della politica contemporanea tutta a favore del Terzo Reich. Secondo la dottrina steineriana la società moderna aveva ridotto la funzione del pensiero a mera struttura di organizzazione logica del reale, mentre la natura pensante dell'essere, il nous, se sfruttato al meglio delle sue possibilità, era in grado di generare i contenuti del mondo esterno e di trasformare il reale, incidendo su di esso i segni di valori imperituri. Altro non era in fondo che una semplificazione e, per certi versi, una volgarizzazione in chiave operativa delle posizioni teoriche proprie dell'idealismo tedesco, da Fichte ad Hegel. A essa si aggiungeva però l'esigenza immediata di una realizzazione pratica, di un passaggio da un idealismo filosofico a un idealismo pratico, per sua natura aristocratico, e la cui comprensione restava riservata all'élite. All'incirca nel medesimo periodo il filosofo Julius Evola svilupperà il suo sistema dell'«idealismo magico», improntato su un più vasto e rigoroso approccio filosofico ma alieno dall'accogliere alcuni stereotipi di derivazione teosofica.

La Società Antropososofica
Staccatosi dalla Società Teosofica, di cui era segretario generale della sezione tedesca dal 1902, Rudolf Steiner fondò nel 1913 la Società Antroposofica, con sede a Dornach, in Svizzera, nel tempio di Goethenaum. L'Antroposofìa si distingueva dalla Teosofìa per il potenziamento dei mezzi conoscitivi umani mediante pratiche di meditazione e di concentrazione. Centro della dottrina antroposofica era la distinzione nell'uomo di sette principi: il corpo fisico, il corpo etereo, il corpo astrale, l'io, l'io spirituale, lo spirito vitale, l'uomo-spirito. Secondo i principi antroposofìci, con la morte il corpo fisico si dissolve, mentre quelli etereo e astrale accompagnano l'io in un periodo di sonno profondo che precede una successiva incarnazione. Il ciclo delle rinascite, coinvolgendo l'intero Cosmo attraverso millenni di evoluzione, è destinato a concludersi con «l'universale ritorno allo spinto puro». In particolare Steiner riconosceva la teoria delle due menti e dei due emisferi. Sulla base dei suoi studi egli sosteneva che l'emisfero cerebrale di destra ha a che fare con le intuizioni, i «significati globali», le forme complessive: è la parte di noi che apprezza la musica e la poesia; quello di sinistra invece «studia» il mondo al microscopio e domina il linguaggio, la logica e il calcolo. L'emisfero destro porta in sé lo «spazio dell'anima», un mondo interiore che Steiner riteneva reale, parallelo e, in qualche modo, ispezionabile ed era convinto che con l'addestramento chiunque potesse sviluppare la facoltà di vedere questo altro regno dell'Essere. Per accedere ad esso occorreva sviluppare «la visione interiore», una sorta di «percezione extrasensoriale» che non aveva niente a che fare con la chiaroveggenza o lo spiritismo. Steiner che si riteneva una di quelle persone con la capacità di «rilassarsi dentro il cervello di destra», non cessava mai di ripetere ai suoi amici: «sbagliate a trattare il mondo della mente come se fosse soltanto una metafora. È un altro paese, e tutti abbiamo il passaporto per entrarci».

Il regime nazista fu lontano dall'incoraggiare o dal ricompensare con una certa dose di comprensione o di tolleranza il movimento antroposofico. E dal momento che molti dei dirigenti del gruppo più vicino a Steiner seguitavano a essere comunque in stretto contatto con ambienti teosofici e massonici legati all'Inghilterra, la Gestapo iniziò a preparare rapporti che descrivevano la centrale svizzera dell'Antroposofia come «centro di spionaggio a favore dell'Inghilterra». Dicerie fatte circolare ad arte circa le presunte origini ebraiche di Steiner ed alcuni stralci dei suoi scritti in cui cita termini dell'esoterismo ebraico furono sufficienti a far chiudere, già nel 1935, tutti i principali centri antroposofici della Germania, e a indurre Steiner ad astenersi successivamente dalla politica.
Nel dopoguerra l'Antroposofia risorse in tutta Europa, e i centri tedeschi occultarono sistematicamente tutti i documenti che provavano le iniziali propensioni filonaziste di Steiner. Al contrario in Italia - dove esisteva una filiazione del movimento internazionale - aveva preso vita un filone antroposofico, guidato dal filosofo di estrema destra Massimo Scaligero. Nel primo processo per tentata ricostituzione del disciolto Partito Fascista, avanzato nel 1951 nei confronti dei membri del gruppo Fasci di Azione Rivoluzionaria, tanto Evola quanto Scaligero vennero posti sotto accusa in quanto capi ispiratori del movimento. Ma la vicenda si concluse con un nulla di fatto, giacché il tribunale ritenne che non fossero stati direttamente partecipi dei fatti contestati.
Molte leggende diffuse negli ambienti dei seguaci delle dottrine esoteriche riportano del resto che la Seconda Guerra Mondiale fu caratterizzata da un conflitto parallelo, con i teosofi inglesi impegnati, assieme ai brahmini, nella celebrazione di rituali protettivi a favore dell'Inghilterra, e gli antroposofi che, assieme ai seguaci del mago inglese Aleister Crowley, celebravano gli stessi riti ma a beneficio dei tedeschi.
Personaggio istrionico, autore di frodi, perseguitato da creditori, forte consumatore di ogni genere di droghe, Crowley si fece ben presto promulgatore di un «esoterismo satanico», in cui far confluire le sue personali intuizioni e dottrine dalle origini più disparate. Assumeva nomi stranissimi, che cambiava con molta disinvoltura: La Grande Bestia 666, Pramahamsa Sivananda Guru, Fratel Perdurabo. Frequentò dapprima gli ambienti teosofici, quindi la Massoneria, infine la società esoterica della Golden Dawn. Ma presto si staccò da tutti questi gruppi, per dedicarsi a quelli più strettamente satanici come «Ordo Templi Orientis» e «Astrum Argentinum». Non era infrequente che egli copiasse rituali appresi in organizzazioni con cui in precedenza era stato in contatto, per poi rimaneggiarli e spesso invertirli, sostituendo il «satanico» laddove appariva il «sacro».
Già prima dello scisma antroposofico, sull'esempio della Teosofia erano sorte in Germania organizzazioni anch'esse di vaga ispirazione indiana, che però riallacciavano l'amore per l'India alla dottrina del pangermanesimo. La tradizionale definizione di indoeuropei veniva mutata in indogermani, quasi a sottolineare come i popoli tedeschi rappresentassero la forma più recente di quel tipo di spiritualità che aveva caratterizzato gli albori della civiltà indiana e l'antico simbolo indù della svastica (termine sanscrito che significa "di buon auspicio") venne adottata agli inizi del secolo dalla Società Thule, per poi essere ripresa dai nazionalsocialisti.

La Golden Dawn e Aleister Crowley
La Golden Dawn ("Alba Dorata") era una società esoterica fondata nel 1887 dall'inglese William Westcott. Con una struttura fortemente gerarchica, aveva contatti con altre associazioni occulte, i Rosacroce e la Massoneria. Essa era suddivisa in 11 gradi, attraverso i quali si potevano affinare le proprie conoscenze nelle pratiche magiche ed entrare in contano con le forze dell'occulto. Ogni grado possedeva un codice basato sulla figura esoterica dell'Albero della Vita, corrispondente all'analogo simbolo della tradizione cabalistica. La gerarchia comprendeva tre ordini. Il primo era chiamato Golden Dawn, composto da principianti che studiavano le dottrine di base della magia. Il secondo era conosciuto con il nome di Red Rose and the Golden Cross (la "Rosa Rossa e la Croce Dorata"), che si riferiva ai praticanti della magia. Infine, vi era la classe della Silver Star, la Stella d'Argento, in cui si diventava maestri delle arti esoteriche. Aleister Crowley, nato nel 1875 da una ricca famiglia protestante, aderì alla setta verso la fine dell'Ottocento, concentrando i suoi interessi sulla magia sessuale e sul tantrismo. Nel 1910 pubblicò Book Four, in cui illustrava i principi dell'arte magica e dello yoga. Crowley condusse una vita dissoluta, dedita a orge, viaggi ed esperimenti, tanto da procurarsi soprannomi di genere satanico come Perdurabo o La Bestia 666. Collaborò nei servizi segreti inglesi e al contempo riprese i contatti con la setta OrdoTempli Orientis del tedesco Theodor Reuss. Morì nel 1947, coerente alle sue idee sull'occulto.

Capitolo IV - La costruzione del pensiero antisemita: Il caso dei protocolli dei Savi di Sion

Fig. 2. Copertina di un'edizione tascabile dell'opera di Theodor Fritsch (1852-1933) "Manuale della questione ebraica" (40ma edizione, Hammer Verlag, Lipsia, 1936). L'opera di Fritsch ebbe un'enorme diffusione, vendendo diverse decine di migliaia di copie.

Alcuni propagandisti pangermanisti avevano progettato, in Germania, intorno alla fine del secolo XIX, l'edizione di un curioso opuscolo, i Protocolli dei Savi di Sion, un falso manifesto che, composto all'inizio del secolo in Russia dalla polizia dello zar, doveva avere come unico scopo quello di sviare la popolazione di Mosca e Pietroburgo dalla guerra civile. Questo piccolo libro venne ben presto considerato come la «filosofia occulta» degli ebrei poiché mostrava come questi ultimi teorizzassero di suscitare la rivoluzione nel mondo, disorganizzandone l'economia e paralizzandone i centri culturali. Diffuso in milioni di esemplari in Germania, questo documento fittizio sarà il pretesto per canalizzare tutte le insoddisfazioni tedesche contro la «macchinazione ebraica internazionale», ritenuta anche la principale responsabile della presa del potere dei comunisti in Russia. L'antisemitismo inconscio del popolo tedesco si palesò immediatamente nella formula: il nemico è l'ebreo. È impuro, contamina tutto. Quando una civiltà si sfascia, cercate l'ebreo!

Si è molto discusso sulla veridicità del testo stesso. Oggi sono tutti concordi nel considerarlo un falso voluto dall'Okhrana, la polizia segreta dello Zar di Russia, per poter scatenare le prime persecuzioni di massa. Il tono aggressivo del testo, oltre ai contenuti, creava una forte impressione negativa da parte del lettore. Ma quali erano i precedenti letterari dei Protocolli?
Gli agenti della polizia zarista, raffinati conoscitori della letteratura politica del complotto, si rifecero certamente ai Monita Secreta Jesuitica, un testo del 1661, e al Dialogo agli inferni tra Machiavelli e Montesquieu di Maurice Joly.
Oggi il dibattito verte non sull'autenticità dei Protocolli, ma sulla cosiddetta veridicità degli stessi. Secondo alcuni sostenitori di questa tesi, chiunque ne sia stato l'autore, tanti avvenimenti previsti si sono verificati. Secondo gli altri, tutto era facilmente prevedibile.

Esiste una forte analogia tra i Protocolli dei Savi di Sion e un documento pubblicato ne «Le Contemporain» l'1 luglio 1886, dal titolo Resoconto degli avvenimenti storico-politici avveratisi negli ultimi dieci anni. È un discorso-programma, tenuto a Praga dal rabbino Reichhorn in occasione di un'adunanza, denominata Caleb, presso la tomba del gran rabbino Simeon-Ben-Jhuda.
Si è voluto infirmare il valore di questo documento per il fatto che lo scrittore tedesco Hermann Goedsche, sotto lo pseudonimo di sir John Retdiffe, ne rielaborò il contenuto, facendolo figurare come il discorso tenuto in un'adunanza fantastica di rabbini e di cabalisti nel suo romanzo Biarritz, pubblicato nel 1886 e ristampato a Monaco nel 1924. Una polemica svoltasi in proposito ha esaurientemente dimostrato che il Goedsche non ha inventato, ma adattato il contenuto del discorso effettivamente tenuto a Praga dal rabbino Reichhorn presso la tomba di Simeon-Ben-Jhuda, e che il discorso, oltre ad essere stato ripetuto nella sinagoga di Simscrol da un rabbino, concorda perfettamente col discorso tenuto a Lemberg in occasione del congresso della gioventù ebraica; discorso pubblicato dal giornale «Bauerbunder» di Vienna (1 novembre 1912, n. 133). In questo discorso si vede, nel modo più potente, tracciata, in tutte le sue parti, l'«atroce guerra mossa dai Giudei ai popoli Cristiani».

Capitolo V - L'esoterismo tedesco prima del Reich

Fig. 3. Un ritratto di Corneliu Codreanu (1899-1938).

Fig. 4. I «Fratelli della Croce» (corpo d'élite della Guardia di Ferro rumena) marciano in formazione.

Le metafore dei simboli tradizionali si mantengono pluriefficaci per via del fatto che esse attingono ad una ricchezza di senso che permette la loro traslazione ereditaria, di era in era e di ambiente in ambiente. È questa la ragione per cui le correnti nazionalsocialiste di ispirazione esoterica seppero mostrare una tendenza a riassumere e rielaborare insegnamenti dalle origini più disparate, persino quelle di là dalla filiazione ario-indoeuropea propriamente detta. Avremo così alcune diramazioni di impronta cattolica, come nel Rexismo, altre di matrice nazional-ortodossa, come nella Guardia di Ferro, altre incentrate sul mito indù del Volgitore della Ruota, ma altresì una propensione ad incamerare il meglio della tradizione sufica, a contrapporre al Cristianesimo, tutore dei deboli e degli infelici, un Islam maschio e guerriero, che annuncia ai martiri in battaglia le beatitudini del Paradiso.
I simboli antichi seguitano a riproporsi al variare dei culti, delle religioni e dei paradigmi artistici. I riti - quali simboli posti in atto - seguitano a squadrare ogni tentativo di propiziare la discesa dell'influsso del cielo, di calare tra gli uomini l'influenza spirituale che permette la connessione fra l'utopico e l'intemporale.
René Guénon e Julius Evola, massimi esponenti dell'esoterismo tradizionale del secolo scorso, concordarono nel negare che il Nazionalsocialismo, il fascismo e altri movimenti simili potessero rispondere ai canoni di filiazione di una forma tradizionale legittima.
Ciò non toglie però che alcuni tentativi in questo senso furono effettivamente fatti, ma nel caso del Terzo Reich fu la stessa chiave di lettura nibelungica ad impedire altri possibili esiti: quando la maledizione dell'oro inizia a causare il versamento di sangue, è inevitabile che la terra lo beva per poi chiederne vendetta, e gli dei cadranno sconfitti nell'avvento dell'era oscura, durante la quale agli eroi spetta sempre sorte ingrata.
Atti di connessione magica, tra i quali la celebrazione degli eventi cosmici, il tracciamento di alfabeti sacri, la meditazione del santo Nome - con i loro paralleli prossimi e vivi nell'Induismo, nel Buddhismo, nel Cristianesimo d'Oriente e d'Occidente e nell'Islam - sono gli elementi costitutivi di una riflessione sulle pratiche operative segrete all'interno degli ordini a pretesa iniziatica che proliferarono in Germania nella prima metà dello scorso secolo: nel periodo prenazista avremo infatti la Società di Thule, e molte delle sue intuizioni verranno raffinate nella Concezione dell'Ordine propria alle Waffen SS.

Società Thule e Loggia del Vril

La Società di Thule rappresenta un primo nucleo aggregativo di forze ideologiche ma anche politicamente impegnate con forte determinazione anticomunista, a Monaco di Baviera. Bandita dalla Germania nel 1946, questa Società esiste ancor oggi ed ha la sua sede centrale nei pressi di Berna. Ivi, con piena libertà, essa esalta il tentativo eroico hitleriano per la costruzione di un'umanità più elevata e pura. In un volantino di propaganda distribuito nel maggio 1983 ancora si legge: «La Thule Gesellschaft non intende perdersi dietro all'erudizione storica, o alla nostalgia di tempi lontani, ma guarda a quanto di meglio lo spirito ha concepito nel corso dei secoli, come un dovere di autoperfezionamento che l'uomo deve a se stesso. Le tanto vituperate Leggi di Norimberga per la tutela della stirpe non limitavano il loro interesse alla protezione dall'infiltrazione di elementi non-germanici, ma guardavano alla protezione del futuro dei popoli con occhio lungimirante. Esse sancivano - ad esempio - che una gestante tedesca avesse diritto alla precedenza assoluta in qualsiasi coda negli uffici pubblici, nei negozi e nei supermercati. La donna incinta va protetta in quanto incarna in sé il futuro del Volk».

La Società Thule
Anticipatrice del Partito Nazionalsocialista, la Thule-Gesellschaft era una società segreta di tipo iniziatico fondata, come raggruppamento antisemita di estrema destra, dal barone Rudolf von Sebottendorff nell'agosto del 1918. L'interpretazione etimologica del termine Thule richiama diverse definizioni: nella mitologia nordica stava a significare («antico regno delle nevi» da identificarsi con lo stesso Artico, nell'antichità classica quello di "Oceano settentrionale" (e la terra più lontana, o Ultima Thule come sostiene Virgilio nelle Georgiche, identificabile con l'Islanda), in quella celtica il nome Thual richiama il "Nord", mentre i termini greci Tholos e Tele stanno a significare rispettivamente "nebbia" e "lontano". Ma altre fonti attestano che l'origine del nome è da raccordarsi alla località di Thale dove si svolse, il 2 maggio 1914, la grande adunanza del Germanorder, cioè l'Ordine dei Germani di cui la Thule era considerata la «mano nascosta». Dal novembre del 1918 la Thule-Gesellschaft divenne centro di numerose attività di stampo razzista e nazionalista. Il suo emblema era la svastica (dal sanscrito svasti, "felicità") o croce gammata, simbolo araldico che indicava il percorso ascendente del sole dal solstizio d'inverno a quello d'estate, tipico di numerose culture arcaiche orientali. All'interno della Thule esoterismo e occultismo furono praticati e studiati profondamente dai seguaci con il preciso intento di sviluppare una società mistico-politica: l'astrologia era tenuta in grande considerazione per la scelta dei giorni in cui attuare operazioni belliche e l'alchimia ritenuta fondamentale per la scelta dei colori sacri propizi quali il nero, il rosso e il bianco.

Agli esordi della Thule degli anni Venti agì Rudolf von Sebottendorff, elemento in contatto con l'Ordine sufico dei Bektasi turchi, e così anche nella Thule odierna agiscono elementi islamici quali Ahmad Huber e Abdurrahim Sai. Il primo è un professore tedesco di Storia, che da oltre venti anni si è convertito all'Islam e che è stato consigliere politico del Refah Partisi, il movimento integralista turco guidato dall'ex-primo ministro turco Necmettin Erbakan. È attualmente vicino al Fazilat Partisi, anch'esso fautore di una reislamizzazione della Turchia e di una rivalutazione del Califfato Ottomano. L'Afghano Sai è invece, oltre che un dirigente della Thule degli anni Novanta, il presidente della Fondazione Islamica d'Austria, ed uno dei più importanti propagandisti in Occidente della rivoluzione dei Talebani.
I militanti di Thule sono in contatto con elementi dell'estrema destra britannica, anch'essi convertiti all'Islam, fra cui l'economista David Pidcock e Saheb Mustaqim. Ciò rivela una sorprendente analogia con la Thule originaria degli anni Venti, che integrava operai come Anton Drexler, nobiltà, come i Thurm und Taxis, professori universitari come Karl Hausofer, oppure giornalisti eruditi come Dietrich Eckart, l'unico cultore di esoterismo che godrà fino alla fine della stima e dell'amicizia del Führer. Sul finire degli anni Venti la Società Thule comprendeva anche Adolf Hitler, Rudolph Hess e Alfred Rosenberg. Nessuno di essi occupò mai un ruolo dirigenziale. Nel 1927 il movimento assunse il simbolo che verrà ereditato dal Terzo Reich, la croce uncinata, ancora con i bracci tondeggianti.
Molto più misteriosa, per come ha avuto origine a Berlino, è la Loggia del Vril, una sorta di alter ego della Thule. Era anch'essa ispirata al mito della regalità nordica, ma leggeva in esso il senso di un destino comune fra i popoli germanici, e mirava quindi ad una cooperazione fra il genio anglosassone e quello tedesco.
Le sorti della Seconda Guerra Mondiale avrebbero invece visto l'Inghilterra schierata contro i «fratelli germanici» e al fianco delle «forze promiscue del non-arianesimo, ai giudei e agli slavi».
Pur partendo da posizioni più pangermaniste che semplicemente pantedesche, la Loggia Vril cercherà più volte accordi e contatti con la Thule, trovandosi però molto spesso di fronte a inevitabili contrasti.
La signora Spengler, guida della Loggia, rivestiva il ruolo ambiguo di contatto privilegiato con Aleister Crowley, il mago inglese che, a detta del figlio Amado, era amico personale di Churchill. Questa dichiarazione, com'è ovvio, verrà fatta al termine del conflitto mondiale, mentre nella seconda metà degli anni Trenta Crowley stesso, al pari di Ezra Pound, non mancava di mostrarsi come simpatizzante del Nazionalsocialismo. Aprì una sua sede a Cefalù, sotto l'occhio compiacente delle gerarchie fasciste locali, del resto ansiose di provare un brivido di esotismo misterico nella grigia monotonia della provincia sicula.
La vita delle due organizzazioni in Germania scorreva parallela a quella della Teosofia nel mondo britannico. Nell'ambiente bizzarro dei cultori di esoterismo assistiamo ad una riscoperta dei valori primari della natura secondo dettami antichissimi, suggeriti in sogno da «entità sottili», come quelle che avrebbero ispirato Helena Petrovna Blavatsky, gli aforismi esoterici chiamati Le stanze di Dzyan.
A Berlino, negli anni Venti, siamo invece nella favola decadente: sesso e magia con intrighi parapolitici legati al mito della rigermanizzazione dei territori popolati dal Volk, dall'Alsazia sino alla Prussia Orientale.
A Monaco nel frattempo la tenace resistenza all'avanzata del Comunismo spartachista apre la via dapprima alla veemenza dei Corpi Franchi, quindi alla formazione del nucleo del futuro Partito Nazionalsocialista.
Il carattere liturgico e la molteplicità di sistemi culturali occulti della Società Thule e della Loggia Vril sono assai simili. L'uso delle rune, la celebrazione dei cambi di stagione, i solstizi con l'inno alla Dea Natura, l'essere vegetariani, puristi ed ecologisti, naturisti e cultori dell'alimentazione biologica, il limitare l'uso della nuova civiltà delle macchine di cui propugnavano una mera utilizzazione non finalizzata: queste sono le caratteristiche comuni.
Ma l'uso e i fini non sono gli stessi: la Thule creerà il Partito Nazionalsocialista, «Il mito del secolo XX» e i Castelli dell'Ordine SS, la Loggia del Vril invece risulterà poi null'altro che una transeunte, una dependance dell'occultismo di marca britannica.
Va da sé che teosofi, antroposofi, crowleiani e reghiniani cercheranno tutti, una volta segnata la sorte del conflitto, di far dimenticare loro eventuali passati slanci a favore dei regimi totalitari appena dissolti.

La luce che viene dall'Oriente: il mistero del Vril

Le ragioni profonde che determinarono la nascita del Nazionalsocialismo non sono di facile deduzione e niente sarebbe più riduttivo che ritenere il Terzo Reich semplicemente un fascismo opposto al sistema democratico e parlamentare, un autoritarismo politico distruttore di ogni forma di liberalismo. Si rischierebbe di cadere solo in una serie di stereotipi abusati. Per questo è indispensabile avvicinarsi a una profonda analisi del fenomeno, partendo, ad esempio, dall'entrata in scena di un folle irrazionalismo. Scrive Oswald Spengler: «Ci voleva che un avvenimento provvidenziale si producesse e che i tedeschi, liberandosi dell'oppressione che pesava su di loro, diventassero gli attori del dramma attuale».
La rivoluzione sventata del 1918 non aveva messo alla luce nessun talento politico. Il comunismo aveva fallito il suo scopo: un falso conservatorismo regnava ormai sulla Germania e le ambizioni prussiano-teutoniche erano sempre più vivaci. La pseudo-Vehme e i gruppetti estremisti non permettevano di auspicare un ritorno con grandi effetti e in gran numero. L'insegnamento di Houston Stewart Chamberlain - che chiamava la sua una «gnosi razzista» - era solo un ammasso di ruderi di un mondo sfasciato. Durante quel periodo la Repubblica di Weimar diede tante prove di evidente incapacità, sia nel governare sia nel temperare la crisi che stava indebolendo la Germania. L'economia del paese era al livello minimo: la moneta tedesca raggiunse l'inflazione più incredibile della sua storia. Le banconote da cinque marchi erano diventate tagli da un miliardo, la carta monetaria completamente devalorizzata e l'oro della banca di Germania al di sotto del prezzo normale. L'intero paese stava per sprofondare nella miseria più estrema.
Questa situazione tormentata fu il palcoscenico ideale per l'entrata in scena dei primi nazionalsocialisti, che poterono sfruttare tale «decomposizione weimariana» perché pregni di quell'insegnamento tedesco tradizionale che si rifaceva a una mistica evidente e agli elementi magici ricavati dalle fonti delle società segrete. E il centro stesso di queste associazioni, che dovevano apportare al Nazionalsocialismo il suo fondamento magico, era il gruppo Thule.
Alfred Rosenberg, il teorico nazionalsocialista, il «filosofo» del Partito, avrebbe dichiarato a Norimberga nel 1946, durante il suo processo: «Il gruppo Thule? Ma tutto è cominciato da lì. L'insegnamento segreto che ne abbiamo potuto ricavare ci è maggiormente servito a guadagnare il potere delle divisioni delle S.A. e delle S.S. Gli uomini che avevano fondato queste associazioni erano dei veri maghi!».

La Thule, infatti, è solo l'ultimo ramo di tutto un insieme di società segrete la cui origine non è solamente tedesca, ma anche inglese, indiana, tibetana e cinese. Quando nel 1919 Adolf Hitler, spia dei servizi d'informazione dell'esercito, incontrò a Monaco Anton Drexler, presidente del Partito dei Lavoratori tedeschi (D. A. P.), non immaginava di stare sul punto di intraprendere un cammino dal risvolto esoterico. Infatti, il D.A.P. era solo una delle facciate del gruppo Thule, che non operava mai alla luce del giorno, ma si manifestava attraverso scritti o associazioni politiche illustrando temi pangermanisti. E quando, nel 1920, Hitler trasformò il D.A.P. nel Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori tedeschi (N. S. D. A. P.) fece solamente eseguire le direttive del gruppo esoterico. Nella società segreta di Thule due uomini favoriranno con le loro idee il futuro maestro del Terzo Reich: il generale Karl Haushofer e Dietrich Eckart.
In particolare, Haushofer faceva parte di un cerchio interno del gruppo Thule, vale a dire la Grande Loggia Luminosa. Questa società traeva ispirazione dall'opera poco nota, ma molto ricca, di Louis Jacolliot (1837-1890). Quest'ultimo era stato un grande lettore di Swedenborg, del teosofo Jacob Bohme e di Louis-Claude di Saint-Martin. Nella sua vita professionale aveva ricoperto la carica di Presidente del Tribunale di Chandernagor, poi quella di console di Francia a Calcutta. Dopo numerosi viaggi, tra cui un lunghissimo soggiorno a Tahiti, tornò in Francia nel periodo della guerra franco-tedesca e qui pubblicò, nell'arco di vent'anni, quasi cinquanta opere che vanno dallo studio comparativo delle religioni al romanzo avventuroso. Le opere di Jacolliot dovettero ispirare, nel tempo, personaggi talmente diversi quali Saint-Yves d'Alveyre, autore de La Missione dell'India e teorico della Sinarchia spirituale, Rudyard Kipling, Baden Powell, Helena Petrovna Blavatsky, il cabalista Alexandre Weil, che fu uno degli intimi di Victor Hugo a Jersey, e Pierre Drieu la Rochelle.
Tra le sue opere principali: La Bibbia nell'India o La vita di Iezeus Christna (1859 e 1873); Christna e il Cristo (1874); I figli di Dio (1873); La Genesi dell'umanità (1879); L'Olimpo brahminico (1881); I re, i preti e le caste (1877); Le tradizioni indo-europee (1876). Secondo questi saggi, le civilizzazioni moderne provengono da un nucleo iniziale tradizionale, lo stesso per India, Asia occidentale ed Europa. Le razze semitiche e indoeuropee, quindi, non sono distinte in partenza, ma solo in un secondo momento, quando cioè la corruzione dei costumi abbrutirà i semiti allontanandoli dagli ariani rimasti puri. Un codice di leggi dirige l'umanità civilizzata, ed è il Codice delle leggi di Manu, nome che il legislatore divino porta in India (per gli egiziani sarà Menete, per gli ebrei Mose e per i cretesi Minasse). Lo stesso personaggio di Gesù Cristo, sempre secondo le teorie avanzate in questi trattati, è la ricostruzione recente di una vecchia tradizione indo-ariana, quella di Iezeus-Christna, e Zoroastro va ritenuto uno dei più grandi profeti per tutta l'umanità ariana, non solo per l'Oriente persiano.
Per Jacolliot, le società dei misteri sono indispensabili affinché il mondo si perpetui: solo gli iniziati sono, infatti, in grado di mantenere l'armonia universale. E questo grazie a una particolare forma di energia che solo essi posseggono: il Vril. In un passato mitico, esisteva nel Nord Europa una civilizzazione magica chiamata Thule: gli iniziati superiori vivevano in alcune caverne sotto terra, posseduti da questa energia magica straordinaria.
In tutta la sua opera Jacoliott esaltò la potenza del Vril, il centro della nostra divinità possibile, la sorgente del superuomo futuro, energia della quale l'uomo utilizza solo una minima parte nella vita ordinaria. Colui che scopre l'esistenza del Vril e se ne impadronisce acquista il dominio di sé a un livello solitamente sconosciuto e può diventare capo degli altri uomini, persino del mondo intero, perché la sua forza è magica e agisce su tutto il mondo come un profondo magnetismo. In diverse opere - particolarmente in I figli di Dio e Le tradizioni indo-europee - il teorico sostenne di aver scoperto l'esistenza del Vril e il suo culto in una setta dell'India, da sempre esistita nella regione del Mysore e del Gujerat e seguita da milioni di adepti: i Giainisti. Questi, dopo il sorgere del sole, si recano ai quattro angoli della loro casa dove è disegnata una croce uncinata sulla muraglia e, a mani giunte, salutano la nascita del giorno con una preghiera che è una delle più antiche dell'umanità, la Savitri, e che comincia così: «Meditiamo sulla luce ammirevole del sole splendente, che indirizzi la nostra intelligenza...».
Il Giainismo sanscrito (da jina, "vincitore delle passioni terrestri") fu fondato nel secolo VI a. C. dal saggio Mahavira (il cui nome in sanscrito è semplicemente simbolico e significa "il grande uomo") che visse tra il 599 e il 527. Il Giainismo è considerato una delle conclusioni eterodosse del brahmanismo, come reazione contro l'apparente politeismo e il sistema troppo rigido delle caste insegnato da questa religione. Lo scopo dell'adepto giainista si imparenta a quello del saggio buddhista: liberarsi dal concatenamento delle esistenze per accedere alla suprema liberazione, lo stato del moksha, attraverso una vita fatta di prove continue. Questo atto di saggezza, che è accessione alla liberazione, esige un'enorme concentrazione di temperamento energetico: il Vril, appunto. Questa potenza magica potrebbe, sicuramente, servire i progetti dei conquistatori, ma i giainisti sono staccati dalle azioni che legano un uomo alle cose terrene: la conquista, come il proselitismo, sono per loro degli atti assurdi e, inoltre, inconciliabili con l'oehimsha, vale a dire il principio di non-agire.
Questa scoperta del Vril di Louis Jacolliot avrebbe presto appassionato gli spiriti degli occidentali attirati dalla scienza tradizionale e dalla saggezza orientale. Dopo aver letto le opere del maestro francese, un gruppo di rosacrociani di Berlino decise, alla fine del secolo XIX, di fondare la Società del Vril. In Inghilterra, S. L. Mathers introdusse questa dottrina nella società segreta di cui era gran maestro, la Golden Dawn. (Una curiosità: la Golden Dawn si diffuse in Germania ed ebbe il suo tempio sontuoso nel centro di Berlino e un membro della Società del Vril, un certo Karl Haushofer, si vociferava lo visitasse di tanto in tanto...).
Il mistero del Vril è anche oggetto di un bel romanzo, in apparenza fantastico: la Razza futura di Edward Bulwer-Lytton (Io scrittore degli Ultimi giorni di Pompei). La storia è allo stesso tempo semplice e misteriosa: un esploratore scopre, nelle viscere della terra, un mondo stupendo, una comunità di esseri - si può parlare di uomini? - con un'evoluzione superiore. Hanno ottenuto la loro intelligenza e la loro energia attraverso la conquista del Vril. Questa comunità clandestina si presenta come il progetto della razza futura, quella che soppianterà l'attuale umanità. Questa opera di Bulwer-Lytton fu letta con passione dagli uomini della società berlinese del Vril e da Hitler stesso. Il futuro Führer del Terzo Reich vedeva in tutto questo come una sorta di prototipo dei suoi progetti più segreti: la razza futura, quella del Re del Mondo che vive nel suo palazzo sotterraneo dell'Agartha.

Circoli segreti del Nazionalsocialismo. Romania, Legione dell'Arcangelo Michele ed Esicasmo

Le Externsteine, la celebrazione dei solstizi, le rune, la meditazione dell'Esicasmo, con i suoi paralleli prossimi e vivi nel Cristianesimo arcaico e tradizionale con Induismo e Sufismo: questi sono gli elementi costitutivi di una riflessione sulle pratiche operative vive e segrete all'interno della Società di Thule prima, e di parte delle Waffen SS poi.

L'Esicasmo

L'Esicasmo è la pratica ortodossa della preghiera del cuore, di origine cristiana arcaica.
Diffusissima in Grecia, Bulgaria, Russia e Romania, era la preghiera che caratterizzava le riunioni dei gruppi, di base i Cuib indù della Legione dell'Arcangelo Michele, il movimento rumeno capitanato da Corneliu Codreanu negli anni Venti, denominato poi Guardia di Ferro di Romania.

Corneliu Codreanu e la Legione dell'Arcangelo Michele
Corneliu Zelea Codreanu nacque a Iasi, in Moldavia, il 13 settembre 1899. Esponente dell'estrema destra rumena, incentrò il suo attivismo politico su un programma totalitario, antisovietico e antisemita avverso al regime di Carlo II. il suo radicalismo si manifesta precocemente all'età di diciannove anni quando, in seguito alla presa di potere dei bolscevichi in Russia, egli raduna una ventina di colleghi liceali nel bosco di Dobrina e fonda l'associazione «Michele Cogalnicaenu», con lo scopo di uscire dall'individualismo e opporsi senza riserve all'avanzata delle armate russe. Questo spirito di associazionismo lo portò, il 24 giugno del 1927 a costituire la Legione dell'Arcangelo Michele, un ordine lontano dall'idea di un partito inteso in senso classico che delineava l'archetipo di un uomo nuovo, distaccato dalle contingenze materiali e vicino alla nascente spiritualità nazionalista (la figura dell'Arcangelo venne da lui scelta in ricordo dell'icona che lo aveva accompagnato in carcere anni prima). Nel 1930 fondò ufficialmente l'Ordine della Guardia di Ferro, espressione radicalista di destra di ispirazione nazionalsocialista, che venne sciolto dopo soli tre anni in seguito all'uccisione del primo ministro I. G. Duca. Corneliu Codreanu morì strangolato durante una traduzione carceraria il 30 novembre del 1938, insieme a tredici suoi legionari.

Riportiamo qui di seguito i momenti della pratica dell'Esicasmo nella tradizione cristiano-ortodossa.

I centri sottili della tradizione cristiana
La tradizione esicastica accenna a due centri sottili nei quali l'attenzione deve sostare durante l'esercizio della respirazione.
Le tradizioni orientali enumerano sette centri sottili dalla base della spina dorsale, dall'osso sacro, fino alla parte superiore della scatola cranica. La tradizione orientale è basata su questi presupposti d'esperienza: l'uomo usa abitualmente una parte limitata del suo cervello, per questo possiede un insieme di facoltà latenti e inutilizzate. Mediante degli esercizi di concentrazione mentale, uniti a degli esercizi muscolari, con le varie posizioni del corpo, con la respirazione controllata, si può arrivare lentamente ad illuminare queste zone assopite, ognuna delle quali, una volta rianimata, ci dischiude un universo nuovo.
Questi centri sottili sono nel cervello ma li percepiamo localizzati in alcune regioni del corpo. Dal punto di vista pratico, la concentrazione viene esercitata sui centri come se fossero realmente situati alla base della colonna vertebrale, all'altezza dell'ombelico, del cuore, della fronte, al vertice del cranio, ecc.
Vari indizi, oltre all'accenno esicastico su due centri, ci persuadono che essi fossero conosciuti dal Cristianesimo. Ad esempio, il piccolo segno della Croce che vien fatto dal sacerdote e dai fedeli all'inizio della lettura del Vangelo: il pollice della mano destra traccia una croce al centro della fronte, sulla bocca, sul petto. Ad ognuna di queste zone corrisponde un centro sottile. Alla fronte corrisponde l'Anya Chakra dello yoga, il centro coordinatore delle funzioni intellettuali e psichiche, la sede dello spirito di iniziativa, della generazione del Verbo. Alla bocca corrisponde il Vishudda Chakra dello yoga, la ghiandola tiroide: in esso il Verbo generato nella fronte si riveste di suono e può essere espresso con vibrazioni appropriate. Al cuore corrisponde l'Anahata Chakra dello yoga, la ghiandola del timo. Questa zona governa l'emozione, il sentimento, il coraggio, l'amore. Il piccolo segno della croce collega queste tre zone sottili: nell'annuncio della parola l'intelligenza, il suono, l'amore devono essere in perfetta armonia. Nel rito del battesimo il sacerdote traccia i segni sulla fronte e sul centro cardiaco del battezzando, pone la mano sul capo e al termine del rito traccia una croce col Crisma sulla sommità del capo. Nella Cresima il Vescovo segna con la croce la fronte del cresimando, in quello della ordinazione sacerdotale pone le mani sul capo degli ordinandi.
Non possiamo pensare che questi gesti rituali siano nati per puro caso, avranno avuto il loro contenuto di conoscenze e di motivazioni. La loro corrispondenza con l'ubicazione di centri sottili superiori della tradizione orientale ci deve far pensare seriamente a delle conoscenze che il prevalere del razionalismo occidentale ha soppresso. La medicina occidentale conosce il rapporto esistente fra specifiche disfunzioni fisiche e la psiche del malato. La parte psichica aderisce a quella fisica, l'invisibile è incollato al visibile. Non c'è da chiudersi nell'incredulità di fronte alle affermazioni che sottolineano lo stretto rapporto tra la psiche e le ghiandole endocrine, e la possibilità di un loro risveglio e armonizzazione coscienti. Tenendo conto di questa possibilità, soprattutto se vi è stata una sperimentazione dei centri sottili e delle loro energie, alcune parole di Cristo acquisterebbero un significato più preciso e più vasto, come la parola sull'occhio, lampada del corpo (Mt. 6, 22): non trova il suo pieno significato nell'occhio spirituale situato nel centro della fronte?
La tradizione cristiana, con l'unica eccezione della preghiera esicastica, conosce soltanto i Chakra superiori mentali e cardio-affettivi. Nasce spontanea la domanda: perché il rituale cristiano non protegge i Chakra situati sotto il diaframma, da dove salgono gli impulsi che possono squilibrare il dominio dei centri superiori? Forse, poiché la religione dell'amore ha compreso che non è richiesto per il risveglio del centro del cuore il passaggio attraverso i tre primi Chakra ma si può raggiungere la trasfigurazione partendo dall'animazione del cuore, e anche il Bokti yoga, lo yoga dell'amore, parte da questo centro. Forse esistono due sentieri destinati a due differenti categorie di anime: la sublimazione delle energie sessuali e quella della partenza dalla religione del cuore per anime eccezionali, che non hanno subito, per un dono di grazia, il fascino della materia.

La pronuncia della parola
Niceforo di monte Athos scrive: «Quando sarai entrato nella regione del cuore, ringrazia Dio, e non rimanere ozioso o in silenzio, ma senza sosta ripeti l'invocazione: Signore Gesù, Figlio di Dio, abbi pietà di me. Tu sai che il potere della parola e del ragionamento è situato nel respiro. Anche quando la bocca non pronuncia parole, è con il respiro che diciamo delle preghiere, cantiamo salmi e così via. Quando avrai allontanato ogni pensiero, volendolo lo puoi fare, cerca di usare il respiro per dire: Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me! Sforzati di gridarlo con il respiro, eliminando ogni altra espressione. Se persevererai un po' di tempo, la porta del cuore ti si schiuderà. Gesù Cristo ti ricolmerà di amore, di gioia, di pace, di serenità».
La ripetizione del nome di Gesù opera un transfert spirituale. Esso, come tutte le parole sacre, i mantra, non è di origine umana, ma fu consegnato alla Vergine quando la parola eterna assunse in lei la carne umana. Il nome di Gesù per la sua origine divina, per la persona che significa, è ricolmo di energie spirituali. La sua ripetizione costituisce una tecnica divergente: il reale viene raggiunto attraverso la radicale inversione della successione di momenti della manifestazione di Dio, essa viene da Dio, attraverso Gesù Cristo all'uomo. Nella preghiera del Nome si hanno questi momenti: dall'uomo, a Gesù Cristo, a Dio. Dal Caos allo Spirito, attraverso il Verbo che chiama all'esistenza le creature.
Il nome divino non è distinto dall'oggetto che esprime: in esso suono e oggetto, nome e forma, sono una sola realtà. Esso non è un simbolo, ma è la veste del suono del Verbo eterno creatore. Oltre al suono percepibile dall'orecchio, contiene una vibrazione inascoltabile con l'udito sensibile, la sua costante ripetizione permette di raggiungere la realtà, divina e ultima, che contiene. Il Nome è rivestito di un potere notevole, contiene la conoscenza divina, il desiderio che spinge Dio verso l'uomo, e l'uomo verso Dio. La formula: «Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me», che può essere semplificata nell'invocazione «Signore Gesù, abbi pietà di me», non è una preghiera, una domanda-risposta, ma un incantesimo che il Nome canta nel profondo dello spirito di colui che lo ripete, e opera l'unione mistica dell'orante reintegrandolo nel mistero divino. Giovanni Crisostomo dice nella lettera ai monaci: «Persevera senza stancarti, nel Nome di Nostro Signore Gesù, affinché il tuo cuore assorba il Signore e il Signore assorba il tuo cuore, in modo che i due diventino una sola realtà». E Ramakrishna: «Dio e il suo santo Nome sono la stessa cosa, Dio stesso è realizzato dalla potenza del suo santo Nome».

Esercizio mentale durante la respirazione
I Maestri dell'Esicasmo raccomandano due cose nell'esercizio della respirazione controllata: accompagnare con la riflessione il triplice movimento di inalazione, apnea e respirazione, ripetendo la formula: «Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore», o quella più breve: «Gesù, Figlio di Dio, abbi pietà di me».
Sui tempi ritmici della respirazione gli esicasti non danno nessuna istruzione. Tuttavia, tenendo conto di altre tradizioni, si possono determinare nel modo seguente: l'inalazione e l'espirazione abbiano la stessa misura, per esempio sei battiti del polso, l'apnea metà di questo tempo.
Durante l'inalazione, l'apnea e l'espirazione, si ripeta l'invocazione del Nome di Gesù, nella forma lunga o in quella breve, tenendo costantemente l'attenzione ferma nei due centri indicati. Questo esercizio ci dà un incommensurabile dono: l'umiltà fiduciosa della presenza divina, fondamentale passo nel cammino religioso. Continuando la pratica, ogni giorno di più scopriremo che essa è un ritmo iniziatico per il risveglio e l'intensificazione dell'Amore. Pensare a Gesù Cristo durante la respirazione ritmica costituisce, a quanto ci insegna la tradizione esicastica, la pietra angolare di un rinnovamento del Cristianesimo.
Egli ha detto: «Io sarò con voi fino alla consumazione del tempo». Ciò significa che lui si manifesta a noi come il punto di apertura dell'infinitamente piccolo, la nostra mente, verso l'infinito divino. Pensare a Dio che è in noi, nella sua manifestazione completa, significa alimentare l'Amore di Dio, il primo comandamento.
Gli esicasti parlano di due centri: il cuore e l'ombelico, il centro cardiaco e il plesso solare.
Nell'esercizio di respirazione controllata l'aria viene diretta, durante l'inalazione, nel plesso solare, e da questo, durante l'espirazione, proiettata all'esterno. Nell'esercizio il cui fulcro è il centro cardiaco, il respiro segue un processo identico. Ambedue gli esercizi intensificano i sentimenti, in particolare l'amore. Qual è il rapporto e la differenza tra questi due centri? Tenteremo una risposta basata sull'esperienza, augurandoci che un giorno una conoscenza precisa e razionale dei centri sottili dell'uomo sia la premessa di una civiltà in cui biologia e spiritualità non faranno che una sola scienza.
Il plesso solare è situato nel diaframma, il muscolo che regola la respirazione, e può essere considerato il punto geometrico della respirazione. Il centro di risveglio spirituale in cui vi è situato è l'omologo, il corrispondente dell'apparato polmonare: ciò significa che svolge nella vita dello spirito una funzione paragonabile a quella che compiono i polmoni nel corpo fisico. La respirazione è quella attività che tiene l'organismo umano in un rapporto continuo con l'esterno. In modo analogo attraverso il plesso solare l'aria spirituale, il prana degli indiani, penetra nell'uomo. Il plesso solare, per questa sua funzione, è la porta principale dell'uomo inferiore con l'universo esteriore e, come la respirazione, è l'atto primordiale della vita: si può dire che il plesso solare è il centro della vita.
Il centro del cuore, non direttamente a contatto con l'esterno, risponde al nostro più intimo io, e risponde anche all'amore: amare è fondere il proprio io con quello di un altro. Tutto ciò che giunge al cuore deve passare attraverso i polmoni. La circolazione tra il cuore e i polmoni forma un sistema individualizzato, la piccola circolazione: il sangue che passa dai polmoni non può giungere alle altri parti dell'organismo se non dopo essere passato per il cuore.
In altre parole, la concentrazione sul cuore non è possibile se non è preceduta da una concentrazione sul plesso solare. L'esercizio dovrà compiersi in questo modo: durante l'inalazione, l'aria spirituale, il prana, visualizzata come fluido luminoso, viene aspirata dal plesso solare, attraverso il quale ascende al centro del cuore. Qui sosta e viene assimilato dal sangue che durante l'apnea ritorna al cuore, e attraverso il sangue l'irradia in tutto l'uomo.

Le Rune

Fra i simboli grafici che la Società Thule e la Loggia del Vril prediligono vi sono le lettere dell'alfabeto sacro germanico, vale a dire le rune.
I segni delle rune sono giunti fino a noi da un lontanissimo passato. Le iscrizioni più antiche in alfabeto runico sono attestate a partire dai secoli II-III d. C. Si tratta di una scrittura a carattere puramente epigrafico, adoperata dagli antichi popoli germanici e pervenutaci sotto forma di incisioni su armi, gioielli, monete e pietre.
Le rune furono da sempre considerate emanazione del pensiero divino, capaci perciò di racchiudere le forze primigenie della natura. Ragion per cui, come riferisce Tacito, vennero adoperate nella pratica oracolare del trarre auspici da incisioni su bastoncini di legno. Si presuppone addirittura che le antiche divinità a cui le rune si riferiscono siano in qualche modo preesistenti agli stessi Odino o Thor.
Le rune si ritrovano ancora in tutto il territorio dell'antica espansione indo-germanica: in Scandinavia, Gran Bretagna e Irlanda, in Islanda e nelle contrade olandesi, territori limitrofi di quello che, molte migliaia di anni fa, costituiva l'Antartide.
Come icone viventi del mondo, le rune sono i resti della grande sapienza di Atlantide, la terra iperurania degli antichi miti. Ma è anche vero che i segni, appannaggio di una casta di iniziati alle pratiche magiche, hanno subito nel tempo un'evoluzione differente da regione a regione. L'alfabeto runico germanico, chiamato futhark per la successione in ordine dei segni di cui è composto, comprendeva 24 caratteri. Dalle regioni scandinave, le rune si diffusero ben presto anche in Frisia, Germania e Inghilterra. Gli anglosassoni modificarono l'antico alfabeto, arricchendolo di nuove forme. Si arrivò così a un totale di 28 segni, poi addirittura a 33. Inoltre esiste una serie di rune composta da 18 segni che veniva particolarmente adoperata per scopi magici. Queste 18 rune si ritrovano tutte nella Magai (runa perfetta). Essa verrà risuscitata negli anni Ottanta in Italia da un altro gruppo a pretese esoteriche, i Dioscuri di Roma, celati sotto il motto «Che io sia il guerriero senza sonno».
Ogni runa, al pari di quanto avviene negli altri alfabeti sacri, ha un valore numerico. Ora, conoscendo la natura dei numeri, in base ai valori numerici ognuno può penetrare per proprio conto nell'essenza di una lettera simbolica, sia essa una delle tre Madri del Sefer Yertzirah, una delle tre componenti del monosillabo Aum nella tradizione upanishadica, uno dei tre lessemi che compongono il nome di Allah o una delle tre rune radici della tradizione nordica.
La persona che, per la prima volta, si trova davanti i segni di un lessico sacro, può raffigurare ogni lettera come un canale che viene aperto all'interno del suo essere e da cui possono affluire forze cosmiche. Questa saggezza primigenia del linguaggio sacro è parte del nostro animo popolare e giace assopita sotto la superficie. Assai spesso, invece di scomparire, essa va tacitamente in letargo, attende di risvegliarsi in condizioni ambientali più adatte: è questa la trasposizione nel mondo del folclore, cui Guénon accenna in Simboli della scienza sacra. Tale prerogativa rende l'alfabeto sacro particolarmente efficace nella dimensione di causa-effetto, a prescindere dal vaglio estrinseco del semplice credente o dello scettico. Le lettere degli alfabeti sacri ebraico, arabo, sanscrito e runico hanno raggiunto, su questo terreno, il loro pieno sviluppo. Non appena queste forze vengono risvegliate, gli spiriti sottili si destano e compiono la loro opera nel mondo. La vivificazione dei nomi sacri mediante l'invocazione ritmica è alla base dell'antichissima preghiera del cuore, praticata, nella sua forma cristiano-ortodossa, dalla tradizione esicastica e dai militanti della Guardia di Ferro.
Mediante la contemplazione della grafia runica e la trasposizione della relativa fonetica in mantra ("strumento del pensiero") le chiuse dell'anima verranno aperte: le forze, così suscitate, potranno fluire verso la superficie dell'essere ed agire poi nella realtà. Tale prerogativa rende la forza runica particolarmente efficace. Le rune hanno raggiunto, su questo terreno, il loro pieno sviluppo. Non appena queste forze vengono risvegliate, gli spiriti delle rune si destano e compiono la loro opera nel mondo.

Nomi sacri e regalità runica
Da un punto di vista magico, il nome di una persona è molto importante, poiché ne determina il destino. Al giorno d oggi, ogni praticante delle rune e della magia della tradizione nordica ha il proprio nome magico, che si basa sul nome e sul potere di una runa, di un animale o di una pianta totemica. I guerrieri del Nord avevano dei nomi che esprimevano il potere che gli veniva associato, e la stessa cosa avveniva per i re. Molti re dei templi pre-cristiani, infatti, avevano dei nomi runici, essendo delle personificazioni dell'aspetto dell'Ónd rappresentato dalla runa in questione. Il secondo re del Kent (458-512 d. C.) era chiamato Aesc, "runa di Dio" e "albero cosmico", e successivamente i re di quella regione furono noti proprio come Aescings ("diventare un dio"). In Inghilterra, altri re sassoni, angli e iuti ebbero dei nomi di derivazione runica: Etheibert, Etheiric, Etheired (Ethel), Kenric (Cen), Osred, Osrk, Oswaid (Os), Sigeric (Sigei) e via dicendo. Fra i nomi di questi re ce n'erano anche alcuni collegati ai culti dei guerrieri. Nella Mercia regnarono Wulfhere (656-675), Cenwulf (794-819), Beornwulf (821-823), Bertulf (838-852) e Ceolwulf, l'ultimo re (incoronato nell'874), che fu sconfitto dagli invasori danesi nell'877. Nell'Anglia orientale governò il re Alduf (664-713), mentre in Northumbria furono sovrani Heodwulf (572-573), Freodwulf (573-580), Ceolwulf (729-737), Oswulf (757-759), Erdulf (incoronato nel 794, deposto nell'806, restaurato nell'808, morto nell'809). Tutti nomi relativi al culto del lupo (wolf). Fra i nomi del culto dell'orso (beor) si ricorda il monarca della Mercia, Beonna (749-758) e probabilmente Beorhtric del Wessex (784-800). I sovrani successivi, che subirono l'influenza della religione cristiana non usarono dei nomi d'evocazione runica o totemica, e la tradizione venne meno.

La tradizione delle rune: le origini
Più che un semplice alfabeto per registrare e trasmettere informazioni, le rune sono un sistema di sapere sacro e l'espressione eterna di alcune leggi universali. Lo stesso nome runa significava «mistero, segreto, sussurro», o anche «comunicazione cifrata», come suggerisce la parola dell'inglese antico rown e quella del tedesco moderno raunen, sussurrare. Così, a seconda del loro nome, le rune sono saggezza segreta, conoscenze sussurrate, consigli nascosti: il grande mistero dell'esistenza.
In armonia con la struttura triadica della tradizione mitologica nordica, le rune hanno una triplice natura. Innanzitutto, al livello di base, le rune sono dei caratteri ideografici che rappresentano le cose in una forma pittorica stilizzata, che viene elaborata e compresa dalla parte destra del cervello. Questo include la loro forma geometrica. In secondo luogo, le rune hanno un valore fonetico, a ogni segno cioè corrispondeva un suono, che permetteva agli uomini di usarle, come ogni altro alfabeto, per scrivere dei nomi o trasmettere delle informazioni. Infine, il livello concettuale, il contenuto simbolico della runa, il suo significato e mistero più profondo.
Le rune più antiche erano costituite in gran parte da incisioni sulla roccia, che solo in seguito si svilupparono in rappresentazioni ideografiche di cose fisiche e nozioni astratte. In un secondo momento queste figure si trasformarono nella scrittura epigrafica che conosciamo oggi. Secondo la leggenda, la vera natura delle rune si rivelò a Odino quando questi dovette restare appeso all'albero universale per nove giorni e nove notti e subire diversi tormenti. Nell'Hávamál, un poema che viene dalle scritture sacre del Nord Europa, Odino parla della sua ordalia sciamanica: «So che rimasi attaccato all'albero trascinato via dal vento / Per nove giorni e nove notti, ferito da una lancia. E dedito a Odino / Me stesso a me stesso / Su quell'albero / Che nessun uomo sa / Da quali radici cresca, / Non mi diedero del pane né il corno per bere. / Guardai verso il basso, raccolsi le rune, le presi urlando. E poi mi ritirai».
L'ascesa e la discesa dello sciamano Odino attraverso i nove mondi penetrati dall'albero assiale Yggdrassill - la bacchetta divinatoria dell'Universo, l'albero della misura - gli permise di accedere, mediante un'operazione piena di pericoli ed estreme sofferenze, a un grado di conoscenza altrimenti irraggiungibile. Da un punto di vista simbolico, l'ordalia sciamanica di Odino fu quel lampo di comprensione che fece unire, nelle rune, le attività degli emisferi destro e sinistro del cervello. Da un punto di vista storico, questo episodio risale al momento in cui gli antichi segni occulti del tesoro runico si mescolarono all'alfabeto fonetico Nord italico (etrusco) per creare le rune triadiche che usiamo oggi. Nell'Europa precristiana del Nord, le rune venivano usate dagli scribi, gli indovini, gli stregoni e le streghe per qualsiasi pratica, dalle predizioni della fortuna alle iscrizioni commemorative. Ma, comunque fossero utilizzate, le rune avevano un significato fondamentalmente religioso e magico. La Chiesa cristiana, che proibiva tutto ciò che non si adattava alla sua ideologia, alla fine riuscì a reprimerle. Nell'Islanda del secolo XII, ad esempio, il possesso delle rune era una trasgressione punibile con il rogo. Nonostante la persecuzione, per alcuni secoli la loro tradizione venne nascosta, o in parte dimenticata, e conservata negli scritti antichi. Naturalmente, la conoscenza delle rune continuò sotto forme nascoste, nella tradizione popolare, nelle formule magiche, nell'araldica, nell'architettura indigena, nell'arte popolare e nelle pratiche magiche ereditarie. Ma, a partire dal secolo scorso, essa è stata ripristinata pubblicamente, e l'uso concreto delle rune ha permesso di acquisire delle nuove informazioni e capacità di approfondimento.

Le otto festività dell'anno

Le cosiddette quattro Feste del Fuoco dell'anno della Vegetazione, unite agli equinozi e solstizi dell'anno solare, costituivano le otto celebrazioni del calendario campestre, osservate da tutti i fedeli delle religioni naturali. Sono conosciute come Feste del Fuoco, in quanto ciascuna di esse comprendeva un rito celebrato con esso. Tali ricorrenze erano in larga parte condivise da Germani e Celti, per i quali l'universo era similmente concepito attraverso fasi cicliche di distruzione, la ragnarokkr nordica, e di rinascita.
Nel secolo X l'arcivescovo cristiano di Cashel, in Irlanda, affermò che ai suoi tempi venivano accesi quattro grandi fuochi durante le quattro grandi festività dei Druidi, che cadevano a febbraio, maggio, agosto e novembre, celebrate tuttora dai seguaci della Vecchia Fede. Secondo le usanze druidiche, ciascuno dei quattro quarti dell'anno inizia quando l'inclinazione del sole è di 16 gradi e 20 a Nord o a Sud della linea equinoziale, osservata quattro volte nel ciclo annuale dal punto centrale druidico. Questo determina le quattro date delle festività: 4 febbraio, 6 maggio, 8 agosto e 8 novembre che sancivano la fine di una stagione e l'inizio di un'altra. Le Otto Festività, inclusi gli equinozi e i solstizi, sono le seguenti: Yule, Imbolc, l'equinozio primaverile, Beltane, il solstizio d estate, Lughnassadh, l'equinozio autunnale e Samhain.

Yule
Le celebrazioni moderne del solstizio d'inverno, di cui a volte si parla ancora come del Yuletide (periodo natalizio), si tenevano separatamente in giorni diversi e iniziavano con il solstizio del 21 dicembre, festa della Madre Notte, successiva al tramonto del 20 dicembre. Quella della Madre Notte era una delle feste più importanti dell'Asatrù, consacrata a Odino, Ing ed Erdo, e caratterizzata dal colore liturgico verde. Le celebrazioni dello Yule continuavano con la vigilia di Natale, con il giorno di Natale e con il giorno di S. Stefano, comprendevano l'ultimo giorno dell'anno e il giorno di Capodanno (tuttora conosciuto in Scozia con il nome solare pagano di Hogmanoy), e terminavano la notte dell'Epifania. Il momento più importante della festa dello Yule era il banchetto, il pasto sacro più ricco dell'anno, continuazione della tradizione pagana del banchetto sacro della Hof.
Chiaramente, il proposito originario di questa lunga stagione di feste era la celebrazione del solstizio, il giorno più corto dell'anno in cui il vigore del sole pur scemando contiene in sé la promessa di un nuovo allungarsi delle giornate. Per questo motivo il nome romano della festa era quello di Sol Invictus (il Sole Invitto). Simbolicamente, lo Yule era il giorno della rinascita del sole, e, in molte religioni di origine mediterranea e non europea, la divinità principale era nata proprio in quel periodo, simbolo di rinascita e vita eterna, come nel caso di Dioniso, Mitra e Gesù. Lo stesso termine Yule significa "Giogo dell'Anno", vale a dire il punto d'equilibrio esistente oltre il declino della luce del sole. Secondo un'antica fonte di Bardi, il nome Lau era quello della divinità suprema. Poiché il giogo è l'asta di misurazione del Paese e della nazione in virtù dell'autorità della legge, ed è in possesso di ogni capofamiglia sotto il bersaglio del signore del territorio, allora Dio è l'asta di misurazione di tutta la verità, giustizia e bontà: di conseguenza, è lui il giogo su tutti, e tutti sono sotto di lui, e sia maledetto chi oserà violarlo.
L'emblema tradizionale dello Yule è un recinto che contiene dei puntini, che simboleggiano il seme nella terra, o delle persone al riparo nel cerchio delle ventiquattro rune, ed è segnato dalla runa Jer, che significa "stagione" o "completamento".

Imbolc
Nel calendario moderno la celebrazione dell'Imbolc, o Oimelc, si tiene l'1 febbraio. Nel calcolo tradizionale del tempo, esso va dal tramonto del 31 gennaio a quello dell'1 febbraio. L'Imbolc è la festa della luce crescente, paradossalmente il periodo più freddo dell'anno, ma anche quello in cui i giorni cominciano ad allungarsi notevolmente. Ciò viene rilevato anche in una vecchia poesia campestre che dice «Quando la luce aumenta, il freddo si fa più intenso». L'Imbolc simboleggia i primi movimenti del seme sepolto nella terra, segni della forza della primavera, e, come tale, annuncia l'arrivo della parte primaverile dell'anno, che va fino al Calendimaggio.
La festa dell'Imbolc era conosciuta presso i popoli anglosassoni con il nome di Brigantia, dalla dea vergine Bride (sposa), la cui ricorrenza veniva celebrata con falò e tizzoni ardenti, quale giorno dedicato alla divinazione. Nella tradizione cattolica questa celebrazione è stata tramutata nella festa della Beata Vergine, conosciuta come Candelora, in onore della quale a mezzanotte venivano accese candele come segno di purificazione. In Irlanda, il culto della Beata Vergine nella festa della Candelora si manifesta come giorno di S. Bride, che celebra S. Brigida, la continuazione della madre-dea pagana nel suo aspetto di Vergine. E durante tutto l'anno, quando una donna si veste di bianco per sposarsi, diviene la Sposa, la personificazione della dea. Nella festa dell'Imbolc, Bride è una triplice dea i cui attributi sono il potere di guarire, l'arte del fuoco e la poesia. Nel suo triplice aspetto è stata celebrata come la Madre.
Nell'Imbolc la dea abbandona il suo vecchio aspetto invernale di Hag, trasformandosi nella vergine Bride, una manifestazione della dea solare Sòl, che tornò in vita dopo una morte apparente. Nella religione Asatrù essa è Birgit, consorte di Ullr. L'emblema tradizionale dell'Imbolc è un tronco con cinque rami, che simboleggia una mano alzata con le dita aperte.

Ostara
L'equinozio primaverile, o Ostara, 21-23 marzo, è il punto di transizione fra la metà scura e quella chiara dell'anno. All'equinozio il sole sorge esattamente a Est e tramonta esattamente a Ovest, dando dodici ore precise di luce. Si tratta in realtà del momento intermedio della stagione primaverile tradizionale, che va dall'Imbolc al Beltane: è il giorno del concepimento, in cui la luce trionfa sull'oscurità. Il 25 marzo la Chiesa celebra l'Annunciazione, il momento in cui, nelle religioni pagane, la sposa maritatasi durante l'Imbolc concepisce il bambino che nascerà nel solstizio d'inverno. Nel Norfolk si usava mangiare, durante l'equinozio primaverile, un budino natalizio chiamato Fortificatore del Raccolto. La festa Asatrù dell'equinozio primaverile è la Scoperta dell'Estate, consacrata a Thor, dal colore liturgico rosso. Anche Freyr e Freyjo vengono onorati in questa occasione.
L'emblema tradizionale dell'equinozio primaverile è un cerchio dal quale spuntano due corna.

Beltane
Il dio del Beltane era la divinità solare conosciuta sotto i nomi di Balor, Bei, Belenos e Balder, e la sua festa annunciava l'arrivo della parte estiva dell'anno. In questa occasione vengono celebrati anche il dio Bragi e la dea Iduna. Il Beltane inizia al tramonto del 30 aprile. È questo un momento di magia in cui si accendono i fuochi sacri, conosciuto in Gran Bretagna come Vigilia di Maggio e nei paesi di lingua tedesca come Walpurgisnacht, la notte di Valpurga. Attraverso il fumo e le fiamme ci si prepara alla purificazione per l'estate in arrivo. Il fuoco del Beltane, fatto con la legna di sette tipi diversi di albero, veniva acceso su una griglia sacra appositamente predisposta disegnando un quadrato per terra e dividendolo in nove quadrati più piccoli. Gli otto quadratini esterni venivano poi rimossi con una vanga, mentre il nono veniva lasciato al centro. Questo need-fire veniva acceso sul quadrato centrale, girando un fuso di legno di quercia nella cavità di un tronco dello stesso legno. In periodi precedenti, tutti i fuochi del luogo venivano spenti alla vigilia di maggio, per poi essere riaccesi con il fuoco del Beltane del paese, che, bruciando al centro della griglia dai nove quadrati, era il focolare centrale della comunità. Esso era il simbolo del fuoco divino centrale di cui tutti gli uomini erano scintille. Le colline del Beltane, come Ton-y-bryn, "collina del fuoco", nel Carmarthenshire, Tuily-belton, "collina del Beltane", nel Perthshire, e il villaggio di Belton, nel Norfolk, evocano tutte i luoghi sacri del fuoco annuale. Nella Vigilia di maggio si usava anche mangiare la tradizionale torta, fatta di farina d'avena, la cui forma ricordava la griglia del quadrato del Beltane.
La parte diurna dei riti aveva un carattere diverso. I fuochi, riaccesi dal focolare centrale, potevano dare il via ai festeggiamenti del Palo di maggio, attorno al quale si danzava. Il palo era fatto di legno di betulla, albero di purificazione, e la danza doveva imitare il roteare del fuso nell'accensione del fuoco. Durante la rivoluzione industriale, la festa dei contadini nel Calendimaggio fu portata avanti sotto altre forme e trasformata lentamente nella Giornata Socialista del Lavoro. I fiori degli alberi, le bandiere, i vessilli, le ghirlande e i cespugli di maggio che abbellivano le case e i carri di campagna si trasformarono, nel Calendimaggio cittadino, nelle bandiere dei sindacati e dei movimenti politici.
L'emblema tradizionale del Beltane è l'albero della vita nordico, con rami laterali, il cui culto viene ricordato nel poema epico dell'Edda.

Litha
Il solstizio d'estate, in anglosassone Litha, è il giorno più lungo, in cui il sole si trova al suo punto più alto nel cielo e in cui l'alba e il tramonto avvengono all'orizzonte nei loro punti più nordici. Nell'Asatrù, questo giorno è consacrato al dio Balder, il cui colore liturgico è il bianco. In questa occasione vengono commemorati anche Thor e la sua consorte, Sif. Ciò che ci è dato di conoscere della mitologia nordica pre-cristiana riguarda solo i Germani settentrionali, essendosi gli altri convertiti al Cristianesimo. Accanto alle fonti storiche (Tacito, l'Edda poetica, l'Edda di Snorri, la Ynglinga Saga), la nostra conoscenza dell'antica religione nordica è piuttosto limitata, ma si riscontra in una quantità notevole di pratiche, credenze, segni premonitori e superstizioni che sopravvivono «alterate» in un sostrato folclorico comune a più tradizioni. Basta ricordare che il solstizio d'estate veniva commemorato nella festa cristiana di S. Giovanni Battista, conosciuta con il nome di midsummer, «mezz'estate», e durante la quale si accendevano dei falò. Questi ultimi dovevano essere accesi dal lato sopravvento degli edifici, giardini o campi da proteggere, affinché il fumo sacro potesse fluttuare su di loro. In quei momenti, si potevano bruciare fiammeggianti ruote di sole, far ruotare tizzoni roventi alle estremità di catene, e far scorrere barili di pece ardente giù per i pendii e per le strade. Torce roventi potevano essere portate, nella direzione del sole, intorno agli edifici o ai campi per assicurarne la fortuna.
Essendo una festività importante nella tradizione nordica, il solstizio d estate continua ad essere un momento di fiere e di festeggiamenti. La grande Fiera di Mezz'Estate, che si tiene nel giorno del Midsummer Common a Cambridge, è una delle più vaste dell'Inghilterra e rappresenta una fiorente continuazione di queste celebrazioni. Finché non fu soppresso nel 1985, il Festival di Stonehenge si svolse lì, per quattro anni, nel giorno del solstizio d'estate, ed era destinato a diventare una piena reintegrazione della fiera che qui aveva avuto luogo.
L'emblema tradizionale del solstizio d'estate è una curva aperta.

Lughnassadh - Lammas
Il Lughnassadh, conosciuto come Lammas, è la festività del Primo Raccolto, che si celebra l'1 agosto. Il Lughnassadh segna l'inizio della stagione autunnale, ed è il periodo tradizionale delle grandi fiere. La festa prende nome dal dio celtico della saggezza e dell'illuminazione, Lugh, che è l'equivalente celtico di alcuni aspetti di Odino, ed è una celebrazione della mietitura del primo raccolto di grano e della cottura della prima pagnotta fatta con la messe del nuovo anno. Alcuni gruppi Asatrù celebravano qui una festa di due giorni, di cui il 31 luglio era consacrato a Loki e Sigyn, e l'1 agosto a Odino e Frigg. Come il Hiafmasse (in anglosassone Loaf Mass, vale a dire "grande quantità di pane"), questo è un momento chiave del Mistero di John Barleycorn. L'emblema tradizionale del Lammas è un semicerchio diviso in due da una linea.

Mabon
L'equinozio autunnale, o Mabon, che cade intorno al 21 settembre, è il momento del Secondo Raccolto, il punto intermedio della stagione autunnale, il giorno di transizione fra la metà chiara e quella scura dell'anno. Come nell'equinozio primaverile, il sole sorge esattamente a Est e tramonta esattamente a Ovest. Da questo momento in poi, fino al solstizio d'inverno, l'oscurità è dominante. Nell'Asatrù, questa era la festività della Scoperta dell'Inverno, consacrata a Frey, dal colore liturgico giallo. In questa occasione venivano commemorati anche Bolder e Nanna.
L'emblema tradizionale del Mabon è una pianta morente stilizzata.

Samhain
Il Samhain, celebrato l'1 novembre, è il punto di transizione fra la stagione autunnale e quella invernale, il momento del Terzo Raccolto, quando, in tempi passati, venivano uccisi tutti gli animali che non erano necessari per il lavoro o per l'allevamento, la cui carne veniva affumicata o messa sotto sale come provvista per l'inverno. Tradizionalmente, il Samhain è la Festa dei morti, il momento in cui vengono ricordati gli antenati, le cui vite, anche se passate, sono parte di quel flusso ininterrotto del ciclo vitale. Nei paesi di lingua inglese, la festività del Samhain è conosciuta soprattutto per il rito della sua vigilia, nota con il nome cristiano di Alihallows Ève (vigilia d'Ognissanti) o, più popolarmente Halloween, che si celebra il 31 ottobre dopo il calare della sera. Le decorazioni degli scheletri di plastica e i cappelli da strega non sono che la continuazione di una solenne celebrazione in ricordo della morte e dei defunti. Questo legame con i morti si esprimeva nello Samhain attraverso l'usanza di fare delle profezie durante la vigilia, in cui venivano utilizzati vari metodi per ottenere delle risposte ad alcune domande sul futuro. Le maschere di Halloween portano avanti l'antica tradizione del travestimento, che originariamente era una pratica sciamanica che consisteva nel poter temporaneamente appropriarsi delle qualità di una creatura soprannaturale.
Alcuni gruppi Asatrù commemoravano, in questa festa, l'aspetto negativo delle cose, che si manifestava sotto forma degli esseri demoniaci Sollblindi-Fafnir e della dea dell'oltretomba Hela. Un tempo, anche il Samhain, come lo Yule, era una festa più lunga. Nella tradizione celtica, il giorno del Samhain era il quarto, o quello intermedio, di una settimana di celebrazioni. Ciò diede origine a un certo numero di feste intorno a quella data. La celebrazione Asatrù del sabato e della domenica d'inverno si svolgeva durante il fine settimana più vicino al Samhain. In Gran Bretagna, invece, si festeggiava la notte di Guy Fawkes, il 5 novembre, in cui, secondo il cerimoniale, si bruciava il fantoccio di un aspirante regicida del secolo XVII. Il legame diretto fra il Samhain e la notte di Guy Fawkes si deve al fatto che l'attentato alla vita di re Giacomo I era stato fissato proprio il giorno dell'apertura ufficiale del Parlamento, ai primi di novembre. Il falò, che è tuttora la parte centrale della Notte dei Fuochi d'Artificio, è una continuazione dell'antica Festa del Fuoco, in cui si celebrava la fine del raccolto e venivano incenerite le effigi rappresentanti i mali e le tristezze dell'anno appena passato. Il Remembrance Day, l'11 novembre, scelto in origine per commemorare i caduti della Prima Guerra Mondiale, viene celebrato proprio in questo periodo e i sentimenti che esprime si avvicinano di più al Samhain che non alla festa cristiana di San Martino, il santo festeggiato in quel giorno.
L'emblema tradizionale del Samhain è un nodo di protezione.

Esercizi devozionali, Utiseta e altre tecniche di meditazione

Le tradizioni popolari sopravvissute in alcune parti del Nord Europa, le testimonianze scritte in alcune saghe e alcuni resoconti più moderni riportano i dettagli precisi di queste tecniche. La tradizione devozionale comprende canti, glorificazioni, ripetizioni di invocazioni e del nome della divinità adorata, immagini e rituali. La devozione è semplice e non richiede un rituale molto elaborato: per riconoscere un luogo sacro è sufficiente un'offerta di fiori o una candela. La restaurazione di antichi luoghi sacri e il riconoscimento di altri nuovi è solo un importante mezzo per rimettere a nuovo una gerarchia di sacralità che era caduta in rovina. La tradizione degli esercizi spirituali implica delle sedute all'aperto, degli esercizi pastorali e, soprattutto, disciplina interiore. Non ce bisogno di immagini o di rituali elaborati. La conoscenza nasce dall'interiorità, che illumina il mondo esterno. Quella dell'Utiseta, o sitting out, è una tecnica molto importante in cui una persona "si siede all'esterno", sotto le stelle, per ascoltare le voci interiori ed essere in comunione spirituale con l'universo. Gli esercizi spirituali come l'Utiseta sono delle pratiche destinate a portare il candidato in comunione con la realtà fondamentale. Non è facile accedere a questa condizione. Bisogna avere delle intenzioni pure: i poteri che si hanno, o che si cerca di ottenere, dovranno essere usati solo per le proprie esigenze personali, senza minacciare il libero arbitrio e il bene degli altri. In genere, questi esercizi spirituali dovrebbero essere intrapresi solo quando si è in uno stato di purificazione, in seguito ad appropriati rituali di purificazione e protezione, oltre che in uno stato di pulizia fisica che richiede che si indossino abiti puliti.
Gli antichi luoghi santi che si trovano a una certa altezza sono particolarmente adatti a queste sedute all'aperto, specie se sono lontani dalle zone abitate. È, purtroppo, quasi inevitabile che ci siano delle interferenze nei luoghi vicini alle città, a prescindere dal momento del giorno o della notte (in cui si svolge l'esercizio). Sono ideali i luoghi solitari e selvaggi, specialmente quelli che, nell'antichità, erano conosciuti per le loro qualità "luminose", come luoghi geomantici di potere, in cui il flusso di onde era appropriatamente forte. Il flusso è maggiore quando si trova a una certa altezza: ad esempio, là dove in passato venivano scavati i tumuli sepolcrali della regalità e dei guerrieri. Oggigiorno gli antichi tumuli artificiali - siano essi dei segnali geomantici, delle colline sacre tradizionali o dei tumuli sepolcrali - che vengono collocati deliberatamente nei luoghi di potere in cui l'Ónd è particolarmente forte, sono egualmente utili, ma, come avviene con ogni tecnica potente, bisognerebbe avvicinarvisi con cautela e gradualmente.

Tecniche
Gli esercizi spirituali della tradizione nordica presentano un certo numero di elementi che possono essere suddivisi in cinque parti fondamentali:
1. Sedersi in una posizione precisa. Il corpo deve stare in una posizione rilassata ma vigile. Ci si può sedere in due modi. Il primo è con le gambe incrociate, come si può vedere nelle antiche raffigurazioni degli dei, ad esempio Cernunnos. Questa posizione è conosciuta con il nome tedesco di Keltensitz, anche se è diffusa in tutta l'Europa del Nord. Il secondo modo è con le gambe sotto il corpo, come se ci si stesse inginocchiando e anche questa è una posizione che possiamo ritrovare nelle antiche immagini sacre. Esiste anche una tradizione che impone di stare in piedi assumendo delle pose runiche (stodhur) appropriate alla meditazione intrapresa.
2. Regolazione della respirazione. Richiede un respiro calmo, profondo e regolare. Quando la respirazione è sotto controllo, si raggiunge facilmente uno stato di serenità. Il respiro, che è uno dei nostri aspetti dell'Ónd, è quella parte della vita universale del cosmo che possiamo controllare direttamente.
3. Allontanamento dei pensieri indesiderati. È forse questa la parte più difficile. Innanzitutto bisogna distogliere l'attenzione dagli oggetti esterni e da altri tipi di distrazioni. Si devono chiudere gli occhi e sopprimere le immagini viste intorno a sé. Le sensazioni corporee svaniranno e resteranno pressoché inosservate. Quando ci si è impadroniti di questi primi tre elementi, è pronto il terreno per gli ultimi due, l'uso della concentrazione e l'invocazione.
4. Concentrazione. Si possono riuscire ad allontanare i pensieri e le immagini indesiderate concentrando la propria mente su una cosa ben precisa. Solitamente, si tratta della visualizzazione del simbolo di un'immagine cosmica. Può essere qualcosa di particolarmente importante per il mediatore, come, ad esempio, l'albero cosmico, Yggdrassil, lo strumento o l'arma sacra di una divinità, come Mjbllnir, il martello di Thor, oppure una runa particolare. I mediatori dovrebbero trovare il simbolo che piaccia loro di più, per poi soffermarsi nella meditazione fino a che questo simbolo non entri a far parte della loro coscienza.
5. Invocazione. Tutte le tecnologie sacre del mondo conoscono l'energia sacramentale delle parole. Il mantra indù è il tipo di frase sacra più vicino alla tradizione nordica. Nella tradizione nordica, infatti, l'invocazione è un suono sacro simile al mantra. È piena di consapevolezza, basata sulle rune, una massa di energia radiosa richiamata dal praticante, l'invocazione può essere il nome di una divinità o una formula sacra scomposta nella fonetica runica o ripetuta durante la meditazione, mentre si visualizza la runa, la divinità o l'oggetto sacro appropriato. L'invocazione esprime un aspetto particolare della realtà sacra con cui il mediatore ha una maggiore affinità.

Il viaggio del veggente

I viaggi dei veggenti possono essere di due tipi: viaggi interiori oppure pellegrinaggi fisici verso un luogo di potere mantico. Il viaggio fisico del visionario è un pellegrinaggio reale che implica un movimento su un percorso prestabilito, lungo dei sentieri e strade sacre che portano a un luogo consacrato. Qui, vari modi permettono al visionario di entrare in uno stato mistico. Un metodo consiste nell'esplorare un'area selvaggia fino a che non si trovi una buona posizione per sedersi all'aperto. Un altro, molto popolare in Scozia, consiste nell'avvolgersi in una pelle di mucca o in una coperta, lasciando fuori solo la testa, e nel restare distesi per tutta la notte vicino a una cascata o a una sorgente sacra e avere delle visioni. Il maestro pagano greco Pitagora, dopo essersi purificato spiritualmente, dormiva sempre nella pelle di una pecora nera, vicino a un fiume, proprio per acquisire sapienza e conoscenza.
Il viaggio interiore del visionario è simile a quello che, in termini moderni, viene chiamato pathworking, vale a dire il viaggio attraverso i paesaggi inferiori. Nella tradizione nordica questo viaggio si realizzava attraverso le immagini di alcune storie tratte dalle Sacre Scritture come l'Edda e le Sagas, quali la cavalcata di Hermod nell'oltretomba o il viaggio di Thor nell'Utgard.
La riproduzione di un viaggio archetipico, sia fisicamente che mentalmente, ricreava delle qualità e capacità di penetrazione inesprimibili a parole. Quando l'esercizio poteva dirsi concluso, il risveglio doveva avvenire nell'ordine inverso rispetto ai metodi usati nella meditazione, per permettere all'organismo di ricominciare a funzionare lentamente.

Terrapieni, piattaforme, case di terra e tumuli provvisti di camere

Anche se la maggior parte dei praticanti non possiede una sua struttura sotterranea in cui eseguire gli esercizi spirituali, è proprio in ambienti di questo genere che, per tradizione, dev'essere praticata la meditazione. Spesso questi luoghi sacri venivano creati artificialmente, con dei passaggi sotterranei al di sotto dei tumuli che si combinavano con le funzioni dei terrapieni e delle case di terra. È probabile che molte "tombe di passaggio" preistoriche o chambered cairns "tumuli provvisti di camere" fossero di questo tipo e che le sepolture ne rappresentassero solo un uso secondario. La piattaforma che si trovava in cima al terrapieno era una parte molto importante della pratica dell'Utiseta ed era anche il luogo che conteneva l'armamentario essenziale di una strega norvegese, e il suo uso è noto in molte parti dell'Europa del Nord. Nel secolo XII, in Norvegia, fu proibita da una Grande Legge emanata contro le pratiche che la Chiesa disapprovava. In Olanda continuò apertamente fino alla fine del secolo XVII, quando dovette soccombere al Heidenachten, la caccia ai pagani organizzata dalla Chiesa per uccidere gli zingari e i pagani indigeni.
Johan Picardi, nel suo libro Korte Beschryvinge van Eenige Verborgene Antiquitaten, pubblicato nel 1660, scrisse di queste streghe frisoni, conosciute come witte wijven. Esse vivevano nelle province olandesi del Drenthe e della Frisia occidentale, praticando la loro arte curativa, divinatoria e magica. Le witte wijven dimoravano in alcune capanne sciamaniche speciali, o case di terra, strutture edificate secondo una tecnica che risaliva a cinquemila anni prima. Ogni capanna era costituita da un terrapieno cavo con alcuni scalini di fianco. In cima vi era una piattaforma di legno, alla quale si poteva accedere attraverso un camino che si trovava all'interno. Queste piattaforme, decorate con delle doghe, dei teschi e degli utensili magici, venivano utilizzate per le sitting out, le sedute all'aperto. All'esterno della casa, venivano eretti su dei pali teschi, ossa e altri accessori magici che servivano a proteggerla dalle intrusioni umane e soprannaturali. L'aspetto fondamentale della piattaforma era quello di una struttura a grata, in particolare a nove quadrati, che riflettevano l'importanza del numero sacro nove.
Gli antichi tumuli provvisti di camere e le cosiddette passage graves ("tombe di passaggio") dell'antico Nord Europa appartenevano a tradizioni popolari locali che combinavano i riti sacri alle osservanze solari. Sono, queste, le antesignane delle capanne sciamaniche delle witte wijven. Anche se costruite in superficie piuttosto che scavate nella terra, queste grandi cavità di pietra erano tecnicamente al di sopra del livello del terreno, ma presentavano tutte le caratteristiche fondamentali delle capanne sciamaniche sotterranee. Tra gli esempi da ricordare, nell'Europa del Nord, abbiamo: il lungo tumulo preistorico del West Kennet, vicino a Silbury Hili, nel Wiitshire, il New Grange in Irlanda e il Maeshowe nell'Orkney.
L'abilità tecnica richiesta per collocare e progettare queste strutture era molto elevata, in quanto si trattava di conciliare molte caratteristiche variabili e complesse con uno strumento funzionale di un'antica saggezza. Il grande tumulo provvisto di camere a Maeshowe, nell'Orkney, è un esempio che illustra bene le caratteristiche principali di questi luoghi. È situato vicino al lago di Harray ed è, esternamente, un tumulo di terra dal diametro di centoquindici piedi e dall'altezza di ventiquattro (35 m * 7,5 m). All'interno contiene varie camere, tutte collocate alla fine di un passaggio d'accesso lungo cinquantaquattro piedi (16,5 m). La camera principale è fatta di pietre megalitiche livellate e fissate in modo compatto, la cui lavorazione raggiunge una tecnica talmente elaborata che la giunzione è stata paragonata a quella della Grande Piramide - che fu costruita a Maeshowe qualche secolo dopo. Il corridoio funge da telescopio, allineato con una pietra eretta situata in modo prominente a novecentoventiquattro iarde (844 m) dall'ingresso del Meshowe. Questo allineamento indica un'alba solstiziale, collegando la struttura non solo al paesaggio in cui è situata ma anche ai cicli del cielo. Un altro megalito rivolto a Ovest, detto il Watchstone, segnava gli equinozi. Il Meshowe, lungi dall'essere una tomba, era un osservatorio sotterraneo che nelle epoche remote veniva usato per regolare il calendario, pratica inscindibile dalla religione di quel tempo. Se usassimo, oggi, queste tecniche antiche, dovremmo sforzarci - come i nostri antenati - di raggiungere la maggiore armonia possibile con tutti gli elementi variabili del tempo e dello spazio. Come ciascuno di noi può scoprire da sé, questi luoghi sono tuttora dei forti accumulatori di Ónd.

Seidr-volvas (streghe) e Warlocks (stregoni)

Nella tradizione nordica si conoscono, grazie a una grande varietà di fonti, diverse classi di praticanti dell'occulto. Nell'antica Irlanda le streghe erano note come valva o fjóikunnig kona, mentre i maghi o gli stregoni venivano chiamati fjolkunnigr madr. L'arte della stregoneria era generalmente conosciuta come fiólkyngi, che significa "molta conoscenza", o frodleikr, "saggezza, sapienza". Nella tradizione nordica, seidr era uno strumento di divinazione oracolare che non veniva usato per scopi curativi, come nel caso dello sciamanismo lappone, inuit e siberiano, ma per un particolare tipo di magia che rendeva capace la strega di comunicare con gli animali, viaggiare astralmente con i loro mezzi e persino assumerne la forma fisica e le qualità. L'assunzione di una forma animale o di un altro travestimento era nota come hamrammr, o "cambiamento di forma". La comunicazione con gli animali dipendeva dal tipo di praticante: i maestri delle arti marziali avevano stretti rapporti spirituali con i corvi, gli storni, le oche, gli orsi, i lupi o i vecchi maiali. Le streghe con i gatti e gli uccelli, a seconda delle divinità alle quali offrivano la loro devozione. Le dee e gli dei venivano, infatti, spesso raffigurati insieme all'animale che li rappresenta. Un affresco del secolo XI della cattedrale di Slesvig, costruita durante il periodo successivo alla conversione ufficiale della Danimarca al Cristianesimo, mostra la dea Frigg, componente sciamanica femminile di Odino, cavalcare un gatto a strisce colorate, probabilmente una tigre siberiana.
Esistevano anche altre parole per descrivere i praticanti, a seconda dei paesi in cui essi operavano. Le streghe pagane che Filimer, il re dei goti, bandì dal suo regno, erano conosciute come haliarunos, una parola che sottintende l'uso delle rune. Un thui (duir), invece era un poeta, un oratore o un saggio ispirato sciamanicamente. Nel poema anglosassone Beowulf, al personaggio di Unferth viene dato lo stesso appellativo, Thyle, termine ovviamente collegato a Thule, un toponimo che significa "il luogo in cui la gente è costretta a tornare indietro". Il veggente, cioè, per portare nel mondo degli uomini questa conoscenza così duramente conquistata, deve ritornare dal mondo ultraterreno.
Il termine dialettale scozzese warlock, che indica uno stregone o un mago che pratica la magia bianca, viene usato raramente al giorno d'oggi, e con un significato dispregiativo, in quanto a colui capace di fare degli incantesimi vincolanti, non può che essere dato l'appellativo di «bugiardo». Lo si trova nel racconto norvegese Eirks Saga Rauda. La storia è ambientata in Groenlandia, qualche anno dopo l'imposizione della religione cristiana. Una strega a capo di una cerimonia chiede all'assemblea di cantare una canzone intitolata Vardiokkur per permettere al corteo di poter continuare. Nessuno la conosce, eccetto una ragazza islandese in visita. Questa ragazza è cristiana, ma la canzone le era stata insegnata dalla sua balia. In principio, sapendo che si trattava di una canzone pagana, la ragazza è restia a cantarla, ma alla fine viene indotta a farlo e la cerimonia viene completata senza alcuna interferenza. Il potere dello stregone, dunque, è quello di respingere e rinchiudere gli spiriti maligni (in inglese ward off e lock up). Un altro termine dialettale scozzese con connotazioni magiche è fret. Il significato moderno di questa parola è quello di "inquietudine", ma, originariamente, si trattava dell'inquietudine che si manifestava sotto forma dei cattivi presagi di un veggente.

Capacità magiche

La telepatia, l'invisibilità, il cambiamento di forma e una forza sovrumana: queste le capacità magiche dei praticanti del Nord, accompagnate da una vasta terminologia di riferimento. Erano note, ad esempio, come àfreskir, le persone che possedevano una seconda vita, vale a dire una forte capacità di penetrazione nel mondo dello spirito. Coloro che erano capaci di vedere nel futuro, essendo farsighted (lungimiranti), erano detti framsynn. Il cambiamento di forma era noto come bregda sér, mentre la forza apparentemente soprannaturale delle arti marziali era detta rammaukin. Nella Vatnsdoela Saga, la strega Heid profetizzò che Ingimund e i suoi compagni si sarebbero stabiliti in una terra che non era ancora stata scoperta, a Occidente, dall'altra parte del mare. Heid disse a Ingimund che il suo hlutr, un'immagine sacra di Feyr scomparsa magicamente dalla sua borsa, sarebbe stata ritrovata solo nel momento in cui avrebbe scavato dei buchi per i pilastri del suo castello nella nuova terra. Non volendo partire per la nuova terra, l'Islanda, Ingimund inviò due maghi finlandesi per trovare il suo hlutr, che riuscirono a trovarlo ma non a portarlo via. Convinta la regina, solo con la fondazione del castello di Hof, l'immagine sarebbe stata ritrovata, proprio come aveva predetto la strega.
Molti dei primi santi della Chiesa celtica possedevano e portavano avanti le pratiche tradizionali della vecchia fede, compiendo atti di magia e di percezione extrasensoriale. Nella Vita di San Colombano di Adamnan, ad esempio, vi è un catalogo di avvenimenti miracolosi che hanno le stesse caratteristiche delle magie operate dagli stregoni e dalle streghe della tradizione nordica. Come nell'episodio in cui Abbot Cainnech salpò dimenticando il suo bastone. Fu condotto all'oratorio di Colombano e lasciato con lui «in preghiera». Quando Cainnech giunse in Irlanda, si inginocchiò a pregare, e accanto a lui vi era il suo bastone, trasportatovi telepaticamente dal «potere divino» usato da Colombano.

La tradizione delle arti marziali nordiche

La tradizione nordica, che si era fatta strada fra le avversità del ghiaccio e della neve nell'Europa dell'era glaciale, era caratterizzata, in origine, da una lotta continua contro le più opprimenti difficoltà. Ciò richiedeva ai seguaci una forte fiducia in se stessi e, se necessario, la disponibilità a morire altruisticamente per la famiglia e i compagni facendo appello a quelle riserve di forza soprannaturale che si trovavano dentro di loro. Per poter compiere questi atti di volontà era necessario un severo addestramento all'autocontrollo, paragonabile a quello usato nelle arti marziali orientali. Questo atteggiamento si manifestava nella tradizione guerriera, e in particolar modo nel mondo cavalleresco, che a lungo andare vide la formazione di eserciti permanenti e il miglioramento delle armi da fuoco. Le tradizioni degli eroi nella letteratura arturiana e nelle saghe tedesche e norvegesi rivelano l'esistenza di due culti principali all'interno della tradizione guerriera - quello del lupo e quello dell'orso - nonostante uno minore, ma regale, quello del cinghiale, meglio conosciuti attraverso quei gruppi di guerrieri norvegesi che sono noti come Berserkers e Ulfhednar.

Guerrieri Berserkers, Ulfhednar e Svìnfylking

È nelle saghe scandinave, componimenti in prosa sulle vicende degli uomini e degli dei, che si evince il rilievo attribuito agli animali nella tradizione nordica. Nella Ynglinga Saga, contenuta nella prima parte della Heimskringla di Snorri Sturluson, l'orso figura come un essere sacro, una sorta di mediatore fra il divino e l'umano, da cui attingere coraggio e forza.
Al giorno d'oggi l'espressione going berserk viene usata in inglese quando qualcuno è assalito da un furore indomabile e attacca alla cieca le persone o le cose con una forza apparentemente soprannaturale. In origine, to go berserk significava andare in battaglia indossando una camicia di pelle d'orso. Quest'ultima era segno distintivo del Berserker, un praticante di arti marziali che, pur essendo privo di una normale armatura a maglia, era così forte e feroce da essere temuto dai suoi avversari. La camicia di pelle d'orso era il simbolo che indicava che il Berserker poteva attingere alla forza dell'animale, quel potere sovrumano che nelle arti marziali orientali si manifesta come ki, l'Ónd della tradizione nordica. La forza dell'orso era una vera e propria tecnica che veniva insegnata al guerriero dai maestri delle arti marziali nordiche, che mostravano come incanalare l'Ónd attraverso la pratica del bear's warmth, durante la quale si poteva rimanere nudi o semivestiti sulla neve invernale senza avvertire il minimo freddo. Sembra che i Berserkers fossero devoti al culto guerriero europeo dell'orso, personificato nella dea Artio o Artiona. Il potere posseduto dall'animale veniva conquistato durante l'iniziazione del Berserker. Nella Hrolfs Saga Kraiki ci viene raccontato che, fra le varie prove, l'aspirante Berserker doveva uccidere l'animale che vegliava nella sala reale, per poi bere il suo sangue ed assimilare il suo potere. Ai Berserkers veniva attribuito il potere dell'hamrammr o del cambiamento di forma. Questo cambiamento poteva essere immediato, alterando la percezione degli altri, o poteva essere un'esperienza esterna al corpo.
È chiaro che il Berserker era un praticante di arti marziali sciamaniche che implicava non solo il controllo e l'incanalamento dell'Ónd ma anche una manipolazione fisica. A volte ciò comportava un combattimento nel corpo astrale. Secondo la leggenda un famoso Berserker, Bothvar Bjarki, guerriero del re della Danimarca, Hrolf, lottò sotto forma di un orso, mentre il suo corpo umano giaceva in trance, come se fosse tornato a dormire nell'accampamento. In virtù della loro prodezza marziale, i Berserkers erano i combattenti principali degli eserciti norvegesi precristiani.
I guerrieri Ulfhednars indossavano delle pelli di lupo (camicie di lupo, vargstakkar) e, a differenza dei Berserkers, che lottavano a squadre, entravano in combattimento da soli. Vi erano anche gli Ulfhamir, le camicie di lupo, che si ritiene lottassero senza armatura, come i Berserkers. Un Ulfhednar appare su un plinto (stampo con cui si proteggevano e adornavano magicamente gli elmi) proveniente da Torsiunda, dell'isola baltica di Olund, e mostra un uomo che indossa un elmo con le corna e porta due bastoni. Vicino a lui c'è un Ulfhednar, un uomo dalla testa di lupo armato di una lancia. Anche in Gran Bretagna, a Kilpeck, nell'Herefordshire, in una Chiesa del secolo XI c'è una scultura che potrebbe essere una tarda interpretazione di questa tradizione. Si tratta di una maschera di lupo dalla testa umana che sta in guardia, all'esterno della Chiesa, e che probabilmente è una copia in pietra di quelle maschere che venivano appese nei templi pagani e usate in tempo di guerra o di cerimonie. Gli sciamani moderni usano delle maschere simili a queste, che, quando non vengono indossate, fanno da ricettacolo agli spiriti. Uno dei soprannomi di Odino, Grim, significa appunto "colui che è mascherato" e gli antichi guerrieri norvegesi avevano un viso letteralmente grim (severo) quando si occupavano dei loro affari.
Le tecniche degli Ulfhednar, come quelle Berserkers, erano dense di pericoli, specialmente per i non iniziati. Ne viene riportato un esempio nella Volsunga Saga. Gli eroi Sigmund e Sìnfyotl incontrarono per caso nella foresta due uomini che dormivano e che portavano degli anelli magici d'oro. Sopra di loro erano sospese due pelli di lupo, che essi rimuovevano ogni quinto giorno e indossavano di nuovo per mezzo degli anelli. Sigmund e suo figlio indossarono quelle pelli e acconsentirono a seguire certe regole di combattimento: «Parlavano la lingua dei lupi, entrambi capivano quel modo di parlare [...] Fecero un accordo in base al quale ciascuno dei due avrebbe avuto la possibilità di prendere sette uomini, ma non di più. Se avesse superato quel numero, avrebbe dovuto gridare nel linguaggio dei lupi [...]». I due Volsungs indossarono le pelli di lupo, ma poi, in modo incontrollabile, si trasformarono in lupi e uccisero la gente fino a che non riuscirono a togliersi le pelli e bruciarle. Il linguaggio del lupo è una forma di richiamo simile al Kiai delle arti marziali orientali, che ha l'effetto di abbassare momentaneamente la pressione sanguigna degli avversari consentendo al guerriero di colpire. Quei suoni agghiaccianti sono evocati nel vecchio scritto norvegese noto come Hrafnsmà: «I Berseks abbaiavano... gli Ulfhednar ululavano...».
La tradizione dei guerrieri-lupo non è solo scandinava. A Radnor, la figlia di un principe celtico gallese mosse guerra ai suoi nemici sotto forma di un lupo. In un libro irlandese del secolo XIII, The Wonders of Ireland (Le meraviglie dell'Irlanda) si afferma: «Ci sono alcuni uomini nella razza celtica che hanno un potere meraviglioso che ereditano dai loro antenati: per un'arte maligna, infatti, essi possono assumere a loro piacere la forma di un lupo dai denti aguzzi e taglienti». Sono leggendarie le gesta d'armi attribuite ai membri di questi clan di guerrieri e anche di altri che portano i nomi di lupo e di orso. Nella letteratura arturiana, l'inizio di La morte d'Arthur di sir Thomas Malory (secolo XV) ci presenta un guerriero del clan del lupo, in quanto il cavaliere ed assistente di Uther Pendragon è Ulfius. Questi, o un altro, diventa in seguito il ciambellano di re Artù. Il più grande poema anglosassone parla di un guerriero del culto del lupo: Beowulf, infatti, è una parola composta dal nome del dio anglosassone della fertilità, Beoti e da wolf, lupo. I nomi sacri sono parte della tradizione magica, e i nomi dei guerrieri, come nella tradizione indigena americana, si basano sul clan guerriero al quale l'uomo apparteneva e sul suo valore.
I boor-warriors (guerrieri-cinghiale) avevano come animale totemico il cinghiale e la loro tecnica consisteva nel lottare in una formazione nota come Svìnfylking (testa del cinghiale), un cuneo con due campioni, detti rani (musi), in prima fila. Poiché avevano un'ottima conoscenza del terreno, i guerrieri-cinghiale erano esperti di travestimenti e fughe. Come i Berserkers e gli Ulfhednar, i guerrieri-cinghiale usavano la forza soprannaturale di questo animale come fondamento delle loro arti marziali.
Alcuni racconti di eroi come il campione anglosassone Ordulph o re Artù (artos, "orso") dimostrano che coloro che praticavano le arti marziali occidentali erano qualcosa di più che delle anime folli. Tali storie raccontano che questi guerrieri erano degli uomini che avevano subito un tirocinio fisico e spirituale paragonabile alle più conosciute arti marziali dell'Oriente, e che erano capaci di compiere quelle gesta straordinarie che sono associate ai maggiori esperti dell'arte. Ordulph buttò giù con un solo soffio i cancelli di legno di quercia della città di Exeter: l'Hàramàl racconta della quinta runa, che rende capace il guerriero di fermare una freccia in volo. Entrambe le tecniche sono conosciute oggi nelle arti marziali orientali, ed è chiaro che fossero conosciute e praticate anche nelle arti marziali nordiche. Fino al tardo Medioevo non c'era un solo guerriero che non fosse anche un praticante della magia. Alla magia utilizzata in battaglia si ricorre nella Hardar Saga, in cui ha luogo l'Herfjottur (war fetter), un incantesimo vincolante che causa la paralisi o la perdita di potere delle forze nemiche. A tal proposito è attestato che nel tardo secolo XV i re inglesi si circondassero di assistenti maghi, come il famoso frate Bungay che alterò magicamente il tempo per far vincere le battaglie al suo padrone.

Ónd: il potere della Geomanzia, della magia e delle arti marziali

Secondo le tradizioni di tutto il mondo esiste una forza, o conglomerato di forze, che sostiene ogni essere. Ha tanti nomi quante sono le lingue e i sistemi di fede. È il prana della religione indù, il pneuma dei greci pagani, il solvente universale degli alchimisti, il magnetismo animale di Franz Anton Mesmer, Yodyle di Reichenbach, il Vril della Teosofia, l'Orgone di Wilhelm Reich o il ch'i o ki della geomanzia cinese e delle arti marziali. È l'Ónd della tradizione nordica.
Tutto ciò che esiste nell'universo possiede l'Ónd. Può essere considerato come uno spirito, un carattere speciale o un potere impersonale. È un'essenza attiva che appartiene sia alla sfera materiale che a quella magica. Nelle piante l'Ónd conferisce dei poteri medicinali, negli alimenti è l'essenza che fa crescere i bambini e che dà l'energia per mantenere in vita.
Quando viene analizzato con metodi scientifici, l'Ónd viene spiegato come quella qualità della materia che è nota come energia. In ogni caso, non si tratta di un mezzo che serve a trasferire l'energia attraverso strumenti chimici, magnetici, elettrici o altro, ma di un modello formativo della geometria e del flusso presenti in tutte le cose e i paesaggi materiali. Nel paesaggio, quest'energia è tratta dal cielo fino ai punti più alti, la cui direzione, flusso e forma, sono determinati dai modelli del territorio. In alcuni luoghi si accumula e diventa subito stagnante, mentre in altri scorre troppo rapidamente. Quando si concentra in modo speciale si parla di particolari luoghi di potere dei paesaggi, e qui l'Ónd si manifesta in modi molto diversi. Può apparire sotto forma degli spiriti della terra (landwoettir o "individui della terra") oppure come hytersprites, yarthkins, eco, ciascuno dei quali lascia degli effetti benefici o dannosi sulle attività umane presenti. I geomanti, i maghi, i cacciatori e gli agricoltori tradizionali hanno sempre avuto un rapporto molto sottile con il paesaggio e le sue qualità, e i più raffinati di essi hanno prosperato di conseguenza.
Allo stesso modo, questa energia è presente nell'organismo umano, e i praticanti dell'arte della meditazione, della guarigione, dell'illuminazione spirituale e delle arti marziali utilizzano delle tecniche che dirigono e accrescono questo potere. Ritrovarsi in un luogo di potere energetico e svolgere le procedure esatte per attirare l'Ónd nel corpo serve a migliorare le azioni di un individuo e ad armonizzarle con le sottili energie del mondo. Nella tradizione nordica, un aspetto personificato dell'Ónd è l'homingja - quell'energia dominabile grazie alla quale si compiono il cambiamento di forma e altre destrezze - che è impersonato da uno spirito guardiano. Occasionalmente, questa energia è visibile quando viene emanata dalle mani dei guaritori o di quelli che praticano le arti marziali. Nel secolo XVIII uno dei pazienti di Franz Anton Mesmer gli disse: «Ad ogni passo che dirigete verso di me, vedo una piccola colonna di polvere ardente che proviene dalle estremità delle vostre dita e che sembra incorporarsi dentro di me».
Le energie di cui si occupano i praticanti delle arti marziali sono state scientificamente studiate in Cina negli anni Settanta. Wu Style Taijiquan di Wang Peisheng e Zeng Weiqi, pubblicato a Pechino nel 1981, racconta tutta l'attività scientifica svolta sullo studio questa energia. Ricorda come gli scienziati moderni, avvalendosi di strumenti avanzati, nel 1978 riuscirono a scoprire innanzitutto che il qi emesso dalle punte delle dita di un maestro qigong era una corrente di particelle sottili con carica elettrica, una sorta di «polvere di fuoco».
Queste manifestazioni sembrano appartenere ai santi di tutte le tradizioni religiose del mondo. Nel suo libro, De Beatifìcatione et Canonizatione, Lambertini ricorda le parole di Papa Benedetto XIV: «Sembra essere vero che esistono delle fiamme naturali che a volte cingono visibilmente la testa umana, e che, di tanto in tanto, si irradiano naturalmente non, comunque, come una fiamma che oscilla verso l'alto, ma piuttosto sotto forma di scintille sprigionate tutt'intorno, Sembra essere vero, inoltre, che alcune persone splendono di una fiammata di luce, anche se questa non è inerente ad esse ma si attacca, piuttosto, ai loro vestiti o al bastone o all'asta che portano». Le aureole che circondano le teste delle divinità e dei santi possono essere considerate una rappresentazione di questo potere.

Capitolo VI - La cristianizzazione dello spirito tedesco

Gli ideologi del Nazionasocialismo, e in particolare gli studiosi della SS Ahnenerbe operarono una profonda revisione delle basi culturali dei tedeschi e delle popolazioni germaniche in genere, sottoponendo a una critica serrata tutte le vicende storiche relative alla loro progressiva cristianizzazione, anche le più antiche (come quella dei Goti, la cui conversione risale al secolo IV d. C.), in favore di una riscoperta delle più pure radici originarie dello spirito e delle religioni germaniche antiche. La cristianizzazione venne dunque interpretata come una impropria e forzata contaminazione delle matrici ancestrali. Immagini come quella di un bassorilievo del secolo IV, rinvenuto nella foresta di Teutoburgo, in cui il Cristo calpesta l'Albero della Vita di Odino, vennero addotte a suffragio dell'ipotesi di una conversione subita come una vera e propria violenza. La SS Ahnenerbe con Oswald Wirth, uno dei fondatori, e con il professor Havenbeck, che di Wirth era il braccio destro (come lui di Amburgo, e membro della Società Antroposofica di Steiner), riutilizzarono il poema Edda della tradizione islandese in questa chiave pangermanica, proponendo un tragitto che dall'Islanda va progressivamente verso il Sud, espandendo lo spirito guerriero e la forza spirituale degli ariogermani originari. Gli dei scendono dal Nord fino a Thule, l'«Ultima Thule» che è la «Terra Verde» della Groenlandia originaria. Thule verrà in seguito identificata con l'isola di Eliegoland, che si trova a Nord-Est di Amburgo, e che verrà venerata come uno dei luoghi energetici primari del nuovo pensiero nazionalsocialista. Da Eliegoland i Germani sarebbero poi discesi sulla terraferma, nella foresta di Teutoburgo, dove si trova il castello di Wewelsburg, che proprio per questo diverrà la sede primaria della SS Ahnenerbe. In una delle sale del castello è presente la statua di Armino, ripresa nell'atto di sconfiggere le legioni romane così come descritto nella Germania di Tacito: libro, non a caso, ripubblicato in migliaia di copie dalla Ahnenerbe perché fosse distribuito a tutti i reparti e in tutti i gradi delle SS. Libro venerato da Himmler (insieme ad una biografia di Gengis Khan). Per quanto riguarda la storia della cristianizzazione nelle sue vicende antiche e moderne, inoltre, bisogna ricordare la denuncia che le SS facevano dello spirito missionario della religione cattolica: negli anni di consolidamento del regime hiltleriano, infatti, la Chiesa cattolica ebbe spesso rapporti assai tesi con il regime, a differenza di quella protestante, che fu rapidamente allineata e omologata in quanto Chiesa ufficiale tedesca. Vi furono, è vero, delle importanti frange filocattoliche nel Nazionalsocialismo, in particolar modo in Baviera e in Austria. E va del resto ricordato che, tra le basi della fondazione del Partito Nazionalsocialista, vi è la Ostara, una società segreta viennese che dava del cattolicesimo una lettura «crociato-teutonica» assai particolare. Ma i rapporti dello Stato tedesco in sé con la curia di Roma non furono sempre facili in quel periodo.

Il Terzo Reich venne così battezzato per indicare che l'Aquila dell'Impero, una volta incarnata nel Primo Reich (l'Impero Romano) e nel Secondo Reich (Il Sacro Romano Impero Austriaco a partire dai Franchi di Carlomagno), era ora definitivamente incarnata nella nuova e definitiva missione dei Germani. Alle fondamenta teoriche di questa mitologia lavorarono gli uomini della Ahnenerbe, come pure il fondatore della geopolitica Karl Hausofer e il poeta e scrittore Dietrich Eckart, che aveva tradotto dal danese il Peer Gynt e che, mai smentito da Hitler stesso, aveva scritto di suo pugno il Mein Kampf per il Führer.

Capitolo VII - L'interpretazione nazionalsocialista di Nietzsche: Da Schopenhauer a Wagner, la tragedia tedesca come dramma dell'Europa ventura

Ciò che noi oggi chiamiamo «opera tragica» è la parodia dell'antico dramma musicale, cioè il fondamento del senso drammatico dell'esistenza venuto fuori da una diretta scimmiottatura dell'antichità senza la forza inconscia di un impulso naturale. Costruita sulla base di una teoria astratta, essa ha assunto la parte dell'homunculus prodotto artificialmente e ha sostituito l'antico eroe con colui che, essendo caritatevole verso il più debole, è sommamente ingiusto nei confronti dell'aristocrazia di sangue e spirito.

Questa affermazione di Friedrich Nietzsche, collocata all'inizio di due conferenze giovanili sulla tragedia greca (Das Griechische Musikdrama), assume particolare rilievo se si pensa a ciò che essa sottintende: l'opera post-cristiana, in quanto parodia della tragedia classica, non fa che ribaltare l'esito di quest'ultima nell'orizzonte della mediocrità contemporanea, tale che la modernità non può non vivere se non commisurata a ciò di cui è parodia. La possibilità di ritrovare e riprodurre la tragedia nel mondo moderno è per Nietzsche, a differenza di Hitler, del tutto chimerica e condannata al fallimento. Certo, egli allude a «quando in un'ora di potente fantasia noi portiamo dinanzi alla nostra anima l'opera idealizzata tanto che finalmente ci si schiude l'intuizione dell'antico dramma musicale», ma questo sembra piuttosto confermare, anziché contraddire, la separazione fra modernità e tradizione. E così, mentre il Führer è convinto di poter fondare un Reich millenario e di espandere l'arianizzazione verso territori da nobilitare con il dominio, Nietzsche è di un pessimismo panico, confermato tanto dal suo stato di salute che dall'analisi della storia tedesca. E l'esito di questa storia mostra come la vista del filosofo di Sils Maria fosse davvero acuta.
Il tragico, elemento costitutivo che esalta se stesso nel terrifico, attinge alle fonti della grandezza, e Nietzsche descrive l'origine della concezione tragica dell'esistere proprio attraverso l'analisi del pericolo, a partire dal culto entusiastico in onore di Dioniso. È in questa dimensione religiosa che il tragico si dà a conoscere come affermazione del «primato del patire sull'agire».

Nulla di sfrenato o di licenzioso, in queste folle che correvano per i campi e i boschi con selvaggio tumulto, ai primordi del dramma, con costumi da Satiro e da Sileno, i volti coperti di fuliggine, di minio e succhi vegetali, con corone di fiori intorno al capo. L'azione potente della primavera, manifestandosi di colpo, conduce le forze vitali a un tale eccesso che ovunque si danno stati di estasi e visioni insieme con la fede in un proprio incantesimo, e creature che sentono allo stesso modo si aggirano a schiere per tutta la regione. Ed è qui la culla del dramma, il quale non incomincia là dove qualcuno si traveste per far nascere in altri un'illusione - no! - ma piuttosto là dove l'uomo è fuori di sé e si crede trasformato e oggetto d'incantesimo. Nello stato dell'essere fuori di sé per l'estasi non è necessario che un passo: si tratta non già di ritornare in noi stessi, ma piuttosto di entrare in un altro essere, così da comportarsi da creature fatate. Perciò sta tutta qui la ragione fondamentale dello stupore che il dramma suscita: il terreno vacilla. Così come la fede nella indissolubilità e nella fissità dell'individuo.

«Primato del patire sull'agire» sta a significare, in questo lungo passo, la potente irruzione di forze ctonie che, annichilendo il principio d'identità, spogliano l'individuo di ciò che lo vincola a ogni forma di individuazione conducendolo alla soglia dell'estasi. E ciò non avviene nel senso di uno scambio con un principio di segno contrario che - appunto in quanto principio - rappresenta pur sempre l'imporsi di una soggettività, ma per mezzo di passioni stanche di essere moralizzate e pronte a irrompere travolgendo gli schemi formali del consuetudinario. L'essere entusiasticamente fuori di sé accoglie docilmente l'eccesso fino a piegarlo alla gentilezza del dominatore, il quale sa essere magnanimo nei confronti di un mondo non aggressivo che si sottrae alla legge del più debole per imporre la carità del più forte: qualcosa di simile alla compassione del Buddha votata all'amore per ciò che è «forte, nobile e immune dal volgare».
«Nulla di sfrenato o di licenzioso», avverte Nietzsche quando parla di incantesimo, di visione e di stupore. Semplicemente, in questa primitiva esperienza del tragico, non vale più la distinzione di realtà e apparenza, così come quella di soggetto e oggetto, anche se l'accento finisce sempre per essere posto sulla sensazione del patire. Nietzsche ritiene, assai presto, che il mondo è indegno di lui e della sua opera titanica. Hitler lo capirà soltanto nel momento in cui Martin Bormann e Hermann Göring, due dei suoi stretti collaboratori, e persino le sue fedelissime SS, lo avranno tradito negoziando a sua insaputa la resa col nemico.
In un certo senso, è l'insostenibilità di un modo d'essere, che è passione piuttosto che azione, a decretare il declino di ciò che s'era annunciato nel culto dionisiaco, delineandosi poi nel destino impietoso del classicismo, della decadenza ellenistica e nella fatale cristianizzazione dell'Occidente. Bormann, spalleggiato da Alfred Rosenberg, dirà: «Nazionalsocialismo e Cristianesimo sono incompatibili», ma Nietzsche aveva già teoricamente sepolto il Salvatore cristico come figura mancata della tragedia. Il De Vigny fa dire all'ultimo degli imperatori pagani, Giulio Cesare: «Hai vinto, o Galileo», ma mentre l'eroe ellenistico, trasfigurato dal genio romantico, accoglie simili successi storici con imperturbabilità, Nietzsche, nel suo paradosso contraddittorio, un giorno a Lou Salomè dirà persino: «Se dovessi ricominciare tutto, partirei da Roma, dalla fede cattolica».
In realtà, già in Eschilo e in Sofocle la passione, e quindi la compassione, si danno in maniera che, secondo Nietzsche, è imperfetta. Ciò accade in quanto il racconto esposto dal mito tende inevitabilmente a imporsi allo spettatore richiedendogli, nello stesso tempo, attenzione vigile e cosciente e sottraendolo quindi all'esser fuori di sé, all'incanto e alla fragilità misera della spoliazione dell'Io. Lo spettatore è messo di fronte a fatti dei quali deve rendersi conto, deve spiegarsi il nesso causale, deve dare ragione. E questa è una smagliatura, un anello mancante che impedisce allo spettatore di calarsi nell'evento e all'iniziato di effettuare il «ricollegamento con l'influenza spirituale». Eschilo e Sofocle si accorgono dell'equivoco e utilizzano tutti gli artifici del caso per mettere nelle mani dello spettatore i fili necessari alla comprensione della vicenda, ma l'equivoco resta, e il Terzo Reich non saprà svincolarsi dall'imbarazzo di fondo. In effetti, nessun membro della gerarchia nazista corrispose mai all'archetipo fisico-biologico del conquistatore ariano: Hitler bassetto e tipicamente mediterraneo-boero, Himmler mongolico, Göring afroditico-decadente, Rosenberg lituano-giudaico, eppure nessuno di loro sembra aver vissuto questo equivoco da complessato ordinario. Allo spettatore della storia occulta è quasi una sorta di obbligo giudicare ciò che si presenta di fatto come al di là del giudizio: una immoralità pratica che in Nietzsche è spontanea, mentre nelle sfere alte del Terzo Reich appare costantemente paralizzata da rigurgiti e revanscismi da parvenu e piccolo-borghesi.
Secondo Nietzsche è Euripide che riesce a sciogliere questo nodo complicato, affrontando con fermezza il dilemma: se lo spettatore ha a che fare con qualcosa di cui deve rendersi conto, ebbene, questo qualcosa deve essere giudicato, sottomesso al vaglio della ragione, conosciuto con chiarezza. In questo modo, lo spirito teorico uccide il senso della terra, moralizza la virtù e costringe gli spiriti del concreto a fuggire verso il cielo dell'utopia. La poetica di Euripide - tutta ispirata a Socrate e al suo razionalismo, ma anche, a sua volta, ispiratrice di quello - ripropone così ciò che nel tragico sembrava essersi dissolto: non solo la distinzione di soggetto giudicante e oggetto giudicato, ma soprattutto il primato dell'agire sul patire, il primato della responsabilità (ossia, in termini socratici, la coscienza) sul destino. Inoltre, viene a sfumare anche la differenza tra realtà, laddove le azioni sono imputabili in quanto se ne conosce il responsabile, e apparenza, laddove Nietzsche diceva: «È l'ignoranza a gettare sulle cose il velo d'un destino oscuro e impenetrabile».
In sintesi, la poetica di Euripide sancisce la morte della tragedia all'atto della chiusura del sipario. E con la tragedia - sulla scena dell'Ellade così come su quella del Terzo Reich - muore definitivamente ogni possibilità di rovesciare l'azione nella passione e di sovvertire, quindi, quella struttura in cui l'esistenza è pensata alla luce dell'individuazione e dell'imposizione di sé e del dominio. Apollo aveva comandato a Socrate: «Fa' musica», ma questi aveva tradito il suo compito, razionalizzando l'esistente con una pretesa morale universale. Le speranze degli esaltati erano ormai tarpate e l'Ellade finì conquistata dalle legioni di Roma. L'Europa, dopo il crollo dell'Asse, non visse più rappresentazioni di un destino tragico, ma farse dell'imitazione dei nuovi conquistatori.
Ma non si tratta che di un estremo contrappasso. In realtà la tragedia, come l'utopia escatologica del Reich millenario, su cui convergono pagani come Rosenberg, cattolici come Leon Degrelle e atavaristi indù eredi di Chandra Bose, muore di una morte tragica: è questo il senso della scomposizione della solidarietà di Apollo e Dioniso, dell'annichilimento - per rimanere nell'ambito del linguaggio mitico cui Nietzsche ricorre - della salvezza portata alla luce dalla tenebrosa profondità della terra. «La tragedia muore - dice Nietzsche - non per rinascere, o almeno lasciando dei frutti. Ciò che resta è solo un grande vuoto, profondamente sentito da tutti coloro che ne sono capaci». La salvezza che la tragedia è venuta a portare sta tutta nella messa in scena e nel rapporto che lega il patire e la sua rappresentazione. «La conoscenza degli orrori e delle assurdità dell'esistenza, dell'ordine distorto e della disposizione irragionevole di tutte le cose, in generale dello smisurato patire in tutta la natura, aveva svelato le figure così occultate ad arte di Moira e delle Erinni, di Medusa e di Gorgona: gli dei olimpici vennero a trovarsi nel più grande pericolo». Ciò che salva gli dei olimpici dal pericolo che sta per travolgerli insieme alla possibilità di sopravvivere al caos è la scoperta che il caos stesso, messo in scena, diventa fonte di piacere e riesce a suscitare, addirittura, il più divino e il più inattaccabile dei sorrisi. Ma a differenza di Nietzsche, Hitler non sapeva ridere e, anzi, aveva serie difficoltà a contenere i suoi scatti di collera.
Il tragico appare così tutt'uno con il comico - elemento obliato dalla filosofia nazionalsocialista - e Dioniso, dio della tragedia, svela una natura ancipite quando, sulla scena, la sua passione è rappresentata. Gli dei olimpici, a differenza di quel che accade all'eone Hitler, si salvano poiché «immersi nel mare del sublime e del comico». Dopo solo venti anni, la Germania finirà invece nella disfatta unilaterale, e ancor oggi i popoli tedeschi sono impossibilitati a ripensare quegli eventi sotto il profilo del grottesco.
Gli dei del mondo classico sono, quindi, salvati dalla passione di Dioniso, che ricapitola lo «smisurato patire in tutta la natura» e ne libera la potenza di trasformazione. Questo non nel senso del suo oltrepassare, bensì in quello del suo lasciarlo essere e consumarsi nella compassione, nella pietà, nell'infinita nostalgia per il perduto. È allora che emerge quella tendenza sentimentale del volare, un «sospirare della creatura» per il perduto: «Dal piacere più alto si sprigiona il grido dell'orrore, il lamento pieno di nostalgia per una perdita irreparabile. L'esuberante natura celebra i suoi Saturnali e nello stesso tempo la sua sagra di morte. Le emozioni dei suoi sacerdoti sono meravigliosamente mischiate, dolore suscita gioia, mentre il giubilo strappa dal petto accenti pieni di affanno. Il Dio tutto libera da sé, tutto trasforma».
A partire da qui - e Nietzsche non esita a riconoscerlo nel suo scritto La visione dionisiaca del mondo - il tragico si rivela nella sua perfetta contraddittorietà:

Devozione, straordinaria maschera dell'impulso vitale, abbandono a un compiuto mondo di sogno, che conferirà la più elevata Sapienza etica; evasione dalla verità, per poterla adorare di lontano, nascosta nelle nuvole; conciliazione con la realtà, in quanto enigmatica; rifiuto dello scioglimento degli enigmi, visto che non siamo dei; prostrazione gioiosa nella polvere, calma felice nell'infelicità; suprema espropriazione dell'uomo nella sua suprema espressione; glorificazione e trasfigurazione di tutte le vie dell'orrore e della paura esistenziali come vie che salvano dall'esistenza; trionfo della volontà nella sua negazione.

La contraddittorietà del tragico è però insostenibile per i fautori del Reich, e la figura del comprimario, il goffo-ironico Hermann Göring, sarà significativamente la sola d'alto lignaggio a cadere viva nelle grinfie dei giudici di Norimberga. Uno dei protagonisti dell'espansione tragica finirà come figurante in un processo-farsa in cui le sentenze risulteranno predefinite, create a tavolino alcuni mesi prima, e gli stessi reati contestati. Fuoriuscirà dalla burla mediante il cianuro, ma la meschinità del vincitore - antieroici e non-compassionevoli - si vendicherà appendendo alla forca il suo cadavere. Gli eroi della tragedia antica, al contrario, erano magnanimi, se non in fatto di vite, almeno di cadaveri.
Nietzsche ribadisce, nel saggio La visione dionisiaca del mondo, ciò che aveva già sostenuto nelle due conferenze sulla tragedia: in Eschilo e in Sofocle, secondo lui, s'intravedono i germi di quella tentazione razionalistica che Euripide accoglierà, trovandovi l'unica risposta possibile all'insostenibilità di ciò in cui il tragico consiste. Eschilo, infatti, si appella alla nascosta giustizia che presiede l'ordine del mondo, e Sofocle, con reverenza e devozione, ne decreta l'impenetrabilità. Afferma Nietzsche: «Quel brivido sublime che attraversa l'opera di Eschilo e di Sofocle come domanda ultima sulla giustizia è lo stesso che porta Euripide a porre il problema della giustificazione».
Che la contraddittorietà del tragico sia cosa insostenibile non riguarda semplicemente il fatto che Nietzsche continuasse, cinquant'anni prima della proclamazione del Reich, a teorizzare sulla base della filosofia schopenhaueriana. Cercando una via d'uscita, ripudiando Schopenhauer per amore di Wagner, egli non fa che radicalizzare sempre più il dilemma, anche quando l'autore della Tetralogia sarà escluso dalla sua cerchia. Lo attesta l'affermazione contenuta negli scritti giovanili, secondo cui la tragedia muore sempre d'una morte tragica, con un venir meno e un definitivo esaurirsi di quella possibilità di redenzione che in essa si era affacciata: quasi che con ciò Nietzsche voglia alludere, pensando al declino dell'Occidente come consumazione del tragico, all'impossibilità dell'oltrepassamento dell'orizzonte che va sempre più contraendosi e svuotandosi fino a spegnersi.
Questo contrarsi e svuotarsi è poi anch'esso un aspetto del tragico, ossia appartiene ancora - e solo in questa appartenenza è pensabile e sperimentabile - a ciò che non è già più. Non a caso Nietzsche, dopo essersi lasciato alle spalle Schopenhauer e quella figura di Dioniso - che non è più la volontà che si afferma negandosi, bensì la volontà che accoglie il negativo e lo ama - afferma che ciò accadrà precisamente nell'ambito del tragico, in un ambito, cioè, dove si ha a che fare non tanto con una rinnovata metafisica dell'identità, della fattualità, della brutalità (della brutale adeguazione di un principio gnoseologico e pratico all'esistente) ma, al contrario, della contrapposizione di metafisica e tragedia e quindi d'identità e differenza, fattualità e rovesciamento, brutalità e compassione. Da una parte la pretesa di ricondurre il molteplice, di per sé contraddittorio, a un principio unificante, sistematizzante, totalizzante; dall'altra, invece, il tentativo di pensare e di sperimentare la contraddittorietà in quanto tale.
Ma fino a che punto è sostenibile un pensiero - appunto il pensiero in lotta con la metafisica a partire da una mai totalmente sconfessata interpretazione della tragedia di là dall'estetismo che in questa interpretazione della tragedia sembra implicito a misura che l'arte è in grado di riscattare il disgusto dell'esistenza attraverso immagini di sogno - che contesta il principio di non contraddizione razionalista e afferma il primato del patire?
Ma la danza infinitamente gioiosa di Dioniso è, per Nietzsche, soprattutto una danza di morte. Lo sostiene negli scritti giovanili pubblicati postumi, negli ultimi frammenti (editi sotto il Terzo Reich) col titolo Volontà di potenza, e nelle ultime lettere. Nei primi Dioniso «il liberatore» libera tutto dall'orrore dell'esistenza quando viene messo in scena, negli altri lo esalta nel momento in cui è messo in croce. La contraddittorietà del tragico affonda qui nell'ambiguità, ma in un'ambiguità rivelatrice.
In questa prospettiva, che implica, come si è sottolineato più volte, una vera e propria inversione dal futuro al passato, l'ultimo degli scritti giovanili pubblicati postumi, Verità e menzogna in senso extramorale, è davvero emblematico. Di difficile collocazione, il testo s'inserisce all'interno della riflessione della scoperta riguardo l'interpretazione della tragedia, secondo la quale il tragico è morto e tuttavia non si può non pensare alla sua luce. Di qui la particolare forma di nichilismo che pare già mettere in discussione la sempre più invadente amicizia di Wagner e la non più pressante influenza di Schopenhauer.
Nietzsche ha la consapevolezza di scrivere in un'epoca che la fine della tragedia ha definitivamente consegnato al razionalismo. Quale possibilità, allora, di rinnovare l'arte tragica secondo la grande illusione wagneriana che di lì a poco Nietzsche farà sua con ben maggiore entusiasmo di quel che non appaia negli scritti del periodo 1870-1873, compresa la Nascita della tragedia, forse il più equivoco di essi? Inoltre, egli tenta per la prima volta di rivalutare l'arte della simulazione e quindi, contro l'imperativo schopenhaueriano, il mondo dell'apparenza, della superficie, della molteplicità.
Questo scritto comincia con toni che ricordano quasi un archetipo letterario, eppure anticipano figure e nozioni che Nietzsche svilupperà successivamente.

In un angolo remoto dell'universo che fiammeggia e si estende in infiniti sistemi solari, c'era una volta un corpo celeste sul quale alcuni animali intelligenti scoprirono la conoscenza. Fu il minuto più tracotante e menzognero della "Storia universale": e tuttavia non si trattò che di un minuto. Dopo pochi sussulti della naturalezza, quel corpo celeste si irrigidì, e gli animali intelligenti dovettero morire. Ecco una favola che qualcuno potrebbe inventare, senza aver però ancora illustrato adeguatamente in che modo penoso, umbratile, fugace, in che modo insensato e arbitrario si sia atteggiato l'intelletto nella natura: ci sono state delle eternità, in cui esso non era, e quando nuovamente non sarà più, non sarà successo niente.

Ecco la favola che questo mondo, così solido e reale, è destinato a diventare, ma allora si capisce come su questa base l'attività dell'intelletto, per quanto corrisponda al bisogno di conservazione (visto che l'uomo non può lottare per l'esistenza con le corna e con i morsi), a lui non resta che disciplinare e dominare per mezzo di un fittizio ordine concettuale il caos che incombe) appaia del tutto futile e vana. L'arte della simulazione, a questo punto, sembra pura negatività: essa definisce con l'ingannare, l'adulare, il mentire e il fingere.

Ma non si tratta solo di questo. La simulazione fa sì che il mondo dell'uomo possa diventare umano e che si temperi e si circoscriva la ferocia del bellum omnium contra omnes: simulare significa, infatti, accettare le convenzioni linguistiche e sociali e, quindi, stipulare un patto. E se la verità è in questo modo ridotta all'uomo, l'uomo perde a suo modo e si consegna alla verità. Ecco il punto: ciò che prima si poneva solo in termini di menzogna, ora designa positivamente il mondo dell'uomo, purché sia uomo nuovo, o uomo della Storia. Positività relativa, questa, nel senso che piega l'uomo alla legge e, se per un verso ne esalta il valore sul piano etico, per l'altro ne impoverisce e svilisce l'esistenza:

Insieme con il sentimento d'essere obbligato a designare una cosa come rossa, una seconda come fredda e una terza come muta, sorge in lui un impulso morale che ha per scopo la verità: per contrasto con il mentitore, cui nessuno crede e che tutti escludono, l'uomo si convince della dignità, della fidatezza e dell'utilità della verità. Egli pone ora il suo agire, in quanto essere razionale, sotto il dominio delle astrazioni: egli non sopporta più di lasciarsi trascinare dalle impressioni subitanee e dalle intuizioni, egli anzitutto generalizza queste impressioni in concetti tiepidi e incolori, per legare ad essi il carro della sua vita e del suo agire.

Eppure proprio qui, in questo formarsi del linguaggio per effetto della simulazione, l'intelletto incontra la possibilità di liberarsi dalla sua servitù. Il fatto è che il piacere di simulare liberi dai codici che la simulazione stessa impone scopre la potenza mitopoietica del linguaggio, la sua infinita e fluente produttività, il darsi del mondo - il mondo della differenza, come da più parti si è voluto chiamarlo - in modo variopinto, irregolare, privo di conseguenze, incoerente, esaltante ed eternamente nuovo come nei sogni.

L'uomo è come rapito dalla felicità quando il rapsodo gli racconta per vere delle leggende epiche o quando l'attore a teatro fa la parte del re più regalmente che nella realtà. L'intelletto, quel maestro della simulazione, è libero e sollevato da quello che invece è il suo ufficio di schiavo, finché può ingannare senza far danno, e così celebra i suoi Saturnali; mai esso è più eccitato, più ricco, più orgoglioso, più agile, più audace. Con piacere temerario esso scompiglia le metafore e smuove le pietre miliari dell'astrazione. Questa smisurata struttura concettuale appigliandosi alla quale quel miserabile che è l'uomo si salva durante la sua vita, è per l'intelletto liberato nient'altro che un sostegno o un giocattolo per le sue temerarie attività artistiche: e quando esso distrugge queste cose, le scompagina e poi con ironia le rimette insieme, accoppiando le cose più estranee e separando così le più affini, allora è chiaro che esso non ha più bisogno di quei sotterfugi della miseria e non è più guidato da concetti bensì da intuizioni. Così quel miserabile che è l'uomo diventa un'eroe traboccante di gioia.

Nietzsche rovescia così il suo punto di partenza. Questo assurdo spasimo della natura che è il mondo perfettamente svuotato di senso (anche Schopenhauer sembra più lontano: non si vede infatti come ricondurre l'esperienza a un principio unificante), diventa teatro dove il senso - pieno e adeguato alla polimorficità, alla contraddittorietà, alla molteplicità dell'esperienza - è finalmente possibile. La perdita del fondamento e del centro, infatti, la consapevolezza che la verità non appartiene a un ordine metafisico, la scoperta del carattere fittizio, convenzionale, artificioso del linguaggio e di tutto ciò che accade in esso, trasformano il mondo in una libera invenzione al di là di qualsiasi fondamento e di qualsiasi centro e al di là di qualsiasi ordine metafisico. C'è più ebbrezza ed estasi, insomma, nella vertigine nichilistica: c'è gioia infinita nella perfetta disperazione, c'è violenza creativa e prometeica nella malinconia. Se il mondo è un astro insignificante nello spazio e questo è dicibile - ossia perviene al linguaggio - gli opposti tendono la corda che li unisce tragicamente ed è più musica dionisiaca quella che ne esce. Dunque, Nietzsche trova qui il suo punto d'appoggio, osando il più radicale rovesciamento del nichilismo. Sulle sue tracce, il Führer rovescerà il socialismo tedesco in senso nazionale, e ostenterà il simbolo della svastica invertita, sotto il segno della potenza anziché sotto quello della sapienza.
Da questo punto in avanti, tutto ciò che sta prima del rovesciamento - il nichilismo teorico come la socialdemocrazia tedesca - sarà imputato come residuo degenere del Cristianesimo. Nostalgia di un senso ultimo, disprezzo e risentimento per un mondo che non è come dovrebbe essere, bisogno di giustificazione: ecco il retaggio che, secondo Nietzsche, il Cristianesimo ha lasciato e che il Vangelo dell'Anticristo viene a dissolvere.
Eppure il rovesciamento del nichilismo, e quindi del Cristianesimo, è pur sempre pensato da Nietzsche all'interno di un estremo orizzonte cristiano. Lo dimostra proprio il tragico, la continua riflessione che attraversa tutto il suo pensiero fondandone sia l'a-Cristianesimo dei primi anni sia l'anti-Cristianesimo dell'ultimo periodo. Il movimento è sempre lo stesso e consiste essenzialmente nel rovesciare gli opposti, come nel caso del nichilismo nel sentimento panico ed estatico affrontato nello scritto Verità e menzogna in senso extramorale. Tale rovesciamento è anzitutto il rovesciamento della passione nella redenzione e, per questo, ciò che Verità e menzogna lascia emergere, nonostante una versione inficiata da una notevole dose d'estetismo, è quanto di più interessante contengano gli scritti giovanili ed è quanto le opere più mature porteranno all'estremo, fino all'insostenibilità.
Infatti, un tale pensiero non può non rivelarsi insostenibile se riportato al proprio orizzonte di partenza e ciò accade quando al culmine della modernità - come piena consumazione del mondo greco - si affaccia al pensiero la verità, in definitiva tragica, per la quale redime l'orrore dell'esistenza soltanto colui che lo patisce. E Nietzsche intuisce quanto questa verità appartenga all'orizzonte cristiano. Qual è, a tal proposito, il rischio incombente? Quello che Dioniso, il redentore per mezzo della sua passione, gli appaia, infine, come il crocifisso. È un paradosso tutt'altro che risolvibile nei termini d'una generica analogia, e tanto meno imputabile alla demenza incombente.

Questo non significa, naturalmente, che il contrasto tra Nietzsche e il Cristianesimo sia in qualche modo sanabile - d'altronde la scomunica cattolica contro il totalitarismo nazionalsocialista risale agli esordi del regime. È piuttosto fine, però, l'osservazione di Deleuze secondo cui Nietzsche, fin dagli inizi, si oppone al Cristianesimo e alla filosofia d'ispirazione cristiana con immagini e figure particolarmente espressive: contro le figure della «scommessa» e del «salto» (si pensi a Pascal e a Kierkegaard) egli, ad esempio, porta in primo piano quelle del «gettare i dadi» e della «danza», sottolineando in questo modo l'elemento dionisiaco, ludico, panico. A sua volta Eugen Fink, allievo di Heidegger, nel suo Nietzsches Philosophie (Stoccarda, 1960) ricorda che la «redenzione» di cui parla Nietzsche non è mai redenzione d'un essere finito, piuttosto un'esaltante adesione alla legge che intreccia vita e morte consegnandole all'inesauribilità dell'infinito. Da questo punto di vista, secondo Fink, tragedia e Cristianesimo rappresentano due termini inconciliabili. E l'ideologia del Mein Kampf viene riproposta dall'Occidente come inconciliabilità rimossa, come fallo temporaneo definitivamente sanato nell'orizzonte dello spendibile.
La maledizione dell'oro ha vinto, e la nobiltà del sangue inevitabilmente soccombe. Nietzsche si spegne nella follia, perso nel pessimismo integrale. Hitler ha ancora abbagli socratici e razionalizza persino in punto di morte. Prima di suicidarsi fa redigere un testamento: «Ciò che possiedo spetta al Partito, e se in futuro il Partito Nazionalsocialista non dovesse più esistere lo lascio allo Stato tedesco». Consapevole della piega che gli eventi stavano prendendo, il suo autista gli chiese: «E ora a chi dovremo obbedire?». Rispose perentorio: «All'uomo che verrà».

Capitolo VIII - Verso un nuovo paganesimo: Guglielmo II e Houston Stewart Chamberlain

Curiosamente, il primo teorico ad avanzare l'idea di una Germania nazionalista e pangermanista non fu un tedesco ma un inglese, Houston Stewart Chamberlain. Dopo Nietzsche, e senz'altro prima di Wagner, egli ricoprì un ruolo determinante per la coscienza germanica moderna.
La sua fede pangermanista e la sua concezione della razza germano-ariana, preservata da ogni contaminazione semitica con misure razziste definitive, così come le sue tesi contenenti la fondazione di una nuova mistica pronta a sconfiggere gli ebrei e a opporsi alle loro idee umanitaristiche, furono accolte molto favorevolmente negli ambienti nazionalisti del Reich. Negli scritti precedenti il 1914 Chamberlain esprimeva perfino il desiderio di vedere gli ebrei tedeschi nella situazione «finalmente legale per loro» di stranieri, e preannunciava la loro espulsione nel caso di resistenza o di non adattamento a quel nuovo statuto, l'unico che fosse «equo e di natura soddisfacente per l'onore razziale degli Ariani». Addirittura si ignora che da brevi estratti di alcune sue opere polemiche, nel 1916, i servizi d'informazione dell'esercito tedesco fossero riusciti a pubblicare più di sette milioni di copie di un Catechismo pan-germanico, una specie di piccolo vademecum del soldato ariano. In quest'opuscolo, «il filosofo dei Germanici» (soprannome attribuito a Chamberlain da Guglielmo II) dimostrava la superiorità bellica, socio-culturale ed etnica dei tedeschi e, riferendosi ad alcune singolari predizioni, sosteneva che la Germania avrebbe comunque trionfato e che il Reich avrebbe conosciuto finalmente i suoi veri confini: l'impero mondiale! In due o tre riprese accennava all'Ordine dei Cavalieri Teutonici. Non attaccava frontalmente la Chiesa cattolica e neanche il protestantesimo, ma numerosi riferimenti agli antichi dei della Germania dovevano ricordare ai soldati tedeschi, sul fronte francese e russo, che erano i depositari di una tradizione sacrale e divina. Come quelli greci e troiani dell'Iliade, gli dei tedeschi si battevano al lato dei fieri guerrieri dell'Impero per il trionfo della causa sacrale. Hitler non parlò di quel «catechismo pangermanico da usare nelle truppe», ciò nonostante sembra poco probabile che non lo abbia mai avuto nelle mani quando era semplice soldato e poi caporale, sul fronte dell'Yser o della Somma, o quando pensava alla sua idea di Germania e al suo futuro.
Il razzismo di Chamberlain non sorprendeva nessun ambiente aristocratico tedesco. In fondo l'intera ideologia della razza ariana era largamente illustrata da numerose pubblicazioni, libri e riviste. Le società segrete politiche predicavano le teorie più estremiste in materia. Cosmogonie, cosmologie, interi sistemi filosofici erano basati sulla teoria delle razze, sulla superiorità degli ariani germanici e sulla necessità di sterminare tutti i semiti, ebrei o no, perché il male, il vizio e la corruzione venivano inevitabilmente dalla loro morale e dalla loro letteratura. Nei sottosuoli misteriosi di Berlino, Brema o Colonia, nelle ville delle Alpi bavaresi, alcuni uomini si riunivano per ascoltare i profeti dei nuovi tempi. Il Messia degli ariani era atteso. Sarebbe comparso all'improvviso e avrebbe condotto il suo popolo alla vittoria finale e nessuno credeva che avrebbe potuto essere Guglielmo II. I sistemi magici che interpretavano la Storia del mondo, le teorie astronomiche e geologiche erano, allo stesso tempo, sconcertanti e attraenti. Si annunciava una specie di realismo fantastico che prefigurava un mondo diverso. Lontani dai formalismi dei ministeri e delle ambasciate, lontani dal rigore dell'esercito prussiano, esistevano dei veri centri esoterici. E oltre al nome di Chamberlain ne circolavano altri come Karl Haushofer o Hans Horbiger.
Ma chi era Houston Stewart Chamberlain?
Nato a Portsmouth nel 1855, a Houston Steward Chamberlain piaceva dire di essere un figlio bastardo di Riccardo III, e quindi, discendente diretto dei re Plantageneti dell'Inghilterra. Visse i primi trentanni della sua vita in Francia, sei o sette in Svizzera, e solamente tre nella sua patria d'origine, l'Inghilterra. In Germania si stabilì solo più tardi, dopo diversi e lunghi soggiorni in Austria. Esteta e mistico protestante, germanofilo, musicista raffinato e ammiratore di Richard Wagner, Chamberlain attese molto prima di scoprire la sua vocazione di teorico del pangermanismo. Dopo diversi saggi sulla musica di Wagner e sull'arte, Chamberlain si lanciò nella redazione di un'opera enorme (più di milletrecento pagine): Genesi del secolo XIX. Questo libro, paragonato alle opere di Vacher de Lapouge e considerato un riadattamento di quelle di De Gobineau, riassume tutte le teorie del pangermanismo, e valse al suo autore l'amicizia dell'imperatore Guglielmo II. Per Chamberlain niente è bello, puro, intelligente nel mondo che non sia di razza, o almeno, di origine ariana. I greci stessi erano ritenuti nordici e dovevano illuminare il bacino del Mediterraneo con le loro chiare idee boreali.
Intorno alla Genesi del secolo XIX la corrispondenza tra il teorico e Guglielmo II risulta molto interessante. Si sviluppa curiosamente: religiosa in apparenza, è, in fondo, rivelatrice di quella mistica di conquista che regnava allora nell'anima tedesca. In una lettera all'imperatore, Chamberlain rivela la sua dichiarazione di fede e il suo testamento politico: «Certo», scrive, «che il futuro dell'Europa, cioè della civilizzazione del mondo, è nelle mani della Germania, e che questa fede è diventata una certezza in me. Nel carattere tedesco, dell'uomo tedesco, la dignità umana raggiunge un maximum. Il tedesco è, allo stesso tempo, poeta e organizzatore, pensatore e capace di azione». Ma aggiungeva: «La Germania non tiene conto delle sue virtù e delle sue qualità, quindi perirà senza aver adempito al suo destino grandioso, e la sua civilizzazione sarà preda dei barbari. Tutte le nazioni sono senza futuro, tranne la Germania, i cui nemici sono i cattolici e i democratici giudaici. Ci vuole una Germania scientificamente rivestita. Quindi, aiutando il genio della razza, prima di due secoli, grosso modo, essa dominerà il globo intero, in parte immediatamente e politicamente e in parte mediamente attraverso la sua lingua, la sua cultura, i suoi metodi». Secondo il politico Ernest Seillère, Chamberlain trova la sua ispirazione nella filosofia di Schopenhauer, mistico del volontarismo e grande intenditore, nelle religioni e filosofie dell'Estremo Oriente - essenziali nella fondazione della mentalità magica tedesca del secolo XX - e nell'opera del francese Arthur de Gobineau.
In sintesi: per Chamberlain i Germani sono considerati i più duri tra gli ariani, i veri civilizzatori della terra intera. Gli ebrei rappresentano «l'elemento esageratamente razionale, ciò nonostante gli ariani monopolizzano la funzione culturale e civilizzatrice, nel passato, nel presente, e nel futuro». Un futuro che Chamberlain guarda da un punto di vista estetico, morale e religioso. «Solo il germanico - quintessenza degli ariani - possiede una vera vocazione religiosa: deve quindi creare senza indugio una fede originale e feconda invece di lasciarsi sformare mentalmente dalle razze inferiori».
Dalle lettere di Chamberlain a Guglielmo II viene fuori che «la Germania deve dominare sul mondo intero, deve imporre agli altri popoli l'identità sacrale che rappresenta la sua lingua, deve vagliare l'egemonia della sua razza, perché io sono convinto che la salvezza della specie umana è legata al futuro dello spirito tedesco e che questo spirito non può esprimersi totalmente se non è sostenuto da una potenza politica e militare tale da far tremare il mondo». D'altra parte il teorico sottolinea quanto è favorevole la sorte della Germania, perché è diretta dalla Casa degli Hohenzollern e questa casa restaurerà e rinnoverà il mondo intero grazie a una volontà di potenza, a uno spirito di organizzazione di cui solo essa conosce il segreto: «bisognerà che la Germania occupi finalmente il posto che conviene alla sua missione politica che è di essenza divina, e che, partendo, prenda la direzione del corteo delle nazioni e conservi questo posto per sempre».
La corrispondenza mistico-politica tra Chamberlain e Guglielmo II cominciò nel gennaio del 1901 e durò per più di un quarto di secolo. Verso la fine di quell'anno, i due si incontrarono per la prima volta dal principe di Eulemburg e, poco dopo, Chamberlain era già ospite dell'imperatore nel palazzo reale di Postdam. Niente dimostra che si videro successivamente, ma, in fondo, la corrispondenza bastava. Le lettere del filosofo nutrivano la fede di Guglielmo II nella missione sacrale della Germania e l'imperatore poteva ormai considerarsi il primo discepolo del maestro pangermanista inglese. «Le vostre pagine», scriveva l'imperatore, «mi sono arrivate come una rivelazione. Dopo averle studiate diverse volte, sono stato colpito sino all'evidenza da questa virtù ammirevole di cui vi ha dotato la Provvidenza, di avere la facoltà di trovare, per i pensieri che ci occupano e che tormentano il mio spirito, la forma definitiva... La mia gioventù è stata tormentata da grammatiche delle lingue latine e dei classici mediterranei. Non è questo che ci può essere utile per far avanzare la causa divina del germanismo. Sì, la gioventù avrebbe bisogno di una guida come lei per aprirci la sorgente indo-ariana!». Questa lettera testimonia non solo la profonda influenza che aveva sull'imperatore della Germania l'insegnamento di Chamberlain, ma anche la necessità, quasi fisica in quel momento per i tedeschi, di trovare un insegnamento segreto che non fosse di origine mediterranea. Perciò nei libri, nelle riviste, nelle riunioni pubbliche, nei cerchi discreti degli iniziati, cominciarono a comparire i temi di un pangermanismo razzista che pretendeva un'essenza magica come testimonianza della propria grandezza.
Di lì a poco, le teorie più folli renderanno entusiasta un pubblico tedesco che, stanco del nazionalismo e dello scientismo del secolo XIX, chiedeva una sola cosa: poter credere in valori trascendenti in grado di dominare il mondo attraverso l'aiuto di forze occulte. In fondo, quella era l'epoca in cui trionfava la filosofia di Helena Petrovna Blavatsky e delle sorgenti tibetane (dottrina segreta ricevuta come dono iniziatico), ed era anche il periodo in cui Rudolf Steiner fondava il suo movimento antroposofico, allo stesso tempo esoterico e sociale, affrontando i temi della reincarnazione parallelamente a quelli della politica quotidiana.
In breve tempo, la Germania si riempì di dottrine occulte e società iniziatiche. Bisognava trovare l'essenza magica del mondo, bisognava preparare l'arrivo del Salvatore, del Liberatore della Razza, colui che finalmente avrebbe annientato la maggioranza latina e l'espansione degli ebrei. E il tedesco, l'unico tra gli ariani rimasto vicino alla purezza delle origini, era l'uomo giusto per compiere la missione, il Maestro eletto del pianeta. Questa la convinzione che iniziò a insinuarsi nelle menti del popolo tedesco. Razza e predestinazione, ruolo della guida, origine magica dei Germanici, messaggio rivelato e antichi santuari nordici: un insieme ancora confuso ma già di chiara impostazione metafisica. In campo politico queste idee ebbero un'influenza immediata: Guglielmo II, sostenuto dal suo profeta Chamberlain, decise di intraprendere la Grande Guerra Santa. Per entrambi, il tedesco del secolo XX doveva essere il successore dei giudici, inesorabili e onnipresenti, della Santa Corte di Vehme, e l'erede dell'Ordine dei Cavalieri Teutonici. L'impero dei Germanici doveva essere senza limiti, così come la tendenza a far slittare la mistica filosofica su smisurati progetti di dominazione del mondo.
L'ottimismo di Guglielmo II, però, contrastava con l'ampiezza dei problemi politici, economici e sociali che egli avrebbe dovuto domare per realizzare la grande opera germanica. Imprudente con le parole, l'imperatore non esitava a svelare nei suoi discorsi i piani più segreti del pangermanismo occulto e, presto, i vicini preoccupati si armarono senza aspettare: «Guglielmo II rappresenta da allora l'angoscia e l'attesa della catastrofe che viene ineluttabilmente».
L'imperatore rispose tuttavia con un programma sistematico: i fondamenti della dominazione universale. Ecco i punti principali:
1. Distruzione dell'Inghilterra, presagita dall'inglese Chamberlain.
2. Invasione e occupazione dell'Inghilterra.
3. Divisione del Belgio: la regione a Nord-Ovest di Ostenda e fino ad Anversa sarebbe stata incorporata all'impero tedesco, la parte Nord (Limburgo) data all'Olanda, il Lussemburgo, granducato germanico per tradizione, avrebbe invece ricevuto tutto il Sud-Est del paese, diventando così uno stato tedesco confederato.
4. Passaggio di alcune colonie inglesi in Africa e Asia alla Germania (per Guglielmo II era naturale che le Indie, popolate interamente da puri ariani, ritornassero alla nazione germanica).
5. Cessione alla Germania delle regioni del Nord-Est della Francia (il cui nome stesso era testimonianza dell'antica dominazione dei Franchi, anch'essi germanici), già appartenute nel Medioevo al Santo Impero.
6. Neutralizzazione della Russia per la ricostruzione di un regno di Polonia sotto la dominazione dei Teutonici e degli Austriaci.
7. Restituzione all'impero germanico delle provincie tedesche del Baltico, culla dell'indispensabile espansione dei tedeschi verso Est.
8. Formazione del Grande Regno germanico del Nord con Svezia e Finlandia, governate da principi di sangue tedesco.
Questa vasta organizzazione del mondo sotto la tutela della Germania non era un sogno nuovo: già nel secolo XIII, Federico II di Hohenstaufen e il suo consigliere Hermann von Salza avevano immaginato la stessa cosa. Riprendendo il mito di Wotan, dio invitto e invincibile dei Germani, i paesi tedeschi erano destinati ad opporsi al resto del mondo.
La divisione del mondo non era più possibile per Guglielmo II. Solo la Germania doveva trionfare: l'Austria-Ungheria stessa doveva essere subordinata al Reich imperiale. Alla vigilia delle ostilità, l'imperatore scriveva a Chamberlain: «Ripeto dopo di lei, questa guerra è quella di due concezioni del mondo, quella germanica, che combatte per la morale, il diritto, la fedeltà, la razza e la fede, la vera umanità, quella del sangue puro, della verità e della libertà, contro il servizio di Mammona, la potenza del denaro, della bugia, del tradimento, dell'assassinio e delle razze impure. Non si possono quindi conciliare. Una deve vincere e l'altra deve perire». A ciò l'amico fedele risponde: «Assistiamo al combattimento spietato del giudaismo e dell'americanismo, alla lotta della civiltà meccanicistica contro la cultura delle antiche razze nobili, sante ed elette». E, allo stesso momento, scriverà Oswald Spengler: «La Prussia è l'inespugnabile fortezza che si oppone al doppio assalto delle classi inferiori e delle razze di colore».
Si sa benissimo cosa succede poi: innumerevoli vittime, la caduta degli imperi centrali, la fine della Russia imperiale, l'installazione del bolscevismo, rivoluzioni senza fine, il secolo XX che si colloca in una guerra permanente. Ma Friederich Nietzsche non aveva scritto trentacinque anni prima: «Il secolo XX sarà il secolo delle guerre mondiali»? Tuttavia la fede dei tedeschi nel loro destino rimaneva intatta. I fondatori del pangermanismo, quando l'imperatore Guglielmo trascorse i suoi ultimi giorni nell'esilio olandese, non si persero di coraggio. Houston Stewart Chamberlain proclamava la necessità di proseguire il combattimento, forse con altre mani, in ogni caso senza gli imperatori, ma in nome delle stesse ambizioni teutoniche: «Ho, dopo come prima della catastrofe, questa convinzione indissolubile che Dio ha creato i tedeschi per la salvezza dell'intera umanità. La speranza attualmente mi sembra difficile, ma la mia fede non finisce per questo. Al contrario diventa più solida dentro di me...Una Germania migliore potrà riprendere il progetto che è appena tristemente fallito...». E, all'improvviso profetizzante: «Se si incontrasse un giovane capo geniale, quell'uomo sarebbe in grado di risollevare le sorti del paese!».
Più tardi, sarà ancora l'instancabile Chamberlain che, avendo fatto la conoscenza di Hitler svilupperà, di fronte al futuro capo del Terzo Reich, le sue stesse concezioni e le sue stesse tesi, che d'altronde troveranno, dall'ex-caporale dell'esercito imperiale, la stessa entusiastica accoglienza che avevano avuto vent'anni prima da Guglielmo II: «Non cesserò di ricordare e di mostrare che i tedeschi possono, benché siano sempre più un insieme di etnie molto composito, elevarsi alla purezza razziale, e che la religione, la cultura e la razza saranno sempre la base dell'indispensabile pangermanismo».

Capitolo IX - Le società segrete preparano l'avvento al Nazionalsocialismo

La fine della Prima Guerra Mondiale non suscitò dappertutto la stessa fascinazione. Di fatto l'Inghilterra, la Francia, gli Stati Uniti, paesi vincitori, avevano dimenticato il loro vuoto istituzionale nell'euforia della vittoria, e un'effimera prosperità faceva vivere queste nazioni in una soddisfazione incerta e pericolosa.
Ma per la Germania vinta, umiliata, divisa nel novembre del 1918, fu un vero crollo, sia politico sia psicologico. Il paese che nel 1914 avrebbe dovuto assicurarsi l'egemonia mondiale attraverso la guerra era invece stato rigettato dalle altre nazioni: dappertutto si cercavano i colpevoli, coloro che avevano causato la disfatta. E l'idea di un grande complotto, di una «pugnalata alla schiena» diede nuovamente al popolo la fiducia che aveva perduto nella sua invincibilità. Più volte Guglielmo II aveva sostenuto che le disgrazie della Germania fossero imputabili a cause occulte. Una grande macchinazione segreta lavorava per abbattere il Reich. La Massoneria universale, strumento degli ebrei, sarebbe l'istigatrice della coedizione di tutte le nazioni contro la Santa Germania.
Nato in Posnania discendente di un'antica famiglia prussiana stabilitasi sulle piazze dell'Est all'epoca dei Cavalieri Teutonici, il generale Ludendorff, capo di stato maggiore dal 1914 e aggiunto del maresciallo von Hindenburg dal 1916 al 1918, sarà uno dei primi sostegni di Hitler e l'aiuterà a prendere il potere con il putsch fallito di Monaco (1922). Nella sua opera, Condotta della guerra e della politica, scriveva: «L'alta direzione del popolo ebreo lavorava, dalla nascita della Germania, mano nella mano con i servizi segreti francesi e inglesi. Gli ebrei si sono mostrati capaci di alto tradimento», tentando di dimostrare che gli ebrei miravano all'egemonia mondiale con l'aiuto degli Stati Uniti d'America, «il più ebreo di tutti i grandi poteri».
Fu nel bel mezzo della nevrosi collettiva scatenata dopo la pubblicazione dei Protocolli dei Savi di Sion che scoppiarono le agitazioni politiche del novembre del 1918. I comunisti denunciarono che gli estremisti di destra, sotto la direzione occulta degli ebrei, avevano tentato di appropriarsi del potere. La flotta del Baltico si rivoltò dal 3 novembre del 1918, sventolando la bandiera rossa su cinque incrociatori della Marina, ancora per poco, imperiale. Brema, Monaco, Amburgo, Colonia, Hannover e Berlino entrarono in guerra civile. Il 9 novembre, il condottiero socialista Scheidemann proclamò la Repubblica e, senza indugio, Guglielmo II prese la via dell'esilio. Il «terrore rosso» era ormai una marea che sommergeva tutto. Anche l'Ungheria, associata all'Austria in un unico impero, era in rivoluzione e il comunista Béla Kun di lì a poco proclamò la Repubblica dei soviet ungheresi.
Un movimento nato nel 1916, quello degli spartachisti, diventò l'embrione di un formidabile Partito Comunista tedesco. Questa Lega di Spartaco era sotto la direzione di un operaio, August Bebel (1840-1913), e di un discendente di Lutero, Karl Liebknecht (1871-1919), entrambi fervidi discepoli di Marx ed Engels e decisi a prendere il potere. A Zurigo, nel 1938, Liebknecht, durante un congresso comunista che presiedeva Friedrich Engels in una delle sue ultime apparizioni in pubblico, incontrò una giovane militante ebrea di origine polacca. Rosa Luxemburg (1871-1919): i due simpatizzarono rapidamente e decisero di unire le loro lotte. Ardente e avventurosa, coraggiosa fino all'intrepidezza, Rosa Luxemburg sarebbe stata, più di Bebel e Liebknecht, l'anima dello spartachismo.
In particolare, il mese di gennaio del 1919 sarà per il movimento comunista tedesco una nuova prova di forza contro il potere del regime. Il 6, con una parola d'ordine segreta, gli spartachisti si lanciarono all'assalto del governo provvisorio già barcollante: partiti da Monaco il 10, distrussero in qualche giorno le forze governative e si preparavano a occupare Berlino. In città, i combattimenti di strada si facevano incalzanti. Gli spartachisti erano ormai sul punto di vincere quando, la sera dell'11, un attacco fulminante delle leghe di destra - i Corpi Franchi, entrati di sorpresa nella capitale - fermò d'un colpo l'insurrezione. Ci volle un'intera settimana prima di riuscire a sedare la la Resistenza, ma la rivoluzione rossa, con gli spartachisti ormai decimati, venne fermata. La sera del 15, Liebknecht e Rosa Luxemburg furono arrestasti e condotti nell'albergo Eden dove si era stabilito lo Stato Maggiore della Cavalleria dei Corpi Franchi e, dopo un lungo interrogatorio, vennero condotti nella prigione di Maobit. Diverse versioni circoleranno riguardo il seguito degli avvenimenti, ma di sicuro entrambi furono uccisi e il corpo di Rosa Luxemburg ritrovato il 31 maggio dello stesso anno nel Landwehrkanal. Ufficialmente gli spartachisti erano stati eliminati. In realtà, alcuni di loro si fonderanno nel Partito Comunista tedesco ufficiale e continueranno ad agire fino alle elezioni del 1933, quando Hitler inizierà la sua scalata al potere.
Qualche settimana dopo questi tragici avvenimenti, si proclamò la Repubblica di Weimar - sede del governo, il cui primo presidente, dopo il principe Max de Bade, fu il cancelliere Friedrich Ebert (1871-1925). Nonostante la manifesta indigenza politica del regime, il suo governo si dilungherà fino alla sua morte.
Di fronte agli spartachisti, che formavano una vera società segreta di sinistra basata sia sulla teoria marxista sia sugli insegnamenti degli Illuminati di Baviera del secolo XVIII, c'erano allora, in tutta la Germania, diversi raggruppamenti e società segrete di destra. Il loro scopo era quello di restaurare l'autorità tradizionale del paese e preservare l'egemonia prussiana. È sempre allora che appare un altro spettro - se si ammette che lo spartachismo è come l'ultima manifestazione degli Illuminati di Baviera - quello della Santa Vehme. Si costruirono dei tribunali fittizi in tutto il paese. I loro metodi erano quelli della Vehme medioevale: condanne sommarie, esecuzioni spicce. Ogni tanto il cappio, ma anche la pistola, la granata. Si trattava di fomentare un clima di instabilità terroristica: nessuno doveva sentirsi tranquillo. La Germania era un vulcano, e in ogni istante chiunque poteva essere vittima delle sue turbolenze. Nel 1922 Walter Rathenau, ministro degli affari esteri della Repubblica di Weimar, venne ucciso dai terroristi della Vehme. Le società segrete stavano tendendo una rete sulla Germania impoverita e disorganizzata: le leghe, le gilde, le società di misteri pagani si moltiplicavano a vista d'occhio. E i templi e le scuole di esoterismo tradizionale e germanico, ormai, non si contavano più.
Tra le principali organizzazioni occulte che proliferarono durante la Repubblica di Weimar non vanno assolutamente dimenticate: l'Ordine dei Tedeschi, il Martello di Wotan, i Cavalieri del Santo Graal, i Fratelli dei Nibelunghi, l'Ordine della Fede tedesca, Parsifal, i Compagni dell'anello magico. I loro programmi erano molto simili: ridare alla Germania fede nel suo destino, cacciare gli ebrei e i massoni, rompere con il Cristianesimo romano, vegliare sulla purezza della razza e, naturalmente, eliminare chiunque si fosse dimostrato contrario a questi progetti. L'impunità quasi totale era assicurata a tutti gli assassini appartenenti a una di queste organizzazioni che, addirittura, erano supportate dai capi militari - Ludendorff in particolare - con cauzioni, sovvenzioni e armi. In particolare, dal 1919 al 1922, tutti gli assassini vehmici potevano considerarsi divisi in due grandi raggruppamenti: l'organizzazione Rossbach e il gruppo Console, a loro volta sdoppiate, in base a una dislocazione dei gruppi esecutivi, nelle associazioni Oberland e Anloch. Si trattava di corpi franchi militarmente organizzati, ben armati e motorizzati, appoggiati dagli stati maggiori militari.
Queste due società segrete si basavano su un modello iniziatico: accordi flessibili tra i membri, prove rituali, simbolismo degli oggetti, senso del sacrale, obbedienza cieca e sottomissione. Ecco il giuramento di fedeltà all'organizzazione di Rossbach: «Il sottoscritto dichiara sotto l'onore, e giungendo le mani, che si sottometterà agli statuti e alle regole dell'Ordine. Giura obbedienza assoluta ai suoi capi e al grande maestro, e si impegna a non divulgare niente dei nostri segreti né delle nostre attività. Il suo corpo e la sua anima appartengono alla patria tedesca. Che Dio l'aiuti!». Come si può immaginare, la maggior parte dei membri di queste società erano ex-ufficiali che avevano perso il loro posto nel povero esercito della Repubblica di Weimar. Erano tutti accomunati dalla stessa concezione dello Stato prussiano-teutonico, tutti desideravano ardentemente che la Germania ritrovasse la sua forza perduta nel 1914. E tutti, infine, aspettavano un capo.
Il gruppo Oberland, fondato dallo stravagante Rudolf von Sebottendorff, ideatore anche del gruppo Thule, fu uno dei più importanti ispiratori del Nazionalsocialismo. Il capitano Ernst Rohm, che diventerà il primo capo del reparto d'assalto nazista, le SA, fu uno dei dirigenti di questa organizzazione e, non a caso, venne notato da Hitler proprio per le sue qualità e la sua esperienza.
Lentamente, questo mosaico di società segrete stava preparando il terreno al Terzo Reich. Lo strumento era stato elaborato con cura: bastava soltanto che un uomo abile se ne impadronisse.

Capitolo X - Karl Haushofer e la Geopolitica

Fig. 5. Copertina del libro di Karl Haushofer, "La cultura politica tedesca nell'area indopacifica", Hoffmann und Campe Verlag, Amburgo, 1939.

Fig. 6. Copertina del libro di Emerich Schaffran "Storia dei Longobardi" (Ahnenerbe Verlag).

Fig. 7. Frontespizi del libro "Storia dei Longobardi". Il recupero dello «Spazio germanico italiano» passava per studi e ricerche di questo tipo.

Fig. 8. Copertina della pubblicazione periodica dell'ufficio centrale delle SS «Leitheft» (Fascicolo II, 1944).

Se tra i teorici del Nazionalsocialismo il nome di Karl Haushofer appare frequentemente per le sue teorie di geopolitica, si dimentica troppo spesso che egli fu anche un iniziato, il fondatore di alcune società segrete, un membro eminente di quei cenacoli che prepararono il Nazionalsocialismo nel campo delle teorie esoteriche.
Karl Haushofer nacque in Baviera nel 1869 e scelse la carriera delle armi. Ciò nonostante, le sue attitudini intellettuali lo spinsero verso le speculazioni astratte e le teorie filosofiche. Scrupoloso, metodico, uomo di tradizione, fu notato dai suoi superiori che lo fecero nominare membro dello Stato Maggiore Generale di Berlino. Poi, in virtù delle sue profonde conoscenze dei problemi orientali sia in campo politico sia in quello spirituale, fu mandato in India e in Giappone. Stabilitosi a Tokyo, studiò i costumi del paese, la lingua e la civilizzazione, formulando delle teorie sull'importanza dell'ambiente per lo sviluppo degli istinti di una nazione. Da questa esperienza giapponese ricavò un grosso libro, Il Giappone, che conobbe un gran successo nella Germania di Guglielmo II. Questa vita intensa e attiva non lo separò mai dalla pura ricerca, e nel 1914, a quarantanni, ottenne il suo dottorato con una brillante tesi sulla geografia politica e sulla geografia strategica. Questa tesi di Karl Haushofer riassume, accentuandole ancora di più, le teorie dei geopolitici del secolo XIX.
Ma cos'è la geopolitica?
La geopolitica, scienza che studia le premesse e le conseguenze geografiche delle azioni politiche, non è una scienza nuova: le teorie strategiche del maresciallo Sebastièn Le Preste Vauban (1633-1707) o le teorie sociali di Charles-Louis Montesquieu (1689-1755) procedevano già secondo un ragionamento geopolitico e geostrategico. Durante il secolo XIX in Europa nacquero tre scuole sotto la rispettiva direzione di Vidal de La Brache (1845-1918) per la Francia, di Friedrich Ratzel (1844-1904) per la Germania e di Halford Mackinder (1861-1947) per l'Inghilterra. La tendenza di ognuno di questi teorici si accordava curiosamente con il carattere nazionalista e l'andamento intellettuale peculiare del proprio paese. Vidal de La Brache incarnava bene i sogni francesi: provava continuamente a spiegare tutto nella sua teoria generale dei sistemi di geopolitica, non lasciando alcuno spazio ai concetti di predeterminazione e predestinazione nella vita di uno stato ritenendo fondamentale solo lo spazio geografico, insieme alla storia della nazione e a quella generale dei popoli. Con Ratzel trionfava, invece, lo spirito germanico, arbitrario, metodico, totalitario.
La sua teoria geopolitica si sposava con un'evidente strategia nazionalista, dalla quale nascerà, fatalmente, una teoria tragica per l'Europa del secolo XX: quella dello "spazio vitale" (il Lebensraum, caro a Karl Haushofer e di cui Hitler farà l'espressione sommaria dell'imperialismo tedesco). Ratzel appoggiava la sua teoria sui due elementi base che la geografia offre alla politica: lo spazio (Raum) determinato dalla sua estensione, dalle sue caratteristiche fisiche, dal suo clima, e la posizione (Lage) che situa lo spazio sulla terra e condiziona in parte le sue relazioni. L'intervento dell'uomo è comandato dal "senso dello spazio" (Raumsinn), attitudine naturale di un popolo a colpire la natura e a organizzarla. Ovviamente, i popoli sono più o meno dotati, quindi più o meno predestinati, a organizzare e a comandare, cioè a governare e ad avere il diritto sugli altri. Queste «qualità» possono diventare deboli e persino perdersi, come nel caso degli arabi, ma anche coltivarsi e consolidarsi, come nel caso dei tedeschi.
Per il realismo del suo metodo, come per le sue conclusioni nettamente circoscritte e pratiche, Mackinder infine era chiaramente britannico e la sue teorie saranno determinanti per Haushofer, in quanto tentativo di sintesi delle idee di Ratzel e della geopolitica inglese. Mackinder considerava che sul globo terrestre esiste un'unica grande massa: l'insieme Europa-Asia-Africa, chiamato World Island, "l'isola mondiale", il cui centro è l'Heartland, che corrisponde più o meno alle regioni di Prussia, Polonia e Russia. Era facile, così, arrivare alla formula seguente, piena di conseguenze per il Nazionalsocialismo: «Chi ha l'Europa orientale tiene l'Heartland, chi tiene l'Heartland comanda la World Island, chi ha la World Island governa il World, il mondo, la Terra intera e gli oceani». Formula che colpisce e fa riflettere sulla storia dell'Europa spiegata per mezzo di fattori geografici. Per Mackinder è una lezione relativa alle potenze marittime ma, per il generale Karl Hausohfer, è una lezione ben più lungimirante: la Germania doveva diventare ciò che non era mai stata in grado di essere, e cioè la grande potenza marittima commerciale e militare. Il cancelliere Hitler se ne ricorderà e avrà come prima preoccupazione quella di dotare il Terzo Reich di una flotta moderna e smisurata rispetto all'esiguità delle coste tedesche. Da ciò, naturalmente, la necessità di conquistare la costa baltica fino alla Russia e di disporre delle coste della Francia, del Belgio e dell'Olanda.
Nella sua tesi di dottorato, Karl Haushofer sviluppò soprattutto le idee di Ratzel - solo molto più tardi, verso il 1925, conoscerà l'opera di Mackinder - secondo le quali la decadenza di una nazione è parallela al declino delle sue concezioni del Lebensraum. E Haushofer commentò: «Lo spazio non è solamente il mezzo della potenza: è la potenza».
Generale di divisione durante la Grande Guerra, Haushofer ebbe non poche occasioni di applicare le sue teorie, ma la sua posizione non gli dava la possibilità di agire su coloro che operavano al fianco del Kaiser. Testimone e vittima del disastro tedesco del 1918, il generale Haushofer intraprese la sua azione contro le ideologie di sinistra all'indomani della disfatta avvalendosi di armi particolari: la Loggia del Vril e il giovane gruppo Thule, ma anche l'Università e la Scuola di guerra. Tra i suoi più assidui ascoltatori vi era un giovane ufficiale tedesco, Rudolf Hess, come lui smobilitato, che ben presto divenne il suo discepolo favorito. A questo giovane stremato dalla disfatta, come ad alcuni altri, il generale ripeteva sempre: «Ho intenzione di insegnare la geografia politica come un'arma destinata a svegliare la Germania affinché adempia al suo destino di grandezza. Rieducherò la nazione, le farò prendere coscienza del ruolo della geopolitica, in modo che ogni giovane tedesco penserà in termini di continente invece che di paese». E nei suoi corsi, come nelle conversazioni private con Rudolf Hess, la parola Lebensraum tornava di continuo. Hitler se ne sarebbe impossessato, imparando a farne un'arma del suo destino e di quello della Germania.
Nonostante alcune fonti ricavate da Ratzel, Karl Haushofer non fu un geopolitico puro: fu, prima di tutto, un mistico e un visionario della politica razziale. Infatti, per lui, la geopolitica non era che uno strumento destinato a porre il vecchio spirito conquistatore dei Germanici al rango dei suoi valori scientifici. Alcune razze erano fatte per servire, altre per il commercio: i Germanici erano fatti per il combattimento e per la conquista. Dei suoi innumerevoli viaggi Haushofer aveva conservato una profonda conoscenza delle antiche civilizzazioni dell'Asia. Iniziato in Giappone alle dottrine del Buddhismo zen e dello shintoismo, non metteva in dubbio che la Germania, una volta dimenticato il colpo della disfatta, si sarebbe unita a questa nuova potenza dei mari lontani, per disporre di un polo orientale e marittimo equilibrando la sua potenza continentale europea. In Asia egli aveva visitato i monasteri indù e, nel deserto di Gobi, ricercato la misteriosa Agharta. In Tibet aveva potuto stabilire dei rapporti con i maestri dell'esoterismo: i monasteri buddisti tibetani erano d'altronde uno dei luoghi di apprendimento della mistica per i nazisti. Alfred Rosenberg seguì questa corrente non solo attraverso i contatti con i saggi tibetani, ma anche attraverso numerosi riferimenti alla loro civilizzazione nel suo mito del secolo XX .
Non è stata mai abbastanza sottolineata l'importanza dell'insegnamento di Karl Haushofer nella formazione di Hitler. Durante la detenzione di quest'ultimo nella cittadella di Landsberg, dopo il putsch fallito del 1923, il generale andava di frequente a fargli visita. Rimaneva tutto solo con lui per ore. In questa cittadella, Hitler stava ritrovando, dopo un periodo della sua vita particolarmente agitato, un riposo salutare. E se redasse qui la prima copia del Mein Kampf, molto probabilmente, quel pensiero profondo e segreto che coltivava, lo doveva anche a Karl Haushofer e al suo discepolo Rudolf Hess, che divideva la detenzione con il futuro Führer della Germania.
A Landsberg, durante le lunghe giornate e le interminabili serate, Hess e Haushofer cercavano di convincere Hitler dell'importanza dei pensieri magici, della realtà pratica e della misteriosa forza del Vril, della necessità di sviluppare ancora la filosofia occulta, poco a poco elaborata durante le riunioni dell'associazione Thule. Hitler ascoltava, discuteva, prendeva nota degli elementi esoterici suggeriti dai due, alimentando quell'interesse per l'occulto che aveva acquisito durante il periodo viennese sulla base della letteratura mitologica di stampo wagneriano. Haushofer donò a Hitler, a un certo punto della sua evoluzione psicologica e intellettuale, un modo di ragionare, una tesi, un insieme di insegnamenti allo stesso tempo geografici, metafisici ed esoterici, tanto che già in Mein Kampf traspariva l'immediata influenza del maestro. Così, accanto ai vecchi temi della politica germanica, accanto ai sogni presi da Chamberlain, appariva un pensiero più netto, più rigoroso, l'attestazione, ogni tanto, di una fredda analisi dei fatti sociali, politici e geografici. E quando Hitler iniziò a scrivere la sua teoria del Lebensraum, utilizzò interamente il vocabolario di Haushofer.
Karl Haushofer aveva preparato un'arma segreta per il futuro capo della Germania. La forma, i metodi e l'applicazione della politica haushoferiana furono più determinanti per lo sviluppo del Terzo Reich che l'evoluzione degli aerei da caccia e dei carri armati d'assalto dello stesso periodo. Quando Hitler giunse al potere, non dimenticò il generale Karl Haushofer, che divenne uno dei suoi consiglieri privati, né dimenticò Rudolf Hess, «l'anima e la coscienza del Terzo Reich».
La geopolitica era diventata la scienza di moda della Germania nazionalsocialista: ogni invasione, ogni annessione era giustificabile in suo nome. Ma quando, alla fine del 1940, si trattò seriamente di invadere l'Inghilterra, Haushofer si oscurò. Conosceva bene le tesi di Mackinder, con il quale manteneva ancora una corrispondenza, così come conosceva il duca di Hamilton, discepolo del teorico inglese e capo squadriglia della R.A.F. L'Heartworld di cui parlava Mackinder poteva, secondo Haushofer, essere realizzato dalla Germania solo con l'aiuto dell'Inghilterra. Bisognava frenare quindi l'offensiva tedesca contro la Gran Bretagna. Ne parlò con Rudolf Hess, il quale decise, in nome dell'oggettività delle tesi scientifiche della geopolitica, di aiutare il duca di Hamilton nella preparazione di un trattato di pace e d'alleanza con l'Inghilterra. Ma nessuno in Gran Bretagna accettò di prendere sul serio la sua proposta, neanche il duca di Hamilton. Seguì l'episodio che tutti conosciamo: Hess fuggì da solo verso la Scozia, il 9 maggio del 1941, a bordo di un Messerschmitt 110 per poi divenire prigioniero dei britannici. Haushofer da quel momento si disperò: la pace con l'Inghilterra non era più possibile. Le leggi della geopolitica insegnavano che la Germania, da quel momento, avrebbe dovuto perdere la guerra.
Ultimo detenuto della prigione militare di Spandau, a Berlino, strettamente sorvegliato dai guardiani delle nazioni vittoriose, Hess rimase l'unico a conoscere i segreti di Haushofer. E visto che tutti i responsabili nazisti condannati erano stati rimessi in libertà, le forze occupanti sovietiche in Germania si rifiutarono sempre di liberarlo. L'enigma Rudolf Hess esiste tutt'ora: il suo nucleo risiede nell'insegnamento segreto di Haushofer. Il detenuto di Spandau se lo portò nella tomba.
Il generale Haushofer, a partire dalla fuga di Hess, fu sorvegliato strettamente dai servizi della Gestapo. Hitler, d'allora in poi, non si fidò più dell'uomo che aveva dato al suo allievo l'idea folle di andare a convertire gli inglesi per la necessità di una pace separata con la Germania. Il figlio del generale, Albrecht Haushofer (1903-1945), che era stato amico intimo di Rudolf Hess, divenne, dopo gli avvenimenti del maggio del 1941, un feroce oppositore del regime hitleriano. Nel 1944 partecipò all'attentato del 20 luglio contro il Führer. Incarcerato, giudicato sommariamente, fu condannato a morte nella prigione berlinese di Maobit. Il generale Haushofer seppe dell'esecuzione di suo figlio solo nel marzo del 1946, durante il Processo di Norimberga. Dalla disperazione, il 14 marzo del 1946, dopo aver ucciso la moglie Marta, si uccise secondo la tradizione giapponese facendo harakiri. Vicino al suo corpo, come testimonianza, si scoprì il manoscritto di una poesia che il figlio aveva scritto qualche minuto prima di essere ucciso:

Una lunga leggenda profonda dell'Oriente
ci racconta che gli spiriti della potenza del male
sono tenuti prigionieri nella notte marina
sigillati dalla mano prudente di Dio.

Fino a quando la sorte, una volta al millennio,
accorda a un solo pescatore il potere
di rompere le pastoie dei prigionieri
se non rigetta subito il suo bottino a mare.

Per mio padre, il destino ha parlato.
La sua volontà altre volte aveva la forza
di respingere il demonio nella sua prigione.
Mio padre ha mollato.
Non ha sentito il soffio del Diavolo,
ha lasciato andare il Demonio sul mondo.

Capitolo XI - Rudolf von Sebottendorf e il muftì Husseini: Islam e Pangermanesimo

Fig. 9. Sua Eminenza Il Gran Muftì di Gerusalemme a colloquio con membri musulmani della Divisione Bosnia-Erzegovina Handschar.

Fig. 10. Il comandante delle SS Heinrich Himmler ispeziona la Divisione Bosnia-Erzegovina Handschar. La visione di un'unità ottenuta con una seria formazione.

La storia dell'Impero ottomano è caratterizzata, dal punto di vista del diritto islamico, dal predominio della scuola giuridica hanafita e dall'incremento delle differenti confraternite sufi, poste sotto la guida di un maestro spirituale, Shaykh, la cui successione è fatta risalire al fondatore eponimo e da lui a Maometto per il tramite del Califfo Ali, erede principale della dottrina esoterica islamica.
La scuola dei Mevlevi, o dervisci danzanti, fondata da Celaleddin Rumi divenne, sin dalla prima metà del secolo XVII, la prevalente forma esoterica, anche in virtù del fatto che in precedenza alcune sue forme di culto erano state censurate dai giuristi sciafiti, scuola predominante al tempo del califfato Abbaside di Baghdad e avversa all'introduzione nel culto iniziatico di strumenti quali il flauto, le percussioni e la ribèca. L'ascesa al potere degli Ottomani, con lo spostamento della capitale da Baghdad a Istanbul, fu altresì vissuta dalla popolazione come fondamento di un'egemonia turca, che in breve soppiantò quella di lingua e di cultura persiana. Ad appena cento anni dalla conquista di Costantinopoli, lo Shaykh dell'Ordine Mevlevi aveva già un ruolo di primo piano nella cerimonia di intronizzazione del Sultano. Sotto la sua guida, i novizi dell'Ordine si recavano in processione al Topkapi, dove traevano da una teca, custodita nella Sala delle Preziose Reliquie, le spade che secondo la tradizione sarebbero appartenute a Maometto, ad Abu Bakr e a Omar, nonché quella portata da Maometto II all'atto della conquista della nuova capitale.
Mentre veniva recitato il capitolo del Corano intitolato Surah della Vittoria, lo Shaykh dei Mevlevi impugnava la spada del Profeta e con essa iniziava il nuovo Sultano, ordinando a tutti i musulmani di prestargli obbedienza in quanto Vicario dell'Inviato di Allah. Dopo avergli consegnato l'arma, lo Sceicco avrebbe fatto inoltre il gesto di baciare l'anello del Sultano in segno di obbedienza, ma questi, secondo un rituale consolidato, si sarebbe alzato, lo avrebbe preso per le spalle e avrebbe scambiato con lui il triplice bacio fraterno. L'erede dell'Imamato esoterico e il detentore del Sultanato temporale testimonieranno in questo modo, di fronte alla corte, al corpo diplomatico, al corpo giudiziario, agli sceicchi delle altre confraternite e ai rappresentanti delle corporazioni di mestiere, la solidarietà fra l'aspetto iniziatico e quello esoterico della tradizione islamica.
La cerimonia avveniva in luogo altamente simbolico, al di fuori del centro della città, in direzione occidentale, presso la Grande Moschea, cattedrale che sorgeva al fianco della tomba di Abu Ayyub al-Ansar, detto in turco Eyyup Sultan, il compagno di Maometto caduto alle porte di Bisanzio durante uno dei primi assalti dell'esercito islamico alla capitale dell'Impero bizantino. Il martirio di Eyyup trovò il suo degno coronamento ottocento anni dopo, con Maometto II, il Conquistatore. Secondo un celebre detto di Maometto, «Costantinopoli verrà aperta all'Islam» per cui celebrare l'intronizzazione presso la tomba di quello che era il principale santo protettore della dinastia Ottomana, significava riunire insieme il primo e l'ultimo di coloro che, in base alla profezia di Maometto, avrebbero fatto di Istanbul il cuore del califfato musulmano.

Il Sufismo
Il Sufismo è un movimento mistico-ascetico diffusosi all'interno dell'islamismo intorno alla metà del secolo VII e, affermatosi successivamente, accolto dall'ortodossia soltanto verso il secolo XI. Ispiratore di molta letteratura araba e persiana, il Sufismo si basa sul raggiungimento dell'unione mistica con Dio (il termine stesso deriva probabilmente dall'arabo suf, "lana", in riferimento alle vesti di rozza lana dei primi asceti musulmani) attraverso tre momenti di meditazione: uno teologico consistente nell'accentuazione del concetto musulmano dell'Unità di Dio, uno etico consistente nell'esagerazione della fiducia in Dio che sfocia in una sorta di fatalismo e uno liturgico che consiste nel cosiddetto dhiker, litania ripetuta di nomi che porta a pratiche di esaltazione ed estasi collettiva. Col penetrare di idee neoplatoniche nel mondo musulmano, il Sufismo assume caratteri più idealistici e si divide in due grandi correnti: una aperta a tendenze sincretiche, l'altra protesa all'ortodossia. Caratteristica del sufismo è la formazione di «confraternite» (in arabo tariqa, "via") contraddistinte da speciali regole, cerimonie di iniziazione e maestri spirituali, i cui componenti sono chiamati darvish.

Invece di preparare il loro mausoleo presso una moschea da loro stessi fondata e dedicata alla loro memoria, i più osservanti fra i califfi preferirono poi riservarsi una piccola tomba nel cimitero di Eyyup, ricevendo la visita dei pellegrini turchi. Ancora oggi, una visita a Istambul non è considerata completa senza una preghiera nella Moschea di Eyyup e una visita alle tombe degli sceicchi, dei santi e dei nobili là sepolti. Ancora oggi le famiglie turche di condizione agiata non si esimono dall'includere nel loro programma di matrimoni una celebrazione del rito da parte dell'Imam in questa moschea.
Oltre alle cerimonie legate alla persona del Sultano e all'autorità sulla nomina dei magistrati di rango superiore e degli Imam delle Moschee cattedrali, lo Sceicco dei Mevlevi presiedeva altresì alla circoncisione dei principi di sangue reale e alla loro prima lettura pubblica del Corano. Col tempo, questa connessione fra l'élite delle famiglie al potere e la confraternita divenne un fatto acquisito della culturale locale, mentre altre confraternite cercarono di incrementare il loro peso sociale legandosi ad altri strati della società.
A metà strada fra la classe dominante e gli altri popoli dell'Impero, vi era la classe dei giannizzeri (dal turco Yeni ceri, "nuova milizia"), corpo militare formato da cadetti tolti alle famiglie in tenera età e addestrati a percorrere gli stadi successivi della carriera militare. Si prediligevano coloro che avessero scarsi vincoli familiari, o che comunque fossero più facilmente disposti a estraniarsi dalle famiglie di origine. Un orfano di una famiglia non-musulmana, specie se proveniente da un territorio di recente conquista, aveva molte più possibilità di far carriera rispetto a un discendente della borghesia stanziale di Istanbul, di Scutari o di Smirne. Fedeltà locali e vincoli tribali erano considerati un ostacolo per quella dedizione assoluta che l'Ordine richiedeva: il giannizzero doveva essere pronto, in qualunque momento, a trasferirsi in qualsiasi regione dell'impero e a porsi subito a disposizione del suo nuovo comandante. L'avere una moglie legittima e degli eredi veniva considerato un rischio per l'estrema segretezza che doveva circondare l'attività del corpo scelto e dei suoi movimenti. Chi accettava di metter su una famiglia cittadina sceglieva, di fatto, di precludersi una posizione più elevata e di interrompere il proprio cursus honorum. Gli altri, i più ambiziosi, per aumentare di grado entro il più breve tempo possibile, sceglievano di avere soltanto schiave, davano in adozione a famiglie borghesi le eventuali figlie femmine e trasferivano, all'età di sei anni, i figli maschi nell'accampamento delle nuove reclute, togliendoli alla balia e affidandoli alle cure del sergente.
Inizialmente la migliore garanzia, per chiunque era interessato alla carriera militare nel corpo d'élite, consisteva nell'avere un protettore nell'ambito della corte del Topkapi, ma successivamente, il legame con un determinato ramo della famiglia ottomana esponeva comunque al rischio di repentini mutamenti in caso di successione al trono o di cadute in disgrazia a seguito di faide interfamiliari. Fu pertanto necessario un nuovo sistema di tutela delle posizioni dominanti, e a questa funzione si prestò agevolmente - dopo il 1650 circa - un'altra confraternita legata alla storia del califfato, quella dei Naqshbandi, fondata a Samarcanda da Bahauddin Wali. Col tempo si venne definendo una stretta connessione fra iniziazione Mevlevi e corte imperiale, e iniziazione Bektashi e corpo dei giannizzeri. In quanto «tutrice della dinastia», la confraternita Mevlevi non interveniva, se non con un delegato di scarso rango, alle cerimonie interne all'Ordine dei giannizzeri, mentre la presenza dei Naqshbandi divenne sempre più rilevante, e Bahahuddin assurse di fatto il ruolo di patrono della casta militare.
Dal punto di vista rituale, la prassi dei Naqshbandi era ispirata alla pura ortodossia islamica e i suoi riti non attiravano nessun genere di critica dogmatica, nemmeno da parte dei teologi e dei giuristi di scuola più rigorista. A differenza dei Mevlevi, che danzavano e roteavano sino a raggiungere la trance estatica ascoltando il suono del flauto e recitando (in persiano e in traduzione turca) i poemi di Rumi, i Naqshbandi pregavano in piedi o seduti, in modo molto composto o sommesso. Il flauto era disprezzato, poiché considerato segno di effemminatezza, e nelle cerimonie predominavano ottoni e grancasse. Divenne pertanto normale che quest'Ordine fosse associato, nella mentalità allora corrente, al Secondo Stato sino a che, a partire dal principio del secolo XVIII e fino alla caduta dell'Impero, i comandanti delle guarnigioni locali vennero iniziati dallo sceicco Naqshbandi, che mai si inchinava innanzi a loro, ma porgeva la mano da baciare agli ufficiali e il piede ai soldati. Volendo stabilire un'analogia con un percorso tipico della tradizione post-cristiana, l'iniziazione Mevlevi può corrispondere all'esicasmo o all'esoterismo monastico-sacerdotale, mentre quella Naqshbandi alla iniziazione guerriera.
Di lì a poco, come iniziazione del Terzo Stato, si affermerà la confraternita dei Bektashi, protettrice delle corporazioni di mestiere e caratterizzata da tutta una simbologia legata alla costruzione. Il maestro di una filiale Bektashi, infatti, portava in modo significativo il titolo di Barin Padishaht cioè "Signore dell'architettura" e, specie nell'area più propriamente turcofona dell'Impero, ricevere l'ammissione nell'Ordine significava passare da lavoratore manuale ad artigiano specializzato, in possesso dei piccoli misteri relativi all'applicazione della scienza cosmogonica a un singolo mestiere ben identificato.
La simbologia dei riti rivela una diretta connessione fra la corrispondenza degli elementi cosmici e gli strumenti a esso riferiti. Presso i Mevlevi, dopo aver ricevuto il permesso dal Maestro, l'adepto iniziava a ruotare su se stesso e attorno alla Tomba di Rumi, proprio come un pianeta che compie i suoi movimenti di rotazione e rivoluzione. Presso i Bektashi, invece, il discepolo era rigorosamente a contatto con la terra, e doveva astenersi dal ricorrere alla simbologia celeste, riservata solo al Maestro e ai suoi rappresentanti.
Le lettere che formano il sacro nome di Allah venivano immediatamente riferite agli strumenti necessari per tracciarle. La prima lettera, A, sostenuta nella scrittura araba da un alif, segno verticale simile alla I maiuscola dell'alfabeto latino, corrispondeva al regolo, l'asta verticale che il rappresentante del Maestro mostrava all'iniziando prima di introdurlo nella sala del culto, zawiyah. La seconda lettera, L raddoppiata, anche in arabo ha la forma di una squadra, ma orientata verso sinistra. Il neofita era posto in stretta relazione con la squadra dai bracci diseguali, strumento derivante dalle confraternite dei costruttori. Prima dell'iniziazione la squadra veniva collocata con il braccio più lungo a terra, per poi essere ruotata di novanta gradi al termine della cerimonia. Si alludeva con ciò al fatto che, mentre per il profano la componente terrena prevaleva su quella spirituale, per l'iniziato era l'esatto contrario. La H finale del nome Allah coincide con il monosillabo del nome iniziatico Hu, la cui valenza è analoga a quella dell'Om nella tradizione indù. Ha forma circolare, e lo strumento che vi si associava era il compasso, che doveva rappresentare la signoria sugli stati celesti e la conclusione dell'opera. Squadra e regolo servivano per porre le fondamenta e innalzare le pareti, e il compasso a innalzare la cupola, vertice dell'edificio, suo coronamento e simbolo della volta celeste. L'unico a recare il compasso nelle cerimonie Bektashi era lo sceicco, che si limitava ad appoggiarlo sulla mano dell'iniziando per trasmettergli l'influenza spirituale.
L'immissione nell'Ordine avveniva mediante la formulazione di una domanda e di una risposta, presupposte secondo uno scambio delle parti fra maestro e discepolo. «Chi è l'architetto?», chiedeva l'iniziando. Rispondeva il Maestro: «Hu, Allah, Colui all'infuori del Quale non vi è altro Dio».
L'iniziazione del Terzo Stato in ambiente islamico manifesta sorprendenti analogie (l'uso di squadra e compasso, il termine "architetto" come nome divino) con l'iniziazione massonica. Come la Massoneria finì per soppiantare le altre forme di compagnonaggio, e la confraternita dei Muratori prevalse su quelle degli Scalpellini, dei Cappellani, dei Bottai, dei Giardinieri, dei Carbonai, così la simbologia muratoria dei Bektashi indusse a trovare rifugio nell'Ordine tutti quei borghesi che avevano fra le loro aspirazioni un rinnovamento in senso moderno della Turchia, porta fra Oriente e Occidente. Se la Massoneria contribuì in modo determinante all'abbattimento dell'ancien regime e alla affermazione della democrazia moderna, così i Bektashi finirono per coagulare quegli intellettuali che, nel constatare l'arretratezza del sistema ottomano, puntavano alla costituzione di un'assemblea legislativa dei popoli dell'Impero e alla sostituzione della casta dei giannizzeri con un esercito di leva d'impronta europea. Così, visti gli stretti legami diplomatici con la Germania guglielmina, i fautori della modernizzazione turca non potevano che mirare alla creazione di una identità nazionale che avesse a modello l'opera del cancelliere Otto von Bismarck nella costruzione della Germania unitaria. D'altra parte, non va dimenticato che i massoni tedeschi di rito scozzese attribuivano la fondazione del loro rito a Federico II di Prussia, e guardavano alla Turchia come loro alleato in Medio Oriente, in grado di contenere la Persia filo-britannica.
Il barone Rudolf von Sebottendorff, funzionario della Croce Rossa Internazionale, convinto pangermanista nonché dignitario del Grande Oriente di Prussia, giunse in Turchia nel 1900, e qui si trattenne sino al 1913, alla vigilia della Prima Guerra Mondiale. Essendo stato fra i fondatori della Mezzaluna Rossa Ottomana, istituì nel quartiere degli europei di Istanbul la prima Loggia turca avente sede presso il consolato prussiano, e ricevette egli stesso l'iniziazione nell'Ordine Bektashi.
I suoi scritti superstiti, raccolti sotto il titolo La simbologia dell'architettura nell'esoterismo turco, mostrano come egli avesse colto da subito le affinità simboliche fra i due ordini cui apparteneva e si industriò ad adattarle al suo stesso ambiente di origine. I segni degli strumenti da costruzione, come riferiti all'alfabeto arabo nella ritualità, vennero da lui posti in relazione con l'antico alfabeto runico, mentre la simbologia delle dita nel tracciare gli stessi segni venne posta in relazione con i toccamenti dei diversi gradi massonici. La Loggia dei maestri, nel rito Bektashi, si trovava in secondo piano rispetto alla sala dei novizi. I due luoghi comunicavano tramite una grata, attraverso la quale i novizi facevano salire l'incenso affinché i maestri e lo sceicco, che celebravano il pasto segreto, potessero percepirne il profumo che saliva dagli strati inferiori dell'Ordine.
Fatto ritorno in Germania, Sebottendorff sarà portatore di una valorizzazione dell'esoterismo islamico come elemento in grado di fecondare una rinascita dello spirito nordico. Le sue intuizioni apriranno la strada alla opzione filo-nazista del Muftì Amin al-Husseini (1895-1974) nonché alla successiva creazione di unità musulmane delle Waffen SS.
Una figura chiave da considerare, quando parliamo dei rapporti tra i nazionalsocialisti e alcune correnti islamiche, è quella di Francois Genoud, uno svizzero di Losanna figlio di un banchiere, che fu affascinato da Hitler fin dalle origini della sua carriera politica, e che lo convinse a finanziargli un viaggio (1929) in auto da Losanna fino a Calcutta. Genoud entrò in contatto, per conto di Hitler, con il Muftì di Gerusalemme Husseini, che simpatizzò con il Nazionalsocialismo in virtù della sua politica antiebraica. Husseini fu invitato da Hitler stesso a Berlino, dove trascorse un lungo periodo durante la guerra (1941-1945), per poi fare ritorno in patria (una spiacevole coincidenza storica vuole che Husseini sia, neanche a dirlo, lo zio del Presidente dell'OLP Yasser Arafat). Vi sono immagini in cui Husseini passa in rassegna la SS Handschar, cioè la SS musulmana, formata da alcuni elementi palestinesi, da elementi turchi e musulmani bosniaci. Francois Genoud ebbe modo di avvicinare a Hitler anche la corona saudita, fungendo da abile mediatore diplomatico. Il suo ruolo nella gerarchia dei sostenitori di Hitler rimase sempre abbastanza defilato durante gli anni del Nazionalsocialismo. Ma egli divenne una figura chiave per la sopravvivenza di alcuni elementi del regime, a partire dalla tutela di capitali ed opere d'arte che egli fu in grado di organizzare in Svizzera e in Medio Oriente, grazie ai suoi rapporti con il Partito transnazionale Baath, che operava in Egitto, Siria e Iraq. Egli opererà come procuratore e tutore dei diritti d'autore dei principali gerarchi nazisti e dei loro eredi (inclusa Paula Hitler, sorella di Adolf), e sarà tra i sostenitori (con fondi sauditi) della lotta anti-francese dell'FLN algerino.

Capitolo XII - L'ostilità del Duce verso Julius Evola

All'inizio degli anni Venti, in Italia, le organizzazioni esoteriche avevano posto salde radici e prosperavano negli ambienti colti. La Massoneria era estesa all'intero territorio nazionale e aveva fra i suoi esponenti rappresentanti del mondo della politica, della diplomazia, dell'esercito, del mondo culturale.
Lo scisma fra Grande Oriente d'Italia di Palazzo Giustiniani e Gran Loggia di Piazza del Gesù costituiva ormai una realtà imprescindibile e rifletteva le due tendenze prevalenti all'interno del mondo massonico internazionale sul finire del secolo precedente. La Massoneria giustinianea, erede dei padri del Risorgimento, aperta egli esponenti della Sinistra storica e ai socialisti, era improntata su un orientamento scientista-positivistico e assai refrattaria a qualsiasi ipotesi di conciliazione fra il Regno d'Italia e il Papato, nonché contraria a quelle aperture che avrebbero facilitato il reinserimento dei cattolici nella vita politica italiana. Alcuni suoi esponenti - come è logico - erano cultori di esoterismo e impegnati nello studio e nell'approfondimento di diverse tradizioni, nonostante queste passioni fossero considerate solo un interesse privato, non coinvolgenti l'Ordine nel suo insieme. Infatti la regola tradizionale secondo la quale le logge dovevano astenersi dal trattare «di politica e di religione», veniva applicata in senso molto restrittivo, e non pochi massoni rischiarono di essere messi sotto accusa per via della loro propaganda a favore di culti esoterici, ritenuti «propaggine della religione».
La Massoneria di Piazza del Gesù, chiamata con disprezzo «Massoneria gesuitica» dai suoi detrattori, riteneva che il pericolo rosso costituisse un serio rischio per il futuro dell'Italia, e proprio per questo mirava a un accordo fra la cultura liberal-democratica e gli esponenti più avanzati del mondo cattolico, in funzione di contenimento dell'«infezione bolscevica». Al suo interno vi erano proseliti molti attivi. In posizione di rilievo, cultori di varie scienze esoteriche, fra cui Arturo Reghini (1878-1946), cultore del pitagorismo e studioso dei sensi occulti della matematica e della fisica. Arturo Onofri (1885-1928), poeta della metafisica e membro dell'Ordine Martinista (di orientamento neo-cabalista) e Goffredo Parise (1929-1986), affiliato alla Fratellanza Terapeutico-Magica di Myriam. Inoltre, la scrittrice Sibilla Aleramo (1876-1960), che lasciò una vivida descrizione di quest'ambiente nel romanzo Amo dunque sono, Julius Evola (1898-1974), il pittore dadaista teorico dell'idealismo magico, Giuliano Kremmerz (al secolo Ciro Formisano da Portici, 1861-1930), fondatore della Myriam, e Aristide Sgabellone, discepolo di Steiner, che ben presto avrebbe dato vita a una corrente antroposofica assumendone la guida con lo pseudonimo Massimo Scaligero.
Principale teorico del movimento era, per lo meno in una fase iniziale, Arturo Reghini. Questi, influenzato da Nietzsche, riteneva che la cristianizzazione dell'Occidente fosse stato il fattore determinante nella sua perdita dei valori tradizionali, avendo comportato la dissoluzione dell'aristocrazia classica e l'instaurazione di una «morale del servo e del più debole». Mentre però in Nietzsche il superamento della decadenza passa attraverso il nichilismo europeo e la genesi di un tipo umano a-religioso - che è legge a se stesso e resta fedele al «senso della terra» senza «fuggire in cielo» - Reghini credeva veramente alla rinascita del paganesimo classico, se non nelle forme esteriori del culto, almeno nella trasmissione della sapienza iniziatica. Nella stessa dottrina massonica, egli sottolineava il rischio di una esagerazione degli apporti cabalistici. Secondo lui, la Massoneria non era che una riproposizione in chiave moderna degli antichi misteri ellenici e il mito del maestro Hiram, che viene ucciso dai tre compagni invidiosi nel tentativo di rubargli la parola sacra, è letto non come una leggenda di derivazione ebraico-salomonica, ma come una riattualizzazione della simbologia classica dell'eroe-Salvatore.
La spiritualità semitica, nel cui novero Reghini includeva tanto l'Ebraismo quanto il Cristianesimo, era caratterizzata dal dualismo fra adorato e adoratore, dal rapporto servile che esiste fra Geova e il suo creatore. L'ariano, invece, a controprova della nobiltà della sua natura, soleva adorare gli dei da pari a pari e instaurare nei loro confronti una relazione do ut des. Il contatto col mondo iranico, secondo il suo punto di vista, aveva permesso alla tradizione ebraica di assumere alcuni connotati iniziatici, e di sviluppare una dottrina esoterica completa, mentre nulla di simile era accaduto al Cristianesimo, che aveva condannato come eresia ogni dottrina relativa alla realizzazione metafisica, all'identificazione fra Creatore e creatura. Il compito dei cultori di studi esoterici consisteva nel sottolineare l'incommensurabilità fra la visione lunare-devozionale del fideismo cristiano e la concezione olimpico-solare del mondo classico, improntata non sul principio di rendere culto a un dio che si teme, quanto sull'ipotesi di farsi simile ad esso.
All'avvento del Fascismo, la Massoneria giustineanea fu colta impreparata ma mantenne comunque precise riserve sul carattere totalitario del regime mussoliniano, negatore della democrazia parlamentare, mentre quella di Piazza del Gesù si proclamò aperta sostenitrice dell'azione di rinnovamento della patria promossa dal Duce, conferendogli immediatamente l'onorificenza di «maestro del trentatreesimo grado ad honorem». Ciò avvenne sia in ragione degli stretti legami fra il Gran Maestro, il giornalista Raoul Palermi, e il movimento irredentista, sia in considerazione del fatto che alcuni gerarchi fascisti di primo piano erano noti esponenti di questo ramo dell'Ordine.
Gabriele d'Annunzio, ad esempio, oltre a essere un trentatré e un membro del Supremo Consiglio di Piazza del Gesù, era anche un attivo esponente del Rito Martinista, e ai cultori d'esoterismo soleva dedicare copie dei suoi libri con dediche firmate col suo nome iniziatico, Ariel. Allo stesso Supremo Consiglio appartenevano sia Italo Balbo (1896-1940) sia Roberto Farinacci (1892-1945). Sarà quest'ultimo in particolare a farsi protettore della corrente legata a Evola sino alla caduta del regime, e a pubblicare gli scritti del nobile siciliano sulla sua rivista «Il Regime Fascista».
La marcia su Roma indusse questi circoli esoterici a ritenere che la ventilata restaurazione della tradizione classica fosse ormai imminente, com'era del resto testimoniata dalla stessa assunzione del simbolo del fascio e dalla rievocazione della romanità. Quest'ultima, secondo Reghini, doveva divenire non un mero esercizio retorico, ma un programma di rifondazione della cultura e della decristianizzazione dell'Occidente. Com'è testimoniato dall'opera Introduzione alla magia (raccolta dei saggi apparsi sulla rivista «Ur»), i membri del sodalizio esoterico in cui gravitavano Evola, Reghini e Parise celebrarono un rito magico comportante la sepoltura rituale di un fascio littorio al fine di propiziare simbolicamente l'accettazione di un simile orientamento programmatico da parte del neonato regime.
L'idea di una nuova Europa, affrancata dal Cristianesimo, dallo spirito giudaico e dal razionalismo positivista, trovò espressione in un saggio di Reghini intitolato Per un imperialismo pagano e pubblicato su «Ur». I suoi contenuti vennero poi sviluppati e ampliati da Evola, in un volume intitolato Imperialismo pagano, pubblicato dalla casa editrice Atanor (di proprietà di Alvi, un romanziere dell'occulto, discepolo di Reghini) e subito tradotto in tedesco. Lo stesso editore curò poi la pubblicazione dei primi scritti di René Guénon tradotti in italiano per opera del Reghini stesso. Va tuttavia detto che, malgrado il suo attivismo e il suo tentativo di agire sul regime con «strumenti di magia operativa», le cose presero per Reghini una piega ben diversa.
Sul finire degli anni Venti, Mussolini era ormai decisamente orientato verso la pacificazione fra l'Italia e la Chiesa cattolica, mentre l'esoterismo, coltivato in una cerchia assai ristretta, era deriso negli ambienti provinciali del regime, che tra l'altro andava preparandosi alla messa al bando della Massoneria. Una recensione negativa del libro di Evola venne pubblicata sull'«Osservatore Romano» a firma di uno degli addetti della segreteria del nuovo Stato Vaticano, Giovanni Battista Montini, cioè il futuro Papa Paolo VI. Bando della Massoneria e Concordato furono - per Reghini - la goccia che fece traboccare il vaso. Nel 1932 egli si trasferì a Parigi dove aderì al gruppo degli intellettuali antifascisti, divenendo amico dei fratelli Carlo e Nello Rosselli, anch'essi massoni e cultori di esoterismo. Nei suoi scritti in lingua francese, il regime mussoliniano veniva ormai definito come uno degli «strumenti del clericalismo e dell'oscurantismo» e nemico delle organizzazioni iniziatiche. Evola, restato filo-fascista, venne considerato un traditore e i rapporti fra i due cessarono del tutto.
Nel frattempo, la scelta di campo antimassonica del Fascismo aveva indotto l'anima meno colta e più turbolenta del regime alla persecuzione di quelle che venivano ormai definite «consorterie di maghetti e ciarlatani».
In particolare il segretario del Partito Fascista, Achille Starace, prese in viva antipatia Evola e aizzò nei suoi confronti una banda di squadristi che lo malmenarono. Ma egli fondò una nuova rivista, «La Torre», che prese subito posizione contro la politica demografica e il mito del «numero che è potenza». Secondo il suo punto di vista, infatti, la Storia è fatta dalle élite e il regime doveva piuttosto orientarsi verso la formazione di corpi scelti dell'esercito e verso la selezione razziale dei migliori prototipi dell'«uomo nuovo». Di fronte alla moda divagante per camicie nere, orbaci e distintivi, Evola, Scaligero e il loro gruppo ostentavano apertamente il monocolo, il frac, il cilindro e tutti quegli elementi del look aristocratico invisi al regime.
Chiuse le Logge massoniche, i circoli martinisti - chiamati anch'essi logge - vennero presi d'assalto, mentre la sede barese della Fratellanza di Myriam venne devastata da un gruppo di squadristi e il periodico della Federazione fascista di Bari pubblicò il Credo kremmerziano con commenti sarcastici. Lo stesso Kremmerz, dal suo esilio di Besançon, intimò ai suoi discepoli italiani di «astenersi dall'indossare qualsiasi capo di colore nero». La norma era giustificata con ragioni d'ordine magico, ma fu facilmente interpretata dall'OVRA come un chiaro indice di antifascismo. In una lettera scherzosa inviata al barone Ricciarelli, suo rappresentante in Italia, Kremmerz disse scherzosamente dei fascisti «killi so' vestiti e nero, comme li preti». La missiva, intercettata, valse al suo autore la fama di antifascista militante, nonostante egli fosse piuttosto incline a disinteressarsi della politica.
L'avvento del Nazionalsocialismo indusse molti, fra cui lo stesso Scaligero, ad affermare: «l'ora di Evola è ormai giunta in Germania». E infatti egli fu presto invitato a relazione all'Herrenklub dell'Ahnenerbe, sospettoso nei confronti del suo «romanismo», così come della sua teoria ario-romana (da contrapporsi, come dominante nell'immaginario italiano all'idea germanica di ario-nordico). Formula-chiave era stata, infatti, nel mitologhema germanico, lo stereotipo gegen Rom und gegen Judentum (contro Roma e il Giudaismo), il cui eroe era stato Martin Lutero, affrancatore dei principi tedeschi dal servaggio romano. All'ideale dell'ordine formale romano, il germanico affermava se stesso come razzialmente più puro e come scaturigine più giovane del ceppo indoeuropeo. Per questo la sua natura era quella di dominare nella fase storica dell'espansione a Est dell'Europa.
Dopo aver pubblicato in italiano e in tedesco la sua opera principale, Rivolta contro il mondo moderno, Evola aveva iniziato a interessarsi al problema della razza, scrivendo dapprima un saggio per le scuole intitolato Indirizzi per un'educazione razziale, poi una storia del pensiero razzista dal titolo Il mito del sangue, e infine un suo saggio propositivo, Sintesi di dottrina della razza. Contrariamente alle previsioni, dopo aver conosciuto gli elementi del razzismo germanico, Evola ne iniziò la critica, delineando i limiti dell'approccio biologico al problema della razza e concependo un razzismo spiritualista all'italiana contrapposto a quello germanico confutato nel suo darwinismo. La tripartizione tradizionale di corpo, anima e spirito doveva - secondo Evola - indurre a un approccio al problema razziale su un triplice dominio. Il potenziamento della purezza della razza del corpo di per sé non avrebbe creato una nuova civiltà stabile, se al contempo non si fossero raffinati gli elementi razziali a livello psichico e pneumatico. L'idea della tripartizione del livello razziale derivava in modo diretto dal suo incontro con Corneliu Codreanu e questi, a sua volta, l'aveva ereditata dagli studi di Mircea Eliade sulla tripartizione delle funzioni in seno alla società indoeuropea. Un movimento come quello della Guardia di Ferro, con la sua idea della costituzione di un Ordine sacrale, e al contempo guerriero, di pochi individui votati al sacrificio eroico, con un rigido processo di selezione implicante la presa delle distanze dalle nature volgari, rappresentava una delle forze possibili di razzismo dello spirito, in quanto produceva in modo autonomo un'aggregazione aristocratica.
Il Nazionalsocialismo, con la sua insistenza sul Führerprinzip e la sua mistica del sangue, rappresentava invece il dominio del razzismo animico, pervaso da una mistica panica in cui il capo eccelleva non per via di una sua vocazione soprannaturale, ma per via di una diretta e immediata corrispondenza con le pulsioni del Volkgeist. La dottrina fascista, con la sua enfasi sul senso dello Stato e sull'aspetto giuridico-legislativo dell'esistenza, corrispondeva alla fase del razzismo corporeo, e la missione che l'élite fascista doveva imporsi era quella di favorire la vocazione dominatrice del tipo ario-romano incarnata, sempre secondo Evola, nei condottieri quali il duca Amedeo d'Aosta e il maresciallo Rodolfo Graziani, a scapito dell'elemento ctonio-mediterraneo, pantofolaio, sentimentaleggiante, dannunziano-decadente e conforme allo stereotipo del suonatore di mandolino.
Schivo com'era dal conformismo, Evola si era persino guardato dall'iscriversi al Partito Fascista, e anzi aveva apertamente criticato prese di posizione di una certa rilevanza pratica, come nel caso della campagna demografica. Non chiese mai udienza a Mussolini, ma fu da lui convocato in maniera inaspettata, giacché il Duce voleva far propria l'idea di un razzismo all'italiana, e fare di Evola una sorta di ambasciatore della dottrina razziale italiana nei confronti di quella tedesca. Ciò scatenò, ovviamente, il risentimento dei pedissequi imitatori del razzismo tedesco, che misero sotto accusa la tripartizione evoliana, definendola «una singolare forma di anti-razzismo».
Lo spretato Giuseppe Preziosi, aperto fautore della nazificazione del regime fascista e ispiratore delle leggi razziali, affermò che togliere alla dottrina razziale la sua base biologica significava spegnerne la portata rivoluzionaria, mentre la «vanità dello spiritualismo evoliano» fu duramente criticata da uno dei redattori de La difesa della Razza, Giorgio Almirante, futuro capo di gabinetto del Ministro della propaganda di Salò e successivamente segretario del Movimento Sociale Italiano. Nonostante ciò, Evola seguitò a ritenere Mussolini «un individuo precluso alla comprensione della vera spiritualità», affermazione che, in verità, gli costò molto cara, visto che venne ricambiato con la nomina, diffusasi presto presso gli ambienti squadristici, di iettatore. Forse fu Starace a porre in giro la diceria che «quando vedeva Evola il Duce si toccava gli attributi», ma è indubbio che, oltre a questo, determinante fu la stessa convinzione nazional-popolare di Mussolini, secondo la quale potevano identificarsi come portatori di iella tutti coloro che praticavano riti e sortilegi di natura magica. Del resto, avvenne la stessa cosa con il patriarca dei Copti d'Eritrea, giunto in Italia dopo l'attentato di Bologna al fine di pregare per la salvezza di Mussolini: Ciano riferì di aver sentito il Duce commentare l'avvenimento con le parole: «Dopo aver salvato la pelle, non ci mancava che l'encomio di questo solennissimo iettatore!».
Del resto, nell'opinione dei non addetti ai lavori, e specie sulle riviste di cronache rosa, una gaffe di Reghini aveva già pesantemente contribuito a gettare il discredito sul gruppo di «Ur» e sui suoi affiliati. Il matematico romano, infatti, era entrato in contatto epistolare con un fachiro egiziano chiamato Tahra Bey. In base alla lettura del saggio di Guénon Il Re del mondo, egli si era effettivamente convinto che questi fosse l'emissario di una organizzazione iniziatica orientale, mandato in missione in Occidente al fine di ridestare i gruppi esoterici lì attivi. Ne scrisse di persona a Guénon, ma quest'ultimo non lo assecondò. Grande fu la sorpresa quando Reghini, con la massima serietà, presentò il personaggio ai giornalisti e al pubblico convenuto presso la Sala Pichetti di Roma. Lungi dall'impartire insegnamenti di sapienza arcana e dal trasmettere secrete iniziazioni, il Bey si limitò ad eseguire esercizi di prestidigitazione, rivelando la sua natura di fachiro da circo. L'evento verrà poi narrato da Evola verso la fine della guerra, sulle colonne del giornale di Farinacci e introdotto dalla frase: «Reghini era sì persona colta e preparata, ma non immune dal prendere cantonate...». Era ormai da alcuni anni che i due avevano sdegnosamente rifiutato di riappacificarsi.

Capitolo XIII - Le SS e Shamballa

Mentre il Fascismo, per via del suo provincialismo culturale, finì per chiudere i rapporti con quegli ambienti iniziatici che al principio lo avevano sostenuto, il ruolo della Società Thule nel formare uomini come Alfred Rosenberg, Rudolf Hess, Dietrich Eckart, e, tramite questi, lo stesso Hitler, fece sì che i circoli più elevati dell'Ordine SS fossero deputati ai rapporti con il centro simbolico, con la dimora del Re del Mondo, Agartha e Shamballa.
Secondo la tradizione indù Agartha, o Agarthi, "l'inaccessibile", era il centro collocato «sotto la ruota del Sole d'Oro», il mitico regno sotterraneo in cui si trasferirono, sul finire dell'Età dell'Oro, gli abitanti del Paradiso Terrestre per evitare di essere contaminati dal Male: il luogo, cioè, cui si rifacevano i contemplativi che rifiutavano per principio di partecipare agli aspetti materiali del mondo, i cosiddetti «uomini al di sopra del Tempo». Shamballa, invece, era il centro spirituale degli uomini «contro il Tempo», di quegli iniziati che, pur vivendo nell'eterno, accettavano di agire nel mondo terreno «nell'interesse dell'Universo», secondo i valori immutabili o, per usare le parole stesse del Führer, secondo il «senso originario delle cose». Com'è ovvio, è soprattutto a questo secondo centro dei Maestri dell'Azione che Adolf Hitler si sarebbe ricollegato.
I nomi di Agartha e di Shamballa comparvero più volte sulle labbra dei capi delle SS nel corso del Processo di Norimberga e, più particolarmente, di quelle SS che furono fra i responsabili dell'Ahnenerbe. Questa organizzazione inviò nel Tibet una spedizione diretta dall'etnologo Standartenführer SS dr. Ernst Schäfer. I reperti e i resoconti di questo viaggio, microfilmati che si trovano negli archivi nazionali di Washington, sono effettivamente dei documenti straordinari.
Ma perché una simile spedizione? Certamente non per tentare di ritrovare, in Asia Centrale, «le origini della razza nordica», come sembrò lasciar credere Brissaud. D'altronde, sotto il Terzo Reich, anche i fanciulli delle scuole sapevano, per averlo letto nei loro manuali, che questa razza si era sparsa dal Nord verso il Sud e verso l'Est e non viceversa. Quello che volevano, senza dubbio, il Dr. Schäfer e i suoi collaboratori era piuttosto tentare di penetrare il mistero di Agartha e di Shamballa, scaturigini primordiali del potere del vajra, il "diamante-fulmine" che folgora l'universo dal centro della Svastica. Stando all'accordo stipulato con la Germania dal penultimo Dalai Lama, il vertice del Terzo Reich decise di gestire l'occasione non politicamente - con l'apertura di relazioni diplomatiche e di una Ambasciata tedesca a Lhasa - ma spiritualmente, inviando in gran segreto una missione scelta di quadri SS selezionati. L'obiettivo recondito era quello di tentare, con l'aiuto delle guida spirituale dell'Ordine dei Berretti Gialli Gelugpa, di propiziare la discesa dell'influenza spirituale sull'Ordine Nero e di entrare in contatto con il Principio non-manifestato (nirguna-brahma-purushottama).

Ciò che René Guénon chiamava il «Re del mondo» era, in ogni caso, una funzione spirituale permanente, e non una persona singola e temporanea. Ciò sembrava tanto più plausibile in quanto fra queste sezioni dell'Ahnenerbe, il cui lavoro era classificato «affare segreto del Reich» e «di cui si ignora tutto», una comprendeva, oltre lo studio delle lingue antiche, della cosmologia e dell'archeologia, quello «dello Yoga e dello Zen», mentre un'altra si interessava delle dottrine esoteriche e alle influenze magiche sul comportamento umano. D'altra parte non era solamente con gli iniziati della città proibita di Lhasa (e probabilmente con il Dalai Lama stesso) che l'élite spirituale dell'Ordine SS - che era quella di una nuova civiltà tradizionale in potenza e in gestazione - cercava di prendere contatto. Secondo quanto affermato da Savitri Devi Maharani, vi furono incontri simili anche nelle Indie, incontri che poche persone sospettarono in Occidente e completamente al di fuori delle conversazioni politiche che poterono aver luogo con certi capi indù filo-nazisti, come Subbas Chandra Bose nelle Indie e in Germania, prima e dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Per quanto riguarda invece i contatti con il brahmanesimo ariano, dal 1935 compariva a Calcutta una rivista culturale, «The New Mercury», condotta molto abilmente da Sri Asit Krishna Mukherji in collaborazione con Sri Vinaya Datta e con alcuni altri indù tradizionalisti pronti a riconoscere in Hitler una presenza avatarica e ad «aggiungere il nome del Führer nelle loro preghiere». Per l'India, il «nuovo Mercurio» altri non era che il Cancelliere del Terzo Reich: i discorsi del Führer, di cui la stampa ufficiale, tanto inglese quanto bengali, riportava solo estratti, erano pubblicati in extenso sulla rivista, soprattutto se richiamavano un interesse che andava oltre la politica spicciola. Inoltre, «The New Mercury» si faceva portavoce di studi che potevano servire a mettere in luce una connessione profonda tra la civiltà tradizionale indù e la civiltà tradizionale germanica, esistita molto tempo prima del Cristianesimo, e che aspirava a rinascere sulle ceneri di un'essenziale grandezza. Questi contributi rivelavano, oltre a una indispensabile erudizione archeologica, una seria conoscenza del simbolismo cosmico incentrato, soprattutto sulla croce uncinata. Sembravano voler mostrare, anche se indirettamente, il carattere eccezionale di un grande Stato moderno che riconosceva per proprio un simbolo di tale portata universale, riprodotto su tutti i monumenti pubblici, su tutte le bandiere. E sottolineavano, inoltre, l'aspirazione di questo grande Stato a rinnovare il contatto con la tradizione primordiale da cui l'Europa si era distaccata già da secoli, ma di cui l'India aveva conservato il deposito inestimabile.
Non si ha alcuna prova di quale fosse il ruolo ricoperto dai servizi dell'Ahnenerbe riguardo la pubblicazione del «The New Mercury»: in realtà questa sezione speciale delle SS venne fondata proprio nel 1935, lo stesso anno della suddetta rivista, ed è anche confermato che quest'ultima fosse, almeno in parte, sostenuta finanziariamente dal governo del Terzo Reich. I tedeschi e i rappresentanti di industrie tedesche nelle Indie erano inoltre tenuti ad abbonarvisi. Una volta, uno di loro fu richiamato in Germania dopo essere stato destituito dalla direzione della succursale che reggeva da anni, per aver rifiutato l'abbonamento e per aver dichiarato che quella «propaganda di nuovo stile» non lo interessava.
Il fondatore ed editore del periodico, Mukberji, restò in contatto diretto con Hermann von Salza, console generale di Germania a Calcutta, per tutto il tempo in cui questi rimase al suo posto. Egli, rappresentante ufficiale di Adolf Hitler, gli consegnò, alla vigilia della sua partenza, un documento rivolto alle autorità tedesche, nel quale era ben specificato che «nessuno in Asia aveva reso al Reich servizi confrontabili con i suoi». A questo riguardo, Savitri Devi scrive: «Ho visto questo documento. L'ho letto e riletto, con gioia, con fierezza, in quanto aria, hitleriana e moglie di Sri A. Krishna Mukherji». In verità, non è possibile affermare quale fosse la natura di tali servizi, se essi avessero o no superato i limiti legati alla pubblicazione di una rivista bimensile tradizionalista, ma si ipotizza di sì, poiché dopo solo due anni di vita, quando poté dichiararsi definitiva l'evoluzione della politica britannica nei confronti del Reich, le autorità inglesi la vietarono severamente. Mukherji restò comunque fedele al Führer e alla sua memoria anche dopo la catastrofe del 1945, e Savitri Devi continuò a restare in contatto sia con i neo-nazisti di Germania, che con l'estrema destra italiana.

Capitolo XIV - L'Induismo filonazista: Savitri Devi

Nel suo scritto Souvenirs et reflexions d'une aryenne, Savitri Devi Maharani, vedova di Mukherji Krishna e fondatrice del Partito Nazionalsocialista dell'India, descriveva l'intera sua militanza religiosa e politica come Inesperienza d'una lunga vita, dominata da un solo stato d'animo - la nostalgia della Perfezione originaria - e consacrata a una sola battaglia: la lotta contro tutte le forme di decadenza». Questa breve frase divenne il manifesto per tutti quegli indù che leggevano nella missione del Führer una presenza avatarica.
A partire dalla seconda metà degli anni Trenta, Savitri Devi si recò in pellegrinaggio nei luoghi consacrati dall'ascesa del Nazionalsocialismo che avevano visto la manifestazione del nuovo Dominatore degli ariani: Linz, Braunau sull'Inn, Berchtesgaden, Monaco, Landsberg am Lech e Norimberga. L'itinerario si concludeva con la visita alle Externsteine, le Rocce del Sole, con una sublime preghiera che l'autrice rivolgeva all'Essere supremo che in lui si era manifestato: «A Lui-Lei-Esso, Che non ha nome. A Quello che è e permane, al di là delle forme, dei colori e dei suoni. A Quello, il pensiero del quale dà all'anima la serenità, senza cui non può esservi azione distaccata».
È alla luce di una tale religiosità che consistenti settori del tradizionalismo indù considerarono il fenomeno nazionalsocialista: un fenomeno che non si esaurì nel suo esteriore aspetto politico, ma che trovava la sua ragion d'essere in quella profonda dimensione spirituale che, se ignorata dagli occidentali, era invece lucidamente intuita dagli uomini della Tradizione, nelle Indie come nel Nordafrica, in Giappone come in Afghanistan o nei Balcani, ovvero in tutte quelle parti del mondo che avevano dato uomini ed energie a una guerra divenuta «santa».
Le considerazioni di Savitri Devi sull'« esoterismo hitleriano» gettarono nuova luce sui motivi per i quali alcuni indù vedevano in Hitler un avatara di Vishnu, motivi che erano essenzialmente gli stessi per i quali alcuni gerarchi musulmani - fra cui il Muftì di Gerusalemme, Amin al-Husseini - furono indotti ad attribuirgli il titolo onorifico di hajj (pellegrino alla Mecca) e a mettere - come dice lo stesso Führer in una sua «conversazione a tavola» del gennaio 1942 - «il suo nome nelle loro preghiere». L'idea della Provvidenza divina era saldamente radicata nella coscienza del Führer, il quale non dubitò mai del carattere provvidenziale rivestito dagli eventi più importanti connessi alle sue vicende. Nella prima pagina del Mein Kampf, ad esempio - laddove l'autore riferisce il suo luogo di nascita - Hitler si richiama esplicitamente alla Provvidenza. Addirittura di un «culto del Destino e della Provvidenza» si parlò nel lungo reportage di Joachim Fest, studioso del Reich e biografo di Hitler, anche se quest'ultimo non faceva che ridurre questa caratteristica altamente spirituale del Führer a una razionalizzazione di patemi d'animo.
Se Hitler poté presentare i tratti di un avatara lo dovette senza dubbio al ruolo «provvidenziale» che sembrò connettersi alla sua persona. Tale ruolo riuscì a soverchiare la sua stessa individualità, sicché il carattere avatarico della sua persona fu confusamente riconosciuto anche da qualche europeo. Il saggista e scrittore svizzero Denis de Rougemont, ad esempio, sostenne: «Alcuni pensano, per averlo provato in sua presenza, con una specie di brivido d'orrore sacro, che egli è la sede di una Dominazione, di un Trono o di una Potenza, come San Paolo designa gli spiriti del secondo ordine, che possono anche cadere nel corpo di un uomo qualsiasi e occuparlo come una guarnigione». Ancora, secondo i canoni tradizionali del pensiero ciclico indù, nella vicenda storica di Hitler si poteva leggere una evidente funzione: quella di prefigurare e anticipare il Restauratore universale (Kalkin Avatara, corrispondente al Saosyant, al Mahdi o al Cristo del Secondo Avvento).
Ma le prefigurazioni che appaiono fugaci, prima del compimento dei tempi cosmici, sono per loro stessa natura condannate al crollo e ad un esito tragico. Ciò risulterà evidente qualora si consideri il compito che al definitivo Soggiogatore delle potenze maligne è conferito dalla profezia islamica attribuita al Profeta Muhammad dalle fonti islamiche più autorevoli: «Il Mahdi spezzerà la croce e trafiggerà il maiale».
Molti teologi islamici leggono ciò intendendo che il Mahdi atteso abolirà il culto della croce, che nella prospettiva islamica è sentito come particolarmente idolatrico perché rivolto a uno strumento di supplizio, e colpirà la potenza contaminata e subumana del giudaismo, idealizzerà, cioè, quello che il Terzo Reich non è stato in grado di portare a compimento. In un senso analogo, nello spiegare la sua funzione avatarica, Krishna dice di se stesso: «Coloro che hanno la mente offuscata Mi tengono in dispregio, allorché sono entrato in un corpo umano, perché non riconoscono la Mia suprema realtà né riconoscono in Me il Signore Universale degli esistenti».

Capitolo XV - Le origini della razza e l'ideologia segreta

Le differenti componenti che sottintendevano l'ideologia occulta del Nazionalsocialismo non sono mai state apertamente dichiarate né se ne è mai avuta una visione sincretica e completa. L'unico momento storico-culturale del Nazionalsocialismo al potere in cui si è cercata questa sintesi è stato il decennio che va dal 1935 al 1945, a Wewelsburg, il castello dell'Ordine SS, all'interno della sezione Ahnenerbe sotto il comando di Heinrich Himmler.
I teorici appartenenti a questa sezione «culturale» delle Waffen SS erano Herman Wirth, Karl Maria Wiligut (alias Weisthor), Hans Horbiger, Friederich Hielscher (alias Bogumil o Bogo), e ancora Ernst Schäfer e Otto Rahn. Non è semplice ricostruire il puzzle del sistema ideologico, scientifico, magico e divinatorio del sistema Ahnenerbe. Negli anni più recenti sono stati pubblicati numerosi libri su Himmler e le sue SS, ma, nella maggior parte dei casi, è evidente un certo riserbo degli autori nell'affrontare le ambizioni politico-culturali di Himmler, nonostante queste ultime abbiano rappresentato un riferimento di notevole importanza non solo per la storia delle SS, ma anche per quella delle idee nazionalsocialiste.
Questa emblematica lacuna, ovviamente, non è imputabile a una penuria di fonti né sembra motivata da un disinteresse della ricerca, ma pare riflettere la direzione di un particolare principio storiografico. Dopo il 1945, infatti, appariva più importante rendere visibili le strutture del dominio nazionalsocialista e i meccanismi che lo resero efficace piuttosto che evidenziarne l'aspetto spirituale. In questo modo ci si limitò raccontare la storia dell'organizzazione e delle istituzioni, senza approfondire in che misura l'ideologia del Nazionalsocialismo avesse contribuito a formare le strutture interne ed esterne dell'apparato di dominio. Perciò è indispensabile, per una valutazione obiettiva delle gerarchie del Terzo Reich, la comprensione del cosiddetto Führerprinzip, strettamente legato alla concezione nazionalsocialista del mondo. La ricerca ha spesso ignorato di conoscere fino a che punto le massime del Nazionalsocialismo, ritenute dai critici vuote e prive di contenuto, avessero rappresentato un sommario del patrimonio di idee nazionalsocialiste ed etnico-tedesche degli ultimi cento anni e quanto esse, per la loro origine storico-spirituale, dovessero essere prese sul serio.
Uno dei temi fondamentali del pensiero e della ricerca delle Ahnenerbe era quello della dottrina della razza: nonostante venga tuttora considerato la parte culturalmente più debole degli studi portati avanti dall'associazione (si tratta di una dimostrazione forzata, da un punto di vista scientifico e storico, della legittimazione del razzismo ariano più rigido e intransigente), il concetto di razza su base biologica fu una delle componenti fondamentali della dottrina, anche se Himmler e i suoi uomini si mostravano soprattutto interessati a una definizione spirituale del razzismo ariano. Tutta la componente esoterica non derivata dalle tradizioni primarie (Sciamanesimo, Induismo, Islamismo, Germanesimo) venne quindi presto ripresa da una nuova sintesi di pensiero di chiara ripresa teosofica: le teorie della Blavatski, incentrate sul principio di mediazione tra il divino e l'umano, acquisirono da subito diritto di cittadinanza nelle pubblicazioni e negli insegnamenti esoterici delle SS.

Il termine Ahnenerbe ("Eredità Ancestrale") può risvegliare, a primo impatto, idee di un vago romanticismo: interpretazione non del tutto errata. Al contrario di quanto si pensi, non fu Heinrich Himmler a coniarlo. Esso proveniva dal repertorio spirituale dell'ideologo etnico Herman Wirth e presupponeva la ripresa, sul piano pratico e ideologico della vita quotidiana nazionalsocialista, del mitico mondo degli avi germanici. Eppure Wirth non fu il primo a parlare di Ahnenerbe. Già nel 1928 un'associazione omonima, un'«unione di aiuto in genealogia araldica», offriva i suoi servizi a tutti i tedeschi incensurati, per allacciare «al di là delle solite mete delle associazioni di tipo puramente genealogico, il legame necessario tra le ricerche genealogiche e la genealogia con la eugenetica, la genetica e la cura razziale». Nel 1936 prese vita una collana di scritti: Eredità degli antenati, lettura per l'insegnamento del tedesco e della Storia.
La parola Ahnenerbe corrispondeva, in senso più vasto al vocabolario etnico di quell'epoca, all'autosollevamento nazionale che riuscì ad esprimersi all'estero unicamente nel Terzo Reich. Poi la parola divenne parte integrante del pensiero nazionalsocialista, anche se non fu mai termine d'uso per la maggior parte dei tedeschi. Ma, a ragione, Martin Broszat, direttore dell'Istituto di Storia Contemporanea di Monaco, la abbinò alla già proverbiale espressione «Blut und Boden» ("sangue e suolo"), inserendola storicamente nell'«arsenale di fraseologia nazionalsocialista» e Walter Darre, ministro dell'Agricoltura del Terzo Reich, scriverà Nobiltà di sangue e suolo ispirandosi ai giuramenti magici che risalivano alle saghe nibelunghe.
La comunità per ricerche e insegnamento «Das Ahnenerbe» risale quindi al 1935. Si presentava come una società dotta che su ordinamento di Himmler si dedicava prevalentemente allo studio della protostoria germanica. Ciò determinò il carattere profondamente politico di tale associazione, che già prima della guerra contribuiva insieme alle SS e alla polizia a disseminare le basi del terrore nazionalsocialista.

Capitolo XVI - 1935: Le origini delle SS Ahnenerbe

Alla fine del giugno 1935, quando il cancelliere Adolf Hitler invitò a Berlino il movimento nazionalsocialista di Monaco per festeggiare la copertura del tetto del Haus der deutschen Kunst (Casa dell'arte tedesca), accadde un evento molto significativo per la politica culturale del Terzo Reich. La prima mostra, fortemente voluta dal Führer, si doveva svolgere sotto il motto «Mille anni di arte tedesca». Tra i numerosi ospiti d'onore mancava il capo delle SS del Reich, Heinrich Himmler, e questa clamorosa assenza era pienamente giustificata non tanto perché l'indomani egli avrebbe dovuto inaugurare la Grande Scuola per i capi delle SS a Brunswick, quanto perché l'1 luglio, negli uffici delle SS, avrebbe dovuto fondare, con sei persone d'idee affini, l'Associazione di Studi per Preistoria Spirituale «Deutsches Ahnenerbe».
La Società Ahnenerbe precede di molti anni la fondazione delle SS Ahnenerbe. Era un gruppo di studio legato al conservatorismo tedesco nell'ambito dell'archeologia, della poesia, della filologia e delle scienze linguistiche e delle tradizioni germaniche, nel tentativo di identificare e riesumare una linea di Germanesimo puro e ancestrale. Himmler se ne interessò moltissimo, ma all'inizio fu, per così dire, snobbato da questi studiosi. In seguito, con la presa del potere da parte dei nazionalsocialisti, fu però in grado di cooptare la Società facendola divenire una delle sezioni delle neonate SS, divenendone il tutore politico, e reindirizzandone gli sforzi scientifici in maniera più funzionale all'espansionismo aggressivo del nuovo regime. Così Himmler, che nella struttura di potere del Nazionalsocialismo era uomo d'ordine e di polizia, introdusse nel neonato Ordine le componenti spiritualistiche e superomistiche sconosciute, perlomeno in forma consapevole, ai nazionalsocialisti della prima ora.
Le Ahnenerbe mantennero indubbiamente un primato, per ampiezza di ricerche e sforzi profusi nel sostenerle, rispetto alle altre due componenti culturali del Nazionalsocialismo: quella di Alfred Rosenberg, cioè la Sezione culturale del Partito Nazionalsocialista, e quella di Joseph Göbbels e del suo apparato di propaganda. Queste due associazioni ebbero indubbiamente grandissimo impatto e visibilità all'interno dell'intero sistema, ma non di certo la profondità di campo e la visione storica degli studiosi assoldati dalle Ahnenerbe. Le Ahnenerbe funzionarono dunque e sempre come un vero e proprio Ordine esoterico, Ordine che non aveva alcun interesse ad apparire a livello di comunicazione di massa. Se ne guardarono bene, sia durante gli anni del regime, sia durante i lunghi decenni del dopoguerra in cui continuarono ad operare di nascosto.
L'incarico di coordinare le ricerche alla fondazione delle Ahnenerbe venne conferito da Himmler direttamente a Herman Wirth (1885-1981), poeta e letterato amburghese che, appassionato della cultura nordica riprese la tradizione dell'Edda, reinterpretandola in chiave nazionalsocialista, e si interessò allo studio e all'interpretazione delle rune. Wirth, sotto indicazione di Himmler, che voleva aprire le Ahnenerbe alla magia operativa accentuandone il carattere di vera e propria setta iniziatica, fu affiancato dall'austriaco mago e astrologo Karl Maria Wiligut, in arte Weisthor, che si dedicava principalmente alla pura divinazione e alla magia nera. Egli era in contatto con la Loggia del Vril a Berlino e con Aleister Crowley a Londra, e millantava addirittura una discendenza eroica e semi-divina. Wiligut creò una serie di nuovi simboli nazisti che avrebbero dovuto sostanziare esotericamente la potenza degli eletti: a lui si attribuisce la creazione dell'anello delle SS e di una serie di altre suppellettili e fregi iniziatici. Ma l'astro di Weisthor era destinato a tramontare in un clima di congiura cui non fu estranea l'influenza del filosofo italiano Julius Evola. Quest'ultimo odiava a morte Weisthor, perché costui gli aveva precluso l'ammissione nelle Ahnenerbe tra il 1939 e il 1940, criticandolo, sia nelle sue pubblicazioni sia nelle conferenze che aveva tenuto a Berlino, in quanto troppo filo-romano, quindi latino e potenzialmente antigermanico. Evola lo ripagò facendo giungere a Himmler la notizia che Weisthor aveva fornito dati falsi nel suo giuramento di ammissione alle SS (in realtà la sua città natale sarebbe stata Bolzano e non Vienna), e Himmler se ne ebbe talmente a male da espellerlo dalle SS, condannandolo all'oblio (e alla follia, che presto lo assalì). Da quel momento fino alla fine della guerra, data dello scioglimento ufficiale dell'Ordine, capo delle SS Ahnenerbe fu Himmler stesso.

Herman Wirth
Nato a Utrech nel 1885, Herman Wirth fu considerato il vero padre del progetto dell'Ahnenerbe. Gli studi di germanistica e di storia della musica compiuti all'università di Lipsia presto lo fecero approdare ad una Weltanschaung di stampo nazional-romantico, il cui nucleo era costituito da valori etnici tedeschi e tesi pangermaniste da estendere su tutta l'Europa. Dopo una breve carriera come lettore di filologia olandese all'università di Berlino, entrò nell'esercito tedesco come volontario, per poi ritornare, nel 1929, alla cattedra di professore di germanistica. Meta politica e scientifica dei suoi studi era la "rivitalizzatone e il rafforzamento" della pura spiritualità tedesca, volutamente messa a confronto con la tradizione liberistica. Ma ben presto il suo orizzonte spaziale e temporale si allargò, con l'ipotesi di una grande sfera culturale attorno al bacino Nord-atlantico, basata sulla rinascita della razza nordica e sulla liberalizzazione dell'umanità dal castigo dell'era moderna. Perciò, già negli anni Venti, aderì al Nazionalsocialismo, venendo a contatto con Hitler. Compreso lo spirito del tempo, e su invito del governo regionale di Mecklenburg, Wirth fondò nel 1932 un istituto di ricerca sulla storia primitiva spirituale a Bad Doberan. Tale istituto, secondo lo stesso Wirth, rappresentò la forma preliminare della futura associazione dell'Ahnenerbe.
Dopo un breve periodo di ostracismo alle sue dottrine da parte della critica, Wirth ebbe modo di riscattare, nel 1934, la sua posizione di studioso frustrato attraverso l'incontro con Heinrich Himmler. Quest'ultimo, infatti, lo mise a capo delle SS Ahnenerbe, accanto a un personaggio assai inquietante, l'austriaco Karl Maria Wiligut, in arte Weisthor.

Altro personaggio di grandissima influenza nelle Ahnenerbe, e destinato a salvarsi al Processo di Norimberga (al quale fu solo convocato come testimone), è Friederich Hielscher, che in molte foto ufficiali di manifestazioni dell'Ordine Nero vediamo, unico tra i membri, non in divisa. È a Hielscher che si deve, come testimoniato da Ernst Jünger nei suoi diari di guerra, la codificazione di una vera e propria ritualità religiosa e iniziatica delle Ahnenerbe. È lui, secondo molte fonti dirette, il vero «Grande Falconiere», il vero ispiratore della politica culturale di Himmler e delle Ahnenerbe.

Capitolo XVII - La vita a Wewelsburg

Nel 1934 Himmler scelse, come sede dell'Ordine delle Ahnenerbe, il castello in rovina di Wewelsburg, nel Nord-Ovest della Germania. Rivisitando in chiave strettamente germanica la tradizione cavalleresca del popolo dei Franchi, egli decise di farlo restaurare sull'esempio del simbolico castello di Re Artù, restauro che consistette, ovviamente, anche nell'inserimento di tutta la simbologia ripresa dal nuovo Ordine iniziatico, come l'antichissima icona della Schwarze Sonne ("Sole Nero"), che da allora è uno dei simboli più ripresi dalle correnti esoteriche di destra. Particolare rilievo assunse la collocazione geomantica del castello, che aveva la forma di una freccia diretta verso Est, e che si considerava parte di una rete di monasteri e castelli di matrice benedettina, collocati in posizioni simboliche importanti (come nel caso di Montecassino).
I dodici principali leader delle Ahnenerbe si riunivano nel castello di Wewelsburg, e avevano ciascuno una propria stanza. La simbologia numerica ripresa nelle loro riunioni, in cui si traevano auspici e vaticini dalla lettura delle volute di fumo di fuochi rituali, voleva riproporre il cerchio dei Dodici fedelissimi della Tavola Rotonda arturiana. Himmler stesso si propose come reincarnazione di Enrico I (il sovrano che nel 1936 avrebbe simbolicamente compiuto mille anni e che Himmler fece rievocare con importanti cerimonie ufficiali).
A Wewelsburg, isola cattolica in terra protestante, il capo delle Ahnenerbe voleva selezionare la nuova élite dei suoi fedeli SS: non più solo guardie del corpo, così come erano nate, ma qualcosa di più, di differente. Secondo lui, Wewelsburg era destinato a diventare il centro non solo geografico e ideologico dell'Impero, ma anche del potere del nuovo mondo, se a guerra finita i vincitori fossero stati tedeschi.

Il Valhalla
Nel mito nordico il Valhalla era la dimora sotterranea dove venivano portati dalle Valchirie i morti caduti in battaglia. Era sito nello Asgard, la sede ultraterrena degli Asi, gli dei sovrani. Davanti all'ingresso del Valhalla c'era un bosco, chiamato Glasir, i cui alberi avevano foglie d'oro e un cancello, il Valgring, di difficile apertura. La grande sala del Valhalla aveva aste di lancia come pilastri, scudi al posto delle tegole, panche cosparse di corazze e in essa si aprivano 540 porte per ciascuna delle quali passavano affiancati 800 Einherier, gli eroi caduti. Davanti alla sala pendevano i due simboli guerreschi di Odino: un'aquila sospesa e un lupo impiccato alla porta occidentale. Per gioco gli Einherier combattevano ogni mattina ferocemente tra loro, ma a mezzogiorno le loro ferite già erano risanate ed essi sedevano a banchetto, presieduto da Odino, consumando il grasso del cinghiale Sährimmer e bevendo il Met, l'idromele che le Valchirie porgevano loro nei corni capaci.

Quello che oggi resta da vedere sono solo alcune testimonianze di questo diverso sistema di vita: piatti, brocche, posate con rune e svastiche incise. Ma in questo particolare castello-museo, qualcosa di più inquietante è rimasto: il Valhalla, il sotterraneo voluto dallo stesso Himmler. Dodici piedistalli su cui stavano ritte dodici SS. Lo stesso numero, magico, è quello dei dodici iniziati seduti al piano di sopra. Dodici mesi, dodici discepoli, dodici ufficiali-comandanti a Wewelsburg. E uno, l'unico non in divisa militare: Hielscher.

Capitolo XVIII - La struttura iniziatica delle Ahnenerbe

Non vi era, perlomeno ufficialmente, un vero e proprio rituale di iniziazione per entrare nelle SS Ahnenerbe. Il circolo più interno di questo Ordine, comunque, era costituito da non militari, cioè da una rete di scienziati e di esoteristi preesistente al Nazionalsocialismo (e che avrebbe continuato ad operare anche in seguito). Ovviamente vi erano vari livelli di appartenenza all'Ordine, e non sempre le persone di maggiore spicco erano quelle più visibili, o quelle che indossavano una divisa delle SS. Si poteva far parte delle Ahnenerbe in quanto studiosi di materie umanistiche, scienziati, linguisti o anche come tipografi: i libri dell'Ordine venivano stampati infatti solo in poche e selezionatissime officine tipografiche abilitate, con procedimenti speciali di cui rimane oggi traccia solo in alcuni filmati d'archivio. Come abbiamo visto con Friederich Hielscher, si poteva avere un ruolo importantissimo nell'Ordine pur non appartenendo ufficialmente a nessun grado militare. Si può dunque ragionevolmente parlare di un gruppo esoterico-iniziatico «a monte» dell'intero processo scientifico di ricostruzione delle matrici ancestrali, un gruppo di cui la SS Ahnenerbe sarebbe diventata poi un'espressione storica e militare. Alcuni membri della Ahnenerbe, ad esempio, non erano neppure iscritti al Partito Nazionalsocialista.
Della cerchia più ristretta dell'Ordine facevano parte Heinrich Himmler, Ernst Jünger, Armin Moehler, Friederich Hielscher, Wolfram Sievers, Karl Maria Wiligut detto Weisthor, il professor Havenbeck, Herman Wirth e Otto Rahm. Vi era poi la struttura ufficiale, di carattere militare, seguita da una amministrativa e logistica, che organizzava e gestiva le missioni di studio, l'acquisizione di libri e di reperti archeologici. Le missioni erano supportate da giovani ufficiali e altri militari, ma di fatto erano organizzate e programmate dagli studiosi delle varie discipline. La scelta delle Ahnenerbe ricadeva ovviamente su studiosi particolarmente vicini al Nazionalsocialismo, ma quando il valore della persona era particolarmente rilevante non si escludeva la possibilità di fare ricorso a scienziati del tutto estranei alla politica del regime.

Per quanto riguarda invece la cerimonia della «prima iniziazione», di certo si sa che si bevevano gocce del sangue di Hitler, o di altri leader, «potentizzate» secondo gli insegnamenti di Steiner, amico di Rudolf Hess. Tramite procedimenti speciali, come poteva essere l'uso di acqua distillata «potentizzata», si riusciva infatti creare una magica comunione con la natura, che Faust e gli alchimisti già utilizzavano per attirare, ammaliare, o repellere gli altri esseri, umani e non.
Dai documenti segreti di cui si è in possesso si attesta che nel Valhalla, in questa stanza sotterranea nella biblioteca del museo, avveniva una cerimonia, in particolare «La Prima Cerimonia dell'aria soffocante». Qui dodici militari sull'attenti davano fuoco, a ogni cambio di stagione, a una bandiera (molto probabilmente una delle bandiere che Hitler battezzava simbolicamente con il sangue), unita a quella dei primi morti del Nazionalsocialismo. Il battesimo delle bandiere era un rito di unione con il sangue collettivo: tutti partecipavano. Qui, secondo un vecchio rito taoista, i dodici militari e i dodici segreti che stavano al piano di sopra, leggevano, vaticinando il futuro, le volute di fumo che passava attraverso la grata forma di svastica del soffitto del sotterraneo. Qui si sedevano i dodici iniziati: Himmler, Hieschler, Taubert, Weisthor, Wirth, e altri. Ma purtroppo non sappiamo molto delle loro attività.
Molti di questi riti iniziatici presupponevano l'uso delle rune. Nel Nazionalsocialismo l'oracolo delle rune fu sostenuto, all'interno dell'Ahnenerbe, soprattutto da Wirth e dal professor Havenbeck, i quali prediligevano l'aspetto nordico dell'occulto (mentre Hieschler era un grande conoscitore dell'Oriente). Quello che risulta è che anche le SS utilizzavano le rune per sviluppare un sistema di meditazione di Yoga Runico.
Le rune corrispondono ai Chakras, le ruote, i centri occulti di energia che sono dentro di noi, paralleli agli organi fisici ed erano fondamentali per la creazione del Sonnenmensch, l'uomo-sole, per il passaggio dall'Uomo al Super-uomo. L'uomo eterno. «Questa è gente immortale nel vero senso della parola. Sono i morti viventi. Sono passati attraverso la morte mistica», disse Himmler presentando a Rosenberg alcuni membri dell'Ahnenerbe, a Wewelsburg, nel 1937.

Capitolo XIX - Le altre anime delle Ahnenerbe

Tra i componenti delle SS Ahnenerbe, una delle figure di maggior richiamo era sicuramente «l'anima romantica» di Otto Rahn, che dedicò gran parte dei suoi studi alla rivalutazione dei miti dei Catari, dei Templari e del Santo Graal. Fu lui a suggerire ad Hitler di portare nel sotterraneo del talario del Partito di Norimberga, il giorno dell'Anschluss, la lancia di Longino: apparteneva al tesoro degli Asburgo e si diceva che fosse la lancia che trafisse il costato di Cristo, e che si bagnò del suo sangue. Fu ritrovata, per puro caso lo stesso giorno in cui Hitler si uccideva a Berlino.
Ma chi era il vero regista di tutto il sistema?
Così come lo scrittore occultista Dietrich Eckart, negli anni Venti, scrisse di Hitler: «Lui canterà e ballerà, ma io ho scritto la musica...», tante testimonianze reticenti, ma fortemente allusive, conducono a un nuovo personaggio: Friederich Hieschler, il «Bogo» dei racconti del suo amico del cuore Ernst Jünger. Nel libro Le scogliere di marmo, il personaggio di Bogo è alla pari, se non superiore, a quello di Kniebolo, che poi è Hitler stesso. Bogo è la figura misteriosa che suona Bach all'organo, quando tutto è finito, come lo descrive Marc Auger, il tenente Saint-Loup della SS Charlemagne, a cui Bogo aveva confidato nel 1951, che la rivelazione del grande segreto del Graal sarebbe apparsa da un contenitore del ghiaccio austriaco di Zillerthal: i ghiacci, cioè, si sarebbero sciolti quando, dopo cinquantanni dalla morte di Hitler, ci si sarebbe resi conto che era lui il vero vincitore, quando l'Unione Sovietica avrebbe ceduto e tutto l'Occidente ne sarebbe stato sconvolto. Hielscher era il Re del Mondo, colui che in abiti civili avrebbe comandato tutte le armate per il cambio dei tempi: le armi falliranno, ma l'idea dopo vincerà: parola di Ernst Schäfer (1938).
Il periodo che va dal 1935 al 1939 fu una stagione densa di ricerche, pubblicazioni per la costruzione e il consolidamento di un potente sistema ideologico-dottrinario. Lo scopo ultimo era creare il Sonnenmensch, l'uomo-sole immortale, ed Erfurt, Bad Tölz e Wewelsburg furono i castelli dell'Ordine dove Hielscher e il suo braccio destro Himmler, assieme ai vari luogotenenti, compirono la Grande Opera. Dopo il 1931 l'adempimento di tali funzioni divenne il vero impegno dell'associazione Ahnenerbe. Dalla minaccia del terrore alla sua applicazione il passaggio, sappiamo, fu breve: l'associazione di ricerca fece esperimenti con detenuti e provocò la deportazione di singoli ebrei in campo di concentramento, entrando così nella sfera del crimine reale. Fu proprio in questo momento che la società delle SS Ahnenerbe si trasformò in uno degli strumenti più sicuri della dittatura criminale di Hitler.
Fino al 1939 Otto Rahn riceveva finanziamenti e appoggi per la sua ricerca del Graal, in Francia, al Montsegur, ed Ernst Schäfer andò in Tibet dal Dalai Lama per creare un fantasmagorico Erbario degli altipiani tibetani. Entrambi rifiutano il loro ruolo di vere e proprie spie sia in Francia sia in Tibet. Rahn scompare - suicidatosi? - Schäfer cerca di farsi dare una missione in Sudamerica sul lago Tihuanaco. Lo scoppio della guerra si direbbe prematuro nel piano elaborato da Hieschler. Nei primi anni svolge un continuo andirivieni con Parigi, dove poi dà incarico al suo amico e discepolo Ernst Jünger di insediarsi coadiuvato dal fedelissimo Stubert. Qui ricontatta i vecchi amici dello scomparso Rahn. I francesi Marques-Rivière e Guyedan de Roussel, che erano insieme a Rahn nella setta guenoniana dei Polari, diventano così i più validi collaboratori dei tedeschi nella campagna anti-massonica in Francia.
Hielscher era un grande nemico della Massoneria di rito scozzese che considerava degradata in quanto egualitaria e democratica. Il grande progetto fu così interrotto dalle sorti della guerra. Hitler è ormai in difficoltà. Il gruppo di Hieschler tentò un colpaccio: inviò il numero uno della Società Thule bavarese, Rudolf Hess, a trattare pace con i suoi referenti inglesi dell'altro suo gruppo segreto, la Golden Dawn, nocciolo del Partito Nazionalsocialista: la Loggia berlinese del Vril. Quello che avrebbe dovuto essere un incontro, si rivelerà, invece, un vero e proprio scontro. Hess restò in galera, Heydrich, altro delfino di Hieschler, capo della SD, Gestapo ed Interpol, il «Boia di Praga», venne ucciso dagli inglesi. Hieschler capì che lo scontro era insostenibile: la resa dei conti fu rimandata. Diminuirono le sue apparizioni in pubblico. Nel 1943 andò a Parigi, poi ancora a Wewelsburg. Nel 1944 scomparì per poi riapparire a Norimberga a guerra finita. Ma l'attività di Wewelsburg e degli altri centri dell'Ordine s'interruppe e i documenti andarono perduti in un incendio che però si diceva avesse bruciato solo «paglia, fieno e altre cose inutili». Il tesoro dell'Ahnenerbe si sparpagliò nel mondo intero: Germania, Austria, Spagna, Islanda e Sudamerica.
Solo due italiani risultarono, dai documenti custoditi nel museo, come ospiti ufficiali delle SS Ahnenerbe di Wewelsburg: Julius Evola e il capitano fiorentino delle SS italiane, Leale Martelli. Evola era molto vicino a questi ambienti, ed era l'unico intellettuale italiano ben visto nonostante il suo fanatismo enfatico per l'imperialismo pagano di Roma. Il suo pensiero era di gran lunga più affermato in Germania che in Italia. Leale Martelli, ha lasciato di sé un documento difficilmente reperibile: non è un testo occulto o esoterico bensì un manuale semplice e dettagliato dell'ideologia delle SS italiane. La formazione politico-militare della nuova Europa, stampato a Como nelle ultime ore di guerra, è un testamento allucinato e allucinante, un inno di non arrendevole necrofilia e al totale distacco dalla realtà. Ricorda l'inquietante sentimento di un determinato amor mortis come quello di Krimilde, nella saga dei Nibelunghi, dopo la morte di Sigfrido. La copertina di questa pubblicazione riporta la svastica alla rovescia.
Quello delle cosiddette «radici occulte del nazionalsocialismo» è un campo di studio talmente vasto da finire per assomigliare un po' a un labirinto, in cui è possibile fare sempre nuove scoperte. La pubblicistica di settore ha già sviluppato parecchi degli spunti che in questo labirinto è possibile trovare. Altri, forse, saranno qui trattati per la prima volta. Tra gli argomenti che finora non sono stati sufficientemente approfonditi vi è quello che potremmo definire del «germanismo psichedelico», intimamente legato alla riscoperta di forme pagane di religiosità. Protagonista principale di tale riscoperta fu proprio l'organizzazione delle SS, nel suo preciso disegno di ricostruzione delle radici «pure», pre-cristiane, della Germania e del suo popolo. La religione considerata «ariana» per eccellenza era il wothanismo, ed era dunque al wothanismo che bisognava tornare. Per evocare il dio Wothan era necessario, all'interno di un complesso rituale, assumere sostanze psicoattive, che si supponeva fossero in grado di conferire poteri psichici (in particolare di preveggenza e possessione) estremamente raffinati. Da qui l'interesse costante mostrato dalle SS per il recupero dell'antica sapienza botanica delle popolazioni ariane. La diffusione degli Arii in tempi antichi ha interessato un'area assai vasta, che partiva dall'Islanda e dall'antica Groenlandia (« L'Ultima Thule») e giungeva, passando tra l'altro dal Nord della Germania, fino alla Turchia. Jacques de Mahieu ha ipotizzato che popolazioni germaniche siano anche sbarcate in America prima di Colombo, spingendosi fino al Mato Grosso e all'Amazzonia. Secondo alcune ipotesi sarebbero stati questi esploratori i primi a scoprire le proprietà psicoattive di alcune erbe utilizzate nello sciamanesimo.
Il partito nazionalsocialista finanziò dunque parecchie spedizioni, tanto nell'area latino-americana quanto in quella indiano-tibetana, che partivano alla ricerca delle autentiche ed originali droghe sacre della tradizione. Droghe come lo yagè, una resina estratta da liane di alberi che, tra gli altri effetti, avrebbe quello di permettere il passaggio di personalità tra due individui che non si conoscono. Un prezioso documento di questa attività sotterranea sono i filmati di animazione di Fritz Arno Wagner. Ex-direttore della fotografia di Fritz Lang, in questi filmati Wagner rappresentava le esperienze psichedeliche fatte dalle SS durante le spedizioni in Tibet, Sudamerica e India. Nei filmati venivano introdotti anche dei messaggi subliminali, con una tecnica che verrà ripresa da Kubrick in Arancia Meccanica, rappresentanti tutto quanto di buono e desiderabile vi poteva essere in Germania (bambini, contadini al lavoro, ecc.).
L'Ahnenerbe portò avanti anche altre ricerche in campo botanico. Alcune di esse, sul territorio germanico, erano volte al recupero delle coltivazioni di un particolare tipo di mela da cui era ricavato l'idromele, la bevanda sacra a Odino. Altre, all'estero, si interessavano di sostanze psicoattive utilizzate in rituali sciamanici e in grado di conferire poteri psichici, il più importante dei quali era quello di possessione di corpi altrui. Lo stesso Himmler, in una lettera a Sievers del 1942, dimostrerà di dare grande importanza a questo tipo di poteri affermando che, se la guerra fosse stata persa, i tedeschi avrebbero potuto ancora trionfare «possedendo» i loro nemici.

Capitolo XX - Tibet, India e radici esoteriche del Nazionalsocialismo

Molte furono le correnti ideologiche e mistiche di cui il Nazionalsocialismo si propose come elemento di sintesi. Ma la potenzialità del Sacro non era certo contenibile in un sistema gerarchico con delle divise e una semplice e rozza valenza di espansione. Mentre la stretta alleanza con il mondo islamico, che ha la sua espressione nella presenza a Berlino, per tutta la guerra, di Hayamin Husseini - il Gran Muftì di Gerusalemme - è soprattutto di tipo strategico, ben più profonde ed interessanti, dal nostro punto di vista, sono state le relazioni tra Nazionalsocialismo (non a livello di massa ma di ricercatori ed intellettuali) e religioni orientali: Buddhismo, Induismo e Taoismo.
Husseini rappresentava la sintesi già esistente, nella tradizione del mondo arabo, fra leader spirituale e politico. Si rivelò un buon elemento di propaganda e un astuto politico nella sua tattica di spostamento ciclico tra Italia e Germania. Lo hanno rilevato già dal punto di vista storicistico sia Coglia sia De Felice. Husseini rappresentava per il Nazionalsocialismo una sorta di «cugino ideologico» e anche, come spesso accadeva, un ottimo tramite per amplificare ideologie e creare basi e presupposti logistici nei territori controllati dalle forze britanniche. Dal punto di vista strettamente militare la più bizzarra delle formazioni SS fu la XIII Waffen Gebirgs Division, la Handschar, formata, nell'agosto 1943, da reclute musulmane di Croazia e Serbia. In questa divisione confluirono la Kama e la Skandenbeg albanese, il cui compito era stato quello di combattere i partigiani di Tito: avevano compiti tattici simili a quelli dei cosacchi nell'unione Sovietica, che arrivarono a fine guerra sino in Italia. «Mi affascinarono quando li vidi, da piccolo, a Gorizia, con i loro cavalli e colbacchi», ha raccontato recentemente Claudio Magris.
Fervente illustre tradizionalista fu poi Subbas Chandra Bose, che lavorò a stretto contatto con Husseini e con i giapponesi. Il suo legame con l'Italia passava attraverso l'ISMEO (Istituto di Studi per il Medio ed Estremo Oriente), nella persona del suo maggiore esponente, lo studioso Giuseppe Tucci, il quale viaggiò moltissimo in India e in Tibet, e per questo considerato, come Fosco Maraini (padre di Dacia), in Giappone, il commissario-culturale, l'ambasciatore «occulto» italiano, in Oriente. Bose, nato a Calcutta, fu un rigoroso sostenitore dell'interpretazione tradizionale vedica delle caste e dell'origine polare della razza ariana, d'accordo con il filosofo Otto Tilak. Era anche un fervente devoto della dea Kali (la Devi nera della distruzione che rappresenta la madre che mangia i suoi figli, alla fine del ciclo dei tempi). Bose ebbe una giovane biografa greco-francese, tale Savitri Devi, che a piedi scalzi e con lo sguardo rapito divulgò per anni i dettagli della sua vita (oltre a testimoniare quanto Hitler fosse affascinato dall'Oriente, da cui ricavò l'interesse per la dieta vegetariana).
L'Induismo filo-tedesco fu qualcosa di molto serio e radicato, non solamente riconducibile a fenomeni di moda. Con la scomparsa di Bose si accentuarono i legami con la filosofia orientale. Di fondamentale importanza era il parallelismo esistente fra la concezione della vita e della morte, fra tantrismo del culto di Kali in India - soprattutto nella zona limitrofa a Calcutta - e la venerazione implicita in ogni espressione simbolica del Nazionalsocialismo. Bose era molto stimato da Nehru e da Gandhi, che diffidavano di lui solo per il connaturato senso asociale e non-costruttivo di quella ideologia che derivava dal culto «nero», di magia tantrica «della mano sinistra», che riservava alla dea Kali.
Così lui e Tilak vennero estromessi dal movimento pacifista nazionalista indiano: il Partito del Congresso. Su una cosa però concordavano - e questo fu un tema di grande suggestione portato avanti da Bose e che lo avvicinava molto ai giapponesi: la sua avversione nei confronti della cultura occidentale in generale, considerata decadente, egualitarista, antielitaria anche nelle sue espressioni imperialistiche, soprattutto le più insinuanti e melliflue come ad esempio le campagne di «conversione» da parte dei gesuiti, equiparate al Demonio, il vero nemico, metafisico, degli ambienti più chiusi del mondo induista, taoista e buddhista.
Ernst Schäfer era figlio di un importante industriale di Amburgo. Ornitologo, era intenzionato a studiare soprattutto il Tibet. Già nel 1930-32, da studente, e poi nel 1934-36 aveva partecipato alle spedizioni dell'americano Brook-Dylan. Quando nel 1937 si preparava per la successiva spedizione in Tibet ebbe una proposta da Himmler di lavorare con Wust e Sievers per lo sviluppo della razza ariana nel progetto Ahnenerbe. Si discusse la spedizione in Tibet nell'ambito del progetto Ahnenerbe sotto la guida di Himmler. Schäfer, nonostante non fosse affatto contrario al Nazionalsocialismo, era troppo cosmopolita, grazie alle tante esperienze all'estero, per accettare qualsiasi ordine nazionalista. Vedeva la proposta di Himmler con un certo scetticismo. Si fece però convincere che in tempi di una dittatura nazionale, l'appoggio del Reichsführer-SS per viaggi di ricerca all'estero fosse una condizione per riuscire a realizzare il progetto. Presto però nacquero tensioni personali tra Schäfer da un lato e Sievers e Wust dall'altro. Inoltre ci furono problemi finanziari che sembravano irrisolvibili e così il progetto «SS Spedizione Schäfer» fu interrotto e cancellato. Ma nel 1939 Schäfer ebbe dal Reichsführer-SS una missione speciale per la quale doveva controllare gli inglesi nelle loro colonie tradizionali in Russia e in Oriente, e soprattutto in Tibet. Insieme al ricercatore svedese Sven Hedin, che nella Germania di Hitler era molto popolare, trasformò, nel 1943, il reparto Ahnenerbe dell'Istituto del Reich, in un ente indipendente, con il nome di «Istituto Hedin per l'interno dell'Asia e spedizioni». Dopo la guerra, Schäfer sostenne che questo Istituto non aveva mai avuto a che fare con il progetto Ahnenerbe.

Capitolo XXI - Friedrich Hielscher

Friedrich Hielscher, nato nel 1902, lavorò nel corpo dei volontari. Era nazionalrivoluzionario e voleva ritornare ai valori del grande Impero germanico. Sosteneva che la massa anonima tedesca era condannata alla rovina e credeva fermamente nella diversità. Pubblicò le sue tesi nella rivista «Das Reich» e nel suo libro omonimo, difendendo la formazione di leghe tra le diverse tribù con le loro caratteristiche specifiche. Hielscher credeva nel sistema frazionato tribale, in un ritorno al Medioevo, periodo in cui popoli diversi, con diverse tradizioni, convivevano riuniti in una lega (Bund) e Hielscher era molto popolare fra i giovani. Istituì delle organizzazioni per la gioventù. Era in conflitto con Hitler perché le sue idee erano troppo distanti dalla sua idea di centralismo. Non credeva nella Gleichmachung, lo spirito illuministico che rendeva tutto e tutti uguali. Questa forma di differenza aristocratica per caste l'aveva ereditata dai suoi studi orientali, ma le sue idee spesso risultavano fantastiche e poco logiche per il pensiero occidentale. L'unica cosa che avrebbe voluto per tutto il popolo germanico era di creare un'unica religione con un solo apparato. Le caratteristiche di questa futura religione però sono molto oscure. Si sa solamente che non aveva nulla a che vedere con quelle già esistenti. Era membro della Triade, la società segreta cinese che contattò nel suo viaggio in Cina negli anni che vanno dal 1912 al 1918. Un documento eccezionale è lo studio della geomanzia, tema ripreso da Hausofer per i suoi testi di geopolitica.
Ma cos'è la geomanzia cinese? Lo abbiamo chiesto, a Hong Kong, al Dottor Lai, il più grande esperto della materia.

Dott. Lai, ci può spiegare esattamente cos'è la geomanzia?
La geomanzia deriva dall'antica tradizione cinese: unisce il cielo, l'uomo e la terra. Nell'antica tradizione cinese serviva a proteggere e a guidare la famiglia reale. Questo fino alla dinastia Ming. Si tratta dunque essenzialmente di una forma di protezione per la famiglia, per l'individuo... La geomanzia si regge in base alle forze magnetiche e gravitazionali. La sua funzione è quella di fornire aria fresca, acqua e sostegno. L'aria fresca rappresenta la salute, l'acqua simboleggia il denaro, il sostegno sorregge la nostra conoscenza, il nostro lavoro e tutto ciò di cui abbiamo bisogno... questo è quel che chiamiamo sostegno.

Che legame c'è tra la geomanzia e le religioni?
La geomanzia è legata al Taoismo ed è anche legata agli I Ching. Dunque è Taoismo e anche I Ching. La geomanzia quindi è strettamente connessa alla religione buddhista e a quella taoista: chiaramente comprende anche la teoria dello Yin e dello Yang e dei cinque elementi.

Per quel che riguarda invece il rapporto tra geomanzia e scienza, come si pongono l'una rispetto all'altra?
Dipende dall'oroscopo personale di un individuo, poiché ogni individuo nasce sotto un elemento diverso e la geomanzia si legge in base all'oroscopo e all'elemento. Gli elementi sono cinque: il legno, l'acqua, il fuoco, il metallo e la terra. Il geomante quindi deve basarsi sulla lettura degli elementi per poter inquadrare la situazione personale di un individuo. Così, si deve leggere la posizione, la posizione propria di un individuo, e poi, in base alla sua posizione personale, si può adoperare il compasso per stabilire quale parte o direzione o posizione sia positiva per l'individuo.

Questo vale sia per i vivi sia per i morti, i «Tan»?
Sì.

Il procedimento è lo stesso?
No, è diverso. Per i vivi si seguono le teorie dello Yang, mentre per i morti bisogna recarsi presso le loro tombe nei cimiteri e applicare le teorie dello Yin.

In questo caso, che differenza ce tra lo Yin e lo Yang?
In questo caso, con lo Yang, che è per gli uomini, per i vivi, si usa la forza magnetica. Mentre nei cimiteri usiamo il Drago, perché la sepoltura è nella terra... E poi, in base alla lettura delle montagne, si sceglie il punto dove seppellire il morto e dal quale questi potrà riflettere sulla propria generazione e su quelle future, il punto in cui sorge il sole e cresce l'erba.

La geomanzia riguarda anche il futuro delle persone, nonché la posizione delle case, degli edifici... come devono essere costruiti e anche come gli uomini possono viverci.
Sì, perché la geomanzia è come un albero e questo albero ha bisogno della terra. Quando c'è l'acqua, quando c'è l'aria, l'albero può crescere bene. La geomanzia è come un albero ed è per questo che se un edificio, o una casa, o un negozio, si trova in una buona posizione, coloro che dovranno vivere in quella casa o lavorare in quell'edificio avranno una sorte migliore.

L'albero è inteso come il simbolo della vita umana?
Sì. In generale queste persone vivranno più a lungo.

Lei pensa che gli edifici che non sono costruiti secondo i criteri della geomanzia possano essere abitati da fantasmi, o da spiriti maligni?
No. Se in un edificio o in una casa vi è un fantasma, uno spirito maligno o il male, si possono prendere dei provvedimenti, perché grazie al compasso possiamo sapere dove vive, dove si trova questo elemento negativo. La maggior parte dei geomanti impara la meditazione: essi sono in grado di dialogare con il fantasma, con lo spirito maligno, per scoprire cosa vuole, e così si possono prendere provvedimenti, costruire...

Ma il fantasma, il male, compare in un edificio perché quest'ultimo non è costruito nella giusta posizione, o per altri motivi?
Sì. I diversi aspetti della vita corrispondono ai vari gradi di un angolo di 360: la posizione che coincide con il quinto grado viene chiamato la «morte». Se la costruzione è rivolta in questa direzione sarà la meta di tutti gli spiriti, poiché questa è la posizione dei cimiteri e degli altari. Questa posizione non è adatta per la vita terrena. Se un edificio è costruito in questa posizione allora sarà abitato dagli spiriti.

Questo problema del male e dei fantasmi non è collegato agli studi sullo Yang, sul magnetismo, bensì a quelli sullo Yin. Qui a Singapore, che tipo di persona si rivolge a lei per imparare l'arte della geomanzia o semplicemente per delle consulenze?
Sono quattro anni che insegniamo geomanzia a Singapore e qui abbiamo circa 400 studenti. Offriamo consulenze quasi quotidianamente. A Singapore chiaramente vi sono moltissimi geomanti e, in media, ciascuno di essi ha circa cinque clienti al giorno. Non sono solamente i cinesi a consultarci, ma anche i malesi, gli indiani, gli stessi occidentali si rivolgono a noi. A Singapore, sono soprattutto i mediatori di borsa, o il Dipartimento per il controllo finanziario, o i costruttori di complessi.
La geomanzia quindi è un'antica conoscenza del canone taoista, ma vive ancora in Cina. È una forma di sapere arcaico, non così ripensato e sistematizzato, reso cosciente come in Oriente anche nel mondo occidentale: Stonehenge, le Piramidi, i monumentali Templi di Baalbek, nell'alta Beekaa in Libano e tutte le abbazie benedettine, che nel Medioevo venivano disposte sul territorio secondo una precisa geodinamica. Mentre per secoli la strategia espansiva era stata quella della dialettica Est-Ovest, il mondo islamico primitivo, quello che reinterpretava lo sciamanismo tribale a livello di sette già si muoveva, in una lettura geopolitica, nella dialettica di bipolarismo Nord-Sud.

Capitolo XXII - La produzione editorialie dell'Ordine

Non vi fu un singolo testo-guida, una Bibbia, per così dire, delle SS Ahnenerbe. Vi è però un corpus rilevante di testi sincretistici che furono espressamente creati dalle Ahnenerbe per fondare il loro progetto di riscoperta della matrice ancestrale. Su qualunque tema dovessero intervenire, infatti, Himmler e i suoi uomini preferivano produrre in proprio una sintesi affidabile e conforme ai loro obiettivi politici e dottrinali, piuttosto che affidarsi a documenti e pubblicazioni esterne. Vi sono così testi originali sugli eroi e gli dei germanici, sulla morte e l'immortalità, sulle dottrine orientali, sulle rivoluzioni comuniste, sulla Massoneria, sulle influenze ebraiche e massoniche sulla nobiltà europea. Altri testi riguardano la pedagogia e l'educazione spirituale dei fanciulli, la vita delle donne di puro spirito tedesco, e via dicendo. Vi sono poi libri di orientamento più pratico: manuali su come creare una struttura nazionale di risparmio che non generi l'usura, (considerata emanazione delle élite bancarie massoniche ed ebraiche), su come festeggiare il Natale, su come seppellire i morti. Addirittura su come incentivare e incoraggiare il lavoro della classe contadina tedesca e renderlo «mitico» in conformità ai rituali ancestrali (e rafforzare così quella fascia sociale che, pur resa debole dall'avvento dell'industrializzazione, doveva continuare a rappresentare le radici del popolo tedesco). Le Ahnenerbe intervenirono anche su temi di teoria economica generale, con una pubblicazione che postulava che in economia il valore deve essere basato esclusivamente sul lavoro e non sull'oro o sugli scambi puramente finanziari.

Tra gli archivi personali di Karl Maria Wiligut, Weisthor, il mago personale di Himmler, il suo consigliere e fiduciario per gli affari occulti, nonché suo factotum nelle SS Ahnenerbe nel castello dell'Ordine Nero di Wewelsburg, è stata però ritrovata una specie di «Bibbia segreta», ovvero un insieme di fascicoli rilegati in cui sono trattati moltissimi temi, i più disparati. Dall'insieme delle tremila pagine in filo gotico, alcuni capitoli sono stati messi in rilievo dallo stesso Wiligut con delle note e dei segni a matita. Da questi estratti risulta evidente quanto fosse stretto il legame tra le SS e la tradizione nordica e germanica in particolare, tale da perdersi nella notte dei tempi della arcaica cultura tellurica. Il segreto della potenza nazionalsocialista, dunque, doveva risiedere nel rispetto della natura, non nella sua utilizzazione.

Capitolo XXIII - Le iniziazioni, cerimonie di adesione e partecipazione ai riti del Nazionalsocialismo

Da sempre l'ingresso in una società segreta o in una setta di carattere iniziatico è stato sancito e convalidato da dei rituali d'iniziazione. Il nuovo adepto esce dalla vita quotidiana e, dopo una morte rituale, rinasce a nuova vita. Tribù, sette, religioni, ordini cavallereschi fin dagli albori dell'umanità hanno usato questo mezzo per raggiungere un obiettivo di trasformazione e trasmutazione dell'essere umano.
La grande novità iconoclasta del Nazionalsocialismo, e delle SS in particolare, al riguardo è stato l'aver spezzato un codice ritenuto fino allora universale: il religioso non doveva essere paritario al politico e soprattutto al razziale. Questa fu la loro grande eresia.
Per affrontare il tema dell'iniziazione all'interno del Nazionalsocialismo non si può prescindere da due considerazioni, la prima delle quali concerne il significato del termine «esoterico». Esoterico fa riferimento a qualcosa di nascosto: il linguaggio, gli atteggiamenti, i riti esoterici sono nascosti al mondo esterno e conosciuti solo da coloro che fanno parte dello stesso gruppo. Essoterico è invece il linguaggio cosiddetto comune, che gli stessi membri di un'organizzazione iniziatica, appunto, possono avere nell'atteggiarsi rispetto al mondo che li circonda. Quindi, in una società iniziatica, l'iniziazione indica essenzialmente l'uscita da uno status in funzione dell'entrata in uno status diverso. Dallo Sciamanesimo e dalle religioni più antiche provengono le originarie forme di iniziazione: l'iniziazione dei giovani, la pubertà, l'iniziazione di uno sciamano in una società tribale, come l'iniziazione in una società segreta, o l'iniziazione anche sacerdotale all'interno della religione cristiana. Anche all'interno del Nazionalsocialismo e soprattutto nelle SS - specificatamente nelle SS Allgemeine e non nelle Waffen, le SS combattenti - esistevano differenti riti e gradi di iniziazione.
Per quanto riguarda le SS, in sintesi: che siano state una società segreta è indubbio. Le SS erano una grande organizzazione (nella loro struttura generale, come Allgemeine SS), ma, in particolare per alcune loro frazioni interne, possono essere considerate senza nessun dubbio (e ci riferiamo anche ad una recente discussione in merito con la figlia di Himmler che è stata il patrimonio vivente di numerose conoscenze) un Ordine.

Capitolo XXIV - Hitler come guida religiosa

Fig. 11. Scolari tedeschi con i tipici pantaloni tradizionali di pelle Knickerbocker. La didascalia recita: «Quando contempliamo i nostri piccini e le nostre piccine, allora sappiamo per cosa combattiamo».

Fig. 12. Copertina del libro popolare "il libro della casa tedesco".

Fig. 13. Copertina del libro di Walter Wüst "Consapevolezza indogermanica", Ahnenerbe-Stiftung [Fondazione Ahnenerbe] Verlag, Berlino-Dahlem, 1942. Nel lavoro delle SS Ahnenerbe la ridefinizione terminologica delle discipline umanistiche in chiave pangermanica era fondamentale. Così, sull'onda di un ritrovato nazionalismo su base razziale, si preferiva parlare di «indogermani» piuttosto che di «indoeuropei»

Fig. 14. Copertina del volume di viaggi "Geheimnis Tibet" [Tibet segreto].

Fig. 15. Illustrazione del volume di viaggi "Geheimnis Tibet", che documenta le esplorazioni in Tibet di una missione della Ahnenerbe. Da sinistra a destra intorno al fuoco siedono: Krause, Wienert, Beger, Geer, Schäfer. Senza indicazione di data, pre-edizione in 100 esemplari numerati.

Fig. 16. Frontespizio dell'opera di Sven Hedin "Abenteuer in Tibet" [Avventura in Tibet, Brodhaus Verlag, Lipsia, 1933]. A sinistra un'immagine dello studioso svedese «vestito da contadino mongolo»

Fig. 17. Copertina del libro "Tod und Unsterblichkeit" [Morte e immortalità, Ahnenerbe-Stiftung Verlag, Berlino-Dahlem, 1940], una raccolta di passi indiani antichi, latini, nordici, tedeschi conclusa da un brano di Adolf Hitler, curata da Kurt Schrötter e Walter Wüst. In copertina il simbolo delle Ahnenerbe.

Ben lungi dall'essere una personalità completamente oscura, il Führer ha sempre avuto una sorta di seconda faccia quasi «femminile», con interessi romantici e vagamente decadenti. Ricordiamo, ad esempio, che uno dei suoi quadri preferiti era L'Isola dei morti di Böcklin. In modo perfettamente coerente con questo tipo di carattere, egli coltivò fin da giovanissimo un forte interesse per un esoterismo un po' à la page, fatto di frequentazioni prototeosofiche e attenzione verso leggende piene di mistero come quella della lancia di Longino.
Una volta giunto al potere Hitler dovette, almeno ufficialmente, prendere le distanze dal sottobosco esoterico in cui si era formato: per mantenere una Germania forte e unita sotto il suo controllo era infatti necessario trattare con cattolici e protestanti. Essi non avrebbero di certo potuto appoggiare un capo di Stato esoterista e mago. Intanto, però, Himmler e l'Ahnenerbe continuavano a lavorare, all'interno delle SS, a un'altra immagine del Führer, più che mai intrisa di misticismo e messianesimo. Era quella del leader para-religioso che fondava il mito dell'Uomo Nuovo, in grado di ricreare a propria immagine la Germania e il mondo intero.
Vi era, insomma, una sorta di «corpo doppio» di Hitler. Da una parte quello ufficiale, il capo di stato accorto, duro ma non brutale, sicuro di sé e innamorato del suo popolo. Dall'altra parte il Messia, il fondatore di un neopaganesimo superomista che avrebbe dovuto travolgere ogni altra spiritualità e ogni altra religione al mondo. Hitler, comunque, di per sé era immune dal rischio di divenire seguace dell'uno o dell'altro culto esoterico, in quanto considerava se stesso come un Eone messianico al quale era stata affidata la missione divina di salvare la Germania dal Male, incarnato nel giudaismo internazionale. Paradossalmente questa stessa matrice era improntata, per via di lasciti folcloristico-culturali, a un modello del «Salvatore» e del «popolo eletto» già fortemente giudaizzata. Il messianesimo iranico-giudaico quindi, dopo essere stato capovolto, veniva ora rimosso e rigettato come altro da sé.
Quel che Nietzsche aveva anticristicamente predetto verrà incarnato dal Führer, nuovo empito creatore per un mondo nuovo: il Verbo del Mein Kampf si fa carne in lui, ed egli annunciò se stesso come «sovrano della sinarchia ventura», come chakravarti e saoyshant, "unto del Signore", come maytra, "confortato" (così come si evince dagli scritti di Degrelle sul Reich millenario e dalle analisi di Savitri Devi Maharani, che riconosceva in Hitler lo swastika-Chakravarti, "volgitore della ruota celeste").
Non stupisce pertanto il fatto che egli si paragonò a Gesù Cristo. Il suo pensiero è prigioniero del riscatto dalla modestia piccolo-borghese che spense gli empiti liberatori della sua giovinezza in Austria, trascorsa fra modeste mancanze di riconoscimenti e frustrazione della vocazione del genio. Una volta sul finire degli anni Venti, mentre faceva schioccare la frusta che portava di solito con sé, disse: «Scacciare i Giudei mi fa pensare a Gesù nel tempio». Oppure: «Così come fu per Cristo, anch'io ho un dovere verso il mio popolo». Alla celebrazione di Natale nel 1920, egli sottolineò nuovamente il paragone tra la sua importanza storica con quella di Gesù. Cristo aveva cambiato la concezione del tempo e così avrebbe fatto anche Hitler: la vittoria finale sul giudeo sarebbe stata l'inizio di una nuova epoca nella storia del mondo. «Quello che Hitler aveva cominciato, Hitler avrebbe finito». Chiuso in una prigione utopico-ideologica, egli non riusciva a immaginare il mondo dopo di lui. Lo stesso Göbbels sostenne: «I tedeschi sono indegni del Führer, e senza di lui la Storia non è degna di essere vissuta».
Hitler ordinò inoltre che all'annuncio della sua morte venisse trasmesso il Gottesdämnerung di Wagner. In un discorso del 10 febbraio del 1933 parodiò il Pater Noster promettendo che sotto il suo governo un nuovo regno sarebbe venuto sulla terra e che questa sarebbe stata «la forza e la gloria, amen». E aggiunse che, se non avesse adempiuto la sua missione, avrebbe dovuto essere crocifisso.
A Hitler piaceva ricordare ai suoi seguaci l'importanza simbolica del 1919, anno in cui decise di intraprendere la sua missione. Raccontò un suo aiutante che, durante la degenza in un ospedale militare, egli aveva addirittura avuto una visione soprannaturale che gli ordinava di salvare la Germania. In un discorso ai comandanti generali delle Forze Armate, il 23 novembre del 1939, egli affermò: «Quando cominciai il mio lavoro politico nel 1919 lo concepii come una lotta eterna fra contrapposti principi. Dopo diventai un politico e cominciai la lotta contro il mio nemico». In fondo quella era una data importante: aveva trentanni, la stessa età simbolica del compimento dei tre gradi di Apprendista, Compagno e Maestro, la stessa età in cui Gesù Cristo cominciò la sua missione per salvare l'umanità dall'ipocrisia giudaica.
L'idea di idealizzarsi come una sorta di vicario di Dio e di identificarsi con il Cristo si manifestò in varie occasioni. Scrisse nel Discorso del 14 marzo del 1936, a Monaco: «Prendo la strada che la Provvidenza mi detta con tutta la fiducia di un sonnambulo». In quello del 31 luglio del 1937 a Breslau: «Dio ha creato questa gente ed è cresciuta secondo la sua volontà. Secondo la nostra volontà, rimarrà e non morirà». E in quello del 9 aprile del 1938, a Vienna: «Io credo che sia stata la volontà di Dio a mandare un ragazzo nel Reich, che è cresciuto per diventare il Führer della Nazione».
A Hitler non piaceva sentir dire che le strade di Dio non gli fossero state rivelate. Guai a contraddirlo nella sua funzione di interprete dei disegni reconditi della Provvidenza. Una volta un aiutante gli fece notare che «Dio non lascia la gente guardare nelle Sue carte». Hitler andò su tutte le furie fino al punto di temere un attacco cardiaco. Ordinò all'aiutante di non ripetere mai più quella frase offensiva alla sua «augusta presenza».
La sensazione autoipnotica che derivava dal ritenersi guidato dall'alto si intensificò col passare del tempo. L'11 settembre del 1935 disse: «Ciò che è stato negato a milioni di persone ci è stato dato dalla Provvidenza, e il nostro lavoro verrà ricordato dai nostri ultimi posteri». In un discorso nella sua città di Linz, il 12 marzo del 1938: «Quando una volta partivo da questa città, portavo con me la stessa confessione di fiducia che mi riempie oggi [...] Se la Provvidenza mi aveva chiamato per uscire da questa città [...] allora la Provvidenza mi deve aver dato una missione».
Le sue convinzioni si rafforzarono viste tutte le volte che sfuggì miracolosamente all'assassinio. Dopo la disfatta del complotto dei generali Wehrmacht del 20 luglio del 1944, affermò: «Ora l'Onnipotente ha fermato le loro mani un'altra volta. Non pensi anche tu che lo devo considerare come un segno del destino che intende preservare un compito per me?». Il suo cameriere lo ricordava molto calmo quando sosteneva: «Questa è una nuova prova che sono stato selezionato tra gli altri uomini dalla Provvidenza per guidare la Germania verso la vittoria. Ebbene sono stato salvato, mentre altri avrebbero dovuto morire: è più chiaro che mai che il destino della Germania è nelle mie mani».
La sua versione della storia umana era essenzialmente una mitologia del solipsismo religioso e dell'individualismo post-protestantico. Hitler credeva che un popolo tedesco puro fosse vissuto in un anteriore Giardino dell'Eden. Ma questa razza pura era stata attaccata dal Maligno Ahriman, il nemico delle forze messianiche, che sarebbe diventato il diavolo del Cattolicesimo, incarnato nella forma del giudeo errabondo e trasformista, ingannatore dei popoli europei. Diceva infatti in modo alquanto esplicito: «Il giudeo è la personificazione del Diavolo e di tutto il male». La logica conclusione era che annientando il judentum si cooperasse al lavoro dell'Onnipotente.
Nella teologia di Hitler, un peccato originale diverso sostituiva quello commesso nel Giardino dell'Eden biblico. «Il miscuglio delle razze è il peccato originale di questo mondo [...]. I peccati contro il sangue e la razza sono i peccati originali di questo mondo».
Pensava alla Guerra Mondiale per il Lebensraum in termini escatologici, e vedeva se stesso come il comandante delle forze del Bene che si appostavano ad Armageddon per combattere le forze di Satana: «Spesso mi sembra come se fossimo tutti messi alla prova da Satana: dobbiamo attraversare l'inferno insieme per poi raggiungere finalmente la vittoria definitiva».
Non considerava il Partito e il Reich come organizzazioni meramente secolari ma, al contrario di Mussolini, non sottoponeva le organizzazioni iniziatiche locali al controllo di partito, lasciando convivere ispirazioni esoteriche distinte. Se Mussolini brandì la Spada dell'Islam, facendo dono alla Moschea di al-Aqsa di alcune colonne in marmo di Carrara, Hitler riceverà dal Muftì Amin al-Husseini il titolo di «pellegrino onorario della Mecca». Nel Mein Kampf scrisse: «Considero quelli che fondano e distruggono una religione molto più grandi di quelli che fondano uno Stato, per non parlare di un partito». Anni dopo raccontò ai suoi seguaci: «Non siamo un movimento, siamo piuttosto una religione».
L'assetto istituzionale che ammirava come modello per il suo nuovo Ordine era quello della Chiesa romana antimodernista e controriformista, che lo aveva affascinato fin da ragazzo. Da giovane, infatti, fantasticava di diventare un abate e quando diventò Führer continuò ad avere della Chiesa cattolica una buona considerazione, tanto che essa fu di fatto l'unica potenza con cui egli negoziò mirando alla pace e non alla guerra. La Chiesa protestante, al contrario fu sottoposta al vecchio parroco amico, d'improvviso proclamato Vescovo Generale del Terzo Reich e primate della Chiesa Tedesca. In un incontro del 1930 riservato ai soli membri del Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori Tedeschi, presso la Casa Bruna, Hitler equiparò se stesso a un Papa e i suoi fedeli a un concilio di cardinali. Disse: «Pretendo, per me stesso e per i miei successori alla guida del Partito la rivendicazione dell'infallibilità politica. Spero che il mondo impari a rispettare questa rivendicazione come fa con le rivendicazioni del Santo Padre».
Si sentiva anche guida religiosa del mondo non-cristiano che intendeva conquistare. Scrisse nei Diari: «Diventare una figura religiosa. Presto sarò il grande capo dei Tartari. Già gli arabi e i marocchini includono il mio nome nelle loro preghiere».
Hitler vedeva dei paralleli perfetti tra il suo Ministero di Propaganda e Istruzione e la Congregazione della Chiesa per la Propaganda della Fede (Congregatio de Propaganda Fide). Osservava che il suo compito non era comunicare conoscenza «ma seria convinzione e fede incondizionata». Di lui narrano: «Vedeva i 25 articoli dello Statuto del Partito come il "dogma della nostra Fede e la rocca su cui il Partito è costruito"». La proclamazione del Reich millenario aveva ancora evidenti risonanze di religiosità rexista.
Gli piaceva anche parlare della «Trinità inseparabile» di Stato, Movimento e Popolo. Come segno e simbolo della sua organizzazione Hitler scelse un tipo particolare di croce e modificò personalmente il disegno dell'Hakenkreuz, la colossale Sala di Assemblea progettata per la sua nuova capitale della Germania, che, secondo lui, doveva essere vista come una cattedrale secolare piuttosto che come un palazzo civile. La cupola doveva risultare abbastanza larga per poter superare sette volte (numero favorito dal Destino) quella di San Pietro. Come ha notato Albert Speer: «Era fondamentalmente una sala di culto [...]. Senza questo significato sacro la motivazione per la struttura principale di Hitler sarebbe stata senza senso e ininteleggibile».
Ricordandosi delle istituzioni e delle idee che lo avevano influenzato, Hitler confessava che doveva molto al terrorismo marxista, ai Padri della Chiesa e ai Liberi Muratori. Ma concludeva sempre: «Soprattutto ho imparato dalla Compagnia di Gesù». Il giuramento di fedeltà al Führer ricorda in modo palese la formula del voto speciale di obbedienza che i gesuiti riservano alla persona del Papa. Hitler parlava delle sue SS come di un'«élite che porta il simbolo sacro ed è vestita di nero, allo stesso modo dell'Ordine ignaziano», ed esortava gli ufficiali a studiare gli Esercizi Spirituali di Ignazio di Loyola per esercitarsi nella disciplina della fede.
Lo stretto parallelo fra fede verso Dio e il sacro giuramento di obbedienza a Hitler è descritto in un articolo sul giuramento nel giornale nazista «Volkischer Beobachter»: «Una giornata storica come quella di ieri ha testimoniato la professione della religione del sangue in tutta la sua realtà imponente. [...] Chiunque abbia giurato la sua obbedienza a Hitler si impegna fino alla morte per questa idea sublime». Le intimidazioni di scomunica e anatemi che Hitler lanciava contro eretici e non-credenti erano molto simili a quelle scagliate da Gregorio VII contro i suoi nemici. Di quanti lo tradirono Hitler dirà: «Quelle persone hanno commesso un peccato, un peccato contro tutta la vita. [...] È un miracolo di fede che la Germania sia stata salvata. Oggi più che mai è compito del Partito ricordare questa confessione nazionalsocialista di fede e portarla come il segno sacro della nostra lotta e della nostra vittoria».
E come ogni sistema religioso, anche il Nazionalsocialismo ebbe profeti, santi e martiri. Il Führer infatti fece addirittura santificare i protomartiri nazionalsocialisti che erano caduti nel Putsch di Monaco. Secondo le sue parole la loro morte avrebbe portato a «una vera fede nella resurrezione del loro popolo. [...] Il sangue che hanno versato diventa l'acqua del battesimo del Terzo Reich».
Ad un certo punto della sua ascesa, Hitler sostituì ai giorni festivi tradizionali e religiosi quelli nazionalsocialisti. In particolare: il 30 gennaio, giorno in cui il Führer ascese al potere nell'«anno sacro di Nostro Signore, il 1933». Il 20 aprile, il suo compleanno, giorno in cui la gioventù hitleriana veniva confermata nella sua fede. Il 9 novembre, il "Venerdì Santo" del Partito, celebrato come il Giorno Testimone di Sangue del Movimento nazionalsocialista.
Hitler aveva pensato anche a delle Sacre Scritture per la sua nuova religione: e il Mein Kampf, sostituendo la Bibbia, ben presto prese il posto d'onore nelle case di migliaia di famiglie tedesche. I nazionalsocialisti lo raccomandavano addirittura come regalo di nozze per le giovani coppie.
Il parallelo fra Hitler e il Messia veniva istituzionalizzato nelle scuole tedesche. Il 16 marzo del 1934 gli scolari scrivevano il seguente dettato (approvato dal Ministero di Istruzione e Propaganda di Hitler): «Gesù è come Hitler. Così come Gesù ha liberato la gente dal peccato e dall'Inferno, così Hitler ha liberato il popolo tedesco dalla distruzione. Gesù e Hitler vennero perseguitati, ma mentre Gesù è salito sulla croce, Hitler è salito alla Cancelleria del Terzo Reich. Gesù combatteva per il cielo, Hitler per la terra tedesca».
La Lega delle Ragazze Tedesche sviluppò una nuova versione del Pater Noster che era una supplica non solo per il Führer ma a lui diretta come una divinità: «Adolf Hitler, Voi siete un grande Führer. Il Vostro nome fa tremare il nemico. Il Vostro Terzo Reich verrà, solo la Vostra volontà è legge per la terra. Fate sentire ogni giorno la Vostra voce e comandate come il nostro Führer, cui obbediremo fino alla fine e sacrificheremo persino la nostra vita. Vi lodiamo! Heil Hitler!». E ai bambini veniva insegnato a recitare questa preghiera prima dei pasti: «Führer, Führer mio, mandato a me da Dio, proteggetemi e mantenetemi per tutta la mia vita. Voi che avete salvato la Germania dal bisogno più profondo, Vi ringrazio oggi per il pane quotidiano. Rimanete al mio fianco e non mi lasciate mai, Führer mio, la mia fede, la mia luce. Heil, mein Führer!».
Canzoni popolari furono riviste e reinterpretate dai discepoli di Hitler, come nel caso del brano natalizio favorito del popolo tedesco, Stille nacht:

Notte silenziosa! Notte sacra!
Tutto è calmo. Tutto è gloria.
Oggi è il Führer che veglia su noi
E dischiude la gloria del Reich
Chiamaci per la battaglia
Pronti noi obbedirem.

È vero che, nel suo celebre testamento, il Führer fece appello agli Arii (compresi i non-tedeschi) «dei secoli a venire», esortandoli a «conservare puro il loro sangue», a combattere le dottrine sovversive - in particolare il marxismo - e a rimanere fiduciosi in se stessi e invincibilmente attaccati all'ideale aristocratico per il quale egli stesso aveva lottato. Il Partito Nazionalsocialista poteva essere sciolto, il nome del Führer poteva essere proscritto, i suoi fedeli braccati, costretti al silenzio, dispersi, ma l'hitlerismo, nutrito alla «fonte della conoscenza sovrumana» non poteva morire. Ed è pur vero che gli uomini del Supremo Consiglio dell'esoterismo nazista, l'Ahnenerbe, non furono, dopo il 1945, impiccati come criminali di guerra o uccisi a fuoco lento nelle segrete o nei campi di concentramento dei vincitori. Alcuni godettero di una strana immunità perfino davanti ai giudici del Processo di Norimberga. Forse alcuni di essi, tramite un altro Supremo Consiglio, quello di S. Giovanni di Scozia, furono recuperati all'Occidente in funzione anticomunista, e pronti nuovamente ad agire sul campo, già nel 1951, in occasione del Convegno svoltosi a Roma presso l'Hotel Parco dei Principi. La sezione dell'Ahnenerbe che si occupava in modo particolare di dottrine esoteriche aveva, secondo Andre Brissaud, «un eminente collaboratore nella persona di Friedrich Hielscher, amico dell'esploratore svedese Sven Hedin, di Karl Haushofer, di Wolfram Sievers, di Ernst Jünger e persino di Martin Buber, filosofo ebreo», uno dei padri sacri del Sionismo contemporaneo. Cosa vi è di strano in tutto ciò, dato che questo ebreo, il mite Buber, aveva raggiunto un certo grado di conoscenza nella metafisica pura e non svolgeva alcuna attività politica? D. H. Lawrence non scrisse da qualche parte che «i fiori si incontrano e mescolano i loro colori alla sommità»?

Se si vuole parlare della somiglianza spirituale esistente fra hitlerismo e Induismo non bisogna certo pensare alle filosofie della non violenza, distaccatesi dal tronco brahmanico, o alle sette indù dissidenti e protestantizzanti, ma al Brahmanesimo più antico e più rigoroso. L'uno e l'altro sono incentrati sull'idea di purezza di sangue e di trasmissione indefinita della vita sana - soprattutto della vita dell'élite razziale, della vita da cui può uscire l'uomo che la padronanza di se stesso eleva al rango di un Dio. L'uno e l'altro esaltano la guerra con un atteggiamento distaccato - la «guerra senz'odio», poiché «niente di meglio può capitare allo Ksautriya - o al perfetto guerriero SS - che un giusto combattimento». L'uno e l'altro propongono alla Terra - come fanno d'altra parte tutte le dottrine tradizionali - un ordine visibile ricalcato sulle realtà cosmiche e sulle Leggi stesse della Vita.
Il culto del Führer come «volgitore della ruota», prolungato nelle Indie a dispetto di tanta propaganda nemica al di là del disastro del 1945, è una prova di più - se ne occorreva una - che l'hitlerismo, spogliato da quello che la sua espressione tedesca può avere di contingente, si ricollegava, esso stesso, alla tradizione primordiale iperborea, di cui il Brahmanesimo sembra - per ammissione di Guénon - essere la forma vivente più antica. Esso vi si ricollega senza dubbio attraverso ciò che è, malgrado l'imposizione del Cristianesimo, sostituitosi in Germania ad una forma tradizionale molto antica e propriamente germanica, derivante da una fonte comune: dalla santa «Patria artica» dei Veda e dell'Edda. È impossibile dire con certezza in quale misura la Thule Gesellschaft fosse in possesso di questa eredità inestimabile, venuta dalla notte dei tempi. Senza dubbio alcuni suoi membri - come Dietrich Eckart e Rudolf Hess - lo erano. Uno dei tratti propri all'iniziato è la capacità dissimulare, tutte le volte che lo giudica conveniente ai suoi disegni, la collera, la follia, l'imbecillità ed ogni altro stato umano.
Ora il Führer si costringeva, lo dice lui stesso, a «sembrare duro». E i suoi troppo famosi eccessi di furore - sull'esistenza dei quali il nemico si è gettato con diletto, come su una fonte di ridicolo, sfruttabile ad infinitum - erano, secondo Rauschning, «accuratamente premeditati» e «destinati a sconcertare il suo entourage e a costringerlo a capitolare». Quanto a Rudolf Hess, la «commedia dell'amnesia», così magistralmente recitata al Processo di Norimberga, ingannò gli psichiatri più accorti. E il tono normale, talvolta anche vivace, delle sue lettere alla moglie e al figlio - sconcertante se si pensa alla sua lunga prigionia - basterebbe a provare la sua «sovrumanità» da iniziato. In effetti solo un iniziato poteva scrivere, dopo tre decadi passate in cella, nello stile leggero e distaccato di un marito e di un padre in vacanza lontano dalla sua famiglia per tre settimane.
Il Führer, con ogni evidenza, superò i suoi maestri della Società di Thule (o di altri centri sacri), ed è riuscito a sfuggire all'influenza che alcuni di loro - non si saprà mai precisamente quali - avrebbero voluto avere su di lui. Doveva farlo, essendo sovrano, e volendo mantenersi fedele alla missione di essere uno dei «Volti di Colui che ritorna». E se, improvvisamente, la guerra prese una piega irreparabile a Stalingrado (che, secondo alcuni, sarebbe stato il luogo stesso dell'antica Asgard, fortezza degli Dei germanici), era senza dubbio per il fatto che, per qualche ragione nascosta, così doveva accadere.
E il giovane Adolf non ne aveva forse avuto la rivelazione sotto il cielo notturno, sulla sommità del Freienberg, alle porte della sua cara città di Linz, all'età di sedici anni? La causa materiale immediata, o piuttosto l'occasione della svolta fatale non doveva essere un errore di strategia da parte del Führer, ma per un irrigidimento improvviso quanto infausto, nel suo atteggiamento di fronte all'avversario. Sigfrido, il superuomo, diede un tempo prova di una fierezza carica di conseguenze rifiutando, per non dare l'impressione di cedere alla minaccia, di rendere alle figlie del Reno l'Anello che apparteneva loro di diritto. Questo gesto avrebbe salvato Asgard e gli dei. Il rifiuto dell'eroe ne affrettò il crollo. Così come quello della tradizione, anche il nuovo Sigfrido, per non sembrare debole, rifiutò di sfruttare, come avrebbe certamente potuto fare, la buona volontà di quei popoli dell'Ucraina - antimarxisti, aspiranti alla loro autonomia - che avevano fin dal primo momento accolto i suoi soldati da liberatori. Che l'abbia fatto coscientemente, rendendosi conto che la perdita della guerra, scritta negli astri, da sempre, era una catastrofe necessaria alla Germania e all'intero mondo ario, che solo la prova del fuoco ha potuto purificare? Solo gli dei lo sanno.
La rapidità con la quale la Germania abboccò, dai primi anni del dopoguerra, all'esca della prosperità materiale priva di ideali, dimostra come, malgrado l'entusiasmo dei grandi raduni nazionalsocialisti, essa fosse stata liberata solo in modo incompleto dal suo confortevole moralismo umanitario e dal suo provincialismo piccolo-borghese, e come fosse stata insufficientemente armata contro l'influenza giudaica.
Friedrich Hielscher, già membro della Thule Gesellschalt, divenne poi un ufficiale superiore SS, svolse certamente un grande ruolo nell'attività esoterica dell'Ahnenerbe ed ebbe una grande influenza sul suo discepolo, Wolfram Sievers, Standartenführer SS e segretario generale di questo Istituto. «Nel momento del processo di quest'ultimo a Norimberga - continua lo storico delle SS André Brissaud - Friedrich Hielscher, che non fu perseguitato, venne a testimoniare in modo curioso: fece delle digressioni politiche per distogliere l'attenzione e tenne discorsi razzisti volontariamente assurdi, ma non disse assolutamente niente dell'Ahnenerbe. Nemmeno Sievers parlò. Ascoltò l'evocazione dei suoi "crimini" con un apparente distacco e si sentì condannare a morte con una indifferenza totale. Hielscher ottenne dagli Alleati l'autorizzazione ad accompagnare Sievers alla forca e fu con lui che il condannato recitò le preghiere di un culto di cui Hielscher non parlò mai, né nel corso degli interrogatori né nel corso delle udienze processuali».
Ci si può domandare quanti ex-SS, appartenenti come Hielscher a qualche sezione dell'Ahnenerbe, sfuggirono alla vendetta dei vincitori avendo salva la pelle.
Nessun libro come quello di André Brissaud o di René Alleau o di altri storici ufficiali fornirà mai, a riguardo, altre informazioni. Per gli autentici discepoli del Führer, sull'esistenza di una tale rete ultrasegreta non vi è alcun dubbio. La ragion d'essere di questa confraternita invisibile e silenziosa consiste - oggi come allora - nella conservazione di quel nucleo di conoscenza tradizionale sovrannaturale sulla quale s'incentrò l'hitlerismo.
Se la fede negli dei implica la conoscenza dell'ora inesorabile del loro crepuscolo, quest'ultimo è anch'esso ricompreso come transeunte ed effimero, non fine inesorabile di un mondo, ma preludio ad una rinascita ancor più possente e gloriosa. E il mito del secolo XX, ostracizzato, perseguitato e rimosso, ancora affiora prepotentemente alla coscienza di quanti si sentono votati a ciò che trascende l'umano. In questo senso Nietzsche scrive: «Laddove vi sono morti vi sono anche resurrezioni».

Capitolo XXV - E Hitler disse: «Si continua a combattere per l'Uomo che verrà»

Una notte del 1933, Hitler era in compagnia di Göbbels, Streicher e Hess, il quale voleva illustrare agli altri gli stupefacenti effetti delle erbe tibetane portate dall'esploratore Sven Hedin. Affrontando il tema della religione Hitler dichiarò in quella sede che per lui tutte le religioni erano uguali e che non avevano futuro. Affermò che senza dubbio avrebbe stretto dei patti con la Chiesa, come aveva fatto Mussolini in Italia, ma aggiunse: «Però, a lungo termine, questo non mi impedirà di tagliare definitivamente con le radici e i rami del Cristianesimo». Continuò dicendo che in realtà non avrebbe potuto scendere a compromessi, e che i tedeschi, a differenza degli italiani e dei francesi, non potevano essere al tempo stesso cristiani e pagani. I tedeschi dovevano respingere il Cristianesimo, ovvero la religione degli «stregoni del cielo» e adottare un credo poderoso ed eroico «negli dei della natura, negli dei del nostro popolo, nel nostro destino e nel nostro sangue». Per il Führer non era possibile fondere l'ideologia nazionalista razzista con il Cristianesimo. Il suo piano, appoggiato da Himmler, profondo conoscitore delle tecniche gesuitiche, era di voler «riconvertire» le tecniche rituali dei cristiani: la Chiesa aveva a suo tempo riadattato le feste pagane dando loro nuove interpretazioni e il Nazionalsocialismo a sua volta lo avrebbe fatto con quelle cristiane.
Hitler era convinto oppositore degli antichi miti nordici (in questo si contrapponeva a Himmler) e considerava inutile il semplice recupero del paganesimo dell'epoca precristiana. In più di un'occasione infatti attaccò il neopaganesimo di Himmler, considerandolo peggiore della Chiesa, quasi un ritorno al Medioevo. Odino è morto, scrisse Alfred Rosenberg, trasceso dal misticismo tedesco. L'azione di Hitler nei confronti del paganesimo fu però ambivalente: da una parte tollerò gli eccessi romantici di Himmler, dall'altra proibì espressamente la venerazione pagana in pubblico. Per cui la pratica di riti e culti pagani era limitata a piccoli gruppi segreti. Hitler sosteneva che sebbene i nazionalsocialisti dovessero «ripudiare l'intelletto», questo allontanamento non doveva prendere la forma di una riabilitazione ufficiale di un ritorno al culto di Odino. Questo spiega la persecuzione, ufficiosa ma non ufficiale, di odinisti professionali come Sebottendorff, Lebefels, Ebertin ed altri. Secondo Hitler costoro avrebbero dovuto convertirsi in futuro ad una «nuova religione», le cui radici dovevano affondare nella natura e nel sangue. Il nuovo Dio incarnato sarebbe stato lo stesso Hitler con i suoi monaci, le SS di Himmler. In questa sintesi fra magia e religione portata avanti dai leader nazionalsocialisti, Hitler si sostituiva allo stesso tempo al Dio cristiano e a Odino.
Il principale architetto teorico del piano destinato a minare il Cristianesimo era Alfred Rosenberg. Nel libro Il Mito del secolo XX egli espose la storia occulta dell'umanità e le radici della teoria razzista nazionalsocialista. Con lui la storia occulta dell'origine ariana si convertì in una giustificazione delle teorie nazionalsocialiste sulla cosiddetta Herrenvolk, la razza padrona e in base alla reinterpretazione della teoria indù del Varna, la divisione in caste, la razza bianca venne presto legittimata come privilegiata. Rosenberg aspettava con ardore il giorno in cui la Chiesa nazionale del Reich si sarebbe stabilita sopra le ceneri di quella cristiana: sarebbe venuto un Ordine nuovo, ovvero l'Ordine Nero SS:, i nuovi altari avrebbero sostituito la Bibbia con il Mein Kampf e la croce latina avrebbe lasciato il posto alla svastica. I leader nazionalsocialisti ne erano veramente convinti: Hess, Streicher e Rosenberg rimasero fedeli alla loro religione anche dopo il Processo di Norimberga.
Analizzando le teorie di Rosenberg, è interessante notare come continui siano i richiami alla religione mazdea e soprattutto all'eresia manichea. I manichei insegnavano che Dio e Satana avevano lo stesso potere ma che il vero creatore dell'universo era in realtà il Diavolo, visto che Dio era «troppo spirituale» per occuparsi di cose così materiali. Nonostante ciò il Nazionalsocialismo affermava di trascendere il Bene e il Male e che «gli angeli neutrali» erano esclusivamente attratti dal simbolo del potere massimo, il Graal. Questo spiega le tante missioni, apparentemente assurde, o quanto meno mai dichiarate, intraprese in suo nome dalle SS in tutto il mondo. Una tardiva conferma di tutto questo, nell'aprile del 1945, la si ebbe da Papa Pio XII, che dichiarò apertamente il Nazionalsocialismo: «l'arrogante apostasia di Gesù Cristo, la negazione della sua dottrina e della sua redenzione». Il Papa, che in realtà aveva definito anni prima il Nazionalsocialismo il male minore rispetto al comunismo, disse anche che Hitler stesso, in caso di vittoria, non avrebbe esitato a dirigere la sua esecuzione pubblica. Con i nazionalsocialisti al governo si effettuò una vera e propria campagna di attacco nei confronti della religione cattolica. Nonostante tutto, molti pastori protestanti ed evangelici inizialmente appoggiarono il regime.
Mentre Rosenberg e il suo Ministero dell'Educazione si occupavano dell'aspetto esoterico, quindi sociale e culturale della divulgazione del nuovo Verbo, le SS, e in particolare la sezione Ahnenerbe, furono incaricate di creare, con continui riferimenti all'occultismo cristiano e pagano, il vero sistema rituale per il futuro Ordine nuovo. La vita, inizialmente solo delle SS, poi in seguito di tutti i tedeschi, veniva scandita da un nuovo ciclo annuale di feste e celebrazioni. A cominciare dal primo giorno dell'anno, il 30 gennaio, giorno della presa del potere da parte di Hitler, seguito dalla commemorazione degli eroi in marzo, dal 20 aprile, compleanno di Hitler, dal primo maggio, festa del lavoro, dal solstizio d'estate (celebrato con l'accensione di falò su colline geomantiche pagane) e dal 9 novembre, la più solenne di tutte le feste, durante la quale venivano ricordati i combattenti del Putsch di Monaco del '23. In quel giorno, nel silenzio più totale, davanti a centinaia di migliaia di spettatori, ogni anno Hitler battezzava la bandiera intrisa di sangue delle prime vittime assieme a quelle provenienti da tutta la Germania. Infine, la festa nazionalsocialista che celebrava la fine dell'anno si chiamava Yule, e rimpiazzava il Natale cristiano, che a sua volta aveva soppiantato la festa del solstizio d'inverno. Fu Himmler, nel dicembre del 1936, ad inviare un messaggio a tutti i capi SS ordinando che la festa venisse celebrata ripristinando la tradizionale cerimonia delle luci di Yule. Secondo il comunicato la luce moribonda dell'anno vecchio, recuperata dalle fiamme dell'anno nuovo, simboleggiava la continuità della vita tedesca dai tempi antichi fino al futuro.
Più che su un modello militare di stampo antico, Himmler strutturò le SS sull'Ordine gesuita (in fondo egli proveniva da una famiglia di fede profondamente cattolica). Il fondatore dei gesuiti Ignazio di Loyola aveva stabilito una struttura di comando e di iniziazione che il generale seguì filo per segno. Venuto in possesso dei Vera Acta Gesuitica, testo scritto nel Settecento da un gesuita pentito e rivelatore di tanti aspetti misconosciuti all'Ordine stesso, Himmler coordinò le sue SS come ala religiosa all'interno del Reich, così come era stato l'Ordine gesuita in seno all'Impero spagnolo. Sebbene fossero ostentatamente ortodossi, i gesuiti avevano studiato dettagliatamente l'astrologia, la geometria sacra, la geomanzia e il simbolismo. Lo stesso fecero le SS riferendosi anche ai temi classici germanici, come dimostra la rivista interna «Germanien».
Come i gesuiti anche Himmler fece la sua inquisizione: la Gestapo infatti altro non era che uno strumento utile per ottenere ogni tipo di informazione. I gesuiti a loro tempo avevano dimostrato cosa poteva fare una organizzazione come la loro su una terra conquistata come la California: occupare una nazione ed assoggettarla per mezzo di un potere spirituale. Lo stesso si proponevano le SS di Himmler: un controllo psichico oltre che fisico nelle terre conquistate.
Il parallelo fra nazionalsocialisti e gesuiti era molto più profondo a livello di struttura e organizzazione dell'Ordine: il periodo di formazione di una SS ad esempio seguiva il modello gesuita secondo il quale l'ufficializzazione della nomina era preceduta da un noviziato di due anni fatto di di studi e di verifiche da parte di tutori. Inoltre, ai gesuiti che professano voti semplici corrispondevano nelle SS i soldati semplici della Waffen, a quelli che professano voti speciali e si consideravano eletti corrispondeva invece l'Ordine Nero della Allgemeine. Le fasi della candidatura delle SS erano ritualizzate e formalizzate come quelle di una società religiosa. Il 9 novembre il candidato di diciotto anni era accettato come richiedente, il 30 gennaio diventava «cadetto» e il 20 aprile diveniva SS permanente prestando questo giuramento: «Giuro davanti a te Adolf Hitler, guida e cancelliere del Reich tedesco, lealtà e valore. Giuro davanti a te, davanti ai superiori che tu hai designato, obbedienza sino alla morte. Che Dio mi aiuti ad essere all'altezza». Entro l'1 ottobre dello stesso anno l'individuo doveva imparare a memoria il catechismo delle SS, che ricalcando quello cattolico, estremizzava, con semplici domande e risposte, il ruolo messianico di Hitler. Identificando l'autorità istituzionalizzata con la volontà di Dio si creava così un sistema di autoritarismo assoluto. La struttura gerarchica delle SS, come in tutti gli ordini occultistici e religiosi, era suddivisa in tre gradi di iniziazione: i fratelli semplici, i sacerdoti e i sommi sacerdoti dell'Ordine Nero. Alla testa di questa élite ce n'era un'altra interna: Hitler era influenzato dai riti arcaici dei cavalieri teutonici di Barbarossa e del re Artù, e per questo, anche ad imitazione di Cristo, scelse i suoi dodici uomini migliori perché diventassero i suoi primi discepoli. Solo i migliori, secondo il Führer, potevano riunirsi col Barbarossa o nella Tavola Rotonda o al tavolo dell'Ultima Cena: uomini che, oltre ad eccellere nelle arti marziali, disponevano soprattutto delle virtù cavalleresche di forza, valore, lealtà. Anche la capacità di ragionare era necessaria così come l'obbedienza all'autorità superiore alla guida.
Come gli ordini medievali e di cavalleria, le SS avrebbero voluto creare e imporre un sistema feudale su quella che loro consideravano un'umanità inferiore. Himmler cercò di trovare a Est domini feudali per le SS. Come le SS, i Cavalieri teutonici si erano sforzati di sopprimere le nazioni non germaniche dell'Est. Altra analogia fra Ordine teutonico e SS era la burocrazia meticolosa, con tutti i dati di ogni membro, archivi finanziari, legali e dottrinari. I quartieri generali del comando dei Cavalieri Teutonici e quelli delle SS erano allo stesso tempo centri militari e religiosi. Castel del Monte in Italia per Federico II di Svevia e Wewelsburg per Himmler erano fortezze considerate dai geomanti come sedi favorevoli. Tutti i cavalieri erano dei mistici: anche Himmler aveva gli stessi riti e fini degli ordini iniziatici della tradizione orientale ed occidentale.
Ma certi riti collaudati nelle cerchie più ristrette delle SS venivano poi riproposti in cerimonie di massa. Un rituale pubblico della Germania nazionalsocialista di tono apertamente religioso, era la cosiddetta litania del lavoro. Ricordiamo quella dell'8 settembre del 1937. Hitler, alla presenza di migliaia di tedeschi perfettamente inquadrati, svolgeva un vero rituale di Chiesa. Il servizio iniziava con un grande scampanellio. I giovani del servizio del lavoro marciavano e cantavano: «Salute alla bandiera, salute agli emblemi, salute al Führer, il suo creatore, salute a tutti quelli che per lui sono morti. Da tutti i nemici che la minacciano notte e giorno, difenderemo la bandiera. Possiamo trionfare e possiamo morire, però la bandiera rimane senza macchia». Quindi tutti alzavano stendardi e bandiere e una voce, come quella dei Muezzin islamici gridava: «Qui, durante questa grande celebrazione ci consacriamo a nuovi fini, restiamo saldi davanti al nostro popolo e alla nostra guida, sopra il suolo sacro, sotto le nostre bandiere ondeggianti, con i cuori aperti, disposti ad obbedire». Tutti i celebranti presenti rispondevano: «Siamo disposti!». E dopo il grido comune «Germania!» suonava una banda di corni germanici. Poi quattro voci a turno, che rappresentavano le quattro caste indù - ma anche i punti cardinali - cantavano inni alla Germania, alla nazione, alla maternità, al lavoro. Poi un coro di soldati con le spade marciava a ricordo solenne dei caduti, e al termine della festa c'era il coro maschile che inneggiava alla trasformazione e alla rinascita: «Il nostro giorno arriverà, stiamo attendendo la tua chiamata», e Hitler di risposta diceva: «Germania svegliati e cammina al mio fianco». Poi tutti insieme, uomini e donne rispondevano: «Guardaci, siamo la tua Germania». E l'inno finale cantato da tutti, Hitler compreso: «Dio benedica il Führer in questa ora. Dio ci aiuti a conquistare la terra e a servire il Reich con profonda devozione». Questi sorprendenti rituali, religiosi, erano rappresentati a tutti i livelli nella Germania nazionalsocialista, Hitler, il Partito ed il Reich tutto, presero il posto di Cristo e dei Santi. Anche le energie che risvegliavano erano dell'ordine delle esperienze religiose: più emotive che intellettuali. Hitler pensava che l'intento di eliminare la Chiesa si poteva realizzare con il suo proprio gioco e non attaccandola frontalmente.
Le cerimonie di massa venivano ripetute in ogni microambiente sociale. Il battesimo avveniva con un membro delle SS al posto del sacerdote di fronte ad una copia del Mein Kampf aperta: molti dei tedeschi tuttora viventi sono stati battezzati in questo modo. Quando pregavano durante il giorno, in alcune occasioni, lo facevano con il volto rivolto a Monaco, come i musulmani lo fanno con la Mecca. Un particolare fascino nei confronti dei morti e l'evocazione dei loro spiriti rientrava in questo rituale nazionalsocialista. Ricordiamo la particolare devozione di Himmler nei confronti di Enrico I l'Uccellatore. Spesso si recava a Quediimburg, faceva scoperchiare la sua tomba e passava intere ore in meditazione: si riteneva la reincarnazione di Enrico I. Il fine del Nazionalsocialismo era quello della trasmutazione. Lo scopo ultimo era il Sonnenmensch, l'uomo che trascendeva la parte umana e la parte fisica. Infatti con l'arrivo di Hitler al potere in Germania si stabilisce d'improvviso come uno di questi "clic" unici che segnavano il passo da una dimensione storica a un'altra. Certamente il Terzo Reich, inteso esotericamente, il Reich dei Viras, secondo gli indù, cioè gli Ari, è stato sempre avvolto da un alone magico, come se uno spirito bianco e luccicante fosse entrato a risiedere nel paese dei Germani, dei tedeschi, per finalizzare una nuova guerra.
Il Terzo Reich non fu mai a struttura piramidale né gerarchica in modo tradizionale, piuttosto circolare. Non si può parlare di gregarismo:, il Führer non stava in cima a una piramide, ma al centro di un cerchio, che girava vorticosamente seguendo la direzione della svastica levogira che cerca l'eterno ritorno. È la ruota del tempo che si accelera: al centro di questa, simbolicamente, mettiamo Hitler. Dentro questa ruota ci sono tutti i tedeschi, gli ariani, ancora una volta più ariani, più tedeschi: certi più vicini al centro, però tutti tedeschi. Ma non col gregarismo né come massa inerte: solo esiste un popolo, un Reich, e un capo, una guida, il polo come centro di attrazione ipnotico ed irresistibile, che al mezzo di questo circolo allucinante gira e gira ogni volta più veloce. Tutto sembra dissolversi sparendo agli occhi di questa realtà illusoria degli uomini, sconnessi dagli animali uomini, dai robot, dai servi del denaro, dalle grandi illusioni materialistiche, dalle tenebre, dal consumo. Se avesse vinto la guerra, la svastica cerchio degli ariani con il suo Führer-centro sarebbe comunque scomparsa trasformandosi, lasciando un'impressione allucinata di un prodigio terreno. Ma sembrava quasi predestinata, secondo una capacità di intendere un po' esoterica, questa sconfitta, perché non era previsto che Hitler fosse il vincitore della Grande Guerra, la guerra terrena, perché siamo in un Kali Yuga, l'Età nera, l'Età della decadenza, ed Hitler probabilmente era destinato a vincere un'altra guerra, una guerra metafisica. Il cammino di iniziazione, per poi raggiungere la trasformazione verso l'uomo nuovo si può far risalire, come tradizione indiana, così come poi è stata ripresa dai membri delle SS Ahnenerbe, a quella del filosofo indiano Tilak. Tilak era inizialmente un membro del Partito del Congresso, con Gandhi, poi se ne distaccò perché era molto più tradizionalista. Nel suo libro Le origini polari dei Veda dimostrava come tutta la tradizione indù venisse da una civilizzazione del Polo Nord. Interpretava i Veda: i conquistatori dell'India quindi sono gli antichi Iperborei. A questo facevano riferimento molte fonti di ricerca delle SS Ahnenerbe. L'aspetto del Tantra si rifaceva alla tradizione induista del risveglio dei Chakras. Ci fu una parte sincretica che riguardava anche lo studio delle rune. La trasmutazione, presso le SS, si realizzava attraverso lo yoga delle rune. Le rune erano come dei Chakras, e attraverso questa meditazione si risvegliava la Kundalini, e la si faceva salire lungo la spina dorsale, fino al Chakra superiore, il Sahorastra, perché l'obiettivo era di creare il Sonnenmensch, l'uomo-sole, l'essere illuminato.
Hitler, prima di morire disse al suo attentatore: lotteremo per l'uomo che verrà... Riteniamo che si riferisse all'incarnazione di questi superuomini, questi eletti. Il loro segreto riguarda l'integrazione e la disintegrazione della materia: sono degli esseri che possono risultare ubiqui e che hanno comunque una dimensione differente, non umana, come forse era quello di Cristo quando resuscitò. Sembrava un essere umano ma era qualcosa di diverso. Hanno quindi una presenza umana, ma è un archetipo.

Capitolo XXVI - Le Ahnenerbe dopo il Nazionalsocialismo

Prima di essere incorporata nelle SS, l'Ahnenerbe era una società nata da una serie di intendimenti a livello universitario. Essa costituì poi la spina dorsale della sperimentazione nazista in numerosi campi, da quello medico a quello aeronautico. Le sperimentazioni dell'Ahnenerbe, guidate da Wolfram Sievers, non si ponevano alcun limite morale: per gli studi di medicina e biologia non si esitava neppure ad utilizzare cavie umane viventi, fornite in gran numero dai campi di concentramento. Questo tipo di esperimenti, per quanto ripugnanti, permisero all'Ahnenerbe di innescare un processo di veloce crescita tecnologica, interrotto soltanto dalla fine della guerra.
I Paesi vincitori avevano tutto l'interesse a che il know-how accumulato dagli scienziati nazisti non andasse perduto. Essi riuscirono quindi a scampare al processo di Norimberga, finendo impiegati nei laboratori di ricerca di America, Inghilterra, Russia e molte altre parti del mondo. Questo portò a un forte incremento delle potenzialità tecnologiche di entrambi i blocchi, accentuando ulteriormente la competitività che si stava sviluppando tra di essi. Tra i pochi ad essere condannati a Norimberga vi fu lo stesso Sievers, una personalità politicamente troppo in vista perché fosse possibile cooptarla.
Si salvò invece l'intellettuale e scrittore Friedrich Hielscher, nonostante la sua indubbia compromissione col regime nazista. Egli era a Norimberga soltanto in qualità di testimone e gli fu addirittura permesso di assistere Sievers fino al momento della sua impiccagione. Nel dopoguerra vi fu un carteggio tra lui e Jünger (altro intellettuale vicino agli ambienti nazisti ma mai del tutto integrato in essi), attualmente depositato in copia alla Berkeley University e classificato come top secret fino al 2020. L'originale è conservato a Malta, dove fu spedito dopo la morte di Jünger: questo avvalora l'ipotesi che Hielscher abbia potuto intrattenere rapporti anche con i Cavalieri di Malta, cosa che gli avrebbe permesso di evitare il processo di Norimberga e di porsi come una sorta di mediatore super partes.
Altro personaggio di spicco dell'Ahnenerbe fu Jacques de Mahieu, professore di antropologia alla Sorbona. Dopo la guerra, per evitare di essere condannato, fuggì a Buenos Aires, dove ha portato avanti una prestigiosa carriera universitaria. Suoi sono gli studi che hanno dimostrato l'arrivo dei vichinghi in America in un periodo precedente a quello di Cristoforo Colombo, e le loro peregrinazioni fino al Mato Grosso e all'Amazzonia.
Va anche ricordato William Guyedan de Roussel. Faceva riferimento al generale Moritz, molto vicino a Himmler, ed ebbe un ruolo centrale nella repressione della Massoneria e delle altre società segrete a Vichy e a Parigi. Tra film, pubblicazioni ed esposizioni, oltre a svolgere un'importante attività di propaganda, egli si occupò anche di catalogare gli appartenenti a logge massoniche e fornirne i nomi alle SS, che grazie a queste liste poterono compiere i loro rastrellamenti. De Roussel fu condannato a morte in contumacia, ma riuscì a fuggire in America Latina, dove è sopravvissuto fino a poco tempo fa.
Meno felice fu la sorte di Himmler, ufficialmente morto suicida nel 1945. Venne catturato dagli inglesi sull'Elba il giorno dopo la morte di Hitler, mentre tentava di fuggire con i suoi due assistenti. A causa delle trattative che aveva intrapreso con il Regno Unito, il Führer aveva già sconfessato Himmler come traditore: così, una volta in mano all'esercito inglese, egli si mostrò disposto a parlare di ogni cosa, anche perché si rese conto che l'unica chance di sopravvivenza che aveva era quella di offrire la più totale collaborazione. Tra coloro che lo interrogarono vi furono Rabin ed Herzog, che a quei tempi militavano nell'esercito inglese. L'interrogatorio durò una settimana e alla fine l'ex gerarca nazista, ormai disperato, si suicidò ingerendo del cianuro. È peraltro molto strano che egli, prigioniero, abbia potuto tenere nascosta una capsula di cianuro senza che nessuno se ne accorgesse. I misteri aumentano se si considera che non è mai stato rivelato che cosa egli abbia detto durante quella settimana di interrogatori: i documenti relativi non sono neppure classificati come top secret. Semplicemente, è come se non esistessero. I due assistenti di Himmler, Macher e Grotmann, oggi ancora vivi, non hanno mai parlato dei colloqui di quei giorni, non hanno mai rilasciato interviste e non sono mai stati processati.
Anche dopo la fine del nazismo sono sopravvissuti dei gruppi che in qualche modo si pongono come eredi dell'Ahnenerbe, come la la Freiwillige, "I Volontari", associazione di ex-SS. Sul versante più strettamente esoterico c'è poi la Schwarze Sonne, che però presenta infiltrazioni teosofiche. Punti di riferimento sono stati a lungo Gertrude Burwitz, figlia legittima di Himmler, e Elena Postat, sua figlia illegittima.
A Monaco di Baviera vi sono poi ancora oggi la Thule Gesellschaft e la Santa Vehme, che presentano tanto elementi di volgarizzazione che elementi di esoterismo autentico. La continuità tra queste società e la Ahnenerbe ha generalmente saltato una generazione: a prendere il testimone dei vecchi iniziati non sono stati i loro figli, ma i loro nipoti, affascinati da un'epoca che non li ha toccati in pieno.
La Thule è, tra le due, quella un po' più visibile. Ha commistioni con i seguaci di Castaneda a Monaco, Vienna e nel Sud della Germania, e i suoi membri hanno in genere ottime disponibilità economiche e alto prestigio sociale. Non hanno rapporti con gruppi religiosi o massonici.
Più rigorosamente iniziatica è la struttura della Santa Vehme, che fa uso di tutta una simbologia esoterica (mantelli, cappucci, etc.) che la Thule ha ormai abbandonato. È legata al vecchio gruppo di Ascona, che ha coperto per anni le attività della Santa Vehme nazista in Svizzera.

Capitolo XXVII - Dai «Documents massoniques»

Il testo che qui riproduciamo è un saggio inedito scritto da William Guyedan de Roussel con la collaborazione di Marques-Rivière e Bernard Fay. Giornalista e dottore in diritto, grande amico di Cari Schmitt, William Guyedan de Roussel fu uno dei redattori di «Documents Massoniques», la rivista mensile uscita in Francia dal 1941 al 1944. Attingendo agli archivi sequestrati dalle SS alle logge massoniche francesi e a quelle di Praga, nonché di tutta Europa, la squadra dei redattori di «Documents Massoniques» produsse più di tremila pagine della rivista.

Prefazione

Nessun argomento è stato trattato più di quello della Massoneria e nessuno più mal trattato. Del resto non c'è argomento più difficile da approfondire perché alcuni possono parlarne liberamente ma non possono esserne informati, mentre altri potrebbero informarsi ma non possono rivelare ciò che sanno. Questo non impedisce loro di scrivere e pubblicare dei grossi volumi eloquenti e convincenti.
[...] Nel campo della storia della Massoneria è facile perdersi e nessun metodo offre una garanzia certa: a me è parso che il più sicuro fosse quello di prestare la massima attenzione al piccolo numero di fatti che conosciamo con chiarezza e sui quali lo spirito umano è in grado di esercitare il suo potere di predisposizione e di intelligenza. Possano quelli tra i miei lettori che amano la vita umana ritenere ch'io vi sia riuscito! Quanto agli altri, avranno la soddisfazione di cogliermi in fallo.

Il mistero del Settecento

La rivoluzione intellettuale del secolo XVIII Questo secolo cristallino cela in sé un mistero. Vide prodursi il più brusco voltafaccia dello spirito umano a cui si sia assistito dopo il trionfo del Cristianesimo. Alla fine del secolo XVII la Francia teneva testa all'Europa intera e al mondo, dominando con il suo genio militare, artistico e filosofico. Dettava legge e faceva regnare la sua moda ovunque. Ma nel 1699 è Luigi XIV che regna: egli rappresenta la monarchia più antica, la più tradizionalista e più cattolica d'Europa. Schiaccia le repubbliche, fa regnare l'ortodossia e, novello Teodosio, sembra che la sua gloria sia inseparabile dallo splendore della religione e dal trionfo della Chiesa.
In lui la nazione venera un potere assoluto, che gli deriva direttamente da Dio e che i suoi antenati gli hanno trasmesso. Non c'è sovrano in Europa che possa eguagliarlo in potenza o in splendore: più che un uomo è un principio. Bossuet scrisse un libro per provare che il governo di Luigi XIV derivava direttamente dalle Sacre Scritture. Tutti i re d'Europa copiano Versailles ed emulano le maniere della Corte di Francia. Eruditi, scienziati, letterati e intellettuali spiano ciò che si fa a Parigi e si sforzano di riprodurlo. I grandi uomini e le grandi opere che il Re Sole ha incoraggiato servono da modello a tutto il continente. Boileau, Racine e Molière dominano l'immaginazione di tutti gli scrittori. Il francese diventa la lingua dell'Europa colta. Tanta gloria e tanta potenza riposano su fondamenta di granito. I Borboni sovrastano tutti gli altri re perché la loro stirpe ha radici più antiche. La letteratura francese è la più vicina ai modelli della tradizione classica e lo stato sociopolitico è il più solido perché non ha subito drastici cambiamenti nel corso dei secoli. La Francia del secolo XVII riprende forme e contenuti dell'antichità, vantandosi di rappresentare la più fedele immagine del passato e la sua diretta continuazione.
Questo «ritorno alle origini» non fu però una prerogativa esclusivamente francese: la Riforma, ad esempio, rappresentò il tentativo dello spirito religioso di riallacciarsi alla tradizione della Chiesa antica, al di là dalla corruzione moderna, e il Rinascimento non fu che un chiaro ritorno al passato, un tuffo nelle sorgenti pure dell'antichità per sottrarsi alla decadenza secoli moderni. Nella famosa «disputa degli Antichi e dei Moderni», che mise sottosopra l'Accademia Francese tra il 1682 e il 1710, Desmarets de Saint-Sorlin e Perrault difendevano gli Antichi: tutti i sogni, tutti i desideri degli uomini erano rivolti verso il passato.
Nel 1799 invece non si parlava che dell'avvenire: l'età dell'oro è domani. Condorcet, prima di morire, nel suo carcere, espose il principio del progresso dell'umanità e tutti lo accettarono con entusiasmo. La Francia è fiera di essere la nazione più moderna del mondo, quella che ha saputo spezzare ogni legame col suo passato per essere più pronta ad accogliere l'avvenire. [...] La Francia, un tempo mondana e letteraria, è diventata filosofica e scientifica. Il sovrano non si circonda più di scrittori, ma di generali, di scienziati e di banchieri.
Tutto ciò che richiama il passato è distrutto. Si demoliscono a colpi di martello le statue delle cattedrali, si spezzano le lastre tombali, si incendiano gli archivi di famiglia dei nobili e quelli dei monasteri, ci si affretta a fare piazza pulita e a preparare la strada all'avvenire. Lo stesso Benjamin Franklin dichiarò che non si sarebbe mai rassegnato all'idea di essere vissuto troppo presto: «La vita sarà tanto più bella fra un secolo», amava ripetere. In cento anni tutte le idee, tutti i desideri dell'uomo si sono capovolti. La fede che anima il popolo francese nel 1799 e gli permette di tener testa ai re e ai loro popoli, alleati contro la Rivoluzione, è opposta a quella che nel 1699 dava alla Francia la vittoria sui popoli d'Europa. Per spiegarlo si cercarono ragioni intellettuali e letterarie: se i francesi erano cambiati, si pensava, era perché i libri da dove traevano le loro idee erano cambiati. «C'est la faute a Rousseau, c'est la faute a Voltaire»: è colpa di Rousseau, è colpa di Voltaire, ripetevano in coro numerosi scrittori, da Chateaubriand fino a Taine. I costumi e le condizioni materiali si erano trasformate, ma non tanto quanto i cuori, i sogni e le idee. Si era portati a credere che tutta questa rivoluzione fosse una rivoluzione dello spirito, che derivasse da un movimento dell'intelligenza umana. Fu Taine a sostenere più energicamente degli altri questa tesi nella sua grande opera, Le origini della Francia contemporanea (1876-85), nella quale si proponeva di mostrare la Rivoluzione come il prodotto di un metodo di pensiero e questo metodo di pensiero come il risultato di un'abitudine viziosa: la tendenza a ricondurre e sottomettere tutte le cose a principi logici troppo rigidi e troppo semplicistici, tali da non corrispondere alla realtà. Nonostante la serietà del suo lavoro, la vastità del suo sapere e l'esattezza delle sue prove, Taine non piacque a tutti e presto fiorirono teorie opposte al suo sistema. Mentre il Taine riconduceva tutto a un lavoro dello spirito, altri si sforzarono a non considerare gli avvenimenti intellettuali del secolo XVIII se non come riflessi e risultati di fenomeni più profondi. Si avanzò così una teoria degli «abusi»: il popolo francese, e l'Europa tutta, avrebbero cambiato idea nel corso del secolo XVIII perché avevano dovuto reagire con violenza al modo di vivere del principio del secolo, vizioso ed errato, per poi abbracciare le idee che più si confacevano alla loro vita nuova.
Agli occhi di alcuni furono gli abusi politici, il carattere dispotico della monarchia e i suoi metodi arcaici la causa della Rivoluzione. Per altri tutto ciò non era che un episodio della lotta di classe e della grande guerra economica e sociale basata sul possesso delle ricchezze e la conquista del benessere materiale. Questi storici, che sono gli ultimi venuti e i più eloquenti attualmente, non vanno più a cercare nelle biblioteche, nei libri di filosofia o nelle raccolte di saggi e di poesie gli episodi che dovrebbero segnare le tappe della grande Rivoluzione del secolo XVIII, ma si rivolgono alle statistiche e ai titoli di proprietà, tracciano il diagramma del mutamento in base al prezzo del grano o a quello del lardo, e in base al numero dei contadini proprietari e all'entità dei salari degli operai.
Le forze materiali e le forze sociali assorbono le loro preoccupazioni e quando hanno mostrato la strada percorsa tra il 1700 e il 1800 dai contadini, dagli operai e dagli altri diseredati per avvicinarsi al potere e impadronirsi della proprietà, credono di aver penetrato una volta per sempre il mistero del secolo XVIII.

L'efficacia dell'intelligenza
Per ammettere che la lotta delle idee nel secolo XVIII sia stata di importanza irrilevante per il destino degli uomini, bisognerebbe ammettere che gli uomini d'oggi abbiano rinunciato a combattere per le idee, invece è facile constatare che oggi la lotta per le idee è più aspra che mai e che mai come adesso gli uomini si sono comportati in modo da manifestare più chiaramente la loro fede nelle ideologie. Che si tratti di Mussolini o della Russia Sovietica o della Repubblica Francese, tutti mettono in primo piano la loro politica e si reputano pronti a sacrificare tutto per la propaganda ideologica. [...] Gli stessi paesi liberali, che divulgano un grande rispetto per il libero gioco delle forze naturali e una grande tolleranza per le idee, non riescono a nascondere il timore che ispirano loro certe dottrine: si sono visti dei parlamenti americani prescrivere la teoria dell'evoluzione e fare leggi contro di essa. Qualunque cosa l'uomo possa dire, egli non tratta mai l'idea come una materia indifferente e inerte: il suo istinto lo porta sempre a vedervi uno strumento di conquista e un'arma potente. Se nella reazione contro tale tendenza, e nella negazione della potenza originale dello spirito, c'è una certa grandezza filosofica, in essa c'è pure qualche ipocrisia.
Noi viviamo nell'età della propaganda. Nessuno stato sarebbe in grado di durare se non si difendesse, all'interno e all'estero, mediante procedimenti complicati e costosi che gli procurano la buona volontà o la tolleranza degli spiriti. Ogni governo, ogni religione, ogni classe sociale è il centro di una battaglia intellettuale e i commercianti stessi hanno riconosciuto l'importanza dell'ideologia. La grande invenzione commerciale e industriale del Nuovo Mondo non fu il sistema Taylor né la produzione in massa di Ford: fu la parte rappresentata dalla propaganda. Che sia Lenin, la Standard Oil o una pasta dentifricia, non si saprebbe fare a meno della propaganda: nessuna potenza umana si fonda se non sull'entusiasmo e sul consenso dell'intelligenza. Lo spettacolo quotidiano della vita lo prova: i muri delle nostre grandi città lo ricordano ogni istante. La propaganda esercita il suo potere sugli spiriti e li soggioga così fortemente da dominare ogni cosa. Che si tratti di avvenimenti militari, come nel corso della Grande Guerra, o di fenomeni sociali, come quelli successivi al 1920, la propaganda riesce a cambiarne l'aspetto fino al punto di modificare la realtà. Le rivolte dell'esercito francese nel 1917 e la grande ribellione dell'esercito tedesco nel 1918 sono innanzitutto il risultato della propaganda. La Russia fornisce un esempio altrettanto notevole dell'impero delle idee sugli uomini: la miseria del popolo russo, prima del 1914 e dopo il 1920, non sembra aver subito cambiamenti importanti agli occhi dello straniero, ma per il comunista russo, la miseria del 1920 è nuova, poiché non è più la miseria di una lunga decadenza ma la sofferenza gloriosa dell'inizio di una nuova era. Con uno sforzo dello spirito, il comunismo rovescia la miseria russa e ne fa la base della sua potenza.
Nell'ordine sociale, come nell'ordine individuale, il secolo XX fa senza posa appello a questa potenza creatrice dello spirito umano, che sembra dare all'uomo il potere di trasformare le cose. Se si tratta di problemi economici, gli stati e i governi si sforzano di diffondere l'ottimismo, senza il quale il favore delle stagioni e l'abbondanza dei beni non sarebbero nulla. In politica, qualsiasi regime che non disponga di una ideologia viene ritenuto vinto. La medicina stessa ricerca sempre nel corpo quella forza che incentiva la resistenza dell'uomo alla dissoluzione.
Viviamo in un'epoca di psicanalisi e nulla ci autorizza a credere che il secolo XVIII, iniziatore di tutto ciò che noi ora facciamo e viviamo, in questo sia stato differente da noi. Allora, come adesso, l'idea ha avuto il medesimo fascino, ha esercitato il medesimo stimolo sullo spirito dell'uomo. Del resto, tutte le idee sono egualmente potenti e le idee più grandi non sono sempre le più forti. Un'idea approssimativa e brutale, se così ci si può esprimere, ha maggior presa su quegli spiriti approssimativi e brutali che costituiscono la grande massa dell'umanità, mentre una nozione precisa può affascinare le intelligenze raffinate, ma si sciupa troppo facilmente e tende a sgualcirsi troppo passando di mano in mano. Forse non si affermerebbe il falso sostenendo che la letteratura più alta e la filosofia più elevata non sono fatte per avere una vita sociale molto attiva. Esse non possono vivere e durare se non nell'intimità di spiriti esatti, delicati, nei quali il gusto ricettivo si unisce al potere immaginativo.
La qualità sociale di una idea è diversa dal suo valore intrinseco. È facile constatare che un'idea ben sviluppata, una teoria spinta fino alle sue ultime conseguenze, e definita in tutti i suoi punti, perda una parte del suo potere sulle masse. Le idee feconde nel campo sociale sono quelle che non hanno bisogno di essere comprese con troppa esattezza, ma che stimolano le emozioni e i sentimenti. Le idee che rappresentano una scelta ben definita e limitata della realtà hanno un che di ostico per l'uomo ordinario, che tende a giudicarle aride. Le idee, invece, che hanno conservato in sé qualcosa di vago, che lusingano i desideri umani e li orientano senza troppo arginarli, hanno una maggiore possibilità di diffusione e di fascino. Ne sono la prova i procedimenti moderni della propaganda per il turismo, ma anche l'abuso di parole come «fascismo» e «comunismo» nel designare correnti che perdono gran parte del loro significato quando si analizzano con esattezza.
Nella storia del secolo XVIII si ebbe forse il torto di occuparsi troppo delle idee delicate e raffinate, che furono il gioco intellettuale di alcuni ingegni superiori, e di disdegnare le nozioni meno coerenti e meno elaborate che stavano modificando il mondo. [...] Fin dalla metà del secolo XVII l'ateismo e il materialismo formicolavano sordamente in Francia. Il Lanson l'ha dimostrato con una documentazione originale e varia secondo la quale, nel regno di Luigi XIV, preti empi e spiriti inquieti si riunivano in segreto per bestemmiare. Da questa visione curiosa non si può desumere granché, poiché non c'è società umana che non contenga germi di morte e che non celi in sé l'abbozzo di tutti i suoi contrari. Questa lotta oscura e questi conflitti latenti non hanno in fondo alcuna pretesa di storicità e le vicende di alcuni curati atei e di alcuni viaggiatori scontenti non possono avere grande peso nell'opinione di un paese fiero e trionfante, com'era la Francia del secolo XVIII. L'oscurità delle loro opere, così come la bassezza della loro personalità, possono renderli attraenti per qualche amante del pittoresco, ma nulla ci rivela che essi abbiano avuto la parte di capi. Quello che invece io vorrei cercare qui è la traccia, il nome, e il volto di coloro che condussero la danza.

La rivolta dei grandi

Dopo la morte del Re Sole
La domenica dell'1 settembre 1715 morì a Versailles Luigi XIV, re di Francia e di Navarra, il più grande re d'Europa, chiamato dai suoi cortigiani «Re Sole». Mentre lo sotterravano con pitoccheria, mentre pochi preti accompagnavano la sua salma a Notre-Dame e un magro corteo portava ai Grands Jésuites il suo cuore, a Parigi la folla rideva, e qua e là accendeva fuochi di gioia.
Nella piana di Saint-Denis il «popolino», accorso per vedere i suoi funerali, si accalcava ridendo come a uno spettacolo da fiera. Benché il defunto non avesse detto né ordinato nulla, il reggente duca d'Orléans aveva deciso di conferire alla cerimonia il minor splendore possibile, e la corte stessa si era astenuta dal parteciparvi. Con Luigi XIV speravano di veder finire anche il lungo periodo in cui la nobiltà non aveva conosciuto che disgusti e umiliazioni. Con un'azione continuata e sistematica, durante tutto il secolo XVII, la monarchia era giunta a sopprimere il feudalesimo, che però era riuscito a ricostituirsi, in grazia delle guerre di religione, fra il 1530 e il 1600. Enrico IV aveva governato senza appoggiarsi ai principi del sangue né ai grandi, che non chiamava nei suoi consigli e ai quali regalava cariche come si regalano dei nastri ai ragazzi. Richelieu aveva domato le loro rivolte, raso al suolo le loro piazzeforti e diffuso in tutte le province il culto del re, «l'immagine vivente della Divinità». Per farla rispettare e per imporne l'impero, egli mandò in tutte le province gli intendenti, dei quali accrebbe i poteri fino a farne delle specie di dittatori locali, che tenevano nelle loro mani la polizia, la giustizia e le finanze. Sotto di loro i nobili non erano più che notabili di villaggio. E Luigi XIV rinsaldò l'unità, rafforzò tutte le parti di questa macchina, si circondò di borghesi energici e lavoratori e li fece suoi ministri, mentre adoperava i nobili negli eserciti o li teneva attorno a sé come cortigiani. [...] L'alta nobiltà di Francia era allora un gruppo molto brillante e molto educato. Molti dei suoi componenti avevano ricevuto, presso i Gesuiti e presso gli Oratoriani, un'educazione che permetteva loro di tenersi al corrente di tutta la letteratura contemporanea e di discorrere con successo su tutte le questioni del giorno. Taluni avevano addirittura un senso molto fine della personalità umana, come testimoniano le Massime del duca di la Rochefoucauld e le numerose memorie che ci restano di quell'epoca, in particolar modo quelle del duca di Saint-Simon. Altri infine erano spiriti eletti e capaci di comprendere ciò che si svolgeva sotto i loro occhi. Nella maggior parte dei casi si contentavano di vivere con eleganza e con spirito in quello splendore che dava loro tanti piaceri agli occhi, alle orecchie e al palato.
Poi vennero le ore penose del regno, quando ci fu meno oro sugli abiti, meno oro nelle tasche,meno genialità nelle lettere e negli eserciti, e dappertutto meno fortuna. Non si vedevano più alla corte Racine o Moliére; Turenne e Condé erano morti così come Colbert: il re invecchiava, gli eserciti inglesi, imperiali e olandesi invadevano il regno, anno dopo anno le imposte aumentavano e il re faceva fondere il suo vasellame doro e d'argento. Le guerre lunghe e cruente decimavano la nobiltà, e quelli che tornavano dai campi di battaglia non avevano nulla di bello da raccontare. Nelle campagne la miseria si estendeva, poiché l'inverno del 1709 fu duro nei tuguri e nei castelli.
Ma, al contrario del nobile di campagna, il nobile di corte lentamente rialza il capo. Sente il padrone indebolirsi e lo spia con un segreto sentimento di trionfo. Di fronte al potere reale egli comincia a sentirsi forte: di tutti quegli scacchi e di tutte quelle sventure non si sente responsabile, giacché non ha avuto parte nell'amministrazione, e l'opinione pubblica non ha nulla da rimproverargli. Raggruppati attorno a Parigi e a Versailles, nei loro bei castelli sontuosi e confortevoli, i gran signori francesi crearono, in margine alla corte, l'alta società, che dalla fine del secolo XVII in poi divenne una vera e propria forza internazionale. Presso ogni corte, in tutta l'Europa elegante, senza l'eccezione del bel mondo inglese, lo stesso gruppo di nobili raffinati, intelligenti, facili parlatori e istruiti, sempre informati dei minimi avvenimenti, si collegheranno sempre più tra loro tanto da creare una nuova potenza contrapponibile al potere regale: la società.
È difficile immaginare oggi la potenza della società così com'era nel secolo XVIII. Per noi la società è la pagina più noiosa dei giornali meno divertenti, qualche salotto dove si desidera andare e da cui si desidera andarsene rapidamente, qualche affare losco, molte pretese e una noia infinita. Per il secolo XVIII la società è insieme il centro delle notizie, la leva del potere e il focolare dell'intelligenza. Allora c'erano pochi giornali e, sorvegliati dal governo, erano di una discrezione scoraggiante: al contrario i salotti, frequentati da tutti i viaggiatori eleganti di passaggio, sono rumorosi di notizie vere, quelle che permettono di giocare in borsa e di fare al momento opportuno la mossa utile. Mentre a corte ognuno sbadigliava irrigidito nell'etichetta, nei salotti della società, attorno alle amanti del re e dei suoi ministri, si costruivano le reputazioni letterarie e vi si preparavano le elezioni alle varie accademie. I grandi scrittori facevano qui le loro prime comparse. Tutta la società europea era d'aspetto francese: ovunque si parlava francese, la parrucca era alla francese, si camminava e si danzava alla francese, giacché il maestro di ballo e il maestro di buone maniere francesi avevano invaso l'Europa e perfino l'America. Si mangiava e si beveva alla francese e alle dame si facevano complimenti alla francese. Eppure, tesa a non dimenticare le preoccupazioni materiali e le imprese economiche, la società europea si rivolgeva anche, e soprattutto, a quella inglese, la più potente e la più ricca. In Francia, in Austria, in Prussia, in Savoia, in Spagna e negli stati italiani i sovrani avevano dato scacco matto alla loro nobiltà, in Inghilterra la nobiltà aveva dato scacco matto al suo sovrano. I gran signori inglesi avevano cacciato gli Stuart come un tempo avevano cacciato la Chiesa cattolica e chiusi i monasteri per prendere i loro immensi beni. Il Parlamento inglese, nobiliare e aristocratico, era l'invidia e il sogno dell'Europa.
Alla fine del secolo XVII la società funzionava come uno strumento di informazione, di propaganda e di mutui soccorsi. I governi stessi facilitano questo lavoro senza saperlo e senza volerlo: non c'era governo che non avesse intorno a sé dei nobili stranieri arruolati nei suoi eserciti. E tutta questa popolazione variegata riempiva, con viaggiatori, diplomatici ed esiliati, i salotti del suo cicaleccio cosmopolita e della sua frivola irrequietezza.
[...] Il vincolo che teneva unita tutta questa gente, e che le dava un senso di fratellanza, derivava dai modi, dalla lingua, da idee di uso comune, ma soprattutto dalle abitudini e dal sangue. Sull'esempio dei re, l'alta nobiltà del secolo XVIII moltiplicò i matrimoni internazionali e questi incroci formarono al di sopra delle nazioni una rete di bel mondo internazionale. Alla fine del secolo, in una pagina brillante e giustamente famosa, il principe di Ligne esclamò: «Ho sei o sette patrie: l'Impero, le Fiandre, la Francia, l'Austria, la Polonia, la Russia e quasi anche l'Ungheria, poiché lì vige l'obbligo di conferire la cittadinanza a coloro che fanno la guerra ai turchi», e tracciò un quadro colorito dell'esistenza che conduceva un nobile internazionale nel secolo XVIII: «Ho visto due volte la Svizzera, una volta l'Inghilterra e qualcosa dell'Italia. Ho fatto più di quaranta volte la strada da Vienna a Parigi e da Parigi a Bruxelles o a Vienna. Duecento volte certamente sono andato da Bruxelles a Parigi, due volte in Russia, due volte in Polonia, una volta in Moldavia, in Crimea, in Provenza. Duecento volte, forse, dalla sede dei miei comandi di pace alle mie campagne nei Paesi Bassi. Scommetto che ho speso in vettura tre o quattro anni della mia vita e più di centocinquantamila fiorini di sole poste».
Con la morte di Luigi XIV scompariva il padrone temibile che aveva tenuto così duramente in pugno la nobiltà, la quale iniziò ad emanciparsi velocemente e a creare quel clima nuovo che doveva far fortuna in tutta l'Europa.

La Massoneria e la grande rivoluzione

La Massoneria francese sa profittare dell'ora e dell'occasione: dal 1776 al 1790 è dappertutto, nei parlamenti, nei reggimenti, nelle accademie e perfino a corte: lo sforzo che compie è notevole ma i risultati si manifestano rapidamente.
All'epoca del formarsi del Grande Oriente di Francia e dell'elezione del duca di Chartres (1772-1774) sui registri della Massoneria francese non comparivano che centoquattro logge, di cui ventitré a Parigi, settantuno nelle province, dieci militari e quarantacinque in formazione. Nel 1789 invece, erano attive in Francia più di seicento logge regolarmente costituite, sessantacinque ubicate a Parigi, quattrocentoquarantadue nelle province, trentanove nelle colonie, sessantanove nei reggimenti e diciassette all'estero. Tutte le classi sociali vi erano rappresentate e il clero figurava come una parte non mediocre, poiché dirigeva ventisette logge. La gran parte dei massoni era costituita, ben inteso, dai membri del Terzo Stato, ma la nobiltà, soprattutto, copriva un posto notevole nella vita massonica. Quarantotto gran signori erano venerabili di logge, cinque a Parigi, quarantatré in provincia e le dinastie nobiliari più potenti facevano a gara nell'ostentare lo zelo massonico. A fianco del duca d'Orléans si trovavano parecchi rappresentanti della famiglia di Rohan, il duca di La Rochefoucauld-Liancourt e il duca di La Rochefoucauld d'Einville, la maggior parte dei Noailles e i membri più ragguardevoli della famiglia di Polignac, uomini e donne, i Montmorency, i Bouilton, i Seguir, quasi tutto il corpo diplomatico accreditato presso la Corte di Francia.
Quest'adesione dell'alta aristocrazia francese alla Massoneria azzurra permise al Grande Oriente d'intraprendere con metodo e successo la riconciliazione di tutti i rami massonici e il proprio riconoscimento da parte degli alti gradi. Già da qualche tempo s'era cominciato a negoziare con gli Imperatori d'Oriente e s'era potuto credere che la fusione fosse già effettuata: era un errore, ben presto si dovette ricominciare, ma dal 1776 al 1790 il Grande Oriente vi si adoperò con efficienza. Nell'aprile del 1776 i Direttori dell'Alvernia, dell'Occitania, della Settimania e della Borgogna firmarono con esso un trattato d'alleanza. Nel 1781 la Loggia Madre di Francia San Giovanni di Scozia del Contratto Sociale consentì a riconoscere la supremazia del Grande Oriente; il Rito primitivo di Narbona e gli Architetti africani seguirono quest'esempio; infine nel 1787 gli Imperatori d'Oriente e d'Occidente, diventati Grande Capitolo Generale di Francia, si fusero col Grande Oriente, di cui diventarono una specie di annesso, incaricato della sorveglianza degli alti gradi.
Così l'unità massonica era praticamente ricostruita in Francia. Una sola rimaneva in disparte, imbronciata, ostile, ma imponente: la Grande Loggia di Francia, organismo creato da membri dissidenti dell'antica Grande Loggia, i quali non acconsentivano di vederne scomparire i privilegi. Ma questo poco importa in sostanza: il Grande Oriente aveva realizzato l'unità teorica in modo sufficiente e l'unità pratica in modo pieno, giacché perfino le sue logge dissidenti erano piene di massoni che facevano parte delle logge regolari, ed erano governate da venerabili che appartenevano alla gerarchia azzurra. Fu così che si videro alternarsi, come venerabili onorari della Grande Loggia templaria di Carcassona, il principe Golitsyn e Beniamino Franklin, l'uno e l'altro massoni ortodossi. Infatti, mentre il Grande Oriente raccoglieva intorno a sé tutte le logge, e il gran maestro portava innanzi i suoi intrighi, si veniva preparando una crociata intellettuale, il cui centro era la Loggia delle Nove Sorelle.
La disputa, che poneva di fronte russoviani e voltairiani, era allora molto vivace e Rousseau, che era stato davvero perseguitato (anche se a colpi di spillo e non a coltellate), s'era ritirato, risoluto a non partecipare più all'opera dei filosofi, agendo da conservatore. Lungi dall'indurre a un rapido sconvolgimento della società, egli predicava ormai la pazienza e la pietà, cercando di sottrarsi alle manovre dei suoi antichi amici. L'opposizione tra i suoi discepoli, innamorati della natura, della virtù, della religione, della semplicità e della franchezza, e quelli di Voltaire, che allora era al vertice della sua gloria e al centro dei suoi più belli intrighi (occupato a redigere gli opuscoli e i libelli sacrileghi che diffondeva da Fernet), seguitava a diventar sempre più aspra, e rischiava di neutralizzare l'effetto delle campagne filosofiche: la tribù dei filosofi rischiava d'essere altrettanto divisa come il partito cattolico e di perdere così quello che c'era di più evidente nella sua forza.
La Loggia delle Nove Sorelle, che a questo voleva ovviare, ebbe la fortuna di cominciare i suoi lavori nel momento in cui Rousseau scompariva e in cui Franklin si stabiliva a Parigi. La grande importanza intellettuale del soggiorno di Franklin in Francia consistette nel fatto ch'egli arrivò proprio nel momento giusto per radunare attorno a sé le persone che credevano alla semplicità, ai buoni costumi, all'unzione e al sentimentalismo. Succedette a Rousseau come patriarca della Natura, ma più savio e più accorto di Rousseau, e con la sua azione preparò la riconciliazione solenne tra discepoli della Natura e discepoli della Ragione. Quando Voltaire passò da Parigi, furono visti i due grandi uomini entrare fianco a fianco nella Loggia delle Nove Sorelle tenendosi per mano. All'Opera, Franklin fu visto assistere all'incoronazione della statua di Voltaire, all'Accademia delle Scienze furono visti abbracciarsi! Quale più commovente prova d'unione potevano dare al mondo?
Eppure Franklin fece di più: alla morte di Voltaire, quando Luigi XVI vietò che si parlasse di quell'evento empio e che si celebrassero cerimonie in suo onore, la Loggia delle Nove Sorelle non s'arrese ed ebbe il suo solenne servizio funebre, che a Parigi fece scalpore e al quale assistette Franklin. L'audacia era così grande, che massoni eminenti e fedeli come il marchese di Condorcet non osarono comparirvi. Il pericolo non era illusorio: qualche mese dopo, il governo colse l'occasione di denunciare la Loggia delle Nove Sorelle al Grande Oriente per diverse irregolarità, che portarono alla condanna e alla chiusura. La Massoneria parigina ne fu costernata, e il gran maestro Lolande si prodigò per ottenere che la faccenda fosse ripresa in esame. Ebbe causa vinta, la Loggia fu riaperta, ma a condizione che venisse sostituito l'antico venerabile. Fu ovvio affidarla a Franklin, del quale si conoscevano gli ottimi rapporti con l'autorità e il cui entusiasmo massonico non era da porre in dubbio.

La Massoneria diffonde lo spirito rivoluzionario

Fu così che Franklin il quacchero, Franklin l'americano, che molti consideravano come un selvaggio, fu chiamato a dirigere la Loggia più intellettuale, più ardita e più influente d'Europa. Le Nove Sorelle dettavano legge alle altre logge di Parigi e avevano stabilito relazioni con quelle di provincia. Erano il crogiolo delle dottrine massoniche, il laboratorio del puro spirito filosofico e Franklin era il loro uomo. Sotto la sua influenza, le sedute letterarie e artistiche si moltiplicarono e il pubblico che vi assisteva continuò ad aumentare. Si faceva in modo di aprire spesso le porte della Loggia alle signore in occasione delle feste, per dar vita ad una propaganda di grande richiamo. In un'epoca in cui nessuno andava più alla Sorbona, che disgustava gli stessi studenti, Franklin ebbe l'idea geniale di creare la prima Università libera di Francia: chiamata dapprima Società Apollonia, divenne ben presto un organismo completo che, sotto il nome di Museo di Parigi (o Liceo di Parigi) funzionò per quasi cinquantanni. Comprendeva insegnamenti scientifici, in cui si distinse Pilatre de Rozier, il famoso aeronauta, e insegnamenti letterari, in cui eccelse La Harpe.
La Loggia delle Nove Sorelle invocava una riforma del sistema giudiziario francese. Alle sue riunioni partecipavano artisti, scrittori e avvocati parigini: vi si vedevano fianco a fianco Parny, Rucher, Francois de Neufchateau Chamfort, il pittore Vernet, lo scultore Houdon, gli scrittori Demeusnier e Fontones, parlamentari come Duval d'Espremesnil, Desèze, il presidente Du Paty, giornalisti come Pallet, segretario della «Gazzette de Franco».
L'ingegno più singolare, il maestro più ascoltato della Loggia delle Nove Sorelle era Court de Gobelin, l'autore del Mondo primitivo. La Loggia, che aveva celebrato la riconciliazione del razionalismo filosofico con la sentimentalità filosofica, serviva anche come terreno comune per gli istinti logici dei massoni e i loro bisogni mistici. Court de Gobelin vi teneva frequenti letture e la Loggia lo appoggiava con tutto il suo prestigio. Tutti gli elementi della Massoneria più pura e più attiva si trovavano qui riuniti: vi si predicava la saggezza e la virtù, vi si preannunciava un culto superiore e più antico, meno severo e più filosofico di quello dei cattolici, vi si lavorava per l'avvento della giustizia sociale e per la riforma dei tribunali. Ma soprattutto vi si preparava la diffusione dei lumi, tenendo in gran conto l'insegnamento della rivoluzione americana cui dominavano l'ammirazione per gli Stati Uniti.
Quanto alle iniziative più audaci e più concrete, non bisogna cercarle nelle sedute stesse della Loggia, perché, conforme alla natura segreta della Massoneria, essa conservava un'aria di mistero, di dignità e di unzione religiosa incompatibile con la polemica violenta. Quando la Loggia delle Nove Sorelle volle intraprendere azioni di punto, lo fece sia attraverso associazioni derivate, create a questo scopo, sia sostenendo l'azione di uno dei suoi membri, grazie al cameratismo massonico. Così venne fondata la Società degli Amici dei Negri. Volendo approfittare della simpatia e della compassione fraterna nei riguardi della Rivoluzione d'America, i membri più illuminati della Loggia delle Nove Sorelle crearono questa società in margine alla loro Loggia, con lo scopo di sostenere l'emancipazione della razza nera. Il filosofo Brissot, che era a un tempo membro della Loggia delle Nove Sorelle, discepolo e imitatore di Franklin, nonché speculatore al soldo di alcuni banchieri svizzeri, ne fu colonna mentre La Fayette ne era il vessillo. Per diffondere in Francia la conoscenza delle istituzioni americane e far apprezzare tutta l'importanza del loro esempio repubblicano, Brissot fondò nello stesso modo la Società Gallo-Americana, che non raggiunse mai la medesima fama della Società degli Amici dei Negri. Ciò ebbe gran richiamo poiché, nel 1782, Giuseppe di Maistre, massone mistico e cristiano, suggeriva al gran maestro della Massoneria scozzese riformato, il duca di Braunschweig, la creazione di Comitati di Corrispondenza fra i diversi ecclesiastici delle varie confessioni cristiane, allo scopo di giungere all'Unione delle Chiese, in cui egli vedeva uno degli scopi essenziali della Massoneria. Ma sapeva anche che questo obiettivo, per quanto essenziale fosse per la Massoneria, non poteva essere raggiunto direttamente, così suggerì la formazione d una società annessa.
In molti casi la Massoneria accettava di sostenere con il suo prestigio, la sua complicità e la sua collaborazione le iniziative di un massone influente. Tale fu il caso di Desoguliers in Inghilterra e di Franklin in Francia. E fu proprio per questo sostegno che a Franklin fu possibile lavorare al ravvicinamento franco-americano compiere la sua opera rivoluzionaria. Cobanis e altri suoi amici filosofi hanno lasciato lunghe documentazioni dei suoi discorsi di quell'epoca (1778-1785) dando un'immagine colorita delle sue dottrine. Dei miracoli Franklin diceva: «Una volta ho voluto dimostrare ad un fittavolo inglese miscredente che si poteva calmare con dell'olio un mare agitato. Gettando dell'olio sulla superficie di uno stagno increspato dal vento, feci scomparire immediatamente le onde. A tale vista il fittavolo rimase come colpito dal fulmine, e non uscì dal suo silenzio e dal suo stupore se non per venire a gettarsi ai miei piedi, dicendo: "Ebbene, che cosa volete ch'io creda?". "Quello che vedete" gli risposi, "e niente più". Quell'uomo, per essersi fatto testimonio d'una cosa straordinaria, era prontissimo a credere le cose più assurde: tale è la logica dei tre quarti degli uomini». Delle chiese e dei preti parlava allo stesso modo. Una volta, essendogli state offerte le intercessioni di un cappellano rispose che non avrebbe saputo che farsene, perché sapeva dirsi da sé le sue preghiere. Paragonava la Chiesa di Roma allo zucchero greggio, quella d'America allo zucchero raffinato. Diceva che bisognava incoraggiare la molteplicità delle Chiese, poiché la concorrenza è utile in ogni cosa. Ma non riteneva che le Chiese avessero una grande importanza: raccontava a questo proposito l'aneddoto di Monfresor, un valoroso ufficiale in guerra. Questo povero ragazzo, giunto alla soglia del paradiso, venne interrogato da San Pietro su quale fosse la sua religione in modo da poterlo indirizzare. Egli ammise che non ne professava nessuna. Il buon santo portinaio dapprima si mostrò un po' imbronciato poi, dopo avere riflettuto, gli disse: «Peccato! Non so dove collocarvi, ma entrate lo stesso, e mettetevi dove potete». Riguardo alle Sacre Scritture, Franklin era più disinvolto ancora. Quando veniva interrogato sulla Bibbia, non esitava a rispondere: «Ci sono molte cose nell'Antico Testamento che non possono essere state ispirate da Dio, come quell'approvazione data dall'Angelo di Dio all'azione abominevole, perversa e detestabile di Giaele, la moglie di Aber il Cineo. Se tutto il resto della Bibbia fosse così, io la crederei piuttosto ispirata da qualcun altro e rinuncerei a tutto».

La Massoneria contro la nobiltà

Nonostante l'appoggio della nobiltà francese alla causa della Rivoluzione d'America e alla Massoneria, Franklin non era portato a risparmiarla. Egli fu, anzi, l'anima di una curiosa impresa, che si rivelò come uno degli incidenti più importanti della guerra intellettuale alla fine del Settecento.
I filosofi d'Europa si vantavano di scorgere nell'America il modello dello stato saggio, ragionevole e virtuoso. Dal 1774 al 1789 Turgot, Raynal, Mably, Target e gli altri savi moltiplicavano opuscoli e lettere per incoraggiare e guidare gli americani. Inoltre, nelle loro conversazioni e nei loro libri, li citavano di continuo come l'ultima speranza dell'umanità e il rifugio del senno politico esiliato dall'Europa. Sicché fu grande lo stupore con cui la Parigi filosofica del 1784 apprese che negli Stati Uniti s'era formata la Società di Cincinnato. Il nome aveva un bell'essere virtuoso e imponente ma l'istituzione non diceva loro nulla di buono, giacché mirava a creare negli Stati Uniti una nobiltà ereditaria e militare. Gli antichi ufficiali della guerra dell'Indipendenza, dopo aver lottato per sette anni contro gli inglesi, avevano deciso infatti di fondare tra loro una specie di ordine amichevole di beneficenza e di cavalleria, destinato ad assicurare la protezione delle vedove e degli orfani e a perpetuare il ricordo del loro cameratismo. Questa dignità doveva essere ereditaria e trasmettersi di padre in figlio. Gli ufficiali dell'esercito americano, che erano stati mal pagati e mal trattati dal Congresso, consideravano di aver diritto ad un compenso: la gloria. Washington aveva accettato d'essere il presidente della società, ma tutta l'Europa filosofica ne parlava con aria scandalizzata. Quando Franklin seppe la notizia, ne rimase indignato e subito, da quel vecchio giornalista che era, mise su carta la sua indignazione. Il 25 gennaio 1784 egli mandava a sua figlia una lettera che conteneva queste frasi indignate: «Gli onori discendenti (nobiltà ereditaria), trasmessi ad una posterità che non ha potuto avere nessuna parte nel meritarseli, sono non soltanto illogici e assurdi, ma spesso nefasti per questa posterità, che rendono orgogliosa, sprezzante, incapace di un lavoro utile, e destinato così alla bassezza, al servilismo e alla miseria, com'è il caso di molti tra coloro che sono chiamati nobili nell'Europa d'oggi».
Così egli sfogò la sua bile. Ma il vecchio patriarca massonico aveva il forte l'istinto della predicazione e della propaganda, teneva troppo alla diffusione dei lumi, al prestigio filosofico del suo paese e all'instaurazione d'una repubblica democratica del Nuovo Mondo, per contentarsi di queste parole senza fondamento. Decise di soffocare sul nascere questa istituzione, che avrebbe importato in America i pregiudizi del Vecchio Mondo, e le mosse guerra. In quel tempo egli aveva un giovane amico interessante, illustre e virtuoso, che usciva allora di prigione: Vittorio Onorato di Riquetti, conte di Mirabeau, nel 1784, dopo numerosi scandali e avventure, era libero e avido di azione. La sua nuova compagna, una donna incantevole, la contessa Nehra, esercitava una salutare influenza su di lui e lo spingeva a produrre finalmente opere degne del suo nome. Franklin consegnò al conte il lavoro ch'egli aveva preparato, tra cui un opuscolo di un magistrato della Carolina, Edano Burke, contro l'Ordine di Cincinnato.
Mirabeau si recò a Londra dove compilò un libello sfavillante, in cui le pagine di Franklin, tradotte prima dall'inglese da Morellet, occupavano la parte centrale. In seguito ritornò parecchie volte a Parigi, per leggere il lavoro a Franklin e sottoporlo alla sua critica. Chamfort vi mise mano e, a quanto si dice, anche Ginguené. Comunque, nel luglio del 1784, se ne fecero delle letture ad alta voce e Franklin annotò nel suo diario: «I signori Chamfort e Mirabeau vennero e lessero la loro traduzione dell'opuscolo di Burke contro i Cincinnati, una satira indiretta contro la nobiltà in genere. La cosa è fatta molto bene» Nonostante lo splendore del suo nome, del suo stile, della sua fama e della sua polemica, Mirabeau incontrava difficoltà a trovare a Londra uno stampatore per quest'audace scritto, sicché furono Franklin e i suoi amici Price e Vaughon che gliene procurarono uno, quello stesso che nel 1779 aveva pubblicate le opere di Franklin. E così le Considerazioni sull'Ordine di Cincinnato del conte di Mirabeau furono pubblicate a Parigi nel settembre del 1784, a Londra nel 1785, a Filadelfia nel 1786, suscitando l'effetto desiderato. La Società di Cincinnato s'era spaventata e s'era rassegnata a modificare i propri statuti, fino che non divenne altro che una società di mutuo soccorso. Lo scandalo e l'emozione sarebbero stati molto più grandi ancora, se si fosse saputo chi era il vero iniziatore di questo libro. Burke, Franklin, Ginguené, Chamfort, Morellet avevano partecipato tutti alla redazione e alla rifinitura: il maggior numero di pagine derivava da Burke e quelle più taglienti erano di Franklin.
Lo scopo di questa campagna, in verità, era d'influire sull'opinione pubblica francese, giacché al tempo della pubblicazione la Società di Cincinnato s'era già rassegnata a modificare i propri statuti.
Nelle pagine scritte da Franklin, che si pronunciavano soprattutto riguardo all'abolizione dell'ereditarietà, denunciava la nobiltà, tanto più orgogliosa quanto più antica, che invocava l'antichità del sangue per giustificare la sua fierezza, mentre invece, più le generazioni passavano, e meno rimaneva, nei discendenti, quel sangue illustre di cui essi si vantavano. Egli dimostrava matematicamente che alla ventunesima generazione non restava più che l/104857esimo del sangue primitivo. Sicché proclamava la follia di questa «nobiltà discendente», e rivendicava i pregi del metodo cinese che non accettava di veder discendere la nobiltà di padre in figlio, ma praticava una «nobiltà ascendente»: in Cina ogni volta che qualcuno veniva riconosciuto nobile, si estendeva tale riconoscimento anche agli antenati. Ciò spaventò qualcuno, come Morellet, che ripeteva continuamene a Franklin il pericolo di queste pubblicazioni. Ma Morellet aveva torto a preoccuparsi: senza dubbio, se si fosse saputo a corte che il ministro degli Stati Uniti in Francia era l'iniziatore d'una campagna contro la nobiltà e contro il principio di ereditarietà, ciò avrebbe suscitato molto scalpore, ma Franklin era protetto dalla sua prudenza e soprattutto dalla Massoneria.

Il suicidio massonico dell'alta nobiltà

Fu lo spettacolo più curioso di tutti gli anni splendidi e febbrili che preparavano la Rivoluzione: la Massoneria aveva messo la mano sull'alta nobiltà e stava imponendo una propaganda filantropica, egualitaria, antinobiliare. Si assistette ad un vero e proprio «suicidio massonico» dell'alta nobiltà. Gli storici, che vedono nella Rivoluzione l'esito fatale degli «abusi» del vecchio regime, si compiacciono nel mostrare le ragioni che potevano rivendicare il popolino, i contadini, gli operai per sollevarsi contro il governo di Luigi XVI e per spiegare questi fenomeni trovano inevitabili motivi economici, sociali, politici. Ma di solito, poco prendono in considerazione l'alta nobiltà, senza la quale tuttavia la Rivoluzione non avrebbe mai potuto mettersi in moto. L'impulso, i fondi, e i capi, durante i primi due anni della Rivoluzione, provenivano dalle classi privilegiate. Se il duca d'Orléans, Mirabeau, La Fayette, se la famiglia di Noailles, i La Rochefoucouid, i Bouillon, i Lameth e gli altri nobili liberali non avessero disertato la nobiltà per abbracciare la causa del Terzo Stato e della Rivoluzione, ai rivoluzionari sarebbe mancato il complemento che permise loro di trionfare dall'inizio.
Ora, tutti questi nobili che abbracciarono subito la nuova ideologia, sebbene sapessero di dover perdere in seguito il patrimonio, lo stato sociale e il rango, erano tutti massoni, e non certo per qualche coincidenza.
Il più brillante tra loro, colui che diede l'esempio a tutti gli altri, colui che veramente dettò la moda tra l'ambiziosa gioventù nobile di Francia, fu il marchese di La Fayette. Quando ritornò dall'America, egli era assieme Franklin l'uomo più popolare d'Europa. [...] Egli era un massone perpetuo, universale e multiplo: aveva lavorato nelle logge civili degli Stati Uniti, nelle logge azzurre regolari di Francia, e quando il conte di Cagliostro (1785) importò in Francia la sua Massoneria egiziana, più misteriosa, più ciarlatanesca e più mistica d'ogni altra, La Fayette fu uno dei primi a farne parte. Aveva piena fiducia in quel Giuseppe Balsamo, che si faceva chiamare conte di Cagliostro, profeta, mago, «Gran Copto» della Massoneria egiziana e capace di rivelare agli adepti l'arte di fabbricare l'oro. Quando il dottor Antonio Mesmer giunse da Vienna portando con sé la teoria del magnetismo animale e le sue dottrine spiritistiche, il marchese di La Fayette fu uno dei suoi primi clienti, uno dei più fedeli ed estremi difensori, insieme col presidente Du Paty e il Bergasse, due gran massoni pure essi. Tutti e tre riuscirono a trascinare le persone più eleganti di Parigi e di Versailles in quella Società dell'Armonia, massonica e misteriosa, che i discepoli di Mesmer fondarono per la salvezza dell'umanità.
Il marchese di La Fayette era giovane, bello, dovizioso e pieno di fascino. Apparteneva a quella dinastia dei Noailles, che occupava una delle posizioni più elevate di Francia. S'era coperto di gloria sui campi di battaglia e s'era fatto avanti in mezzo ai filosofi per merito dei suoi amici, dei suoi pranzi, del suo silenzio e della sua personalità brillante (spesso alimentata da idee altrui).
Se Franklin fu uno dei capi più avveduti dell'organizzazione, La Fayette fu uno degli agenti più efficaci e più utili. All'inizio della Rivoluzione, fu l'anima del partito dei nobili liberali, grande minaccia per l'autorità del re e sola forza sociale organizzata che avrebbe potuto opporsi al disordine. Ossessionato, come tutti gli altri gran signori, dal ricordo di Guglielmo d'Orange, e posseduto dall'immagine di Washington, il dittatore patriota e repubblicano, egli si sottomise sempre alla disciplina massonica. Durante tutti gli anni in cui avrebbe dovuto seguire gli avvenimenti con sguardo preciso e critico, continuò sempre a pensare agli esempi e al modello americano.
La Massoneria aveva coltivato in uomini come lui la religione dell'eguaglianza, del parlamentarismo, della libertà e del progresso. Sotto la sua influenza, essi avevano lavorato nella Loggia delle Nove Sorelle, per preparare la riunione degli Stati Generali, e avevano elaborato un programma che influì assai sugli elettori. Mentre essi spalleggiavano così il movimento rivoluzionario, i nobili massoni indebolivano il potere regio massonizzando l'esercito, così quest'ultimo cessava d'essere uno strumento fedele e sicuro per la monarchia, come ben si vide dal 1789 al 1793. Infine, entravano in massa nelle società popolari e nei club politici, ai quali apportavano il complemento decisivo del loro prestigio, del loro patrimonio e del loro zelo.
Solo successivamente, al momento della paura, essi emigrarono, ma fu troppo tardi. La loro classe discorde, dispersa, poteva morire nobilmente ma non poteva più salvarsi. Dopo aver decapitato la nobiltà con la loro adesione al Terzo Stato, furono decapitati essi stessi, salvo La Fayette, che se la cavò grazie alle prigioni austriache.

Rottura tra la Massoneria francese e il Cristianesimo (1782-1815)

Mentre diffondeva tra l'alta nobiltà il culto dell'eguaglianza, la Massoneria faceva penetrare nel clero una concezione nuova del suo compito e dei suoi fini. Le Costituzioni di Desaguliers parlano della Massoneria come della «religione cattolica» e spiegano con gran cura che, in una epoca in cui le diverse religioni erano giunte ad un vicolo cieco, soltanto la Massoneria poteva raggiungere l'unità del genere umano e mostrarsi come centro. Questo in realtà significava creare, al di sopra delle vecchie religioni, una religione nuova, che le «tollerava» in quanto opinioni, ma alle quali non conferiva tanta importanza.
Tutte le diverse specie di massonerie, tutti i gradi della Massoneria avevano conservato quest'orientamento ed erano rimasti fedeli a questo principio. Razionalistica o mistica, la Massoneria si vantava sempre d'essere un centro. E coloro che tra i massoni restavano discepoli di Cristo continuando a praticare una vita di contemplazione e devozione profonda ed esigente, s'aspettavano ugualmente dalla Massoneria la risoluzione di quei problemi che nessuna religione poteva più riuscire a risolvere. È strano vedere nel 1782 Giuseppe de Maistre, che dalla sorte era destinato a diventare il capo dottrinario della controrivoluzione, dedicarsi con zelo sincero e appassionato al compito di salvare il Cristianesimo per mezzo della Massoneria e di stabilire fra queste due istituzioni una collaborazione, in cui la Massoneria avrebbe ricoperto un ruolo di guida e occupato il posto più elevato. De Maistre era un cristiano, che aveva bisogno di Cristo e di Dio, ma era anche un massone, e nel suo rapporto al duca di Braunschweig, gran maestro della Massoneria scozzese riformata, egli non rinunciò a ipotizzare una forma superiore di Cristianesimo. Nonostante i suoi sforzi e il desiderio di aggrapparsi in tutti i modi alla fede dei suoi padri, nel 1783 Giuseppe de Maistre, parlò con disprezzo delle Crociate: «Quella gente avrebbe fatto meglio a restare a casa» disse, «ignora il valore del dogma e nomina l'orgoglio teologico come l'ostacolo principale alla riunione delle Chiese» e aggiunse con soddisfazione che i tempi erano fortunatamente cambiati. Egli ritenne possibile una riconciliazione progressiva di tutte le sette cristiane, se la Massoneria avesse condotto l'impresa. «A che serve possedere una religione divina, se abbiamo lacerato la veste inconsutile e gli adoratori di Cristo, divisi nell'interpretazione della santa legge, si sono lasciati indurre a eccessi che farebbero arrossire l'Asia? Il maomettanismo non conosce se non due sette, il Cristianesimo ne ha trenta!».
Per de Maistre, i tre gradi della Massoneria dovevano avere ognuno un suo obiettivo religioso: il primo doveva insegnare la beneficenza verso il prossimo e la patria, il secondo doveva cercare di condurre alla riunione delle Chiese e il terzo doveva lavorare allo sviluppo del «Cristianesimo trascendente». Bisognava obbligare i massoni che avevano raggiunto questo alto grado, a ritrovare le linee eterne di una religione più antica di Cristo perché, egli diceva: «La vera religione ha ben più di diciotto secoli. Essa è nata il giorno in cui nacquero i giorni. Risaliamo all'origine delle cose, e mostriamo, attraverso una filiazione incontestabile, che il nostro sistema unisce al peone primitivo i nuovi doni del Grande Riparatore».
Anche quando era cristiano, il massone era portato a considerare il suo Ordine come superiore alla sua religione, la dottrina massonica come più vasta di quella cristiana e non poteva sottrarsi alla convinzione massonica che il dogma cattolico non fosse affatto l'ultima parola, che la gerarchia cattolica non fosse l'autorità suprema. E la testimonianza d'un cattolico così fervente, così perspicace e così disinteressato come Giuseppe de Maistre non potrebbe lasciar alcun dubbio in proposito. L'obiettivo della Massoneria di giungere a fondare in Francia una religione che stesse all'infuori dei dogmi che si riallacciasse strettamente alla vita sociale e avesse per scopo principale quello di servire l'umanità - pur proponendosi servire la patria e pur ammettendo l'esistenza di un dio rimuneratore e vendicatore - li condusse lontano dall'innestare sulla riforma politica della Fronda una guerra religiosa, e dette vita a ciò che in seguito venne chiamata «la grande Rivoluzione».
I privilegi sarebbero potuti scomparire, come già accadde nel corso del secolo XVII e del XVIII. La terra sarebbe potuta venire in altre mani, com'era accaduto sovente nella storia di Francia, e la Chiesa avrebbe potuto essere spogliata delle sue ricchezze, come s'era visto fare molte volte da Costantino in poi. Ma non era possibile imporre pacificamente una trasformazione religiosa di tale gravità a un popolo che nel suo complesso non l'accettava. I membri della Costituente francese e i loro eredi della legislativa e della Convenzione, abituati all'atmosfera della Loggia, non avevano immaginato la difficoltà del compito al quale si accingevano: continuavano una tradizione vecchia di settantanni e sembrava loro che il clero sarebbe stato senz'altro pronto a diventare l'apostolo di questa religione senza dogma. Così in Francia si sarebbe stabilita definitivamente la supremazia della Massoneria internazionale sul clero ormai diventato locale. Una parte del clero e membri influenti dell'alta nobiltà avevano accettato queste idee con entusiasmo, ma il clero parrocchiale, la nobiltà rurale, i contadini, la gente minuta delle città, dove la Massoneria non era penetrata granché, fecero alla politica religiosa della Rivoluzione una opposizione energica. Per i massoni francesi fu una delusione immensa: essi non erano tutti d'accordo sui particolari dell'azione politica, ma le loro convinzioni profonde sull'idea che l'umanità avesse bisogno d'una religione e che questa religione dovesse essere razionale e sociale, erano la fede che più profondamente li univa.
Durante tutto il Settecento in America, in Inghilterra e in Francia essi lavorarono, ora in forma diretta ora indiretta, per giungere alla trasformazione graduale delle religioni. Nel 1789 ebbero l'impressione d'essere sul punto di ottenerla in Francia: ma mentre i massoni del 1790 speravano di assorbire la Chiesa e di riuscire a far dissolvere il clero, ben presto quelli del 1800, visti gli ultimi accadimenti, accettarono l'idea che la Chiesa non fosse atta ad esser trasformata, e che andava addirittura distrutta. Essi si erano accostati alla Rivoluzione attraverso un'estasi di gioia, che faceva parer tutto agevole, tutto bello. Si è scherzato sovente sui banchetti massonici e sulle adunanze di logge nel corso del Settecento tanto che quel cerimoniale ampolloso, barocco e gioviale ci sembra ormai strano, quasi ridicolo. Gli storici moderni trattano queste cerimonie di «pettegole sentimentali» e sono quasi sul punto di vedere nella Massoneria una società di bevitori matricolati.
[...] Fra tutti i prodotti intellettuali della Massoneria, l'ottimismo fu quello che ebbe la parte più importante nella politica francese degli anni fra il 1789 e il 1799, e forse la più pericolosa. A ogni modo essa fu l'opera massonica più notevole, senza la quale tutte le altre sarebbero state sterili.
L'ottimismo di Franklin, quello di La Fayette, dei giovani nobili liberali, e dei deputati che formarono la maggioranza nella notte del 4 agosto, venne coltivato nelle logge massoniche prima di passare sulle pubbliche piazze e nei parlamenti francesi. E grazie ad esso tutta l'opera di riforma massonica poté essere preparata, intrapresa, messa in cantiere, senza che nessun gruppo fosse abbastanza forte da confessare il proprio scetticismo o da far sentire in mezzo all'entusiasmo generale le obiezioni del pessimismo tradizionale. Questa fede viva e gioviale nel progresso travolgeva ogni cosa sul suo passaggio. Era l'anima stessa della Massoneria francese.

Morte della Massonerìa settecentesca (1790-1796)

Quando questa fede scomparve, la Massoneria francese si eclissò: non morì, s'intende, ma s'intorpidì e sospese la proprio attività. Tra il 1792 e il 1793, con i massacri e le guerre esterne, la Massoneria si rattrappì, le logge si chiusero una dopo l'altra, fino al momento in cui il gran maestro, il duca d'Orléans, la sconfessò e la rinnegò pubblicamente. Quest'ultimo colpo costernò i massoni, che cercarono di protestare, di difendersi: in sostanza erano forti, stavano al governo e avevano in mano le fila del potere e le redini stesse dell'autorità. Eppure la Massoneria apparve come come priva di timone, e senza i suoi gran signori non seppe dove dirigere il suo corso.
Nonostante quell'atmosfera così favorevole all'idea massonica che la Rivoluzione Francese veniva creando, al Terzo Stato occorsero dieci anni per riorganizzare una Massoneria e tuttavia non ci riuscì se non per merito dell'appoggio di Napoleone, che riempì le alte cariche con membri della sua nuova nobiltà e della sua famiglia. È che l'elemento essenziale della Massoneria tra il 1717 e il 1793 era stata la nobiltà, non il Terzo Stato. Quest'ultimo aveva invaso le logge con un entusiasmo che per poco non rovinò la Massoneria: avvocati, uscieri, legulei, gente di toga d'ogni specie e d'ogni categoria, medici e anche commercianti avevano preso d'assalto le officine. Le iniziative sociali e politiche provenivano dal gran maestro, dall'amministratore generale, dai filosofi che li attorniavano e li consigliavano e dagli altri gran signori illuminati. Le iniziative intellettuali venivano dalla Loggia delle Nove Sorelle, e quando la Loggia col suo magnifico stato maggiore di notabili scomparve, la Massoneria divenne un corpo senz'anima.
Si ricostituì verso il 1796-97, con quei massoni ch'erano sopravvissuti alla tormenta, ma ormai aveva un altro carattere. L'età dei gran signori e della benignità erano trascorse: la Massoneria francese rinasceva, ma quella del Settecento era morta per sempre. In Francia l'aveva uccisa la Rivoluzione, in Inghilterra l'avevano annientata le guerre franco-inglesi. In particolare, dal 1790 al 1815 la Massoneria inglese venne animata da un grande zelo lealistico e patriottico che sacrificava i suoi vecchi istinti frondisti e internazionali. Nel 1813, quando i due rami della Massoneria inglese si riconciliarono e si accordarono per formare una società sola, il gran maestro era il duca di Sussex, figlio del re Giorgio III, fratello di Gregorio IV: tutti i massoni si raccolsero sotto l'egida della famiglia reale, ponendo fine all'età dei gran signori. Si assistette così alla modifica del testo dell'articolo primo delle Costituzioni e si precisarono i doveri del massone verso Dio. Dopo la famiglia reale, fu la Chiesa d'Inghilterra a consolidare la propria alleanza con la Massoneria, che in terra inglese rappresentava una tradizione conservatrice.
Anche in America la Massoneria settecentesca si spense, soffocata dal pubblico sospetto e dai vari timori. La notizia degli eccessi di cui si erano rese colpevoli le società giacobine in Francia (di cui furono accusate presto tutte le società segrete) aizzò contro la Massoneria americana i giornali federalisti e il clero della Nuova Inghilterra. Dal 1795 al 1800 la polemica infuriò intorno a quell'Ordine una volta così rispettato, e servì da esca per una serie di campagne che, per più di quarantanni, tentarono di sollevare le masse contro la Massoneria riuscendo a staccarne i ceti più elevati.
Questo dileguarsi della Massoneria settecentesca nei tre paesi dove risplendeva del suo maggior lustro e dove aveva compiuto la sua opera più importante non fu un semplice fenomeno sociale dovuto alla rottura dei vincoli che univano la Massoneria e le alte classi aristocratiche. La Massoneria, che non aveva voluto essere una religione, s'era però organizzata come una forma di religione: il suo rituale e i suoi precetti, senza imporre alcuna formula dogmatica, portavano ad allontanarsi dalle religioni rivelate e a volgersi verso un deismo scientifico, panteistico e astrologico. Essa era fatta per contenere, sostenere e utilizzare un misticismo newtoniano. Fu Newton infatti che rese possibile la crociata massonica del Settecento, offrendo una dottrina che raccoglieva l'approvazione, a un tempo, degli astrologi scientifici e panteisti come Boulainvilliers e dei dotti deisti come Desaguliers. Nel secolo XVIII, sbalordito della scoperta della pluralità dei mondi, inebriato dall'impressione nuova di trovarsi in mezzo a degli universi formicolanti e popolati di esseri innumerevoli, Newton aveva offerto una teoria cosmica, diventava un culto, che la Massoneria raccolse come sua mistica intima. Quando le idee di Newton persero la loro portata innovativa, quando smisero di far sognare l'immaginazione e far rabbrividire i sensi, quando la scienza, facendo progredire le sue ricerche, lasciò ricadere l'astronomia nella sua consuetudine antica, per molti i rituali massonici si rivelarono vuoti e inconsistenti.
Fra le catastrofi e le guerre del Settecento agonizzante e dell'inizio dell'Ottocento, l'uomo si sentì isolato: l'ottimismo di Newton e l'irradiazione delle stelle non gli bastavano più. Alcuni ritornarono al calore del mistero cristiano, altri accentuarono la loro miscredenza. La Massoneria inglese si rivolse a Dio, la Massoneria francese se ne allontanò. Diffondendo tra le folle i dubbi e le dottrine della Massoneria, la Rivoluzione costrinse i massoni a parlar chiaro e a compiere la loro scelta. La prudenza d'un tempo, ambigua, sottile e aristocratica, non si addiceva più a quei giorni di battaglia, non bastava più agli uomini smarriti. La Massoneria del secolo XVIII aveva originato lo spirito rivoluzionario, lo spirito rivoluzionario aveva originato le rivoluzioni e le rivoluzioni avevano originato una nuova Massoneria.

Conclusione: La Massoneria settecentesca e la sua opera

Coperta dal velo dei suoi misteri, avvolta nel suo segreto, resa oscura dalla molteplicità delle sue sette, la Massoneria settecentesca pareva all'inizio assai enigmatica. Ma se si getta uno sguardo sul secolo intero e si scartano tutte le notizie dubbie o ambigue, rimane la semplice certezza che essa fu una società di pensiero, tesa innanzitutto ad operare sull'animo e sull'ingegno degli uomini. E, nonostante le varie controversie in proposito, fu anche una forma di religione. L'istituzione che Desaguiliers e gli altri massoni inglesi rinnovarono si proponeva infatti di proseguire il Cristianesimo e di ricondurre alla ragione il deismo imprudente. Considerava la decadenza del Cristianesimo come un fatto da dover accettare, credeva nell'esistenza del deismo e nel suo trionfo ineluttabile, ma scorgeva i pericoli sociali che derivavano dalla diffusione affrettata e brutale delle teorie «filosofiche». Riconosceva la potenza e il valore dell'ingegno della scienza umana come i fondamenti di ogni certezza, anche religiosa e la sua fede nella scienza la portava necessariamente a credere nel progresso. In questo modo preparava le rivoluzioni politiche e compiva la rivoluzione intellettuale del secolo XVIII. Intendeva garantire la fusione tra i due dogmi nella forma più armoniosa possibile, e per far ciò si atteggiava ad arbitro: ai cristiani chiedeva di rinunciare a imporre i loro dogmi e ai deisti di accettare l'idea di causa prima, nozione allo stesso tempo filosofica e scientifica. E poi esortava tutti ad amarsi, ad aiutarsi e a costituire l'unità del genere umano su una base di cameratismo. Questa era la sua «religione cattolica».
Organizzava i riti in modo da conferir loro un carattere simbolico e sincretistico che si addicesse contemporaneamente ai cristiani, ai deisti scientifici e ai filosofi neo-pagani: le grandi cerimonie venivano celebrate nei giorni di San Giovanni, d'inverno e d'estate, vale a dire la festa del precursore dinanzi al quale s'inchinò Cristo e la festa dell'evangelista da lui amato, per cui mentre un cristiano era libero di scorgervi un omaggio reso alla Divinità redentrice, un filosofo le poteva considerare come un omaggio reso all'astronomia, alle leggi immutabili della materia e alle forze inesauribili della Natura. Sicché la Massoneria conservava fra i due partiti un equilibrio molto delicato a meno che essa stessa non si ponesse alla testa del movimento. Per formare la sua nuova fraternità, per instaurarla come una grande forza religiosa, aveva bisogno del clero e dei fedeli cristiani, che soli avevano conservato il rispetto della morale e lo spirito di pietà, ma anche dei deisti, la cui influenza cresceva ogni giorno seducendo la fantasia della gioventù. Infine, necessitava di capi che potessero tener in rispetto gli uni e gli altri e obbligarli ad accettare la tregua intellettuale che bisognava imporre allo scopo di giungere alla pace sociale e alla formazione di un ideale comune.
Per questo motivo la Massoneria non poteva far a meno della nobiltà. Per via della loro ricchezza, della loro indipendenza, della loro cultura, delle loro relazioni internazionali, della loro autorità naturale e perfino della loro aria insolente, i gran signori erano gli arbitri naturali fra i devoti e i libertini. Furono loro quelli che la Massoneria scelse per dirigere le sue logge e tutto l'Ordine. E ci riuscì senza troppa fatica, giacché l'alta nobiltà del secolo XVIII era disponibile, oziosa e ambiziosa, gelosa della Chiesa e insofferente della sua autorità. I gran signori furono solleciti nell'aiutare la Massoneria: i suoi nastri e i suoi monili li attiravano e la sua aria di mistero li allettava ancora di più. Quest'istituzione, che sfuggiva all'autorità dei re, tornava poi molto gradita ai nobili perché sembrava restituire loro un po' della loro antica dignità. A volte se ne servirono per i loro intrighi politici, ma la Massoneria si rifiutava sempre di considerar la politica come il suo scopo e la violenza come suo mezzo, anche se il corso degli avvenimenti storici attesta il contrario. Essa in fondo non poteva sottrarsi alla politica, perché era un corpo sociale che risiedeva tra nazioni in costante conflitto fra loro, divise da discordie intestine: non le era possibile essere neutrale poiché non le era possibile perseguire il suo scopo religioso senza avere una politica. Fin dal momento della sua creazione, si fece sostenere da quel governo che più le sembrava adatto ad assicurare un ambiente sociale e politico propizio alla diffusione della sua dottrina, vale a dire il governo hannoverese d'Inghilterra. Anche se sarebbe più esatto dire che la sua stessa creazione era il frutto del successo degli Hannover d'Inghilterra e dell'ordine sociale e politico che questi instaurarono.
In Inghilterra fu quindi una società patriottica, fuori dall'Inghilterra un'organizzazione internazionale che diffondeva le idee, il prestigio e i prodotti intellettuali inglesi. Del resto, fu proprio questo che le impedì, in Francia, di essere sinceramente devota ai Borboni. Tanto meno poteva esserlo, in quanto la causa dei Borboni era legata a quella della Chiesa cattolica, nemica implacabile della Massoneria. Essa infatti non riconosceva la Chiesa cattolica come un'autorità superiore e, d'altro canto, il cattolicismo condannava l'autorità che la Massoneria voleva imporre ai cattolici. In Italia, in Spagna e nel Portogallo la battaglia s'inasprì fin dallo stabilirsi delle prime logge e durò tutto il secolo. In Francia, in particolare, le tendenze autonomistiche della Chiesa gallicana permisero alla Massoneria di evitare un conflitto violento fino al 1795, ma la situazione continuava a rimanere tesa mentre si andava svolgendo una lotta intellettuale sorda e spietata.
In Gran Bretagna, dove l'ordine esistente e l'alta nobiltà avevano già favorito il suo sviluppo, con il passar del tempo la Massoneria diventò conservatrice e si accostò sempre più al Cristianesimo. Sosteneva l'alta nobiltà che l'aveva a sua volta sostenuta e garantiva la stabilità sociale contribuendo all'opera di trasformazione graduale degli uomini. E si sforzava di creare le condizioni politiche necessarie allo sviluppo della sua azione morale: regno del parlamentarismo, accettazione dei principi di libertà, eguaglianza e fratellanza, fede nel progresso, nella scienza e nell'umanità.
Fuori d'Inghilterra la situazione era invece meno serena. Più energici si dimostravano i difensori delle religioni rivelate, dei re di diritto divino e dell'ineguaglianza sociale, più attiva era la propaganda con cui la Massoneria rispondeva, diffondendo dappertutto i principi inglesi del 1688. Favorì il legame fra la Rivoluzione d'Inghilterra, quella degli Stati Uniti e quella di Francia, preparò il terreno intellettuale e sociale delle rivoluzioni del secolo XVIII e conferì loro la dignità morale della quale dovevano essere rivestite. Non partecipava direttamente alle rivoluzioni, ma una volta organizzate le faceva fare ai suoi membri: durante i conflitti spariva per poi ricomparire più brillante e viva.
[...] D'altronde è assai difficile definire in tutti i suoi particolari l'azione politica e rivoluzionaria della Massoneria, giacché la Loggia funzionò sempre come una specie di cappella, la cui missione era di tener desto lo spirito. Ecco perché è molto difficile trovare nell'attività massonica tracce di un'azione politica. In politica il lavoro della Massoneria si compiva sia attraverso società connesse massonizzanti che conservavano la loro autonomia amministrativa (come la Società degli Amici dei Negri in Francia e i Figli della Libertà in America), sia attraverso l'attività di grandi (come Franklin in Francia), sia attraverso l'immensa rete del cameratismo massonico che, ai piccoli come ai grandi, garantiva complicità e vantaggi sociali innumerevoli.
Non si può intendere lo spirito del Settecento e la Massoneria senza avere studiato il moto delle idee rivoluzionarie tra il 1700 e il 1800 e scrutare le azioni di quei grandi massoni apostolici, tra cui Franklin e Washington. Furono loro, e non gli scrittori più geniali né i filosofi più originali, i veri strumenti della Massoneria, poiché quest'ultima, come Chiesa e come forza sociale nutriva un istintivo timore per gli ingegni troppo originali. Voltaire, Rousseau, Diderot non ebbero grande importanza in ambito massonico, al contrario di Desaguliers, Lorenzo Dormati, Court de Gobelin. Nel secolo XVIII la Massoneria riesce meglio come forza sodale che come associazione di pensiero. Infatti essa si prefiggeva il compito di preparare un alimento intellettuale che tornasse utile alle masse, che formasse l'unità sentimentale di tutti gli uomini e la loro felicità comune. Sicché si preoccupava innanzitutto dei principi di valore collettivo: per questo motivo non si appassionò alla letteratura, in cui l'elemento individuale ha una parte così importante, ma alla scienza, contraddistinta da un carattere di universalità. Preferiva le idee semplici: libertà, eguaglianza, fratellanza, progresso, scienza, e mirava a diffonderle e a trasformarle in certezze e in abitudini. Il barocco rituale delle logge, le loro cerimonie indefinite, i loro banchetti, la loro giovialità ampollosa e volgare agli occhi di alcuni, erano tutte cose che, circondate di mistero e di misticismo erano tese a creare un'atmosfera intellettuale. Meglio di ogni altra forza, meglio d'ogni altro corpo costituito del secolo XVIII, la Massoneria seppe attrarre a sé gli uomini, risvegliare in loro il desiderio e la curiosità, farli agire di continuo tenendoli sempre sulla corda senza saziarli né stancarli.
La Massoneria fu un capolavoro d'organizzazione sociale, giacché era abbastanza semplice per attrarre a sé tutti gli animi, abbastanza pratica per saziarli di piaceri, abbastanza sottile per stimolare sempre la loro attività e il loro desiderio. Su questo mistero essa basò la sua forza.
La Massoneria, che non voleva essere né una religione né una setta né un partito né una società letteraria né un'opera di carità, ma che proclamava come suo vero fine l'unione degli uomini e il segreto come suo mezzo essenziale, sembra precorrere quei secoli che saranno ossessionati dall'idea di associazione e dalla preoccupazione del collettivo. Nel secolo XVIII «prepara» l'Ottocento e predispone gli animi al culto del «fatto sociale».
[...] La Massoneria, sprezzante del dogma, indipendente dai re e dalle religioni, ma avvolta nel suo segreto, che la illumina come un alone, ebbe la somma abilità di sostituire al mistero della Divinità la divinità del Mistero.

Capitolo XXVIII - Intervista a Miguel Serrano

Il mondo islamico rappresentò per il Nazionalsocialismo una base d'appoggio logistica e strategica. In Siria, Egitto, Iraq e Libano, Adolf Hitler era popolarissimo e non a caso, finita la guerra, molti tedeschi espatriarono proprio da quelle parti. Ma soprattutto la Cina, con le sue tradizioni esoteriche, ebbe un'influenza notevole per le pratiche occulte dei nazionalsocialisti, i quali conoscevano bene il Tau, l'alchimia e la geomanzia. Per il Terzo Reich il Tibet rappresentava il sogno mitico della ricerca dell'Est e di tutto il suo patrimonio sacro, così come per l'India e le sue tradizioni.
Quella che segue è un'intervista rilasciata sull'argomento da Miguel Serrano (1917-1978), ex-ambasciatore cileno in India, ambasciatore a Vienna e presso l'Onu, amante di Indira Gandhi, amico di Javaharlal Nehru e del maresciallo Tito, e pensionato da Salvador Allende. Serrano dedicò tutta la sua vita alla teorizzazione del Nazionalsocialismo esoterico, frutto delle proprie esperienze indiane e tibetane. Dopo aver a lungo studiato gli scritti di Carl Gustav Jung e di Hermann Hesse, egli elaborò una propria visione poetica ed esoterica del Nazionalsocialismo, fortemente incentrata sulla ripresa della dottrina induista.

Serrano, lei è stato ambasciatore del Cile e ha viaggiato in India dal 1953 al 1962. Come ha vissuto quel periodo?
È stata una grande esperienza basata su una vera ricerca mitologica e leggendaria del pensiero indiano. Per anni, frequentando ashrams, vivendo con guru e saggi, ho cercato una possibilità di sintesi fra la tradizione occidentale, la mia ideologia nazionalsocialista e le più elevate concezioni di vita mistica dell'Induismo e del Buddhismo. Lo scopo profondo era quello di entrare nel mondo parallelo del sapere esoterico. Come tutti i devoti, decisi così di affrontare il mio viaggio sul monte Kailash, dove risiedono gli dei Shiva e Parvati, portando avanti uno studio approfondito delle origini ancestrali della razza ariana, sulla base della tradizione esoterica della Germania degli anni Trenta.
Molte sono state le spedizioni in quei luoghi, alcune condotte dall'esploratore svedese, da sempre amico del popolo tedesco, Sven Hedin, che raggiunse la Cina e il deserto del Gobi, altre guidate da Ernst Schäfer, anch'egli in Cina, dal Panchem Lama, e in Tibet. Schäfer, morto di recente ad Amburgo, fu il primo uomo occidentale a parlare con il Dalai Lama di allora, nel 1939. Giovane etnologo appassionato di flora alpina, aveva studiato all'Università di Berlino, dove aderì con entusiasmo ai progetti di viaggio scientifici promossi dal governo tedesco del Terzo Reich. Si recò diverse volte in Cina, in India, in Nepal e infine in Himalaya.
Dall'India Schäfer e altri quattro tedeschi con i loro accompagnatori raggiunsero, scalando le sacre montagne dell'Himalaya, la capitale Lhasa, dove risiedeva il Dalai Lama. Fu un viaggio pieno di difficoltà in un territorio completamente vergine dal punto di vista ambientale e sociale, ma ricco di quelle tradizioni magiche e religiose che tanto affascinavano i nazionalsocialisti. Quella di Schäfer fu infatti una delle spedizioni più significative della ricerca nazionalsocialista in Oriente. Egli riuscì a collezionare tutti i permessi della sezione con l'appoggio di Wolfram Sievers e di Himmler stesso. Il progetto tendeva ad effettuare accurate ricerche sulla flora e la fauna dell'Himalaya, ma in realtà mirava alla conoscenza religiosa ed esoterica delle dottrine mistiche orientali, nonché alla ricerca dei mitici luoghi di Agarthi e Shamballa: il Regno del Re del Mondo.

Mi dica, quale fu la vera relazione tra il Nazionalsocialismo e la ripresa del mito di Agartha e del Re del Mondo?
Hitler era letteralmente affascinato dall'aspetto romantico dell'esplorazione in questi luoghi mistici e sconosciuti, ma queste spedizioni erano comunque motivate dal fatto che i tedeschi cercavano percorsi nuovi e brevi per stabilire contatti in vista di una futura espansione verso Est. Il loro vero obiettivo era raggiungere l'India e via via arrivare in Cina, per creare un impero che rappresentasse l'espressione geografica e geopolitica del sincretismo di tutte quelle religioni orientali che avvicinavano l'ideologia dei nazionalsocialisti. L'ombelico del mondo, nelle tradizioni orientali è il monte Kailash, dove nasce il sacro Gange, ma anche il deserto del Gobi, dove risiede Buddha e dove vivono diversi ordini di monaci tantrici, che ho conosciuto molti anni fa. Per alcuni, questi luoghi sono considerati le entrate al regno sotterraneo del Re del Mondo: l'Agartha. Secondo René Guénon, la decadenza dell'era in cui viviamo, il Kali Yuga, ha spinto gli dei a rifugiarsi in un mondo sotterraneo per evitare di essere contaminati dal Male. Un'esemplificazione di questo concetto è offerta dalle pratiche tantra dell'India, con cui i maghi Siddha tentarono di raggiungere l'unione psichica. Il tantrismo, dottrina nata agli inizi del Kali Yuga, permette di ottenere la liberazione dal Male attraverso l'acquisizione di doni sovrannaturali. Il rituale dei tantra è complesso e misterioso: l'iniziato doveva essere casto mentre la donna era di solito una delle prostitute sacre dei templi. Perché il rituale giungesse al suo culmine era necessario un lungo periodo di preparazione: l'uomo e la donna andavano insieme nella foresta vivendo castamente. Soltanto dopo vari mesi di preparazione si celebrava la messa tantrica, dopo la quale veniva eseguito il maituna, o coito mistico. Questo atto rappresentava il culmine del lungo processo di sublimazione nel corso del quale la carne veniva trasformata e trasfigurata ed era un atto diretto ad accendere il fuoco mistico alla base della colonna vertebrale. Tutto questo patrimonio teorico delle pratiche tantriche è stato descritto per esteso dall'italiano Julius Evola, secondo il quale tutto iniziò con la calata degli Iperborei, discendenti degli uomini-dio, dai Poli verso Sud. Qui, sotto la catena dell'Himalaya, fondarono Agartha e Shamballa. La città di Shamballa è stata descritta anche dallo scrittore Federico Ysendosky in Uomini, bestie e dei.

Un grande conoscitore dell'Oriente, e suo amico, è stato Carl Gustav Jung.
Jung considerava Hitler un uomo molto particolare, uno sciamano, un mago, un uomo posseduto da quello che lui chiamava «inconscio collettivo ariano», tipico della popolazione tedesca in particolare e di quella europea in generale. La sua teoria dell'inconscio ariano, scomparsa nel dopoguerra, è una concezione estremamente razzista. Strano che nessuno studioso se ne sia reso conto veramente. In particolare ricordiamo il suo studio sul dio Votan Odin, il dio della guerra tedesco, studio che risale agli anni Trenta. Secondo Jung, quando la credenza nel dio Votan scomparve, e nessuno pensò più a lui, il fenomeno chiamato originariamente «Votan» rimase, mutò soltanto il nome, nascondendolo dietro quello del Nazionalsocialismo, un movimento collettivo formato da milioni di individui, ciascuno dei quali rivelava chiari sintomi di votanismo. Questo dimostra che in realtà l'archetipo Votan non è morto ma ha mantenuto la sua vitalità e autonomia originarie. Infatti, sempre secondo Jung, soltanto la nostra conoscenza immagina di aver perduto le sue divinità. In realtà esse sono ancora lì ed è sufficiente una determinata condizione generale per ripristinarle in tutta la loro forza. Tale condizione corrisponde ad una particolare circostanza in cui è prossimo un nuovo orientamento. Se il caso non è compreso con chiarezza e non viene data nessuna risposta appropriata, l'archetipo che esprime questa situazione si intromette e suscita una reazione, secondo un esempio fin troppo noto. Nel caso specifico di un ritorno al votanismo, avendo noi perduto in larga misura i nostri dei, e poiché l'attuale condizione della nostra religione non offre una risposta efficace alla situazione del mondo in generale, e alla religione del comunismo in particolare, siamo in una situazione pericolosa, che è molto simile a quella della Germania pre-nazionalsocialista degli anni Venti, cioè corriamo il rischio di un ulteriore, e questa volta su scala mondiale, esperimento votanico. Questo significa epidemia mentale e guerra. Quando un archetipo è avvertito inconsciamente, e non compreso consciamente, si è posseduti da esso, e spinti verso la sua meta fatale. Votan quindi, rappresenta e formula il nostro principio basilare di comportamento. Ma il fatto che una divinità arcaica formuli ed esprima la dominante del nostro atteggiamento non può che spingerci a trovare un nuova posizione religiosa e a comprendere in modo rinnovato la nostra dipendenza da dominanti superiori. Mi chiedo come ciò sia possibile senza una rinnovata autocomprensione dell'uomo, il quale deve inevitabilmente cominciare a vedersi come un essere sul quale agiscono determinanti forze archetipiche che non coincidono con la sua libera volontà, cioè con il suo arbitrario egoismo e con la sua limitata coscienza. Egli deve studiare con la massima cura l'altro lato del suo mondo psichico, che sembra essere il vero signore del suo fato. So che questo è soltanto un desiderio il cui esaudimento richiede secoli. Ci sono uomini che conservano la tradizione per le generazioni future, e ci sarà un tempo in cui la conoscenza interiore raggiungerà un livello più profondo e generale. Ma ha perso la guerra, e ha vinto Freud.

Carl Gustav Jung ha studiato per anni le tradizioni sacre di tutto il mondo, formulando un sistema simbolico delle analisi e delle sintesi che fu simile, in alcuni casi, a quelle del Terzo Reich. Per lei è stato quindi un «compagno di strada» che poi si è allontanato. Ci vorrebbe più tempo per conoscere bene i riti occulti, che confluivano nel grande calderone che bruciava l'incenso del sacro, sotto le inquietanti e nere divise delle SS.
Vediamo come funziona in pratica il tantra dei Siddha. Questo fuoco inestinguibile è il prodotto dell'amore supremo ma non ha nulla a che vedere con il comune atto sessuale, durante il quale qualcosa di fisico muore per produrre una nuova vita. Durante l'unione tantrica è operante lo spirito della morte, che produce una vita dello spirito. La donna è una sacerdotessa dell'amore magico, la cui funzione è quella di toccare e risvegliare i vari Chakra dell'eroe, consentendogli in tal modo di ottenere sempre nuovi livelli di coscienza fino al raggiungimento della totalità. Alla fine, il piacere goduto non è quello della eiaculazione del seme, che è severamente proibito, ma il piacere della visione, dell'apertura del «terzo occhio», che simboleggia la fusione degli opposti. L'uomo non eiacula il seme ma impregna se stesso. In tal modo il processo di creazione viene rovesciato poiché il risultato di questo amore proibito è l'androgino, l'uomo totale. Tutti i Chakra, o centri di coscienza, ridestati nell'atto tantrico non sono che un continuo incontro con il sé: una volta completato questo «rito di amore senza amore», infatti, l'uomo e la donna si separano come esseri completi e individuati. Sui muri del tempio di Kajurago, in India, numerosi bassorilievi raffigurano questo rito e il fatto che in essi non vengano rappresentati bambini sta a significare proprio il carattere innaturale di questo amore. All'interno del tempio, nel luogo più segreto, siede in meditazione Shiva, l'androgino, che gioisce con gli occhi chiusi del suo atto di creazione.
In India il significato di quest'amore proibito è espresso nella storia di Krishna, il dio azzurro tanto amato da Hesse, che danzava con le sue donne nei giardini della sua prima amante in un mandala crescente fino al pieno raggiungimento del sé. Nei riti tantrici, infatti, il maituna non è sempre un atto fisico: l'importante è la presenza della «sorella mistica» con la quale intrattenere un gioco psichico, come tra paziente e analista, al fine di creare insieme in questo particolare processo di individuazione. Le nozze, o unione finale, hanno luogo nell'individuo isolato, il quale è così completamente solo da non avere di fatto alcuna sensazione del suo stesso corpo. Questa unione viene conseguita attraverso il Kundalini, l'energia occulta definita da Jung «corrente emozionale», paragonabile al mercurio degli alchimisti o al fuoco astrale degli occultisti. Kundalini risveglia i Chakra, uno dopo l'altro, fino all'apertura del «terzo occhio», o Ajina Chakra, per raggiungere il Brahma Chakra, o «vuotezza finale». È uno sposalizio tra l'io e il sé, al quale si arriva attraverso l'unione dell'anima con l'animus. Mi rendo conto che Jung con i suoi studi ci ha consentito oggi di venire a conoscenza di quei misteri che sembrano possedere la forza di riportarci nella terra leggendaria del dio-uomo, ma ora dobbiamo attendere l'arrivo di un discepolo capace di svelare il suo messaggio e di interpretare il linguaggio che sottende la sua opera. Quel discepolo dovrà essere un sacerdote, un mago o un poeta. Solo così verrà alla luce la più profonda tradizione.

Ma, in pratica, in cosa consisteva il continuo riferimento dei nazionalsocialisti ai principi della tradizione induista?
Il fine del Nazionalsocialismo era quello della trasmutazione, lo scopo ultimo era il Sonnemensch, l'Uomo-Sole, l'uomo che trascendeva la parte umana e la parte fisica. E questo, credo, si può certamente ricollegare al fatto che le SS praticassero qualche forma di tantra.
Il cammino di iniziazione verso la trasformazione dell'uomo nuovo si può far risalire come tradizione indiana - ripresa dai membri delle SS Ahnenerbe - a quella del filosofo indiano Tilak. Assieme a Gandhi egli fu inizialmente un membro del Partito del Congresso dal quale poi si separò perché si riteneva più tradizionalista. Nel suo libro Le origini polari dei Veda dimostrò come tutta la tradizione indù discendesse da una civilizzazione del Polo Nord: per Tilak i conquistatori dell'India non erano che gli antichi Iperborei. E proprio a questo facevano riferimento molte delle fonti di ricerca delle SS Ahnenerbe. L'aspetto dei tantra si rifaceva alla tradizione induista del risveglio dei Chakras e possedeva una parte sincretica che riguardava anche lo studio delle rune. E attraverso lo yoga delle rune si realizzava, presso le SS, la pratica della trasmutazione. Queste erano come dei Chakras: attraverso la meditazione si risvegliava la Kundalini che lentamente saliva lungo la spina dorsale fino al Chakra superiore, il Saramastra, con l'obiettivo di creare l'Uomo-Sole, l'Essere Illuminato. Questo era lo scopo dei nazionalsocialisti: trasmutare l'uomo in super-uomo. E lo raggiunsero perché molti di loro divennero immortali.
Io sono convinto che c'è gente immortale a questo mondo: sono esseri immateriali e sono dovunque, anche qui, ora. Non è facile spiegarlo, ma molte cose che accadono sembrano fantascienza. Ed è importante: parliamo della morte, della morte mistica in particolare.
Nelle Externsteine esiste una tomba, che non è riservata ai morti, ma ai vivi, in cui poter rinascere: ricordiamo in fondo che il termine ario vuol dire proprio "nato una seconda volta". L'atto della cremazione è proprio della tradizione aria: dopo la morte il corpo entra in contatto con lo spirito in un'immaterialità eterica. La sepoltura invece è tradizione dei popoli non arii, quelli che aspettano la resurrezione del corpo, come in India dove gli Yogi non vengono cremati ma mummificati. Secondo la dottrina taoista invece, il saggio, quando muore, resuscita direttamente nella propria tomba. Si narra infatti che aprendo un sepolcro taoista al posto del cadavere si ritrova sempre una spada, simbolo della colonna vertebrale, chiaro riferimento all'Yggdrasill, lo stesso della tradizione Germanica odinica ripresa dai nazionalsocialisti.

Capitolo XXIX - Esicasmo

L'Esicasmo è la Preghiera del Cuore, un vero e proprio yoga cristiano tuttora in voga nelle chiese ortodosse (in particolare presso i monaci del monte Athos), e un tempo era praticato in forma simile anche nel Cattolicesimo. Molti ortodossi, appartenenti alla Guardia di Ferro rumena, si fecero monaci e presero la via del monte Athos.

Yoga cristiano

Nella misura in cui si può definire lo Yoga come «una tecnica spiritualizzante» è legittimo parlare di uno «Yoga cristiano». Lo scopo del presente studio è di illustrare le tecniche somato-psichiche e di spiegarne il significato ed il valore che gli ortodossi attribuiscono ad esse. Per facilitare l'esposizione del soggetto si possono distinguere tre gruppi principali di esercizi ascetici.
I primi mirano al corpo e influenzano l'anima (psiche) e lo spirito (pneuma) solo indirettamente, nella misura in cui l'uomo «totale» se ne trova modificato. Sono gli esercizi detti di «mortificazione»: il digiuno, la veglia, il lavoro massacrante, la castità, ecc.
I secondi piegano il corpo a certe esigenze che hanno ripercussioni dirette sulla vita psichica e indirette sulla vita spirituale. Essi sono appena conosciuti in Occidente e formeranno la parte essenziale di questo saggio.
Gli ultimi sono esercizi ascetici che mettono in opera le potenze psichiche dell'uomo e hanno ripercussioni corporee: sono essenzialmente la meditazione e certe forme di preghiera che escono dal quadro del nostro soggetto.

Ascesi di mortificazione

L'uomo è stato creato dal nulla: ecco la prima verità dinanzi alla quale ci pone la rivelazione biblica. Egli non ha alcun fondamento ontologico, né in sé né in Dio: nulla ha preceduto l'esistenza del Cosmo di cui fa parte integrante, per cui alcun legame genetico lo collega al suo Creatore. Il «caso» di cui parlava il pensiero antico non era che un nulla relativo, quello della nullità, per così dire, non proprio quello del «non-essere». Il libro della Genesi ci parla infatti di un «essere» informe e confuso: «La terra era informe e vuota e vi erano tenebre alla superficie». Il nulla vero, assoluto, quello che precede la creazione della prima creatura, oltrepassa le possibilità del pensiero naturale, in quanto non è una assenza, un vuoto, o un essere assottigliato fino all'impercettibilità: è invece la Presenza per eccellenza dell'Unico, del Solo Reale. Trascendente e sconosciuto fino al momento in cui voglia rivelarsi, il caos è una non-pienezza del creato: ciò che precede l'apparizione della creatura è la pienezza dell'Increato che Dio solo conosce e rivela. Non vi è alcuna comune misura, non vi è alcuna filiazione naturale fra Dio e l'uomo il cui solo punto di appoggio è la Volontà divina, che gli apre l'accesso alla vita come partecipazione alla Vita di Dio. Ed è all'uomo che questa vita è offerta: corpo, animo e spirito. Egli è chiamato a conoscere Dio, a comunicare con la vita divina.
Per raggiungere il suo fine ultimo, l'essere creato deve dunque aprirsi a Dio, oltrepassare la sua limitazione ed espandersi nella misura dell'Increato. Un altro compito gli incombe dalla caduta: divenuto un sotto-uomo, deve ridiventare ciò che era all'origine prima di poter compiere la sua vocazione e rispondere pienamente all'appello del suo Dio. L'armonia della natura umana comporta una gerarchia delle sue parti costitutive: il corpo deve essere sottomesso all'anima e quest'ultima allo spirito. Quanto allo spirito dell'uomo (nephesh), esso comunica col Soffio, lo Spirito di Dio nell'uomo (rouah), potenza di vita e sorgente della sua immortalità. Finché questa gerarchia non è distrutta, l'uomo resta «conforme» a Dio, suo «simile»: è capace di ricevere e di manifestare la sua essenza.
Ma l'uomo è creato «sovrano» e può determinare il suo destino. La sua stessa contingenza assicura l'indipendenza: nessuna necessità interna ha costretto Dio a chiamarlo all'esistenza. «Mutilo alla pienezza dell'essere divino», l'uomo è posto di fronte al suo Creatore. Se viene meno a Lui, se da Lui si distoglie, l'uomo impegna l'integrità della sua natura e la mette in pericolo: può cessare d'essere simile a Dio oppure unirsi a Lui. Nel primo caso, al compito ontologico di superamento del creato, si aggiungerà, per chiunque voglia realizzare la propria vocazione, una nuova missione: ritrovare l'armonia perduta.
Non è possibile né desiderabile, nei limiti di questo saggio, precisare tutti i termini della caduta. È interessante osservare che essa è stata nello stesso tempo improvvisa e progressiva: «E la morte si impianta a poco a poco», dice la Genesi. D'altra parte, la caduta è stata improvvisa nel senso che un cambiamento profondo e radicale si è prodotto fin dal primo momento di «frammentazione». Dio e l'uomo si sono trovati ad essere staccati l'uno dall'altro; lo Spirito di Dio nell'uomo è divenuto non solo differente, ma estraneo. La triplice armonia gerarchica del corpo, dell'anima e dello spirito si è spezzata fin dal momento in cui l'uomo non è stato più il canale per il quale la vita confluiva nell'anima e vivificava il corpo. Separato dalla sorgente divina di Vita eterna, l'uomo ha dovuto cercare un appoggio per la sua esistenza nell'ordine naturale. Leggiamo nel secondo capitolo della Genesi (versetto 16): «Mangia pur d'ogni albero del giardino», tuttavia dopo la caduta: «La terra sarà maledetta per cagion tua: tu mangerai del frutto di essa con affanno tutti i giorni della tua vita e mangerai l'erba dei campi». Invece di comunicare con la vita di Dio, Adamo deve partecipare alla vita del mondo materiale e, per questo fatto, integrarsi fino al giorno in cui la terra riprenderà ciò che le appartiene: «... fino al ritorno alla terra donde sei stato preso: poiché polvere sei e alla polvere ritornerai». Ma non è che la prima tappa di questa integrazione dell'uomo al mondo materiale da cui avrebbe dovuto sganciarsi, o meglio nel quale avrebbe dovuto integrare, lo Spirito divino: «Lo Spirito mio non contenderà in perpetuo con gli uomini, perciocché non sono altro che carne...» (Genesi, VI, 3).
Una volta separato da Dio, l'uomo scivola sulla china dove lo spinge lo spirito del male di cui è fatto schiavo: «L'Eterno vide che la malvagità degli uomini era grande e che tutti i pensieri del loro cuore si volgevano ogni giorno unicamente verso il male» (Genesi, VI, 5), e il diluvio sopravvenne. Sopravvissero solo coloro che il male non aveva corrotto, ma che tuttavia avevano ereditato la fragilità progressiva dei loro parenti. Il Signore disse a Noè e ai suoi figli: «Voi sarete un soggetto di timore e di spavento per ogni animale sulla terra e per tutti i pesci del mare: essi sono dati nelle nostre mani. Tutto ciò che si muove e che ha vita vi servirà da nutrimenti: vi do tutto ciò come l'erba verde».
Il diritto di mangiare tutto «ciò che si muove e che ha vita» appare dunque come la crudele espiazione di una crescente decadenza, non come una dignità conferita all'uomo, incapace di vivere della Grazia di Dio, senza vita intrinseca. L'uomo dipende ormai completamente dal mondo creato, dalla materia nella quale egli si ingaggia sempre più e ne ricavandone vita e morte. Ma una vita precaria e momentanea, il cui termine è il ritorno alla polvere.
Ritornare alla vita vorrà dunque dire rompere col dominio della materia, ritornare «autonomo». «Ahimè! Ho reso la mia carne vivace!» proclama un inno ortodosso: l'opposizione di due termini fra carne e corpo è impressionante e chiara: la carne è il corpo sprovvisto di vita divina e che mantiene la sua esistenza nell'ordine della materia, mentre il corpo è la materia umana penetrata dallo Spirito di Dio, liberata dalle servitù della sua natura decaduta, quantunque ad essa estranee alla sua vocazione.
La lotta con la carne è dunque la lotta per la reviviscenza del corpo e il termine di mortificazione vi acquista il suo vero valore: ciò che deve essere distrutta è la passione, la dipendenza, la servitù. Ma questa lotta non è del tutto negativa: noi apparteniamo al mondo decaduto che ha sostituito il mondo antidiluviano, e non è sufficiente rinunziare a ciò che è per noi sorgente di vita per acquistarne una nuova. L'ascesi di mortificazione non ha senso se non nella misura stessa in cui si associ ad un'ascesi costruttiva che ci renda atti a ricevere la Vita divina e a «vivere della Parola di Dio». Ciò non è possibile se, mentre da una parte ci liberiamo del mondo materiale, dall'altra prendiamo piede nel mondo divino, e il progresso in questo secondo senso deve precedere l'opera di rinunzia. Mancando tale condizione, la «carne» muore prima che il «corpo» sia ritornato alla vita.
I diversi elementi di questa ascesi - digiuni, continenza, veglia, lavoro - non richiedono alcun commento. Ciascuno di essi ha un valore particolare e non può essere utilizzato in modo promiscuo. Se la veglia, condotta fino ai limiti delle possibilità individuali, stimola un'intelligenza e una folgorazione sconosciute, il digiuno riporta l'uomo in se stesso, l'aiuta a far «coincidere il suo essere psichico con i limiti del corpo» mentre l'ascesi della sete è una delle condizioni necessarie al progresso nella preghiera inferiore. In tal modo è interessante sapere che non ci si può dedicare con successo a un esercizio ascetico senza seguire simultaneamente gli altri: non si può pregare senza digiunare e senza vegliare, ma è anche impossibile digiunare e vegliare se lo spirito di preghiera non ci penetra. È questa la ragione per cui le vite dei santi misurano il progresso spirituale in termini di lunghe veglie, di digiuni appena credibili. Si tratta appunto di «morire sulla terra» e di rivivere in Dio, di elevarsi con uno sforzo costante e concertato all'altezza della propria natura vera attraverso una lotta che raddrizzi e liberi, che uccida il germe di morte affinché la vita porti frutti e trionfi.

Tecniche somato-psichiche

L'ascesi di mortificazione è comune all'Occidente e all'Oriente cristiani e quella che sto per esporre ora è peculiare alla Chiesa ortodossa. Essa è stata stabilita e meravigliosamente sviluppata dai maestri della tradizione esicasta.
L'Esicasmo ("pace", "riposo"), è una tradizione spirituale che ha avuto il suo più grande sviluppo fra i secoli XI e XIV nei monasteri del monte Athos. Coloro che sono curiosi di conoscerne le origini e la storia leggeranno con profitto i due stupendi articoli del «Monaco della Chiesa d'Oriente» che la collezione Jrenikon ha pubblicato col titolo Prière de Jesus (Chevetogne, 1952) e lo studio condotto dal professor Wunderle, Technique psychologique de l'Hèsychasme byzantin, apparso nel 1938 in «Etudes Carmèlitaines». Sarà sufficiente dire qui che l'Esicasmo pone la pace interiore come una necessità primaria e come ultima realizzazione della vita spirituale: pace terrestre intellegibile, corporea e mentale, che apre la vita alla contemplazione luminosa di Dio. L'ascesi esicastica verte sull'essere intero, fa uso e associa ogni sua energia allo Spirito di Dio. Il posto che la pace vi occupa è lontano da un quietismo orientale, come spesso si è creduto: la pace non è assenza di lotta, ma di incertezza e di turbamento. La caduta, come abbiamo detto, ha immerso l'uomo nella materia e lo ha sottomesso ai meccanismi delle sue leggi: non solo egli è divenuto tributario del mondo che doveva dominare e guidare, ma si è legato al mondo creato e decaduto. L'uomo non può più pensare né sentire se non nella forma di questo mondo materiale e fuorviato, utilizzando le immagini che esso offre. Quand'anche egli cerchi di liberarsene, grazie ai meccanismi dell'astrazione, è pur sempre nel circolo vizioso del creato e dei suoi meccanismi che egli si muove, secondo il modo normativo del discorso. Notiamo dapprima che l'attenzione è, nell'esperienza spirituale, non solo una concentrazione delle forze divergenti dell'intelletto, ma la focalizzazione dell'essere intero, la sua somma in un punto, un perfetto raccoglimento che lo libera dallo svolgimento discorsivo e lo fissa nell'eterna ora di Dio mediante il silenzio interiore, nell'amore-adorazione. Questo punto di somma perfetta è chiamato «cuore» ed è il centro in cui scaturisce la vita e in cui essa si ritira. Trovare il «luogo del cuore» vuol quindi dire stabilire la propria vita inferiore e la vita senz'altro epiteto, in una perfetta stabilità e in una sovrana indipendenza, equivale a raggiungere la pace ricercata.
Tutta l'ascesi corporea legata alla sua ricerca è fondata su di una constatazione psico-fisiologica che ci sembra molto semplice, ma la cui scoperta empirica appartiene al genio: vale a dire sapere che ogni attività psichica comporta una ripercussione somatica e che inversamente gli atteggiamenti e i movimenti del corpo possono favorire, e anche provocare, stati mentali. Il corpo, in modo sensibile o impercettibile, partecipa ad ogni movimento dell'anima - che si tratti di sentimento, di pensiero astratto, di volizione o anche d'esperienza trascendente. Questa risposta del corpo è duplice: prende parte allo sforzo d'attenzione del soggetto, e si adatta al suo tema. È universalmente noto che lo sforzo d'attenzione si accompagna con un accigliamento e un irrigidimento della maschera; che la collera, la gioia e ogni nostra emozione si esprime in gesti e in atteggiamenti. Sono in molti ad aver notato che tutto il nostro corpo partecipa ad attività mentali: le gambe del Pensatore di Rodin «pensano» con la stessa intensità della fronte.
Quanto all'adattamento corporeo al tema del pensiero, non bisogna più farne la prova. La psico-fisiologia ci ha mostrato come ad ogni rappresentazione corrispondono sensazioni cinestetiche, attività ghiandolari, una sorta di messa in tensione motrice caratteristica. Questo duplice processo non avviene a caso: se è vero che l'organismo intero partecipa a ciascun avvenimento mentale, non è meno vero che, nei diversi casi, sono regioni differenti dell'organismo ad essere interessate al punto che, all'occasione, tale regione sembra essere la sola messa in azione, e che intervengono meccanismi di mutua esclusione, legati agli antagonismi fisiologici. D'altra parte, uno stesso tema, secondo che sia pensato o sentito, che si orienti verso l'azione o resti quiescente, che provochi tale o talaltro giudizio di valore (e quest'ultimo carattere è importante in pratica ascetica), mette in opera centri differenti di sommazione dell'essere, di concentrazione dell'attenzione. Il «tema traccia la propria via».
Soltanto il pensiero errante, non sostenuto da uno stato timico definito, è sprovvisto di un luogo fisico: esso ronza nella testa e sveglia reazioni somatiche passeggere che, all'occasione, possono diventare esse stesse centri d'attrazione per il pensiero che li ha generati, e fissarlo in modo spesso inatteso. Esso è determinato dal meccanismo complesso delle associazioni d'idee autogene, delle impressioni ricevute dall'ambiente esteriore e delle onde subcoscienti messe in moto dalla meditazione; questo pensiero ha un valore intellettuale mediocre, ma presenta nella vita ascetica pericoli reali, poiché troppo spesso si comporta come l'apprendista stregone di Goethe. Non appena appare un sentimento centrale, ogni attività psichica vi si unifica intorno e acquista maggiore coesione; il campo di coscienza si restringe e si illumina, e simultaneamente, si definisce un luogo di concentrazione dell'attenzione. L'esperienza degli asceti ortodossi ne ha definito un certo numero e li ha specificati con caratteri somato-psichici che permettono di riconoscerli. Indichiamoli brevemente.

Centro cranico cerebro-frontale
È localizzato, grosso modo, nella regione sopracciliare. Pare che esso si situi nell'intersezione degli assi orbitali, quando lo sguardo si dirige verso la regione frontale. Questo luogo corrisponde ad un pensiero astratto di una intellettualità purissima che può essere molto intenso, lucido e penetrante, ma complesso e instabile in quanto è retto dalle leggi dell'associazione. La sua unificazione intorno ad un tema esige un grande sforzo di concentrazione volontario che ne sospenda il gioco arbitrario e comporti la fatica, causa della dissipazione delle forze. È il modo di pensiero comunemente usato quando cerchiamo la soluzione di un problema o quando ci applichiamo a risolvere una difficoltà richiedente tutta l'agilità del nostro intelletto.

Centro bucco-laringeo
Senza abbandonare completamente la regione sopracciliare, il pensiero può legarsi ed incorporarsi alla parola che l'esprime. Quest'ultima, invece di essere soltanto pensata, viene evocata, sentita, assaporata; acquista una potenza evocatrice propria dei valori emozionali (timici), di cui si carica. I termini del pensiero perdono la loro astrazione, si arricchiscono di una certa colorazione timica che mancava ad essi e acquistano un valore rappresentativo più grande. Tuttavia, il pensiero, di natura discorsiva, e fissato debolmente dall'elemento emozionale legato alla parola, resta in gran parte in balia del gioco delle associazioni irrazionali. Esso rappresenta la forma di pensiero più comune: quella dell'intelligenza che si esprime nella conversazione, e nei primi stadi della preghiera. È alla base dell'orazione giaculatoria. Il luogo fisico che gli corrisponde si situa nell'area bucco-laringea.

Centro pettorale
È situato nella parte superiore e mediana del petto. Qualora l'orante senta vicina la sua esperienza precedente, allora pensiero e sentimenti qui vibrano nel momento stesso in cui sono espressi e gustati dagli organi della voce (alta, sussurrata o muta). In caso contrario si proiettati verso la preghiera silenziosa, che è alla base di una perfetta concentrazione. «Il silenzio dell'anima», ha detto Sant'Isacco il Siriaco, è «il mistero del secolo a venire».
È sempre il pensiero che definisce la colorazione emozionale: esso è ricco e variegato, malgrado un accrescimento d'unità, e non cede spontaneamente. Se alla lunga viene meno, non è per effetto di un infiacchimento dello sforzo d'attenzione (l'intelligenza è sostenuta dalla carica emozionale del pensiero), ma per un crollo della tensione timica.

Centro cardiaco
È situato «nella parte superiore del cuore», al di sotto della mammella sinistra, secondo i Padri greci, «un poco al di sopra» secondo Teofano il Recluso. Tenendo conto di un insieme di indicazioni, si può ipotizzare che il luogo del cuore sia legato al seno carotideo; ci sembra tuttavia più attendibile evitare di stabilire corrispondenze anatomiche troppo rigorose e accontentarci della terminologia approssimativa in uso, poiché una maggiore precisione non istruisce coloro che non conoscono per esperienza i luoghi in questione. Pertanto l'approssimazione è più che sufficiente per coloro che sanno ciò di cui si tratta. L'attenzione è fissata «al di sopra del cuore», dice Teofano il Recluso «come su una terra d'osservazione da cui lo spirito sorveglia i pensieri e i sentimenti che cercano d'introdursi nella cittadella sacra, nel santuario della preghiera». È il luogo fisico dell'attenzione perfetta. I suoi caratteri sono al tempo stesso in relazione con l'elemento intellettuale (noetico) e con l'elemento emozionale (timico).
Il pensiero concentrato del cuore perviene ad una coesione completa: è sostenuto da un elemento timico indivisibile, di una tale intensità che nulla di estraneo può innestarsi su questo pensiero né penetrarlo, poiché la potenza della carica emozionale è sufficiente ad allontanare ogni interferenza estranea. Tutta la vita interiore è «istantaneizzata», vale a dire stabilita in un presente duraturo e così ridotta all'unità, per cui ogni forte emozione può essere l'origine di questo modo di concentrazione. Nella vita terrena può essere una gioia intensa o un grande dolore. Nella vita spirituale, è un incontro col Dio vivente, la percezione della Presenza reale e della realtà della Presenza personale di Dio, esperienza primordiale di ogni vita cristiana. L'intelligenza non ha da compiere alcuno sforzo per evitare che l'attenzione si dissipi, essa adempie il suo vero compito, vede e discerne; tutte le sue attività sono aspirate dal di fuori al di dentro, fissate in questo luogo fisico da un'attrazione onnipotente e colà mantenute da una forza ad esse estranea, che ravviva il cuore e fa l'unità nel pensiero. L'intelligenza, liberata, in virtù di questa «beata cattività», dallo sforzo necessario per concentrarsi su un tema, che le sarebbe esterno, persiste senza fatica nella preghiera o nella meditazione. Libera da ogni lotta, da ogni incertezza e preoccupazione, essa acquista una lucidità, una vigilanza, una potenza e uno splendore che le erano fino allora sconosciuti. Questo stato cesserà solo quando la grazia vivificante dello Spirito Santo sospenderà la sua azione.
Accanto a queste manifestazioni della sfera noetica, la concentrazione dell'attenzione nel centro cardiaco ha ripercussioni timiche: il sentimento è vivo, fervente, purissimo, spoglio da ogni emozione e da ogni passione. Si tratta di una pace ardente, inintelligibile e ineffabile con ripercussioni sulla sfera pratica. Lungi dall'oscurare il pensiero, come fanno le emozioni, essa lo sgancia interamente. L'intelligenza resta pienamente cosciente e libera poiché l'anima, liberata dal suo ripiegamento su se stessa non è mai passiva e agitata da una forza estranea (lo stato agitato è lo stato passionale stesso). Senza alcun vincolo, essa può attualizzare tutto ciò che Dio ha messo in lei, essere pienamente se stessa, vale a dire conforme a Dio, e diventare il Tempio del Dio vivente: «La Volontà di Dio», scrive un teologo russo, «è la libertà per gli angeli, la legge per l'umanità decaduta, non è maledizione che per i demoni». In questa sinergia del Dio che si dà e della creatura che, per riceverla e unirsi a lui, si abbandona attivamente, l'anima talvolta conserva la piena padronanza di sé e può a suo piacimento restare silenziosa o orientare la sua preghiera. Inoltre essa vede sorgere dalle profondità del suo essere la forma della sua relazione con Dio e si lascia condurre dallo Spirito che la chiama e la guida. Avendo percepito la Presenza, essa dimentica il mondo intero e vede solo Dio, ma in Lui scopre l'amore che Dio stesso porta alle sue creature e, come sulle onde del riflusso, si trova ricondotta, piena di compassione e di tenerezza, ma questa volta con Dio, verso quel mondo che aveva abbandonato per essere soltanto con Lui. In altri casi, infine, è un silenzio ineffabile che nasce nell'uomo liberato da sé, ed egli contempla, nel riposo completo del suo essere, la luce divina increata, i misteri del mondo, della sua anima e del suo corpo (Sant'Isacco il Siriaco). Quest'esperienza può aver luogo secondo un modo estatico o non. L'estasi, il rapimento, sono, infatti, il segno di una vita mistica elevata; ma lungi dal significarne l'apogeo, traducono l'incapacità dell'uomo a vivere nella pienezza della vita divina senza perdere contatto con la sua vita individuale: «L'estasi», dice San Simeone il Nuovo Teologo, «non è dei perfetti, ma dei novizi». L'ideale da raggiungere è una vita d'unione perfetta e permanente, nella quale sia integrato l'uomo intero; spirito, anima e corpo senza urti né rotture d'equilibrio, all'immagine di Nostro Signore Gesù Cristo; stato raro di cui Sant'Isacco ha potuto dire che «appena uno su diecimila può raggiungere».
Ogni preghiera vera, vale a dire fatta in una perfetta umiltà da un orante che ha fatto pace con Dio, è presto o tardi vivificata dalla Grazia dello Spirito Santo. È allora che la preghiera fissa la sua dimora nel luogo cardiaco, permettendo all'orante di adorare Dio dal fondo del cuore e di unirsi a Lui. Inoltre tutte le tecniche atte a localizzare questo luogo artificialmente, non hanno lo scopo di far scaturire la preghiera, e ancor meno di far nascere complessi d'emozioni somato-psichiche che sarebbero l'oggetto illusorio dell'esperienza mistica. Esse devono indicare al novizio cui sono destinate, il centro d'attenzione optima, affinché egli possa riconoscere che è proprio da quel luogo che nasce la sua preghiera. Il focalizzarsi dell'attenzione in questo luogo, crea, d'altra parte, le più favorevoli condizioni perché la preghiera possa essere profonda e stabile.
Il corpo non è dunque un organo produttore, ma un criterio oggettivo. Ciò che si esige da esso, come pure dal pensiero discorsivo, è il silenzio e il ritorno all'unità. Esso è attivo, ma non creatore: è, come tutto nell'uomo, una terra fertile in attesa del seme, poiché è chiamato alla resurrezione e alla vita eterna.
Per il maestro, il corpo con tutti i suoi movimenti, è un prezioso strumento di esplorazione, in quanto gli permette di discriminare fin dal primo momento certi stati, pur se il loro contesto psicologico è ancora impreciso, o meglio, quando il discepolo è ancora incapace di percepire le sfumature della sua vita inferiore. La scienza dei Padri in questa materia non è dunque un insegnamento della preghiera e nemmeno della vita inferiore, ma un'ascesi e una criteriologia dell'attenzione. Ciò equivale a sostenere l'importanza di un maestro che guidi il debuttante al tempo stesso nella vita interiore e negli esercizi corporei, che li controlli ed impedisca al novizio di lusingarsi prendendo per effetti della grazia i risultati naturali della sua ascesi. Ogni errore di tecnica e d'interpretazione può, infatti, avere le più nefaste conseguenze, come ha mostrato l'esperienza dei monaci anfaniti del secolo XIV e di tutti coloro che credevano di poter utilizzare senza guida le tecniche somatiche. Immediatamente al di sotto del cuore, si trova la regione «dei reni e delle interiora» da dove nascono tutte le sensazioni cinestesiche che conducono agli stati passionali che turbano il cuore e l'intelligenza. Al loro pieno sviluppo, questi stati si traducono in manifestazioni corporee e mentali che sono i desideri sfrenati della carne e dello spirito.
All'inizio queste sensazioni sono abbastanza simili a quelle che descrivono certi mistici e quindi possono sviare il novizio. L'area che le libera e permette ad esse di salire fino alla coscienza chiara o crepuscolare è molto vasta: comprende tutta la regione che è immediatamente al di sotto della mammella. Monaci inesperti e senza guide hanno sperimentato ciò che nella vita inferiore induce l'attenzione a concentrarsi su queste zone. Sono i loro errori e le loro disgrazie che, da secoli, hanno alimentato la critica anti-esicasta di Barlaam, di Gregario Acyndinos, di Niceforo Gregoras e dei loro moderni successori più istruiti.
Se si mettono da parte i dettagli che specificano i diversi «luoghi secondari» di questa vasta regione, si può affermare che l'attenzione su un qualsiasi centro di questa zona comporti l'oscuramento progressivo del pensiero lucido e della coscienza, che può portare alla loro estinzione completa, provocando «stati crepuscolari» più o meno stabili e duraturi. Il sentimento, libero e lucido, è sostituito dall'emozione somato-psichica passiva, la pace e il riposo dell'anima dal turbamento e dalla violenza dei desideri, il silenzio del corpo dal disordine delle passioni e degli impulsi anarchici e infine la padronanza di sé da uno smarrimento completo del pensiero.
Il tutto porta spesso all'alienazione mentale e ai disordini fisiologici. L'uso degli esercizi corporei esige dunque nel modo più assoluto un Maestro vigile ed esperto mentre, da parte del discepolo, una grande semplicità e un abbandono attivo e fiducioso. Le sue difficoltà aumentano, come pure i pericoli, con la complessità psichica del novizio e con l'attitudine che dà la nostra educazione moderna a «guardarsi vivere» invece di vivere. Questa tecnica si collega in maniera necessaria ad un'ascesi mentale, di cui l'articolo del professor Wunderle già citato può servire da eccellente introduzione. Dobbiamo dare ora una descrizione delle tecniche stesse.

Tecnica diretta fondamentale

Due Maestri illustrano la tecnica diretta fondamentale nei loro scritti: San Gregorio il Sinaita, che nel secolo XV introdusse la Preghiera di Gesù al Monte Athos e San Simeone il Nuovo Teologo che fu il maestro eminente del secolo XI.
San Gregorio il Sinaita: «Siedi su di un seggio basso, fa discendere la tua intelligenza dalla testa nel cuore e mantienila in questo luogo. Poi, penosamente inclinato fino a risentire un vivo dolore nel petto, nelle spalle e nel collo per la tensione dei muscoli, esclama: "Signor Gesù Cristo, abbia pietà di me". Ciò facendo, non respirare troppo, in quanto ciò può pregiudicare la concentrazione. Se pensieri sopravvengono, non prestare loro attenzione quand'anche fossero semplici e buoni, e non solo vani ed impuri. Trattenendo la respirazione per quanto puoi, imprigionando la tua intelligenza nel cuore e moltiplicando pazientemente i tuoi appelli al Signore Gesù, spezzerai ed annienterai rapidamente questi pensieri con i colpi invisibili che infligge loro il Nome Divino. San Giovanni Climaco dice: "Colpisci i tuoi avversari col Nome di Gesù", e non esiste arma più potente sulla terra o nei cieli. Quando il tuo pensiero verrà meno, quando il tuo corpo e il tuo cuore saranno divenuti doloranti a forza di piantare in essi con frequenza il nome di Gesù, sicché ogni occupazione avrà cessato di apportar loro il calore e la gioia necessari per sostenere lo zelo e la pazienza di colui che vi si dedica, allora (soltanto) alzati e solo, o col tuo discepolo, esercita il pensiero su tale passaggio delle Scritture, rifletti sulla morte oppure dedicati ad un lavoro manuale che faccia penare il tuo corpo».
San Simeone il Nuovo Teologo: «Devi in primo luogo tener a mente tre cose: non avere alcuna preoccupazione, buona o cattiva; avere una coscienza pura in tutto, che nulla ti rimproveri; avere un distacco perfetto, in modo tale che il tuo pensiero non si inclini verso alcuna attrazione di questo mondo. Avendo fortemente stabilito tutte queste disposizioni nel tuo cuore, siediti in un luogo ritirato, solo, in un angolo e chiudi la porta. Concentra la tua intelligenza, allontana da essa ogni oggetto temporale o vano, appoggia fortemente la barba contro il petto, trattieni un po' la respirazione, fa' discendere la tua intelligenza nel cuore mentre dirigi su di esso gli occhi e presta attenzione a ciò che avviene. Dapprima vi incontrerai le tenebre e la pena, ma poi, se perseveri in questo esercizio d'attenzione notte e giorno, ne ricaverai una gioia incessante. L'intelligenza troverà il luogo del cuore e allora vedrà presto cose che mai ha visto e di cui non ha nozione: si vedrà luminosa, piena di saggezza e di discernimento. E allora, da qualsiasi parte possa venire un pensiero illegittimo, prima ancora che penetri nel cuore, l'intelligenza lo scaccerà e l'annienterà dicendo: "Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me". È a partire da questo momento che essa comincia ad avere risentimento e odio per i demoni, li insegue, li colpisce e li annienta».

Tecnica mediata accessoria

San Niceforo l'Astinente ci dice: «Prima di tutto, che la tua vita sia libera da ogni agitazione, da ogni preoccupazione, sii in pace con tutti. Poi, ritirati nella tua cella, chiudi la porta dietro di te, siedi in qualche angolo e fai quanto ti dirò. Concentra il tuo spirito e fagli seguire, per raggiungere il cuore, il cammino che segue l'aria, e costringilo a discendere nel cuore con l'aria che inspiri. Abitualo a non abbandonare questo luogo troppo presto, in quanto al principio esso soffre molto di restare così rinchiuso ed allo stretto, ma quando vi si abitua non vuoi più errare al di fuori».

Tecniche miste

Una delle numerose tecniche di concentrazione consiste nella sincronizzazione di un certo numero di battiti del cuore con ognuna delle fasi della respirazione, e nell'adattamento, ad ogni battito del cuore, di uno dei termini della Preghiera di Gesù: «Signor Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me, peccatore».
A coloro che non ottenessero accesso al luogo del cuore con i mezzi precedenti, San Niceforo l'Astinente dà questo consiglio: «La facoltà d'elocuzione risiede nella laringe. Utilizzala dunque a ripetere incessantemente la preghiera di Gesù. Al principio, l'attenzione vi resterà estranea: a poco a poco tuttavia l'intelligenza presterà ascolto alle parole, l'attenzione si fisserà su di esse; poi il cuore ne sarà commosso e la preghiera ti introdurrà da se stessa, senza sforzo da parte tua, nel suo santuario». Questa tecnica è essenzialmente differente dalle precedenti e indigna spesso coloro che ne sentono parlare, per ciò che vi è in essa di deliberatamente meccanico.
Ci troviamo qui di fronte al realismo senza reticenze dei Padri e alla loro straordinaria penetrazione: agli incapaci essi offrono una via che li condurrà alle più autentiche realizzazioni dello spirito e li renderà pronti a combattere ogni nemico spirituale. Agli automatismi del pensiero, oppongono un automatismo che potrà vincere i suoi avversari e al concatenamento anarchico voluto dalle circostanze della vita di relazione, oppongono un ritmo autonomo e personale, poiché ognuno sceglie il proprio modo di pregare e lo installa sui ritmi profondi del suo essere fisiologico e psicologico. La nostra esperienza, pur così povera, malgrado la sua apparente complessità, non ci insegna forse che l'attenzione analitica del nostro intelletto, molto spesso, dissipa la concentrazione, ne spezza l'unità profonda, disperdendone lo sforzo su una moltitudine di oggetti? Invece la ripetizione monotona e ritmica di una formula unica, porta il silenzio nell'intelletto, unifica l'attenzione sul piano timico e realizza in fin dei conti la piena concentrazione. È da questa esperienza che è nata l'orazione giaculatoria.
Infine, Teofano il Recluso insegna che una delle condizioni indispensabili ai fini di una vera concentrazione è di non ammettere mai l'abbandono corporeo: «Sii», egli dice, «come una corda di violino regolata su di una nota giusta. Senza illanguidimento né tensione: il corpo eretto, le spalle in giù, il portamento della testa comodo, la tensione di tutti i muscoli orientata verso il cuore».
È particolarmente interessante notare il giudizio che dà questo grande maestro di vita interiore sui metodi classici dell'Esicasmo. Sono, dice, in sostanza, il frutto e la prova di un'esperienza spirituale autentica. Hanno portato ad una conoscenza preziosa delle regole della vita interiore, e hanno mostrato l'importanza del corpo nell'opera della salvezza e nella via di unione.
Le tecniche classiche possono tuttavia, secondo lui, essere consigliate a coloro i quali si sono chiusi nel formalismo dei riti e delle regole. L'attenzione concentrata sul cuore, può far loro ritrovare l'emozione naturale e la vita, e condurli nella direzione della vera vita interiore. Tali tecniche fanno parte di una ricca ascesi liberatrice che abbraccia tutto l'essere e che è, per natura, negativa. Quando l'attenzione è stata unificata nel luogo di perfetta concentrazione ed è pronta a ricevere e ad elevare la sua preghiera, allora comincia l'opera spirituale.
Per la loro forma e per il loro tenore, la preghiera e la meditazione debbono essere fattori di coesione e di unità. Abbiamo dedicato al loro studio l'introduzione e l'ultimo capitolo di un saggio pubblicato nel 1948 in «Etudes Carmèlitaines» a cui rinviamo il lettore curioso di maggiori dettagli. Tuttavia, prima di terminare quest'esposizione, vogliamo spendere una parola a proposito delle analogie che sono state segnalate fra il metodo esicasta e l'Autogenes Training. Il dottor Paul Zacharias infatti ha cercato più volte di stabilire un parallelismo fra i metodi psicoterapici dell'Autogenes Training e quelli qui riportati. Forse una analisi più estesa delle due tecniche permetterebbe di precisare le analogie e di discernere qualche differenza passata sotto silenzio. Sembra tuttavia interessante osservare che uno psicologo di mestiere riabiliti nel suo dettaglio un'ascesi che è spesso denigrata in nome della scienza.

Capitolo XXX - La formazione politico-militare della nuova Europa del capitano SS Leale Martelli

Per «Nuova Europa» le SS intendevano l'insieme dei corpi di volontari provenienti da diversi paesi. Tra il 1944 e il 1945 esse arrivarono ad un organico di quasi un milione di persone, di cui quasi cinquecentomila erano volontari di tutto il mondo: americani, inglesi, italiani, turchi, bulgari, danesi, norvegesi, francesi. Per «Nuova Europa» si intendeva, inoltre, il mito di un'unione transnazionale di giovani volontari che combattessero insieme il nemico comune: il bolscevismo.

Premessa

Questa guerra, a maggior ragione di quella del 1915-18, può dirsi effettivamente mondiale sia per la vastità e dislocazione dei fronti di guerra sia per l'impiego di milioni di uomini armati. Una delle caratteristiche di questo conflitto, infatti, è stato lo spostamento di grandi masse di combattenti a migliaia di chilometri dai loro luoghi d'origine.
Così abbiamo visto, restando nell'ambito degli eserciti del tripartito, le fanterie italiane sul Don, i nostri mas sul lago Ladoga, le truppe tedesche in Africa Settentrionale, i sottomarini giapponesi nelle basi tedesche della Francia occidentale in un'operosa fraternità d'armi. Questo fenomeno ha posto in contatto non soltanto i soldati dei vari eserciti fra loro, ma anche tutte le popolazioni civili con le forze armate dei Paesi alleati. Così gli italiani hanno cominciato a conoscere prima l'aviazione germanica (Luftwaffe), poi l'esercito (Wehrmacht) ed infine, dopo il tradimento dell'8 settembre, che ha visto la consegna delle nostre navi al nemico, la marina da guerra (Kriegsmarine).
Ma fra tutte le formazioni militari dell'alleato, quella che più ha colpito la fantasia popolare è la SS, la più armata e la più odiata, ma forse anche la meno conosciuta. Sarà pertanto interessante per tutti, e utile particolarmente per i nostri giovani legionari, che un ufficiale italiano della SS scriva alcuni cenni su questa formazione politico-militare.

Cosa significa SS

Fino a qualche anno fa l'abbreviazione SS non era conosciuta fuori dalla Germania e anche in patria, prima della guerra, non era così nota poiché non ne era stata fatta alcuna propaganda. È stata la guerra a portare la SS fuori dalla Germania, in tutti i paesi e su tutti i fronti. Amata dagli amici, odiata dai nemici, da tutti temuta. In tutto il mondo sono noti i simboli che la distinguono: la testa di morto sul berretto, l'aquila germanica sul braccio sinistro, l'argentea SS a caratteri runici sulla mostrina nera.
Cosa significhi SS ben pochi in Italia lo sanno. Essa è l'abbreviazione della parola Schutzstaffel che significa "squadra di protezione". Questo nome fu dato per la prima volta ad una squadra di otto uomini scelti fra i più fanatici e valorosi destinati alla protezione del Führer, di cui vedremo meglio in seguito.
Quanto cammino in pochi anni! Le piccole squadre di protezione di otto uomini sono diventate oggi le più poderose divisioni delle forze armate germaniche. Ma fedeli ed orgogliose delle proprie origini esse mantengono ancora il vecchio nome. E, come ha dimostrato il fallito attentato al Führer del 20 luglio 1944, ancor oggi la SS stende la sua ala di protezione su tutto il grande Reich contro i nemici interni ed esterni.

Che cos'è la SS

Ho sentito dire in Italia le cose più strane sulla SS, quasi tutte non giuste. C'è chi vede in essa soltanto reparti di truppe speciali, chi vi individua soltanto una polizia politica. La SS è luna e l'altra cosa, ma non soltanto questo.
Essa è un Ordine politico-militare di uomini e famiglie, cioè una comunità di uomini fisicamente e razzialmente scelti che hanno volontariamente giurato fedeltà ad un'idea e ad essa si sono votati per la vita e per la morte. E di quell'idea essi sono allo stesso tempo soldati e propagandisti. Difendono in pace la sicurezza interna del Paese da ogni attacco o deviazione politica, in combattimento sono i soldati più arditi. Sempre, in pace e in guerra, i più fedeli e i più sicuri.

L'uomo SS

Bei ragazzi, biondi, alti, ben piantati, dal portamento austero, i soldati della SS si impongono fisicamente ovunque si trovino a passare. Essi possiedono le spiccate caratteristiche della razza germanica e il peculiare portamento delle migliori forze armate tedesche. La testa di morto sul berretto, le mostrine nere sul bavero, l'aquila germanica con la svastica sul braccio sinistro, sono i simboli che li distinguono dalle altre forze armate. Fin dal principio, legge basilare della SS fu la scelta rigorosissima degli uomini che dovevano possedere, in massimo grado, doti spirituali e caratteriali in un corpo sanissimo. Questa selezione fisiologica, sempre rigorosamente attuata, portò ad avere un materiale umano di prim'ordine.
Ma non è soltanto per le qualità fisiche e morali dei componenti che la SS si è distinta in così pochi anni. In tutti gli eserciti ci sono formazioni speciali che esigono qualche centimetro in più di altezza e un robusto torace, ma ciò serve, nella maggior parte dei casi, per dare al popolo un senso di soddisfazione estetica e sicurezza, soprattutto durante le parate nei giorni di festa. All'uomo SS viene chiesto non soltanto di essere razzialmente puro, fisicamente sano e robusto, ma anche di essere un uomo politico di fede indiscussa e operante a favore del Nazionalsocialismo.

La SS Ordine di famiglie

Con questi principi non si sono ottenuti soltanto dei reparti speciali nel senso strettamente militare ma si è addirittura arrivati alla creazione di un Ordine politico i cui componenti sono i migliori rappresentanti della razza e i più fervidi assertori dell'idea.
Sottoposto ad una ferrea disciplina, che non pesa poiché fortemente sentita, l'uomo della SS, con la sua vita esemplare e con il suo atteggiamento, deve mostrare a tutti che per lui l'idea non è una teoria di parole vuote, ma un sentimento radicato nel cuore. L'emblema che porta sul berretto gli ricorda di essere fedele e di servire l'idea fino alla morte.
E il rigore della selezione non si è fermato all'uomo ma si è esteso anche alla famiglia. Infatti, con una legge del 31 dicembre 1931, nessun membro della SS può sposarsi senza l'autorizzazione del Reichsführer e nessuno può prendere in moglie una donna qualsiasi: la donna prescelta deve essere sana e di razza pura. In questo modo la SS avrà non soltanto un Ordine di combattenti ma un Ordine di famiglie. E questa prescrizione, sul fidanzamento e sul matrimonio, vale ancora oggi nonostante gli impellenti bisogni d'ordine materiale e militare dovuti alla guerra.
Con questo spirito gli uomini della SS in Germania si sentono tutti componenti di una grande famiglia. Ogni nucleo familiare infatti è assistito con pratiche provvidenze, come il pagamento dell'affitto di casa, di tutte le spese relative al parto, del 70% delle spese di malattia, ecc.

Come nacque la SS

La SS ha relativamente pochi anni di vita, ma la sua ascesa è stata rapidissima e il suo sviluppo imponente.
La sua storia è in qualche modo analoga a quella del Nazionalsocialismo in Germania. Fin dall'inizio della lotta politica, il Führer riconobbe la necessità di affiancare al Partito un'organizzazione attiva che si opponesse al terrorismo comunista imperversante sulle strade e sulle piazze. Si era nel biennio 1921-22 ed il Fascismo in Italia trionfava con le sue squadre d'azione. Nacquero così anche in Germania dei reparti d'assalto, chiamati Sturm-Abteilungen, poi abbreviate in SA. Queste squadre lottarono con successo nei congressi del Partito e presto raggiunsero uno sviluppo tale da essere organizzate in centurie e reggimenti. Questa organizzazione esiste ancora oggi, conta milioni di iscritti ed ha, fra gli altri, il compito dell'istruzione premilitare.
Dalla SA fu scelto un piccolo numero di uomini fidati per la difesa personale del Führer e delle alte gerarchie del Partito, che in seguito assunse il nome di Guardia del Comando Supremo del Partito (Stabswache). Nel maggio 1923 due fedeli commilitoni del Führer fondarono il «Gruppo d'assalto Hitler», raggruppamento che incorporava la Stabswache e che viene considerato il precursore della SS. Quell'anno, che vedeva in Italia l'avvento al potere di Mussolini e il trionfo del Fascismo, non fu propizio ai seguaci del Nazionalsocialismo. Il colpo di stato tentato da Hitler a Ludendorf era fallito: tutto il movimento nazionalsocialista, comprese le sue organizzazioni combattenti, veniva dichiarato fuori legge e Hitler stesso imprigionato nella fortezza di Landsberg. Soltanto dopo il 1925, con la scarcerazione del Führer e la ricostituzione del Partito e dei suoi gruppi armati, venne costituita la suddetta squadra di protezione, composta da otto uomini fidati e valorosi, denominata Schutzstaffel e abbreviata in SS. Ad essa si affiancarono altri reparti per la protezione delle assemblee del Partito, ma solamente chi aveva dato particolari prove di fedeltà al movimento e al Führer veniva ammesso nella SS. Nel luglio del 1926, in occasione del secondo congresso Nazionale del Partito, Hitler consegnò ufficialmente alle SS la bandiera bagnata col sangue dei martiri dell'eccidio di Monaco caduti il 9 novembre 1923.
Ma, mentre il movimento nazionalsocialista si diffondeva in tutta la Germania avviandosi alla conquista del potere riscuotendo un notevole successo di nuovi iscritti, la SS continuava ad essere una ristrettissima squadra d'azione. Fino a quando Heirich Himmler, nominato Comandante supremo dell'organizzazione, il 6 gennaio 1929, decise di intraprendere la sua missione con uno scopo ben preciso: fare delle SS un vero e proprio Ordine.

Evoluzione della SS

La SS nacque, come abbiamo visto, come un aristocrazia dei più fedeli e dei più valorosi. E tale si è conservata. Essa, giova ripeterlo, non era e non voleva rappresentare soltanto uno speciale reparto armato di un'organizzazione politica, ma piuttosto un Ordine di fedeli operanti, impegnati per tutta la vita a difendere e a diffondere la loro Idea.
La grande Idea nasce nel cervello del genio che compie la sua missione nell'incredulità e nella solitudine. Il genio è in genere incompreso, perseguitato, combattuto e l'Idea morirebbe con esso se le masse non la sostenessero. Ma le masse sono incostanti e così occorre che i migliori, i più fanatici, i più arditi, si riuniscano diventando gli assertori, i continuatori, gli apostoli dell'Idea. Così nacquero dal Cristianesimo gli ordini religiosi ai quali la civiltà europea deve tanto e così, dalla massa del Nazionalsocialismo nacque quest'Ordine mistico-combattente.
Chi giura sulle sue bandiere non appartiene più a se stesso, ma alla Rivoluzione. I suoi componenti sono professionisti, scienziati, operai, contadini. Gente di tutte le classi sociali, che al termine della giornata di lavoro si riunisce sacrificando le ore libere e le domeniche al servizio del Partito. La SS si istruisce al servizio delle armi ed intensifica lo studio dell'Idea per la quale combatte, con la serietà e la costanza che sono proprie del popolo tedesco.
Nei momenti critici, che non mancano nell'evoluzione di un grande movimento politico osteggiato da forze potenti e oscure, la SS, anche se composta da pochi membri, fu un sicuro presidio contro ogni deviazione e correzione dell'Idea.

«Il mio onore si chiama fedeltà»

L'1 aprile alcuni comandanti delle S.A. della Germania settentrionale si ribellarono alla tattica del Partito voluta dal Führer. L'intervento della SS fu determinante per scongiurare la crisi e da quel giorno sulla fibbia del cinturone di ogni SS è inciso il motto: «Il mio onore si chiama fedeltà».
Il 30 gennaio 1933 la lotta quindicennale del Führer e dei suoi fedeli fu coronata con la più completa vittoria politica interna. Adolf Hitler veniva nominato Cancelliere del Reich. Non per questo i compiti del Partito si erano ridimensionati, specialmente per la SS che doveva salvaguardare l'Idea di cui essa era l'espressione più pura. Così assunse i compiti di polizia ausiliaria per la sicurezza interna e per evitare qualsiasi reazione dei nemici dello stato.
Le potenti forze occulte (ebraismo e Massoneria) che hanno insidiato ed insidiano il Fascismo, come il Nazionalsocialismo, non si danno pace e tentano con la corruzione e il tradimento di insidiarne lo sviluppo. Come nel caso della rivolta di Rohm che rischiò di provocare una crisi fatale se non fosse stata sedata tempestivamente dalla SS. Da quel momento la SS venne messa alle dipendenze dirette del Führer e pochi mesi dopo, il 9 novembre 1934, nell'Anniversario del colpo di stato di Monaco, i suoi membri gli giurarono solenne fedeltà. Il 17 giugno 1936, Heinrich Himmler, Capo della SS, venne nominato capo della polizia tedesca. Da quel momento polizia e SS vennero fuse e tutto il servizio di sicurezza venne ad esse subordinato.

La Waffen SS

Con questo nome sorse in Germania, e si è affermata in Europa, la SS di combattimento.
Con l'ascensione al potere del Nazionalsocialismo il nemico interno era stato debellato e con l'assunzione da parte della SS di tutto il servizio di polizia e di sicurezza il Führer teneva in saldo pugno il controllo interno della Germania, garantendo al paese la tranquillità e la sicurezza necessaria per l'ordinato svolgersi dell'immenso programma economico-sociale nazionalsocialista. Ma l'ebraismo mondiale, che aveva dapprima osservato con stupore lo svilupparsi del Fascismo in Italia e del Nazionalsocialismo in Germania, cominciò a preoccuparsi seriamente di questi due grandi movimenti. Faceva paura la grandezza degli uomini al loro comando e si guardava con terrore alla formazione dell'Asse e al risveglio dei popoli europei. In particolare gli ebrei temevano il giorno in cui tutti i popoli d'Europa avrebbero riconosciuto nel Fascismo e nel Nazionalsocialismo le due più grandi Idee del secolo.
Perciò l'ebraismo, e la sua sottospecie, la Massoneria, avevano bisogno di fermare al più presto questa marcia ascendente e decisa dei popoli giovani, e si prepararono con fredda decisione alla guerra. Ma il Nazionalsocialismo non si fece sorprendere e si preparò a fronteggiare tale eventualità. La SS aveva formato dei veri e propri reparti armati, di cui il primo, nerbo della Waffen SS, fu la «Leibstandarte SS Adolf Hitler». Ad essa seguirono altri battaglioni e sorsero, in tutte le parti della Germania, le caserme e i campi della SS.
Questi reparti vengono chiamati truppe a disposizione e ad essi seguono altri gruppi speciali detti «Unità Teste di Morto». Questi ultimi rappresentano i garanti della sicurezza interna dello Stato in tempo di pace, ed intanto si preparano, nel corpo e nello spirito, alla guerra. Il 20 giugno 1939, quando le provocazioni della Polonia minacciarono di diventare insostenibili, venne formata a protezione della città di Danzica la «SS Heimwehr Danzig» e i nazionalisti più fedeli combatterono valorosamente nelle sue file per la difesa del popolo. Quando l'1 settembre 1939 il Führer rispose alle provocazioni polacche ordinando alle sue truppe di marciare oltre il confine, i pochi battaglioni della SS armata chiesero, e ottennero, l'onore di combattere con le divisioni dell'esercito.

La Waffen in guerra

Gli allora esistenti reggimenti della SS «Adolf Hitler», «Deutschland» e «Germania» sono diventati oggi divisioni e corpi d'armata a cui se ne sono aggiunti altri. Il concetto formativo di queste unità è stato: «dare ai migliori uomini le migliori armi». Così, alla rigorosa selezione dei membri si è aggiunto un ottimo armamento e un intenso addestramento che ha dato meravigliosi risultati. Le formazioni delle SS sono oggi le migliori di tutte le FF.AA. germaniche.
Per la prima volta nella storia militare della Germania si manifesta in grande il fenomeno del volontarismo, tutti gli appartenenti alla SS sono volontari. La migliore e più ardita gioventù tedesca aspira all'onore di far parte della Waffen SS. Le sue formazioni hanno suscitato l'ammirazione delle altre forze armate, con le quali esiste il più sentito cameratismo. Ogni comandante è orgoglioso di averle ai suoi ordini, e mai esse hanno tradito l'aspettativa. Tutti i fronti hanno visto in prima linea le ferree divisioni della SS: dalla rottura della linea olandese «Grebbe» all'avanzata vittoriosa in Francia, dalla conquista di Belgrado alla battaglia e alla riconquista di Charlow. Durante la grave crisi invernale sul fronte orientale, la Waffen SS è sempre stata impegnata nei punti nevralgici della battaglia. Ogni giorno, su ogni fronte, continua a ricoprirsi di gloria. E troppo lungo sarebbe il citare qui tutte le località nelle quali essa ha combattuto e si è distinta, diventando il terrore di tutti i nemici d'Europa.

La SS avanguardia della nuova Europa

La Germania e i suoi alleati si trovano di fronte, come sul campo di battaglia, uomini di tutte le razze e di tutte le nazioni. Mai si ebbe nella storia di tutte le guerre un campionario così vario di combattenti.
Ma il nemico è uno solo, nascosto: l'ebraismo. Esso lotta per l'asservimento del mondo ai suoi fini e lo strumento militare politico principale della sua lotta è il comunismo. I migliori spiriti di tutte le nazioni d'Europa lo hanno capito, ed è per questo che i più ardenti e i più attivi elementi, combattono oggi sotto le mostrine della SS per la loro Patria e per la nuova Europa. Così volontari provenienti dall'Olanda, dal Belgio e da quei paesi scandinavi ancora soggetti ai voleri dell'Inghilterra entrarono nelle legioni delle SS combattendo nella divisione «Viking» nella Brigata Vallone e nella «Langemarch».
Poiché i paesi dell'Est liberati continuavano a vedere il pericolo bolscevico alle porte, i figli migliori di queste regioni gravemente provate si posero sotto le bandiere delle legioni della SS estone, lettone e galiziano-ucraina, mentre i croati musulmani, con la testa di morto sul fez, spalla a spalla con i volontari di razza germanica, combatterono sui monti e nei boschi dei Balcani contro le bande bolsceviche di Tito. Per la stessa fede patriottica e fedeli allo stesso giuramento, combattono oggi nelle fila della SS cittadini di ben 24 paesi d'Europa. Sia i patimenti della lunga lotta, sia il sangue versato insieme, sono arma sicura della nuova Europa di domani, in cui tutti i popoli si sentiranno fratelli.

La SS italiana

L'Italia fascista, prima e più importante alleata della Germania nella lotta europea, fin dal 1923 aveva nella Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale la sua formazione politico-militare. Questa, sorta come gloriosa trasformazione delle squadre d'azione fasciste, fu in un primo tempo la guardia armata della Rivoluzione. Solo in seguito allargò i suoi compiti dal piano politico di sicurezza interna al piano più propriamente militare, con le prime legioni che presero parte alla conquista libica. Vedemmo nella campagna dell'Impero, per la prima volta, la Milizia Fascista costituita in grandi unità che eroicamente combatterono e si affermarono a fianco delle migliori truppe dell'esercito italiano e i soldati tedeschi impararono a conoscere nel legionario Mussolini il più fedele e il più valoroso dei camerati.
La Milizia fu osteggiata sempre nell'ambiente militare e boicottata ipocritamente dallo Stato Maggiore dell'esercito. Pure, attraverso le incomprensioni e le ostilità, il cuore e la fede dei nostri militi ebbe il sopravvento: nonostante la deficienza dell'equipaggiamento e l'insufficienza dell'armamento, eravamo giunti ad avere nei battaglioni «M» degli strumenti di guerra da fare invidia ad ogni esercito.
Ma il tradimento era in agguato. Iniziato il 25 luglio 1943 ai danni del Fascismo, venne portato a termine con l'armistizio dell'8 settembre che tradiva il valoroso alleato germanico e, aprendo le porte all'invasore, gettava l'Italia nel fango e nella disperazione. Marasma, smarrimento, confusione coinvolsero le nostre forze armate che, su ordine dei comandanti, sciolsero i ranghi, gettarono armi e divise e si dissolsero. Ma non tutti però! In Patria, in Francia, nei Balcani, reparti di camice nere e fascisti di tutte le armi tesero la mano al camerata tedesco e guardandolo dritto negli occhi ripeterono la frase detta dal Duce al Maifeld di Berlino: «Con l'amico si marcia fino in fondo».
Ho detto sopra: fascisti di tutte le armi. Alpini o bersaglieri, genieri o artiglieri, avieri o marinai, i primi che si schierarono pronti a continuare la lotta senza esitazioni erano dei fascisti pur senza indossare la camicia nera. È questo un fatto cui, forse, i camerati tedeschi non dettero la giusta importanza. Già il 9 settembre varie migliaia di soldati italiani di tutte le armi continuavano a combattere a fianco dei soldati tedeschi.
Ma non tutti incontrarono la stessa sorte e se una parte, la minore, era passata alle dipendenze di unità germaniche, la maggiore seguiva la triste odissea del disarmo e del campo di concentramento. A distanza di un anno oggi possiamo dire che era naturale che ciò avvenisse. La Germania, tradita nella maniera più infame che la Storia ricordi, non poteva credere in pieno alla nostra volontaria offerta.
I camerati tedeschi non comprenderanno mai la profondità del nostro dolore durante gli interminabili trasferimenti dai Balcani in Germania come prigionieri. Non sapranno mai lo schianto al cuore e le lacrime inghiottite che ci procurò il pensiero della rinuncia alla lotta comune.
Ma questa macerazione intima a cui non tutti ressero ci purificò dell'onta immeritata che il tradimento aveva gettato su di noi e ci rese degni di combattere ancora con i camerati germanici. E chi di noi mantenne intatta la fede e decisa la volontà restò poco nei campi di concentramento. I migliori non attesero di essere interpellati. Chi non l'aveva già fatto in settembre, al suo primo contatto con i camerati germanici, invocò di combattere. E i camerati capirono questo nostro grido di dolore, questo nostro ardente desiderio di rinascita, e ci vennero incontro.

Coma nacque la SS italiana

È bene che il popolo italiano sappia che l'1 novembre 1943 oltre centomila italiani già combattevano, o avevano fatto domanda di combattere, con le forze armate germaniche. Tra questi, varie migliaia dei più arditi chiesero ed ottennero l'onore d'arruolarsi nella SS. Così nacque la SS Italiana con il nome di «Milizia Armata» e così si formarono in Germania, nel novembre 1943, i primi battaglioni italiani della SS. Unica prerogativa richiesta per appartenervi era la ferma volontà di combattere, per l'Italia e per l'Europa, nel nome del Führer e del Duce. In quei primi battaglioni radunati a Müsingen i fanti, gli artiglieri, i genieri si trovarono riuniti ai paracadutisti, ai sommergibilisti, agli aviatori: tutti trasformati in fanti. Non avevamo più le armi e i bagagli, eravamo laceri e poco vestiti. Il mese di settembre ci aveva sorpresi in Grecia, nelle isole dell'Egeo, in Albania e nel Sud della Francia in divisa estiva. Ma avevamo nel cuore la fede della rinascita e la volontà di cancellare con il sangue l'onta del tradimento che si era abbattuta sulla nostra Patria. E questo ci aiutò a sopportare le sofferenze, i disagi, le amarezze e le rinunzie inevitabili in un così triste periodo.
Chi non seppe sopportare in umiltà di spirito, offrendo alla Patria - come il fedele a Dio - le proprie sofferenze, rimase per la strada. E fu bene così. Ci si liberò dalle inevitabili scorie, si migliorò la qualità e si affinò la tempra del metallo. Poi, con una rigorosa selezione fisica e tecnica, i battaglioni divennero ancor più saldi e compatti, veri strumenti di guerra. Fummo i primi - meritatamente - a rientrare in Italia. Dopo un breve periodo di organizzazione e di addestramento - che sembrò lunghissimo per la nostra ansia di combattimento - il nostro primo battaglione del Tenente Colonnello Degli Oddi entrò in linea sul fronte di Nettuno, il 17 marzo 1944, con la SS tedesca. Successivamente un altro battaglione, il Debiza, riceveva il battesimo del fuoco a Civitavecchia.
Nello stesso tempo in Piemonte si organizzava e si addestrava la nostra prima brigata d'assalto, addestramento operativo che consisteva in grandi azioni di rastrellamento dei ribelli e partigiani di quella zona. Del comportamento al fronte dei nostri battaglioni parlano eloquentemente i riconoscimenti dei Comandi Germanici, le molte decorazioni al valore e le promozioni sul campo per merito di guerra. Ma un'onorificenza più di tutte ci inorgoglisce e ci esalta: la medaglia d'argento al valore militare concessa dal Duce al Gagliardetto dell'XI Battaglione del I Reggimento Fanteria della SS Italiana, con una motivazione della quale è bello riportare, per chi non crede o non sa, alcune parole: «consacrava con il sangue del 70% dei suoi effettivi il giuramento». Solo con il sangue si fa la Storia, solo col sangue si cancella l'onta del tradimento che ha avvilito e travolto nel fango la Patria. I nostri camerati che ci hanno preceduto hanno dimostrato di sapersi eroicamente immolare per questo sacro ideale. Questo impegna tutti noi, o Camerati: a non esser da meno.
Il popolo italiano già conosce le nostre nere mostrine con i chiodi della SS e l'aquila repubblicana che portiamo sul braccio. E i giovani italiani di fede e di onore vengono ad arruolarsi volontari, nelle nostre legioni. «Per l'onore e per la vita» è il nostro motto. E per l'onore e per la vita della Patria immortale noi siamo disposti a morire. Non abbiamo chiesto che un privilegio: quello di essere i primi nel combattimento. Non attendiamo che nuove e più potenti armi per dimostrare, agli italiani immemori, ai camerati tedeschi e ai nemici, che il soldato fascista di Mussolini, ben armato e addestrato, non è secondo ad alcuno. Siamo i soldati della nuova Europa e lottando per essa, cancelleremo col nostro sangue, per tutti, l'onta del tradimento che ancora grava sulla nostra Patria, e ritorneremo a farla libera, indipendente e rispettata.

Albo d'onore della SS Italiana

Decorazioni e citazioni collettive
1) Medaglia d'argento al valore militare, concessa dal Duce al Gagliardetto del II Battaglione del I Reggimento Fanteria della SS Italiana con la seguente motivazione: «Insieme alle altre avanguardie delle nuove truppe italiane sul fronte rimase in linea ininterrottamente per oltre due mesi, assolvendo compiti particolarmente difficili e mantenendo posizioni fondamentali, contro le quali invano, fino allo sfondamento del fronte, si accanì il potentissimo urto nemico. Due volte menzionato sul Foglio d'Ordini tedesco di Corpo d'Armata, premiato con l'autorizzazione a fregiarsi delle mostrine nere delle SS Germaniche, ha avuto decorazioni tedesche e numerosissime promozioni per merito di guerra davanti al nemico. Esempio fulgido di fede e di grande amore alla Patria resisteva con inesorabile tenacia e valore all'impari e asperrima lotta di più giorni consacrando, con il sangue del 70% dei suoi effettivi, il giuramento e scrivendo una delle più belle pagine di gloria degne in tutto delle più alte tradizioni della vera Italia» (Fronte di Nettuno, Roma, 17 marzo-5 giugno 1944).
2) Riconoscimento d'onore, in data 3 maggio 1944 del Reichsführer Heinrich Himmler, per il quale a testimonianza del valore e del senso del dovere dimostrati «i volontari della SS Italiana sono considerati reparti della SS con tutti i doveri e tutti i diritti».
3) Concessione del diritto di portare le mostrine nere della SS.
4) Autorizzazione del Comandante supremo della SS alla I Brigata d'assalto della Legione SS Italiana a denominarsi: «I Brigata Italiana Granatieri SS».
5) Due menzioni sul foglio d'ordini tedesco di Corpo d'Armata.

Decorazioni individuali
1) Croci di ferro n. 29
2) Croci al merito con spade n. 16
3) Promozioni per merito di guerra n. 57

Inno della SS italiana

[Testo di Auro d'Alba]
Con noi torna l'Italia dell'onore
Con noi torna l'Italia della fede
siamo di quella gente che non cede
un simbolo di morte ci adunò,
In noi Roma ritrova il suo gran cuore,
nel crollo la SS non tremò
Teschio bianco in campo nero fedeltà sino alla morte
piegheremo anche la sorte con atavica virtù.
Come il monaco guerriero
dei tempi medioevali
servi siam dell'ideale
guerra a ogni altra schiavitù.
Dal fiore nati delle molte vite sapremo
riscattare tutta la gente
Camicie nere e brune, il continente
risorgerà nel sangue e nel dolor.
Con la Germania grande a spalle unite
la marcia riprendiamo del valor.

Teschio bianco in campo nero, ecc.
Europa. Insorgi sulle tue rovine
la Patria fonderemo proletaria
Europa, non sarai più tributaria
dell'oro, ma del popolo fedel
Giuriamo! Le campane mattutine
sciolgan quest'inno di certezza al ciel.
Teschio bianco in campo nero, ecc.

Capitolo XXXI - Documentazione tratta dalla missione in Cina, Gobi, Tibet ed India, diretta da Sven Hedin con il finanziamento delle SS Ahnenerbe: Rapporto confidenziale ad Himmler, 1940

Membro dell'Accademia di Svezia, Sven Anders Hedin (1865-1952), studioso e viaggiatore di grande levatura scientifica, fu particolarmente ammirato da Hitler per i suoi viaggi di ricerca e di iniziazione spirituale in Oriente. Spinto dall'esotismo allora diffuso in tutta la cultura europea, egli mosse numerose spedizioni alla ricerca di matrici e forme della spiritualità ancestrale. L'ammirazione del Führer fu tale che, prima della guerra, l'unica personalità che fu ricevuta con un protocollo pari a quello riservato ai capi di stato fu proprio Hedin. Lo studioso ricambiò il Führer accettando di compiere le sue missioni orientali con il finanziamento delle SS Ahnenerbe.

L'11 febbraio di buona mattina due distinti dignitari del Lama Lopsong Tsering e del cinese Tuan Guan entrarono nella mia tenda. Mi fecero alcune domande che annotarono come al solito. Era il Capodanno tibetano e il primo giorno dei festeggiamenti veniva celebrato nel cortile dei giochi religiosi. Espressi il desiderio di assistervi, ma il Lama replicò che mai prima d'allora un europeo aveva ricevuto questo onore. Il dignitario si mostrò molto interessato al mio passaporto cinese, anche se in realtà era valido solo nel Turkestan orientale. Si allontanarono, ma dopo poco tornarono con la notizia che potevo partecipare alla festa, e che avrebbero tenuto dei posti liberi per me e per due della mia gente. Verso le dieci e mezzo si presentò un signore di nome Tsaktserkan vestito con un abito di costosa seta gialla, probabilmente una specie di ciambellano del Taschi Lama, che mi chiese di prepararmi.
Con l'interprete Muhammed Isa e tre servitori seguii Tsaktserkan in direzione del convento, che si trovava a soli dodici minuti da lì. Prendemmo i cavalli che avevamo comprato a Ngangtsetso, i quali non essendo abituati al frastuono di una città, tanto meno ad una festa del genere, più volte furono sul punto di imbizzarrirsi. Intorno a noi si muoveva una massa immensa di uomini: gente a piedi e a cavallo, cittadini e contadini, pellegrini e nomadi, distinti signori e vagabondi, Lama e frati mendicanti, dame ornate di pietre preziose e argento, neri mendicanti cenciosi, cinesi, mongoli ed altri stranieri. Tutto si mescolava come in un formicaio. Lungo la strada alcune donne avevano messo su delle bancarelle di dolci, biscotti e ciambelle salate. Tra i bambini che piangevano, asini e cani che aumentavano la calca, Tsaktserkan ci faceva strada. I tetti dorati dei mausolei brillavano come fuoco. Più ci avvicinavamo e più ci perdevamo nel labirinto di case rosse e bianche, alcune costruite secondo lo stile tibetano, altre alla maniera cinese con tetti ad arco di rame dorato. Tutta la cittadella del convento si trova su una roccia brulla, e i templi e i mausolei erano orientati verso Sud. Dietro di essi, un po' più in alto, si ergeva il Labrang, la residenza di Taschi Lama, con la sua facciata prestante e distinta, con le sue finestre bordate di nero e di marquise di tessuto rosa e giallo. In alto, sotto il tetto dorato, i muri della santa fortezza erano dipinti di rosso.
I cinque mausolei, costruiti su una linea retta da Est verso Ovest, suscitavano una particolare impressione. Cinque Taschi Lama avevano avuto qui l'ultima dimora. Sul comignolo si vedevano delle figure simboliche: la ruota della scienza e della legge, un cervo su entrambi i lati, un tridente a rappresentare la saggezza di Buddha. In cima ai tetti, ornati anch'essi di simboli, c'era una campana di bronzo con una penna di falco sul battaglio: un solo soffio di vento bastava a farla risuonare.
Il santo tempio di Buddha era di stile tibetano, più o meno cubiforme, e aveva muri bianchi e rossi. Sotto il tetto, nella parte rossa, brillavano degli scudi dorati che servivano a scacciare i demoni. La stessa funzione avevano le strane figure cilindriche, alte 1,5-2 metri, avvolte da un tessuto nero e da nastri bianchi. C'erano sale per i seminari, biblioteche di testi sacri, stanze per tremilaottocento monaci. Nelle botteghe, esperti d'arte Lamaici dipingevano immagini divine e forgiano i vasi per i templi, nelle stalle venivano custoditi i cavalli dei monaci, nei negozi si potevano trovare scorte di ogni genere e nelle grandi cucine si preparavano i pasti per i frati laici.
I vicoli tra le case erano stretti. I più importanti erano ricoperti da lastre di pietra, che nel corso di cinque secoli erano state levigate dalle suole di innumerevoli nomadi e pellegrini. Dentro e davanti la città conventuale si trovavano le Tschorten, torri bianche simili a pagode che si innalzavano per cinque piani, restringendosi verso alto, e rappresentavano i cinque elementi: terra, acqua, aria, fuoco ed etere. In alcune di esse erano riposte le ceneri di Lama deceduti, in altre le reliquie di uomini santi, di testi sacri e di immagini divine.
Tsaktserkan ci portò all'ingresso orientale della città da dove proseguimmo a piedi perché era severamente proibito andare a cavallo nelle strade sante. Entrammo in un piccolo vicolo: chiare marquise facevano ombra sui balconi e tutto era talmente pittoresco che sembrava di essere nel Medioevo. I muri delle case, costruite come fortezze, non erano dritti ma inclinati verso l'interno. Incontrammo una processione di pellegrini e fu particolarmente impressionante vedere gruppi di Lama con le teste rasate camminare pigiati in un vicoletto del genere: come i senatori romani, essi indossavano dei mantelli rossi che lasciavano scoperto il braccio destro. Attraverso corridoi angolosi e scuri passaggi in salita, dappertutto i Lama iniziarono a parlare tra loro a bassa voce. Ma essere guidati da Tsaktserkan stava ad indicare che eravamo ospiti del Taschi Lama, così le loro fronti si spianarono, il borbottio si spense e i pellegrini sorrisero.
Arrivati a una piattaforma sopraelevata, ci sedemmo ad osservare il giardino più grande del convento dove di lì a poco si sarebbero svolti i giochi religiosi. Il cielo appariva più chiaro. Che strano vivace spettacolo si stava svolgendo sotto di noi! Visto che il Taschi Lama era il più alto principe della Chiesa in Tibet, più pellegrini del solito erano convenuti nella sua santa città. Accompagnato dagli importanti Lama del convento egli era lì a presenziare la celebrazione dei giochi. Tutte le altane, le gallerie, tutti i tetti e i balconi, erano pieni di spettatori venuti da ogni parte: da Tsang nel Tibet del Sud, da Kham nell'Est, da Ngari-Khorsum nell'Ovest, dai pascoli del Tschang-tang, da Bhotan e Sikkim, dal Nepal, dai pascoli dei mongoli e dal celeste impero. Gli illustri signori della corte del Taschi Lama e le autorità di Schigatse indossavano vesti gialle e rosse con cinture variopinte e cappelli grandi come parasoli.
Nella galleria sottostante si trovava il posto riservato alle signore, che presenziavano riccamente ornate di collane di perle, ciondoli decorati con turchesi e coralli, grandi orecchini d'oro e alti colletti bianchi adornati da pietre preziose. I posti meno belli erano quelli destinati ai contadini e alle loro mogli, ai bambini e ai pellegrini, che sedevano serrati a gambe incrociate. Tutti festeggiavano, chiacchieravano, ridevano e piluccavano dolcetti e pesche secche, anche i mendicanti relegati ai lati, il cui canto si perdeva nel rumore della festa.
Poi le campane risuonarono per annunciare l'inizio della celebrazione e le migliaia di pellegrini tacquero immediatamente. Dai tetti più alti dei templi giungevano lunghi squilli di corno, e tutti aspettavano la festa che avrebbe fatto dimenticare loro i lunghi mesi di cammino. Un canto meraviglioso e carezzevole, una melodia tenera e lenta, un'armonia inebriante e quasi ipnotica vagava nell'aria. Così veniva annunciato l'arrivo primavera, anche se in realtà in quell'occasione si celebrava la vittoria dei grandi fondatori della religione sui falsi profeti. Ma per il popolo il Losar era soprattutto la festa della luce in cui ci si rallegrava del ritorno del sole, della sua vittoria sul buio dell'inverno, dell'aumento della temperatura, del risveglio dei semi e degli animali.
Risuonarono i tromboni di rame e tutti gli sguardi si volsero verso porta dalla quale stava per uscire il Lama più importante del Tibet. Tutti si inchinarono con devozione: il Taschi Lama indossava una mitra sul capo e una veste di preziosa seta lucida gialla. Si sistemò in posizione tale poter facilmente osservare il tutto, dietro una tenda che ne lasciava intravedere solo la testa e il busto.
Un ballo diede inizio alla festa. Due Lama con maschere terribili scesero nel cortile, seguiti da altri undici che portavano bandiere colorate. Si fermarono davanti al trono del Taschi Lama e lo salutarono. Comparvero poi Lama in vesti bianche, recando simboli sacri, coppe d oro, calici e incensieri pendenti da catene d oro. Una banda fece il suo ingresso nel cortile: davanti tromboni di rame, lunghi tre metri, con cerchi d'ottone lucido, dietro cembali e tamburi. Seduti su un tappeto suonarono per tutta la festa una musica monotona, il cui effetto però era festoso e stimolante.
Uno dopo l'altro i gruppi di spettatori salivano sulla piattaforma per poi sparire dietro le tende della galleria sottostante. I ballerini indossavano vesti magnifiche decorate di broccato d'oro. I loro volti erano nascosti dietro maschere terribili fatte di pasta di carta o di una sottile lamiera di rame, che rappresentavano animali feroci, draghi, demoni, diavoli e teschi in atteggiamento minaccioso. Attraverso questi «balli diabolici» il popolo doveva prendere confidenza con i demoni e gli spiriti che terrorizzano l'anima del morto sui sentieri insicuri del cammino verso la pace eterna del paradiso. Nella maggior parte di queste feste religiose c'è sempre una strana figura dipinta, di pasta o di carta, grazie alla quale, attraverso le preghiere dei Lama, si scongiurano il peccato e la malignità. Dopo la chiusura dei balli questa viene portata fuori in processione e bruciata su un rogo davanti al tempio.
Si accese così un piccolo fuoco nel cortile: due Lama portarono un enorme foglio di carta che stava a rappresentare l'anno passato e sul quale erano state appuntate tutte le malignità, tutti i peccati commessi, tutta quella miseria dalla quale ci si voleva preservare nel nuovo anno. Mormorando delle preghiere e delle formule di scongiura, un terzo Lama si avvicinò al fuoco e vi versò una polvere infiammabile. Divamparono le fiamme e la carta bruciò in un attimo. In questo modo si voleva distruggere la potenza dei demoni e degli spiriti sotterranei.
Poi si avvicinò un Lama che recava una coppa costituita da un cranio umano piena di un liquido rosso, probabilmente sangue di capra. Espresse preghiere e formule di scongiuro agitandosi in un ballo mistico sulle scale del tempio e versando il sangue sui i gradini. Nei tempi passati si usava, molto probabilmente, sangue umano. Alla fine di tutto il Taschi Lama si allontanò con i suoi accompagnatori nello stesso modo silenzioso e degno in cui era arrivato, e i pellegrini si ritirarono. Il cortile fu improvvisamente vuoto e silenzioso.

Il ricordo più emozionante di tutta la spedizione fu la visita al Taschi Lama. La mattina del secondo giorno del nuovo anno egli mi volle ricevere. Insieme a Muhammed Isa entrai nel convento. Salendo tante scale, attraversando tanti corridoi e camere buie nel Labrang, salimmo al Santissimo. Era come andare dal Papa a Roma. Anche si viene accolti da un sacerdote, un Lama di alto rango con i capelli tagliati a zero, la testa rotonda e il viso sorridente. Ci sedemmo su cuscini rossi. La stanza era arredata in modo accurato, non appariscente ma dignitosa e distinta. Le pareti e i drappi erano rossi, e anche i tavoli, gli armadi e panchetti. Statue di divinità d'oro e d'argento, piccoli e semplici armadietti decorati ornavano l'altare. Egli si informò sulle mie conoscenze, sul mio incontro con il viceré dell'India, sulle mie intenzioni e mete e sulla mia patria. Bevemmo tè e ci intrattenemmo per circa un'ora.
Poi due Lama in toga rossa ci fecero salire su per una vecchia scala. Qua e là stavano gruppi di monaci che ci squadravano con curiosità. Si avvertiva la vicinanza del Santissimo: tutt'intorno si parlava a bassa voce, sussurrando. Poi l'ultima porta si aprì. Non nego di essere stato preso da una certa sensazione di felicità e di emozione al pensiero di incontrare l'uomo più santo di tutto il mondo Lamaico, l'uomo venerato come un dio da milioni di uomini in Tibet, dai paesi dell'Himalaya, dalla Cina del Nord, dalla Mongolia e dalla Siberia orientale fino alle rive del Volga. Ma questa sensazione sparì dopo essere entrato nella stanza semplice dove Sua Santità era seduta, su una panchina davanti a un tavolo. Guardava fuori una piccola finestra. Indossava, come un semplice monaco, una toga rossa che lasciava scoperte le braccia. L'unica cosa che lo distingueva dagli altri era la veste con fili d'oro che spiccava sotto le pieghe della toga. Quando entrai, mi guardò in modo gentile e tranquillo e mi porse le due mani morbide. Poi mi fece sedere di fronte a lui su una poltrona europea. La sua voce era sottile, gentile, quasi timida. Mi fece una serie di domande. In particolare mi chiese se l'inverno precedente avessimo sofferto il freddo e le tempeste in Tschang-tang, se fossimo stati ospitati dai nomadi e se essi fossero venuti incontro a tutti i nostri bisogni. Durante la conversazione la sua timidezza sparì. Si dichiarò mio amico e aggiunse che aveva dato ordine di mostrarmi tutto il convento, tutti i templi e tutte le sale. Ero libero di muovermi nella città conventuale, di fare foto e disegni, di prendere appunti.
Poi raccontò del suo viaggio in India nell'anno 1905, della gentilezza con cui fu accolto dal viceré Lord Minio e dal Lord Kitchener, del clima caldo, della camminata lunga e faticosa, delle valli profonde con la loro vegetazione. Quello che lo affascinava di più era la divisione dell'Europa in diversi regni e stati, dei suoi imperatori e re. Si informò soprattutto sullo zar di Russia, che secondo la fede dei Lamaici era una reincarnazione della dea Tara. Mi chiese cosa pensassi delle intenzioni di quella nazione, della potenza del suo esercito e della sua flotta. Volle sapere chi, secondo me, era più forte tra Russia e Inghilterra, e come erano le forze armate degli altri stati. Anche della Cina si mostrava interessato e mi domandò quali regioni nel centro avessi visto. Il sorriso gentile e caldo che ravvivava il suo viso non spariva mai. Avevo la sensazione che fossimo legati da un vincolo d'amicizia che non si sarebbe mai strappato, e molti anni dopo ne ricevetti la prova. Meraviglioso, incantevole Taschi Lama! Poteva essere un dio come voleva la fede Lamaica, ma anche come uomo era molto attraente.
Ci intrattenne per ben tre ore e alla fine si congedò nello stesso modo cortese e gentile in cui mi aveva accolto. Mi pregò di tornare presto e di portare la mia macchina fotografica. Alcuni giorni dopo gli resi la seconda visita, che durò quanto la prima. Volle farsi fotografare e accettò di spostarsi secondo le mie necessità. Poi mi stupì ordinando la sua macchina fotografica, con la quale scattò qualche foto a me. La sera le sviluppai nella sua camera oscura con l'aiuto di un giovane Lama, che ho rivisto vent'anni dopo a Pechino.
Secondo la dottrina Lamaica, il Taschi Lama è un dio in sembianze umane o l'incarnazione di un dio. Ogni periodo ha il suo Buddha. Dall'Altissimo, creatore e Salvatore onnipotente e onnipresente, derivano cinque Dhyani-Buddha. Tra loro viene adorato soprattutto Buddha Umitohha, il «Signore del paradiso terrestre». Il suo nome tibetano è òpa me, "il Buddha celeste della luce infinita". È questa la divinità che ha assunto sembianze terrestri in Taschi Lama, o come viene chiamato in Tibet, Pontschen Rinpotsche, "il grande pandi", "di grande dignità" o "il maestro prezioso". Il territorio del Taschi Lama, la provincia di Tsang, è sottoposto al controllo religioso del convento. Il potere temporale governativo è però in mano di Lhasa.
Il Taschi Lama visse liberamente diciassette lunghi anni nella sacra città conventuale. Ma nel 1924 ci furono conflitti religiosi e politici tra le città di Lhasa e Taschi-lunpo, così egli dovette scappare. Voleva rifugiarsi a Urga, capitale della Mongolia esterna, ma venne costretto dal governo cinese o stabilirsi a Pechino. Nel dicembre del 1926 mi accolse nel vecchio palazzo imperiale a Nan-hai, la «città proibita». Anche se erano passati vent'anni dal nostro ultimo incontro, mi sembrava che fossero trascorsi solo venti giorni. Mi salutò con lo stesso sorriso gentile di allora, porse le due braccia come benvenuto e mi regalò un anello d'oro che porto ancora oggi e che mi ha aiutato molto nell'Asia orientale.

Descrivere la città di Taschi-lunpo richiederebbe un'opera in molti volumi. Mi limiterò perciò a raccontare un poco dei santuari più importanti.
Ho già menzionato i cinque mausolei. Costruiti secondo un piano uniforme, ognuna di queste cappelle mortuarie può essere però considerata un'opera d'arte a sé. Da un cortile rettangolare una scala di legno porta ad un sagrato da dove si entra nella cappella mortuaria. Alle pareti del sagrato si trovano i Lokapalas, i quattro grandi re, protettori dei punti cardinali, dipinti con tratti intimidatori di fantastici animali feroci con gli occhi fiammeggianti, le fauci spalancate e le zanne immense. Nelle mani portano armi e simboli e sono circondati da fiamme e nuvole. Queste quattro guardie del cielo si trovano non solo nelle cappelle mortuarie, ma anche agli ingressi dei templi, per proteggere gli dei e l'interno dei santuari e per mettere in ruga i demoni cattivi. La tomba del terzo Taschi Lama era quella più interessante poiché quest'ultimo aveva avuto anche un ruolo politico di notevole importanza. Questo Taschi Lama, in un primo momento, fu tenuto in considerazione dall'imperatore della Cina molto di più del re dell'India. Nel 1779 l'imperatore lo invitò nella sua città e lo ricevette nella sua residenza estiva con ossequi favolosi. Ma l'alto sacerdote si ammalò nel tempio giallo a Pechino e morì. Apparentemente dispiaciuto l'imperatore però non tardò a palesare che la morte del Taschi Lama non gli era poi così sgradita: intrattenendo rapporti con il governatore generale dell'India, egli rappresentava un chiaro pericolo per la sicurezza della Cina. Così il morto fu messo in un sarcofago piramidale d'oro e portato da Pechino a Taschi-lunpo. Il corteo funebre durò sette giorni e fu unico per il suo dispendio ecclesiastico e militare.
L'arcata è un meraviglioso capolavoro dello sfarzo religioso. Attraversato il sagrato con le sue quattro guardie del cielo, si arriva alle impressionanti porte ornate di lastre d'ottone lucente dietro le quali si trova un'alta struttura piramidale, o Tschorten, d'oro e d'argento tempestato di gemme. Sull'altare spicca un'immagine del riformatore Tsong-kapa, accanto ad altre effigi, simboli, patere e lampade dorate e argentate. Tutte le cappelle mortuarie, di solito chiuse, a volte vengono aperte mentre il quinto mausoleo, che dal 1888 custodisce il cadavere del predecessore dell'attuale Taschi Lama, è sempre di libero accesso per tutti i pellegrini vi si recano in visita. Starei ore ad osservarli. Si comportano con lo stesso profondo rispetto che mostrano per l'attuale Taschi Lama: si inchinano e pregano. Quelli provenienti dalle valli lontane e dalle montagne poi si immedesimano talmente tanto nelle preghiere che mentre riempivano le patere con riso, farina e burro, non si rendevano conto del fatto che io li stessi ritraendo. Se mi avessero raccontato le loro storie e la loro fede nella trasmigrazione dell'anima, avrei avuto sicuramente materiale per una serie di romanzi di raro fascino.
Nel cortile adornato di alti Tschorten potevo tranquillamente muovermi tra i pellegrini che, insieme alle loro mogli, aspettavano di essere benedetti dal santo. Per molti questo è il momento più importante della vita. Nella grande sala chiamata Kandschur-Lhakang, paragonabile all'uditorio di una facoltà di teologia, si conservano i testi sacri del Lamaismo, una bibbia di centotto volumi. I fogli si trovano sparsi tra due assi di legno, legate da cinture di cuoio e avvolte in tessuti blu. Quest'opera immensa viene chiamata Kandschur e i commenti e le spiegazioni dei testi, che formano altri duecentoventicinque volumi, Tandschur.
Lungo tutta la sala, illuminata dall'alto da un buco nel tetto, corrono file di leggii e di panchine con cuscini rossi. Al suono di una campanella i novizi entrano nell'aula, si siedono e aprono i lunghi fogli con i testi sacri. Con voce profonda il maestro, un Lama di alto rango, intona un canto al quale gli alunni rispondono alternamente. In occasione della mia presenza, alcuni dei giovani si mostrarono più attenti ai miei disegni che ai loro canti.
Sulle pareti e sulle colonne si stagliano le Tankas, le bandiere del tempio. Su ogni bandiera è rappresentata la leggenda di un dio o di un santo, con tanto di riproduzioni di abitazioni celesti e tormenti infernali: ricami preziosi che narrano anche la vita e i miracoli di Buddha. Le Tankas sono di seta o broccato su cui spesso i testi tibetani vengono dipinti in oro. Per soddisfare gli dei, i monaci si dedicano tutti i giorni alla realizzazione di queste opere. Così com'è considerato altrettanto virtuoso scolpire le sacre parole «Om mani padme hum» sulle pietre lungo le strade e i sentieri.
Quando la sera tardi tornavo nel convento dal lavoro e sentivo da una sala del tempio gli squilli del trombone e i suoni cupi dei tamburi, spesso mi trattenevo per partecipare alla messa notturna. Dalla parte opposta all'ingresso si trovavano i simulacri degli dei che circondavano l'immensa immagine luccicante di Tsong-kapa. Sull'altare, oltre alle coppe sacre e alle patere, c'erano quaranta lumicini accesi piccoli contenitori di ottone e argento che creavano un'atmosfera di mistico crepuscolo degli dei. Tra le colonne nell'angolo a destra dell'altare, su lunghe file di panchine basse e rosse, i monaci leggevano i testi sacri, mormorando sommessamente. Alle parole «Lama» e «om mani» però la loro voce si alzava e di tanto in tanto si sentivano i tamburi, i tromboni, i cembali e le campane d'ottone. Il Dorisene, il simbolo del potere, si trovava accanto ai testi sacri o era tenuto in mano dai monaci.
Era molto impressionante osservare il modo con cui quella luce soffusa avvolgeva i monaci, le loro toghe rosse e gli oggetti d'oro. L'atmosfera era incantevole e il tempo sembrava volare durante questo tipo di cerimonie. Una volta ne fui talmente rapito che due frati servitori furono costretti a svegliarmi per farmi dono di una padella di rame e due tazze di porcellana su piatti d'argento, su richiesta del Taschi Lama.
Ma i giorni nell'indimenticabile Taschi-lunpo passarono velocemente e con la mia partenza cominciò un nuovo capitolo dell'avventura in Tibet. Due cinesi e due tibetani ci accompagnarono come guardie del corpo verso Ovest, dove avevamo l'intenzione di esplorare il Transimalaya. Prima di arrivare nella regione di Le, feci una visita al convento Tarting-gumpa. Un Lama molto gentile ci fece vedere tutte le sale del tempio. Ci raccontò che il giorno prima era morto, all'età di ottant'anni, il priore del convento e allora lo pregai di poter vedere la camera ardente. «No, non è possibile, in questo momento si stanno recitando le preghiere per il defunto», mi sentii rispondere. Ma alla fine si fece convincere e ci portò nella casa del priore. Bussammo alla porta. Un vecchio aprì. In un piccolo cortile c'erano una donna e due uomini, che stavano imprimendo in rosso delle preghiere su trucioli di legno con i quali andava poi acceso il rogo. Senza un permesso particolare entrammo nella cameretta, che non era più grande di tre metri quadri. Quattro monaci erano seduti attorno a un tavolo basso mormorando le preghiere per il defunto. Per tre giorni si continuava a pregare. Il morto era seduto sul letto con la schiena contro la finestra. Indossava una veste colorata, aveva scarpe ai piedi e sul viso un sottile tessuto trasparente di seta bianca. Sulla testa una specie di corona in tessuto rosso e blu. Davanti a lui, sul letto, c'era un tavolino con immagini divine e due lumini accesi.
I monaci furono sorpresi quando entrai e presi posto: sicuramente non avevano mai visto un europeo! Ma continuarono a pregare. Poi durante una pausa venimmo a sapere che il morto, all'età di cinque anni, era stato consegnato dai genitori a una confraternita di Tarting e salendo di grado in grado aveva raggiunto la dignità più alta nel convento. Ora andava bruciato sul rogo in posizione seduta e con una veste bianca indosso. Le sue ceneri sarebbero poi state portate al monte sacro di Kailosh e qui chiuse in un Tschorten.
Osservo il vecchio monaco morto. Da bambino non aveva vissuto una vita normale, rinunciando al mondo per entrare in un Ordine monastico. Per settantacinque anni aveva vissuto in questa piccola cameretta dove adesso stava seduto morto e rigido. Aveva visto venire e andare tanti pellegrini. Per settantacinque anni aveva cantato alle feste del nuovo anno e aveva salutato l'arrivo della nuova primavera. Per settantacinque estati aveva sentito aria tiepida soffiare sulle montagne e in altrettanti autunni e inverni aveva protetto la cameretta dal freddo.
Solo i monaci santi vengono bruciati. Gli altri vengono tagliati a pezzi e la loro carne viene data in pasto ai cani santi del tempio o, come in Schigatse, agli avvoltoi. I tagliatori di cadaveri si chiamano Lagpas e sono una casta bassa e disprezzata tanto che nell'infinita catena della trasmigrazione dell'anima possono solo reincarnarsi in corpi di animali o di uomini cattivi. Dopo la morte, il cadavere di un frate laico viene portato dai suoi confratelli nel posto dove verrà fatto a pezzi. Lo spogliano e si dividono i vestiti. Poi i Lagpas eseguono il loro orribile compito.
Dei conventi nella valle di Tsangpos mi ricordo soprattutto di Taschi-gembe, la città bianca, nella quale vivevano solo duecento monaci, mentre in Taschi-lunpo erano tremila e ottocento. Taschi-gembe aveva una sala per le preghiere molto piccola: qua un vecchio Lama faceva girare, dall'alba a mezzanotte, un mulino da preghiere grande più di tre metri, riempito di sottili nastri di carta sui quali erano scritte delle orazioni. Mentre il vecchio girava il mulino, urlava le sue preghiere fino ad aver la schiuma alla bocca.
Un altro convento che ho visitato nelle valli del Transimalaya è Lingo-Gumpa. Là ho visto e sentito delle cose inenarrabili e ho avuto prova di una fede forte e di una sovrumana forza di volontà. Nella sala più importante del tempio tutto era immerso nel buio tranne le immagini degli dei sull'altare che venivano illuminate attraverso un buco quadrangolare nel tetto. Davanti ad esse alcuni monaci si muovevano in silenzio come delle ombre, mentre altri, seduti sulle panchine, cantavano. La magia del loro canto ritmico li faceva addormentare e li introduceva in un cammino spirituale teso al raggiungimento della beatitudine.

Capitolo XXXII - Dal rapporto riservato di Ernst Schäfer a Weistnor, a seguito della sua missione in Tibet (1939): Documento dagli archivi della SS Ahnenerbe

Durante le sue escursioni di studio in America Latina Ernst Schäfer aveva filmato alcuni sciamani mentre facevano uso di erbe e composti in grado di provocare stati alterati di coscienza. La stessa cosa fece in occasione del suo viaggio in Tibet, dove si era recato per studiare la ritualità connessa all'utilizzazione di erbe e composti tradizionali.

Dopo le prolungate richieste di finanziamento, il 16 ottobre 1938 ricevetti, come Lei sa, un sussidio per la nuova missione in Tibet. E, mandato qualche telegramma, fummo subito pronti a partire. Mentre Kiss e i suoi compravano le tende ed i cibi in India, io acquistavo in Germania strumenti scientifici, armi e munizioni. La nostra intenzione era quella di addentrarci nel cuore del Tibet non solo per conoscere i grandi e misteriosi animali del paese e studiarne da vicino la riproduzione e il modo di vivere, ma anche per approfondire la conoscenza della flora himalayana.
Nell'aprile del 1939 comincia il mio viaggio nell'Asia orientale. A Shangai incontrai tutti i partecipanti della spedizione. Per una fortunata coincidenza il Panchen-Lama, il più alto dignitario ecclesiastico del Tibet, si trovava in quei giorni a Hangtschou, nei dintorni di Shangai, dove presenziava ad una festa buddhista. Così una mattina di giugno partii per Hangtschou, dove chiesi un'udienza dal Panchen-Lama. Fui molto contento di sentire che si tratteneva in un tempio sulle montagne per celebrare una grande cerimonia per la pace dei suoi popoli, anche perché avevamo l'intenzione di fare pace con i banditi tibetani.
Hangtschou è una delle città più affascinanti della Cina. Purtroppo avevo poco tempo per ammirare le sue bellezze visto che dovevo assolutamente riuscire a parlare con il Panchen-Lama e a fotografarlo: una sua foto può fare miracoli se presentata ad alcuni sovrani. Ma solo chi conosce le fredde etichette asiatiche e gli inavvicinabili cortigiani dei grandi preti e dei re buddisti può capire come la mia impresa di conoscere il monarca vivente più importante del Tibet fosse abbastanza audace, se non senza speranza. Cominciai a indagare sul suo conto e subito, con mia grande delusione venni a sapere che il Panchen-Lama non aveva mai ricevuto un uomo bianco prima d'allora. Non sembrava esserci alcuna speranza per arrivare al cospetto dell'illustre Maestro. Da precedenti incontri con alti dignitari della Chiesa Lamaica avevo imparato che i muri dei vassalli buddisti Lamaki si possono superare solo con un comportamento ponderato e risoluto. E io ci dovevo riuscire. Prima, però, avrei dovuto trovare gli intermediari giusti, guadagnarmi la loro confidenza e poi chiarire le mie intenzioni. Chiesi al mio compatriota, il dottor Rose, di aiutarmi. Dopo solo dieci minuti egli lasciò il suo laboratorio con una lettera di raccomandazione per il dottor Winjards, il medico personale polacco del Panchen-Lama. Velocemente mi recai verso il tempio nella foresta. All'ingresso pagai il mio coolie, pronto a iniziare l'avventura. Alcuni soldati armati di baionette tentarono di vietarmi l'accesso ma alla fine riuscii a entrare nel santuario. Un gruppo di Lama tibetani, con vesti rosse e ondeggianti, si avvicinò. Nessuno rispose alle mie domande: continuavano a camminare a piedi scalzi mormorando le loro preghiere. Allora provai a chiedere ad alcuni cinesi. Furono molto gentili, misero le mani giunte, si inchinarono e sorrisero, ma neanche loro seppero darmi informazioni. Nessuno di loro capiva il mio cinese e a nessuno sembrò familiare il nome del medico polacco. Girai per ore nell'immenso giardino del tempio finché apparve, come un deus ex machina, un uomo bianco. Inutile dire che si trattava del dottor Winjards. Era un uomo gentile, che parlava benissimo il tedesco. Bevemmo un tè verde cinese e poi provammo subito a raggiungere il Panchen-Lama. Dopo aver attraversato una parte della foresta arrivammo ad una specie di castello. All'ingresso alti dignitari cinesi e tibetani, noncuranti del nostro arrivo, continuavano a parlare voce bassa. Ci inchinammo secondo il costume del paese, e ci mettemmo silenziosi in un angolo finché arrivarono dei servitori a portarci del tè. Dopo un po' comparve il medico personale tibetano del Panchen-Lama e siccome non avevo portato alcun regalo mi squadrò con diffidenza. Ma dopo avergli raccontato che avevo già visitato il Tibet, «il grande paese dei ghiacciai», la sua espressione cambiò. Avevo vinto il gioco. Quel giorno però non fu possibile vedere il Panchen-Lama perchè stava riposando. Così ci salutammo.
Il giorno seguente tornammo con un appuntamento. [...] Dopo la cerimonia nel tempio ci ricevette il primo segretario del Panchen-Lama, l'unico tra le centinaia di persone che circondavano il prete-dio ad avere il privilegio di poterlo guardare negli occhi quando otteneva udienza. Attese il momento astrologicamente favorevole per chiedere al Maestro se voleva ricevermi, così nel frattempo accompagnai il dottor Winjards durante la sua visita ai malati [...]. Infine apparve un dignitario che chiese con poche parole di seguirlo e dei monaci servitori separarono delle tende gialle al nostro passaggio. Attraversammo velocemente un atrio e entrammo in una stanza tutta decorata di oro: davanti a noi era il Panchen-Lama, un uomo robusto, di media altezza, con i capelli leggermente brizzolati e un'espressione del viso gentile ma energica. Negli occhi scuri si rifletteva l'anima di un uomo modesto e allo stesso tempo di una divinità sovrumana. Durante l'inchino egli ci sorrise e s'avvicinò. Il segretario chiese al Panchen-Lama qualcosa in tibetano.
La risposta venne tradotta prima in cinese poi in inglese, così come il resto della conversazione. Prima di parlarci il Panchen-Lama volle essere visitato. Mentre il medico gli tastava il polso, un servitore gli portò una piccola scatola con piccoli strumenti in argento con cui il egli si stuzzicò i denti e rovistò nel naso e nelle orecchie. Alla fine della visita il segretario mi comunicò che avevo il permesso di parlare. In un primo momento ci scambiammo semplici domande di cortesia, e poi parlai dei miei progetti di viaggio ai quali il Panchen-Lama sembrò interessarsi molto. Quando sentì che ero tedesco i suoi occhi brillarono. Mi chiese quanto fosse lontana la Germania, se avessi incontrato dei banditi durante il mio viaggio e se fossi contento della mia mandria. Mi pose tutte queste domande sorprendenti con molto interesse e sembrava credere che anche in Germania c'erano tanti nomadi e banditi.
Raccontai del mio primo viaggio in Tibet e menzionai senza diffidenza il nome del re di Muli, il più temuto di tutti i tiranni Lamaici del Tibet orientale, con il quale già nel 1931 non avevo avuto delle belle esperienze. Appena pronunciato il nome del re di Muli, il sorriso del prete tibetano svanì palesando un certo disprezzo con un brusco movimento della mano. Solo in quel momento mi venne in mente che i grandi Lama di Lhasa e il re di Muli erano stati rivali accaniti nel conflitto per la divisione del potere in Tibet. Cambiai subito argomento ma il Panchen-Lama era visibilmente offeso. Neanche al congedo mi diede la mano, né mi accompagnò alla porta come aveva fatto al nostro arrivo. Solo qualche giorno dopo riuscimmo ad ottenere passaporti per il Tibet provvisti della firma del Panchen-Lama e del suo sacro timbro. In quei giorni era arrivato in Hangtschou l'Antchin-Lama, un grande inviato tibetano che da anni curava le trattative con il governo cinese. L'Antchin aveva affrontato un lungo viaggio attraverso l'India con lo scopo di convincere il Panchen-Lama a tornare al più presto in Tibet perché il Dalai Lama, morto durante l'inverno precedente, aveva espresso il desiderio di vederlo esercitare il potere religioso e temporale su tutto il Tibet.
In quell'occasione entrai in possesso di una serie di documenti che un giovane Lama che conosceva l'inglese mi aiutò a decifrare.

L'ultima profezia del Lama detto il Re del Mondo

Quando feci visita al suo monastero nel 1921, il Hutuktu di Narabanci mi fece questo racconto.

Quando il Re del Mondo apparve ai Lama favoriti da Dio, in questo monastero trentanni fa, fece una profezia per il mezzo secolo che cominciava allora. La profezia diceva: «Gli uomini dimenticheranno sempre più l'anima per occuparsi del corpo. I più grandi peccati e la corruzione regneranno sulla terra. Gli uomini diverranno come belve feroci, assetate del sangue e della morte dei loro fratelli. La Mezza Luna si offuscherà e i suoi seguaci cadranno in povertà e in una guerra senza fine. I suoi vincitori saranno colpiti dal sole ma non si innalzeranno, e per due volte saranno visitati dalle sventure più gravi che termineranno in insulti al cospetto degli altri popoli. Cadranno le corone dei re, grandi e piccoli: una, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto... Ci sarà una guerra terribile fra tutti i popoli. I mari si vedranno colorati in rosso. Le terre e il fondo del mare si ricopriranno d'ossa. I regni andranno in frantumi. Intere popolazioni morranno: fame, peste, delitti mai visti al mondo. I nemici di Dio e dello spirito divino nell'uomo verranno. Coloro che prendono la mano dell'altro periranno pure. I dimenticati, i perseguitati si leveranno, e richiameranno l'attenzione del mondo intero. Vi sarà nebbia e tempesta. Montagne nude si copriranno all'improvviso di foreste. Verranno terremoti. Milioni di uomini muteranno le catene della schiavitù e dell'umiliazione in quelle della fame, della peste e della morte. Le antiche strade si ricopriranno di popoli vaganti da un paese all'altro, le città più grandi e più nobili periranno nel fuoco. Il padre insorgerà contro il figlio, il fratello contro il fratello, la madre contro la figlia. E seguiranno il vizio, il delitto, la distruzione del corpo e dell'anima. La fedeltà e l'amore scompariranno. Di diecimila uomini uno solo sopravviverà: sarà nudo e demente e senza forza né arte per costruirsi una casa e procacciarsi da vivere. Ululerà come il lupo furente, divorerà i cadaveri, mangerà la sua carne e sfiderà a battaglia Iddio... Tutta la terra si vuoterà. Dio le volterà le spalle, e non vi sarà che la notte e la morte. Allora le manderà un popolo, ancora sconosciuto, che con mano forte strapperà le erbe cattive della follia e del vizio e condurrà coloro che ancora rimarranno fedeli allo spirito dell'uomo alla battaglia contro il Male. Essi ritroveranno una vita nuova sulla terra purificata dalla morte delle nazioni. Nel cinquantesimo anno solo tre grandi regni ci saranno, che vivranno felici per settantuno anni. Poi vi saranno diciotto anni di guerra e distruzione. Infine i popoli di Agharti saliranno dalle caverne sotterranee alla superficie della terra».

FINE